Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-02-24, n. 202001372

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-02-24, n. 202001372
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202001372
Data del deposito : 24 febbraio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/02/2020

N. 01372/2020REG.PROV.COLL.

N. 02864/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 2864 del 2019, proposto da
Società Fidanzia Sistemi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati E L, F L e F S, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Comune di Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati R C e A F, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

nei confronti

Confindustria Bari e Andria, Barletta e Trani, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (sezione terza) n. 1526/2018, resa tra le parti.


Visto il ricorso in appello;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 28 novembre 2019 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati E L, F L, R C e A F;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

Fidanzia Sistemi s.r.l. - società unipersonale, operante nel Comune di Bari nel settore delle affissioni pubblicitarie, impugnava con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia il nuovo regolamento comunale in materia di pubblicità di cui alla delibera consiliare n. 114/2017 e il Piano generale degli impianti-PGIP, approvato con delibera n. 73/2005 e richiamato in vita dal nuovo regolamento. A mezzo di motivi aggiunti estendeva l’impugnativa alla relazione della Ripartizione urbanistica ed edilizia privata n. 324001/2017, alla delibera giuntale n. 47/2018 e relativi allegati, alla determina dirigenziale n. 2018/130/00027 e, occorrendo, alle delibere giuntali nn. 283/2015 e 53/2016.

Nel giudizio così proposto il Comune di Bari si costituiva in resistenza;
le sezioni di Confindustria Bari e Andria e Barletta e Trani intervenivano ad adiuvandum .

Con sentenza della sezione terza n. 1526/2018 l’adito Tribunale respingeva l’impugnativa, compensando tra le parti le spese del giudizio.

In particolare, il primo giudice riteneva infondate le numerose censure svolte dalla società, che esaminava e respingeva dopo averle articolate, in ordine logico, in quattro grandi aree tematiche: a) il presunto deficit partecipativo che avrebbe inficiato il procedimento amministrativo di adozione della nuova disciplina regolamentare;
b) l’asserita anomalia del rapporto tra il nuovo regolamento e il PGIP del 2005, derivante dall’inversione metodologica nell’approvazione dei relativi strumenti di pianificazione;
c) l’asserita illegittimità della trasformazione dell’attività imprenditoriale libera quale quella in parola in un servizio pubblico assoggettato a regime concessorio;
d) l’incompetenza della Giunta comunale di Bari a determinare la reviviscenza del PGIP del 2005.

La società ha appellato detta sentenza, deducendo la violazione del principio tra il chiesto e il pronunciato in relazione all’omessa pronunzia su alcune censure e, ulteriormente l’erroneità delle argomentazioni del primo giudice che non hanno rilevato: 1) l’illegittimità della trasformazione dell’attività imprenditoriale libera quale quella in parola in un servizio pubblico assoggettato a regime concessorio, previo esperimento di procedura a evidenza pubblica con offerta al rialzo;
2) l’inidoneità, l’inefficacia e l’inefficienza dello stesso regime, nonché il difetto di istruttoria del Consiglio comunale sull’economicità della riforma;
3) l’illegittima estromissione degli operatori del settore, tra cui la società, dalla partecipazione al procedimento di adozione del nuovo regolamento;
4) il difetto di competenza della Giunta comunale nella riadozione del PGIP del 2005, nonché l’incompatibilità e l’inadeguatezza di questo rispetto al nuovo regolamento del 2017 e alla normativa sopravvenuta.

La società, riproposte nell’ambito delle predette censure le argomentazioni non delibate dal primo giudice, ha concluso per la riforma della sentenza appellata e l’accoglimento dell’impugnativa di primo grado con annullamento degli atti con essa gravati.

Il Comune di Bari si è costituito in resistenza, esponendo l’infondatezza del gravame e concludendo per il suo rigetto.

Le parti hanno affidato a memorie lo sviluppo delle proprie tesi difensive e la confutazione delle argomentazioni avverse.

