Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-11-17, n. 201505259
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N. 05259/2015REG.PROV.COLL.
N. 04513/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4513 del 2015, proposto da:
Azienda Sanitaria Locale di Salerno, rappresentata e difesa dagli avv. V C, E T, G S, W M R, con domicilio eletto presso Massimiliano Cardarelli in Roma, Via Alessandria, 208;
contro
Società Cooperativa Consorzio Nazionale Servizi – C.N.S., rappresentata e difesa dall'avv. Orazio Abbamonte, con domicilio eletto presso Orazio Abbamonte in Roma, Via Terenzio, 7;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - SEZ. STACCATA DI SALERNO: SEZIONE I n. 00568/2015, resa tra le parti, concernente adeguamento prezzi relativo al servizio di pulizia, sanificazione e servizi accessori
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Società Cooperativa C.N.S.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2015 il Cons. S S e uditi per le parti gli avvocati Casilli e Abbamonte;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con deliberazione n. 1981 del 7 dicembre 2004 del Direttore Generale della disciolta A.S.L. SA/3, in esito a licitazione privata, la Società Cooperativa C.N.S. veniva dichiarata aggiudicataria del Servizio di pulizia, sanificazione e servizi accessori presso i presidi ospedalieri e le strutture territoriali - lotti 1, 2 e 3;il servizio, affidato per anni tre, aveva inizio in data 1° gennaio 2005 con naturale scadenza al 31 dicembre 2007.
Con deliberazione n. 156 del 28 gennaio 2008 del Direttore Generale della stessa A.S.L. SA/3, l'affidamento del servizio alla C.N.S. veniva prorogato agli stessi prezzi, patti e condizioni originariamente previsti, fino al compimento di nuova procedura di gara ad evidenza pubblica per l'affidamento del medesimo servizio.
Con successiva deliberazione n. 216 del 24 febbraio 2009 - preso atto dell’accordo transattivo raggiunto in data 13 febbraio 2009, con il quale la C.N.S. rinunciava agli arretrati maturati alla data del 31 dicembre 2008 per effetto delle variazioni rilevate dall'Istat con l'indice FOI - si riconoscevano dovuti alla C.N.S. gli adeguamenti prezzi secondo le Tabelle del Ministero del Lavoro con decorrenza 1° gennaio 2009.
Con la deliberazione n. 219 del 25 febbraio 2014, il Direttore generale della A.S.L. Salerno:
- ritenendo “la pretesa del CNS di ottenere l'adeguamento prezzi secondo le tabelle del costo medio orario del personale dipendente da imprese esercenti servizi di pulizia e servizi integrati-multiservizi emanate con riferimento all'anno 2009 dal Ministero del Lavoro … improponibile e irricevibile, in quanto non conforme alle previsioni contrattuali a suo tempo stipulate”, e la deliberazione n. 216/2009 “inapplicabile”, “carente”, “incompleta”, violativa dell'articolo 57 del d.lgs. n. 163/2006;
- ritenendo altresì sussistenti le ragioni di interesse pubblico per agire in autotutela: omessa iscrizione nei bilanci annuali di competenza dei maggiori oneri finanziari derivanti dall'adozione di tale deliberazione;obbligo del rispetto dei principi di buona fede e diligenza;
- sul presupposto che “gli interessi dei destinatari della proposta di annullamento saranno tutelati tramite riconoscimento della dovuta rivalutazione annuale dei corrispettivi contrattuali, come previsto dall'art. 115 del d.lgs. n. 163/2006”;
deliberava l'annullamento, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 21-nonies della legge n. 241/1990, della deliberazione n. 216/2009 del Direttore Generale pro tempore della disciolta A.S.L. SA/3.