La causa è stata indi trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 28 novembre 2019.

DIRITTO

1. In via preliminare, va delibata l’eccezione di inammissibilità per tardività spiegata dalla parte appellante in relazione alla memoria di replica del Comune di Bari depositata il 7 novembre 2019 (data di scadenza ai sensi dell’art. 73, comma 1, Cod, proc. amm., in quanto ventesimo giorno libero rispetto all’udienza pubblica del 28 novembre 2019), oltre le ore 12,00.

L’eccezione è fondata.

Deve infatti ribadirsi che il comma 4 dell’art. 4 dell’allegato 2 al Cod. proc. amm. va interpretato nel senso che “ il deposito con il processo amministrativo telematico (PAT) è possibile fino alle ore 24.00, ma, se effettuato l’ultimo giorno utile rispetto ai termini previsti dal comma 1 dell’art. 73 c.p.a., ove avvenga oltre le ore 12 (id est, l’orario previsto per i depositi prima dell’entrata in vigore del PAT), si considera - ai soli fini della garanzia dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche - effettuato il giorno successivo, ed è dunque tardivo (Cons. Stato, Sez. III, 24/5/2018, n. 3136) ” (Cons. Stato, IV, 20 settembre 2018, n. 5471;
V, 2 agosto 2018, n. 4785).

Non potendo, pertanto, il Collegio tener conto di tale memoria, resta assorbita l’ulteriore eccezione di inammissibilità pure avanzata dalla appellante in relazione alla stessa memoria.

2. Va respinto il primo mezzo con cui la società espone l’erroneità delle argomentazioni del primo giudice che hanno ritenuto la legittimità della trasformazione dell’attività imprenditoriale libera quale quella in parola in un servizio pubblico assoggettato a regime concessorio, previo esperimento di procedura a evidenza pubblica con offerta al rialzo.

Il disposto assoggettamento dell’attività economica in parola al regime concessorio si rivela infatti indenne da mende.

2.1. Rileva al riguardo Cons. Stato, Ad. plen., 25 febbraio 2013, n. 5 (per la quale è legittima la previsione di una procedura competitiva a evidenza pubblica per la concessione degli spazi pubblici da utilizzare per la collocazione di impianti pubblicitari per affissione commerciale da parte di operatori economici privati), che risponde positivamente al quesito sulla legittimità dell’indizione di un’asta con offerta economica al rialzo per l’assegnazione degli spazi pubblici disponibili per gli impianti pubblicitari ad affissione diretta: così confermando l’orientamento di questa Sezione (sentenza 2 febbraio 2009, n. 529, che, sul presupposto del contingentamento del mercato dell’uso degli impianti pubblicitari privati in ambito cittadino derivante dalla limitatezza degli spazi disponibili, ha ritenuto che la concessione tramite gara degli spazi, e la concessione dell’uso di un’area pubblica non contraddice il principio costituzionale di libera iniziativa economica, ma anzi ne consente la piena attuazione, dal momento in cui permette a nuovi operatori l’ingresso in un mercato che resterebbe altrimenti riservato a quanti hanno conseguito in passato le autorizzazioni all’uso degli spazi più remunerativi).

In particolare, detta decisione Cons. Stato, Ad. plen., n. 5 del 2013, in relazione ai profili di rilevo della questione analoghi a quelli evidenziati dall’appellante, ha rilevato che:

- “ alla definizione della disciplina della collocazione degli impianti pubblicitari concorrono la normativa sulla viabilità, che sottopone gli impianti, per la sicurezza del traffico veicolare, ad autorizzazione comunale se collocati nei centri abitati [art. 23, comma 4, del codice della strada (d.lgs. n. 285 del 1992)], quella sulla tutela dei beni culturali e paesaggistici [articoli 49 e 153 del codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004)], se gli impianti incidano su tali profili, e la normativa tributaria, posta in particolare dal d.lgs. n. 507 del 1993 (e poi dal d.lgs. n. 446 del 1997) ”;

- “ la collocazione degli impianti pubblicitari commerciali su aree pubbliche urbane, che qui interessa, è vincolata dalla naturale limitatezza degli spazi disponibili all’interno del territorio comunale, ulteriormente ristretta per effetto dei vincoli sia di viabilità sia di tutela dei beni culturali gravanti sul territorio. Ciò motiva la statuizione di cui all’art. 3, comma 3, del citato d.lgs. n. 507 del 1993, per cui ciascun Comune deve determinare, oltre la tipologia, anche la quantità degli impianti pubblicitari e approvare un piano generale degli impianti, con la delimitazione della superficie espositiva massima dei diversi tipi di impianti (nella prassi ripartita tra le zone del territorio urbano), definendosi con ciò un mercato contingentato ”;

- “ la normativa sulla installazione degli impianti a tutela della sicurezza stradale, e dei valori culturali, si raccorda così a quella ulteriore basata sul presupposto, necessitato e condizionante, del contingentamento dell’attività in questione poiché comportante l’uso di una risorsa pubblica scarsa qual è il suolo pubblico. Si configura con ciò un rapporto tra l’ente locale e il privato il cui modello di riferimento, alla luce della sua qualificazione sostanziale, è quello concessorio atteso che è giustappunto una concessione di area pubblica il provvedimento iniziale che conforma il rapporto (Cons. Stato, n. 529 del 2009 citata), potendo disciplinare il regolamento comunale anche le modalità per ottenere il provvedimento per l’installazione (art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993), confluendo nel quadro di tale rapporto, di conseguenza, la regolazione unitaria dei profili di tutela della sicurezza stradale e dei valori culturali ”;

- “ l’unico criterio alternativo dell’ordine cronologico di presentazione delle domande accoglibili è di certo meno idoneo ad assicurare l’interesse pubblico all’uso più efficiente del suolo pubblico e quello dei privati al confronto concorrenziale ”, atteso che “ la procedura ad evidenza pubblica è istituto tipico di garanzia della concorrenza nell’esercizio dell’attività economica privata incidente sull’uso di risorse pubbliche e che, in particolare, la concessione tramite gara dell’uso di beni pubblici per l’esercizio di attività economiche private è istituto previsto nell’ordinamento, essendo perciò fondata la qualificazione della gara come strumento per assicurare il principio costituzionale della libera iniziativa economica anche nell’accesso al mercato degli spazi per la pubblicità (Cons. Stato, V, n. 529 del 2009, cit;
cfr. anche VI, 9 febbraio 2011, n. 894)
” ed è peraltro “ coerente con i principi comunitari, in particolare di non discriminazione, di parità di trattamento e di trasparenza;
questo Consiglio ha infatti chiarito da tempo che, sul presupposto per cui con la concessione di un’area pubblica si fornisce un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato (come è nella specie), si impone di conseguenza una procedura competitiva per il rilascio della concessione, necessaria per l’osservanza dei ricordati principi a presidio e tutela di quello, fondamentale, della piena concorrenza (Sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168)
”.

Su tali basi ben poteva, pertanto, il Comune di Bari adottare il modello della concessione di area pubblica e assoggettarne il rilascio all’espletamento di procedure competitive .

2.2. Tale è in effetti l’effettivo contenuto della gravata determinazione comunale. Questa, contrariamente a quanto evocato dall’appellante, non ha adottato il modello proprio della concessione di servizio pubblico.

In particolare, la “pianificazione esecutiva” menzionata dal regolamento e stigmatizzata dalla società è la richiesta che per partecipare alla procedura competitiva il concorrente illustri la “installazione, manutenzione e gestione” (art. 12, comma 1) ovvero “le modalità di installazione” (art. 12, comma 3) degli impianti che intende proporre alla valutazione dell’Amministrazione. Si tratta di una pretesa compatibile con il meccanismo dell’evidenza pubblica, fondato sulla comparazione delle offerte dei concorrenti, e che, afferendo esclusivamente all’attività economica dei concorrenti medesimi, è del tutto estranea all’attività di programmazione pubblica.