Con ricorso notificato il 16 aprile 2014, e depositato il 30 aprile successivo, la società cooperativa C.N.S. chiedeva al T.A.R. Campania, Sez. Salerno, l’annullamento della delibera n. 219/2014 del Direttore generale della A.S.L. Salerno, censurando l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, la violazione della legge di gara, il decorso di oltre 5 anni dalla deliberazione n. 216/2009 e la violazione dei principi dell’affidamento e della buona fede, la contrarietà della delibera impugnata (che annulla anche l’accordo transattivo) all’interesse pubblico, l’ingiustificato arricchimento dell’Amministrazione (ciò emergerebbe anche dalla nuova gara, annullata dal T.A.R. di Salerno con sent. n. 250/2015 per mancanza dei presupposti della procedura d’urgenza adottata, che è stata aggiudicata, con un ribasso d’offerta del 30,31%, a un prezzo che supera di 28.928,38 euro mensili quello corrisposto al C.N.S. in base alla revocata delibera n. 216/2009 e di circa 102.478,55 euro al mese quello che le sarebbe corrisposto in base alla originaria aggiudicazione del 2004).
Con la sentenza impugnata il ricorso è stato accolto, in quanto il primo giudice ha ritenuto illegittima la deliberazione n. 214 del 24/2/2014 del Direttore Generale della ASL Salerno, di annullamento in autotutela della deliberazione n. 216/2009 del Direttore generale pro tempore della disciolta A.S.L. SA/3, in quanto emessa a distanza di 5 anni dall’adozione del provvedimento, in violazione della previsione recata dall’art. 1 c. 136 della L. n. 311/2014 e dei principi dell’affidamento e della buona fede.
Avverso detta deliberazione ha proposto appello la A.S.L. di Salerno che ha dedotto il vizio di errore in iudicando – error in procedendo, rilevando la violazione dell’art. 21 nonies della L. 241/90, della L. n. 15/2005 ed i vizi di perplessità, sviamento e contraddittorietà.
A sostegno della sua impugnativa, l’Amministrazione ha dedotto:
-- l’erroneità dell’interpretazione della sentenza della Sezione III del Consiglio di Stato n. 6065/2014 (richiamata nella sentenza di primo grado) concernente – a suo dire – una fattispecie diversa;
-- la mancata considerazione della previsione contenuta nella deliberazione n. 214 del 24/2/2014, relativa al riconoscimento della rivalutazione annuale dei corrispettivi contrattuali, come previsto dall’art. 115 del D.Lgs. n. 163/06;
-- l’inconferenza del richiamo alla decisione della stessa Sezione del T.A.R. di Salerno n. 250/2015, atteso che detta vicenda sarebbe del tutto estranea all’annullamento ex art. 21 nonies della delibera n. 216/09, tanto più che l’efficacia di detta sentenza è stata sospesa dal Consiglio di Stato con ordinanza cautelare n. 364/2015;
-- l’omessa considerazione della sentenza del Consiglio di Stato Sez. III n. 5480/2011 – relativa ad una fattispecie analoga alla presente – che ha ritenuto prevalente la disposizione dell’art. 21 nonies della L. 241/90 rispetto alla disposizione richiamata dal T.A.R., e cioè l’art. 1 c. 136 della L. 311/04, facendo applicazione del principio temporale;
-- la ragionevolezza del tempo impiegato dalla ASL di Salerno per adottare la suddetta determinazione, tenuto conto delle vicende che hanno interessato la riorganizzazione delle ASL della regione;
-- la conseguente sussistenza di validi presupposti per l’annullamento d’ufficio, individuati nelle premesse del provvedimento impugnato in primo grado.
Si è costituito in giudizio il Consorzio Nazionale Servizi che ha replicato sulle censure proposte chiedendo il rigetto dell’appello.
All’udienza pubblica del 29 ottobre 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Con la sentenza appellata il primo giudice ha annullato la deliberazione impugnata rilevando che “l'annullamento, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 21-nonies della legge n. 241/1990, della deliberazione n. 216/2009 del Direttore generale pro tempore della disciolta A.S.L. SA/3 sopraggiunge a distanza di 5 anni dall’adozione del provvedimento, e che ciò viola i principi dell’affidamento e della buona fede.
Al riguardo, l’art. 1, co. 136, della legge n. 311/2004 (Finanziaria 2005) stabilisce che:
“Al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l'annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l'esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L'annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall'eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall'acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”.(…).