Va parimenti escluso che, come sostiene la società, nell’attribuire all’affidatario delle aree in concessione la qualità di “affidatario di servizio”, il regolamento intenda affidargli una connessa funzione pubblicistica di controllo del territorio, vieppiù senza l’attribuzione dei relativi poteri.

Sul punto, si osserva che (malgrado la non felice formulazione dell’art. 12, comma 9, del Regolamento recante tale definizione) le incombenze poste a carico dell’affidatario si sostanziano, come si desume dai riferimenti operati nel comma, solo nel mantenimento delle “condizioni di legittimità delle installazioni” e delle “adeguate condizioni di decoro urbano” dei “manufatti insistenti su aree comunali”.

Si tratta insomma anche qui di una pretesa che – come dimostrato anche dal fatto che lo stesso art. 12, comma 9 limita la responsabilità dell’affidatario all’eventuale “decadimento delle condizioni di decoro urbano delle aree pubbliche” derivanti dalle “installazioni pubblicitarie” – esaurisce gli effetti nell’ambito della sfera di controllo che l’operatore economico, specie se concessionario pubblico, può e anzi deve esercitare sulle proprie attività e sui connessi beni strumentali: questo si riflette nell’estraneità alla fattispecie di qualsiasi trasferimento di funzioni pubbliche.

Infine, non sembra superfluo rilevare che le previsioni appena menzionate, nel rimettere agli operatori economici la predetta progettazione esecutiva – in un quadro prederminato dall’Amministrazione quanto alla suddivisone del territorio in zone, ai lotti da porre a base di gara, alla superficie impiantistica massima ammissibile e alla tipologia della cartellonistica proponibile – risultano particolarmente favorevoli per gli operatori già operanti nel settore, come l’appellante, perché all’evidenza tendono a favorire, nel passaggio dal precedente sistema di assegnazione delle aree secondo il criterio dell’ordine cronologico di presentazione delle domande al nuovo sistema dell’evidenza pubblica, il mantenimento nella maggior misura possibile degli impianti già in essere .

2.3. Le predette conclusioni non mutano considerando che, come pure rilevato dall’appellante, l’art. 12 comma 4 in parola prevede che tra le attività oggetto di concessione vi può essere anche quella relativa all’installazione di beni pubblicitari su aree private visibili da piazze o strade pubbliche.

Come chiarito dall’Amministrazione (con memoria tempestiva) sulla base del disciplinare di gara, e come emergente dal predetto art. 12, comma 4, la procedura di evidenza pubblica per il rilascio dei titoli autorizzativi in esame facoltizza l’operatore economico a inserire negli elaborati della procedura le installazioni su aree private. Nell’intendimento dell’Amministrazione, l’adesione a tale facoltà ha effetti positivi sia per il concorrente (che beneficia nel caso del maggior pregio della proposta e di un unico titolo autorizzativo, valevole anche per tali installazioni) che per il proprietario delle aree (che beneficia, sempre nel caso, dell’incremento del loro valore di mercato).

Tanto chiarito, osserva il Collegio che si tratta, come detto, di una facoltà, che lascia inalterato il regime giuridico proprio dell’installazione di impianti pubblicitari sulle stesse aree (art. 12, ultimo periodo).

3. Con il secondo mezzo la società sostiene l’inidoneità, l’inefficacia e l’inefficienza del regime introdotto dal regolamento in esame e il difetto di istruttoria del Consiglio comunale sull’economicità della riforma.

Anche queste censure sono infondate.

3.1. In primo luogo, esse impingono nel merito delle modalità con cui l’Amministrazione ha individuato i lotti da porre a base di gara.

Inoltre i rilievi della deducente risentono dell’erroneo presupposto che si tratti di una concessione di servizi, come quando l’asserita anti-economicità dell’operazione viene ricollegata al disinteresse degli operatori economici di partecipare alla gara in considerazione dell’introduzione a loro carico di oneri di pianificazione, mentre risultano del tutto infondate quando lamentano che l’operatore economico deve munirsi dei pareri e delle autorizzazioni previste dalla legge per i singoli impianti (art. 12, comma 4, del regolamento). Si tratta infatti di un adempimento che è correlato al legittimo limite rinveniente dall’ordinamento vigente all’esercizio delle connesse attività e al duplice livello dell’intervento pubblico nella materia (afferente l’uno alla pianificazione, l’altro alle autorizzazioni) riconosciuto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 455 del 2002.

Ancora, poiché l’art. 12, comma 4 del regolamento in esame dispone all’ultimo periodo che il provvedimento unico di approvazione dell’ubicazione degli impianti costituisce atto abilitativo e titolo all’istallazione degli stessi, può escludersi anche il contrasto con i principi di semplificazione dell’attività procedimentale di cui alla l. 124/2015 invocato dalla società.

Una volta chiarito poi che risultano prefissate sia la superficie impiantistica massima ammissibile che la tipologia della cartellonistica proponibile (art. 12, comma 2) e che il regolamento rimette alla Giunta la definizione delle caratteristiche dei singoli lotti funzionali, non è dato comprendere neanche perché, secondo l’appellante, il regolamento gravato determinerebbe “l’incertezza sul numero di impianti pubblicitari installabili”, rilievo che, in realtà, non concerne altro che l’alea insita in tutte le procedure di gara.

Infine, quanto alla mancata interlocuzione tra il Consiglio comunale e la Ripartizione tributi e all’assenza di qualsiasi valutazione del Consiglio medesimo sui riflessi economici della riforma, la cui necessità era stata evidenziata anche dal parere dei Revisori dei conti allegato alla delibera consiliare n. 114/2017, basti osservare che la predetta Ripartizione ha effettuato una istruttoria supplementare, inoltrata anche al Collegio dei revisori e da questi riscontrata (rispettivamente, note n. 7451/2017 e 28 marzo 2017, versate dal Comune nel fascicolo di primo grado).

4. Con il terzo mezzo la società si duole (deducendo violazione dei principi del contraddittorio, della partecipazione procedimentale, di correttezza, buona fede, affidamento, leale partecipazione sviamento e irrazionalità manifesta) che il primo giudice abbia erroneamente validato l’illegittimo operato dell’Amministrazione nel consentire la partecipazione della società al procedimento di formazione del nuovo regolamento sulla pubblicità solo in relazione alle previsioni transitorie, in cui necessitava della loro collaborazione, e non anche in riferimento a tutte le ulteriori determinazioni con esso assunte, ancorchè la società medesima, come altri operatori del settore, avesse manifestato la disponibilità ad apportare anche per esse il proprio contributo.

4.1. Le censure sono destituite di fondamento e vanno respinte.

Anche in disparte la circostanza che, ai sensi dell’art. 13 della l. n. 241 del 1990, gli atti normativi a valenza generale non sono soggetti all’obbligo di cui all’art. 7 della stessa legge, resta poco significativo che l’oggetto della comunicazione di avvio del procedimento nel caso di specie inviato alla società e ad altri operatori del settore abbia specificamente posto l’accento sul regime transitorio. Infatti, a tale comunicazione è stata allegata la delibera di Giunta comunale n. 63/2016;
questa preannunziava l’intendimento dell’Amministrazione di individuare un nuovo regime transitorio destinato a durare fino alla modifica o alla verifica di adeguatezza del regolamento comunale sulla pubblicità e del connesso piano generale per l’impiantistica pubblicitaria-PGIP del 2005, introduttivo del principio dell’assegnazione degli spazi pubblici a seguito di procedure a evidenza pubblica (in sostituzione del previgente criterio dell’ordine di arrivo delle istanze di autorizzazione degli impianti) e di demandare agli uffici tecnici la verifica delle altre parti del regolamento, allo scopo di garantirne la coerenza con il nuovo regime transitorio.