- “il comma 136, nel codificare l’unica ipotesi di annullamento d’ufficio per ragioni di pubblico interesse in re ipsa di provvedimenti che comportano un indebito esborso di danaro pubblico, individua il punto di equilibrio tra il potere di annullamento d'ufficio per ragioni di convenienza economico-finanziaria e l’esigenza di certezza nei rapporti contrattuali tra pubblica amministrazione e privati”;
- ciò avviene, tra l’altro, attraverso “la fissazione di un parametro concreto, sotto forma di termine triennale … che prende il posto di quello indeterminato ed elastico individuato in via generale dall’art. 21-nonies, della legge 241/1990 (vale a dire, del termine ragionevole, espressione che lascia all’interprete il compito di individuarne la durata in concreto, in considerazione del grado di complessità degli interessi coinvolti e del relativo consolidamento, secondo il parametro costituzionale di ragionevolezza)” (sez. III, sent. n. 6065/2014).
L’applicazione della norma sopra richiamata alla fattispecie in esame rende illegittimo il provvedimento impugnato, il quale dispone l’annullamento della delibera n. 216/2009 - di parziale rideterminazione del contenuto del rapporto contrattuale in atto tra la A.S.L. e la C.N.S. - ben oltre il termine stabilito dalla legge”.
Secondo l’appellante detta sentenza sarebbe erronea perché la decisione di questa Sezione n. 6065/2014, richiamata in motivazione, si riferirebbe ad una fattispecie diversa, mentre la precedente sentenza n. 5480/2011 della stessa Sezione - che avrebbe statuito in senso favorevole alla propria tesi -, riguarderebbe una situazione maggiormente aderente a quella in oggetto;inoltre il primo giudice non avrebbe tenuto conto della previsione contenuta nella deliberazione n. 214 del 24/2/2014, relativa al riconoscimento della rivalutazione annuale dei corrispettivi contrattuali, come previsto dall’art. 115 del D.Lgs. n. 163/06;infine avrebbe erroneamente richiamato la propria precedente sentenza n. 250/2015 la cui efficacia è stata sospesa in appello.
Ha poi ritenuto, in estrema sintesi, che la norma applicabile non sarebbe l’art. 1 comma 136 della L. 311/2004, bensì l’art. 21 nonies della L. 241/90 che non reca un preciso termine temporale per l’esercizio del potere di annullamento in autotutela – facendo riferimento al concetto di “termine ragionevole” - in quanto norma successiva che regola in modo completo la materia: nel conflitto tra le norme, tenendo anche conto delle ragioni di interesse pubblico, dovrebbe ritenersi quindi prevalente la norma dell’art. 21 nonies della L. 241/90, con la conseguenza che il decorso del termine di tre anni dall’efficacia del provvedimento illegittimo non precluderebbe alla P.A. l’esercizio del potere di autoannullamento.
La tesi dell’appellante non può essere condivisa.
Innanzitutto occorre precisare che – contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione – il principio espresso dalla Sezione nella sentenza n. 6065/2014 si riferisce all’interpretazione della norma a prescindere dal contesto fattuale nel quale è stata applicata: ne consegue che non assume alcuna rilevanza il riferimento alla fattispecie concreta nella quale la pronuncia giurisdizionale è stata emessa.
Inoltre, la previsione contenuta nella deliberazione impugnata in primo grado, relativa al riconoscimento della rivalutazione annuale dei corrispettivi contrattuali, non assume rilievo ai fini della decisione della controversia, che riguarda esclusivamente la legittimità dell’esercizio del potere di annullamento in autotutela di una deliberazione incidente su rapporti contrattuali o convenzionali con privati, assunta oltre il termine di tre anni dall’acquisizione dell’efficacia del provvedimento.
Ne consegue che il richiamo contenuto nella sentenza del primo giudice alla successiva decisione della stessa sezione del T.A.R. è inconferente ai fini della decisione, ed è stato richiamato dallo stesso giudice per sostenere che le somme riconosciute con la deliberazione annullata in autotutela non sarebbero state irragionevoli, essendo comunque inferiori a quelle attribuite in esito alla successiva gara pubblica.