La doglianza di carenza di partecipazione risulta pertanto infondata: l’Amministrazione ha posto sul tavolo del confronto tutte le tematiche oggetto di revisione, ancorché non in forma di articolato, mentre appare indenne da mende che l’Amministrazione, in tale ambito, abbia conferito particolare rilevanza al regime transitorio che, determinando per la prima volta la soggiacenza degli operatori economici alle nuove regole competitive, costituiva la parte qualificante della revisione della disciplina.

5. Con l’ultimo mezzo la società deduce il difetto di competenza della Giunta comunale nella riadozione del PGIP del 2005, nonché l’incompatibilità e l’inadeguatezza di questo rispetto al nuovo regolamento del 2017 e alla normativa sopravvenuta.

5.1. Sul punto, va premesso che il PGIP del 2005 era stato “ritirato” dal previgente regolamento della materia adottato con delibera n. 4/2013 (art. 48, comma 9). Peraltro, la stessa delibera approvativa del regolamento, al punto 4, disponeva di dare mandato alla Ripartizione urbanistica ed edilizia privata di provvedere alla “revisione del P.G.I.P. già approvato nel 2005, finalizzata ad una compatibilità urbana ed ambientale dell’impiantistica pubblicitaria con la città costruita”, in ossequio ai principi esposti nel regolamento stesso.

La qui gravata deliberazione consiliare n. 114/2017 ha invece espressamente fatto salvo lo stesso PGIP (art. 49, comma 2), disponendo al contempo la verifica della sua “adeguatezza”, di cui ha incaricato il competente ufficio comunale (artt. 48 comma 1).

Successivamente, la predetta verifica è stata positivamente effettuata, e di tanto ha dato atto la Giunta comunale con delibera n. 218/1947 .

5.2. Tanto chiarito, è infondata la censura con cui la società afferma che il primo giudice sarebbe incorso in un “abbaglio dei sensi” nella lettura dell’art. 48 del previgente regolamento di cui alla delibera n. 4/2013, che avrebbe determinato l’errore interpretativo della sentenza appellata consistente nel non conferire alcun sostanziale rilievo all’atto di ritiro con esso disposto.

Infatti, tenuto conto che, come detto, la previgente delibera n. 4/2013, nel disporre il “ritiro” del PGIP del 2005, ne aveva comunque previsto la revisione, pur inserendo tale prescrizione non nel corpo dell’articolato, bensì nelle determinazioni approvative, il giudice di primo grado non è incorso in alcun errore rilevando che anche nel 2013 il Consiglio comunale si era determinato a una verifica di compatibilità del PGIP del 2005.

Ciò posto, la conclusione del primo giudice, fondata su tale ultima determinazione e sull’uso da parte dell’articolato del termine “ritiro”, di non interpretare l’art. 48, comma 9 del regolamento approvato con la predetta delibera n. 4/2013 nel senso di una vera e propria attività di autotutela non appare priva di fondamento.

E’ poi, comunque dirimente osservare che, anche laddove potesse rinvenirsi nel previgente regolamento del 2013 la piena autotutela ipotizzata dall’appellante in relazione al PGIP del 2005, essa risulterebbe comunque posta a sua volta nel nulla dagli artt. 48, comma 1 e 49, comma 2 del regolamento del 2017 in esame, che hanno fatto salvo lo strumento pianificatorio, subordinatamente alla valutazione della sua adeguatezza, ovvero, in altre parole, di compatibilità con la nuova regolazione introdotta.

5.3. Non è poi neanche vero che, come afferma l’appellante, il predetto PGIP del 2005 sia stato riadottato dalla Giunta comunale, e non dall’Organo consiliare competente, a termini degli artt. 42 e 48 Tuel.

Si è già detto che gli artt. 48 comma 1 e 49 comma 2 del regolamento del 2017 hanno fatto espressamente salvo il predetto strumento pianificatorio, disponendone la verifica di adeguatezza.

E poichè tale regolamento è stato adottato dal Consiglio comunale, il riparto di competenze invocato dall’appellante risulta pienamente rispettato: in particolare, le determinazioni di rimettere agli uffici tecnici comunali l’indagine sull’adeguatezza del PGIP del 2005 e di far comunque salvo nelle more lo strumento pianificatorio costituiscono frutto di espresse e chiare determinazioni discrezionali dell’Organo consiliare competente nella materia.

Nulla muta considerando che la verifica tecnica, una effettuata con esito positivo, sia stata in qualche modo “validata” dalla Giunta, organo al quale compete “ l’attuazione degli indirizzi generali del consiglio ” (art. 48 Tuel): si tratta infatti di una sorta di presa d’atto degli esiti della verifica, che è completamente estranea al novero delle deliberazioni di pianificazione territoriale.

5.4. Quanto, infine, all’asserita inadeguatezza del PGIP del 2005, trattasi di censura che, ove correlata alla sola data della sua adozione, nulla dice di suo se non che si tratta di un piano risalente. Del resto, la perdurante idoneità del piano e la sua compatibilità con la nuova regolamentazione sono attestate da una specifica istruttoria tecnica, di cui la società non riesce a dimostrare l’erroneità sostanziale .

In particolare, la società non spiega perché la trasformazione del regime per cui è causa da autorizzatorio in concessorio abbia un’influenza diretta sulla validità del PGIP del 2005.

E’ poi inammissibile il generico rimando dell’appellante alla relazione tecnica prodotta in primo grado, illustrativa delle immutazioni che deriverebbero al piano dalle modifiche del Codice della strada e delle altre irrazionalità e contraddittorietà rilevate.

Al riguardo, anche in disparte l’eccezione di inammissibilità svolta dalla difesa comunale sulla scorta della opinabilità di tali rilievi a fronte dell’insindacabilità della valutazione tecnico-discrezionale effettuata dall’Amministrazione, rileva il principio secondo cui la riproposizione dei motivi di impugnazione non esaminati mediante un mero richiamo per relationem del ricorso di prime cure e dei motivi aggiunti è inammissibile (Cons. Stato, IV, 26 settembre 2019, n. 6439), regola valevole, a maggior ragione, anche per le censure che nell’impugnativa di primo grado sono state affidate a relazioni tecniche.

La Sezione ha ulteriormente chiarito come il richiamo a contestazioni enunciate nel ricorso introduttivo e non esaminate dal primo giudice senza la specificazione del loro contenuto non valgano ad assolvere all’onere di riproposizione delle censure non esaminate che la parte appellante è tenuta a compiere nel proprio atto di appello, ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm., in quanto “ non può essere richiesto al giudice d’appello […] lo spoglio degli atti del primo grado del giudizio - ammesso pure che siano tutti immediatamente reperibili - alla ricerca dei motivi di ricorso, non esaminati dal primo giudice, e che si vuole siano conosciuti nel grado d’appello (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2019, n. 1994 ove è ben spiegato che: "In termini generali, infatti, la riproposizione al Giudice di appello di una censura non delibata dal Giudice di primo grado richiede la precisa enucleazione contenutistica della stessa, affinché il relativo portato argomentativo sia autonomamente percepibile dagli atti del giudizio, senza che sia necessario compulsare il fascicolo di prime cure", ed anche Cons. Stato, IV, 14 novembre 2018, n. 6416;
V, 22 giugno 2018, n. 3874)
” (Cons. Stato, V, 10 ottobre 2019, n. 6908).

6. Nulla aggiungono alle questioni come sopra trattate le memorie difensive depositate dalla parte appellante.

7. Per tutto quanto precede, l’appello va respinto.

Stante la novità e la particolarità delle questioni trattate, le spese di giudizio del grado possono essere compensate tra le parti.

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