La controversia, si riduce, in pratica, all’individuazione di quale sia la norma applicabile al caso di specie tra la disposizione speciale recata dalla L. 311/2004 e la norma generale di cui all’art. 21 nonies della L. 241/90, questione sulla quale la Sezione si è pronunciata in precedenza in modo non uniforme.
Ritiene la Sezione di dover riaffermare quanto sostenuto nella sentenza n. 6065/2014 richiamata dal T.A.R., i cui principi sono stati ribaditi anche da molteplici altre pronunce giurisdizionali (cfr. C.G.A. n. 49/2015;T.A.R. Lombardia Sez. I n. 1/2015;T.A.R. Valle d’Aosta n. 85/2014;T.A.R. Sardegna Sez. I n. 219/2014;T.A.R. Firenze (Toscana) sez. I 21 febbraio 2013 n. 263;T.A.R. Sicilia Sez. III Palermo, 1463/09; T.A.R. Campania Sez. V Napoli n. 21106/08).
Occorre precisare innanzitutto che non convince – per i motivi in seguito esposti - la tesi dell’abrogazione tacita della norma recata dalla L. 311/2004 per effetto dell’entrata in vigore - a distanza di poco tempo - della disciplina generale introdotta con la legge n. 15 del 2005, che ha modificato la legge n. 241 del 1990, aggiungendo l'articolo 21-nonies, che disciplina, per la prima volta in termini generali, il potere di autotutela della p.a.
Depongono in senso contrario alla tesi dell’abrogazione tacita:
-- la diversa natura delle due disposizioni – l’una speciale e l’altra generale – il che rende possibile la coesistenza tra le due norme, delle quali quella speciale individua in modo preciso il concetto di “tempo ragionevole” contenuto in quella generale;
-- la mancata espressa abrogazione della suddetta disposizione ad opera del legislatore nel momento in cui ha per la prima volta – con la legge n. 15/2005 - disciplinato l’annullamento in autotutela;
-- l’espressa abrogazione della disposizione recata dalla L. 311/2014 per effetto dell’art. 6 della L. 124/2015 che ha modificato l’art. 21 nonies della L. 241/90, prevedendo la possibilità dell’esercizio del potere di annullamento di ufficio per ragioni di pubblico interesse “entro un termine ragionevole e comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”, e che ha previsto al comma 2 dello stesso articolo l’abrogazione espressa della suddetta disposizione normativa.
Da dette circostanze, ed in particolare dall’ultima citata, può agevolmente desumersi la vigenza della suddetta disposizione al momento dell’adozione del provvedimento impugnato in primo grado.
Quanto alla sua applicabilità al caso di specie, condivide la Sezione quanto affermato dal primo giudice – richiamando la giurisprudenza della Sezione – in quanto nel conflitto tra le due norme deve essere dato rilievo al prevalente principio di specialità.
La norma anteriore, infatti, denota un ambito applicativo più ristretto rispetto a quella della legge n. 15 del 2005: la prima riguarda, non già tutti i provvedimenti di annullamento d'ufficio, ma solo quelli incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati;la seconda, invece, si applica, senza distinzione alcuna, a tutti i provvedimenti di annullamento in autotutela.
La norma recata dalla L. 311/04, come ha correttamente rilevato la difesa della appellata, regola una speciale forma di annullamento, distinta per la finalità di risparmio di spesa perseguita ponendo un preciso criterio di equilibrio tra l’interesse del privato e quello dell’erario, stabilendo che l’annullamento può sempre intervenire per questa specifica finalità, purchè ricompreso nel triennio dall’adozione dell’atto a tutela dell’affidamento del privato e dell’equilibrio economico dell’impresa.
E’ dunque pienamente condivisibile l’assunto della Sezione richiamato dal primo giudice nella sentenza appellata.
Ne consegue che essendo stato adottato l’atto di annullamento in autotutela oltre il termine di tre anni individuato dal legislatore come “ragionevole”, il provvedimento impugnato si appalesa illegittimo, come ha correttamente ritenuto il T.A.R.
L’appello va dunque respinto.
Quanto alle spese di lite, tenuto conto della giurisprudenza oscillante, sussistono giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.