Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-11-03, n. 202107339

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-11-03, n. 202107339
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202107339
Data del deposito : 3 novembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/11/2021

N. 07339/2021REG.PROV.COLL.

N. 07493/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7493 del 2021, proposto da
Comune di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati G L, A M, D S, A T ed E B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio G L in Roma, via Polibio, 15;

contro

C s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato S P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (Sezione Prima) n. 1407 del 2021, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio e l’appello incidentale di C s.r.l.;

Vista la domanda di sospensione dell'efficacia della sentenza del Tribunale amministrativo regionale di accoglimento del ricorso di primo grado, presentata in via incidentale dalla parte appellante principale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2021 il Cons. Elena Quadri e uditi per le parti gli avvocati Mandarano e Patrisso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

C s.r.l., che esercita l’attività commerciale di vendita di cravatte, camicie ed accessori di abbigliamento nei locali ubicati all’interno della Galleria Vittorio Emanuele II di Milano, ha impugnato la comunicazione del comune di Milano del 24 settembre 2020 nella parte in cui determina in euro/mq 2899,81 il canone per la concessione in uso dell'immobile di proprietà comunale condotto in locazione dalla ricorrente e sito in Piazza Duomo n. 21, unitamente agli atti concernenti l’approvazione delle linee di indirizzo per le concessioni d’uso in scadenza delle unità immobiliari site nel complesso della Galleria Vittorio Emanuele II ed in altri complessi di pregio.

Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, con sentenza n. 1407 del 2021, ha accolto in parte il ricorso, annullando le determinazioni dirigenziali del 4 agosto 2020 e del 24 settembre 2020, nonché le deliberazioni della Giunta Comunale n. 1246 del 26 luglio 2019 e n. 815 del 17 luglio 2020, nella parte in cui individuano il canone per il rinnovo delle concessioni delle botteghe storiche della categoria funzionale del commercio nella media delle offerte degli ultimi due anni per la medesima categoria merceologica o funzionale.

Il comune di Milano ha appellato la sentenza per i seguenti motivi di gravame:

I) erronea valutazione dei fatti da parte dell’Autorità giudicante nella sentenza impugnata, in ordine al contenuto premiale dei provvedimenti comunali impugnati;

II) erronea applicazione della legge della Regione Lombardia n.6/2010;
violazione dei principi di autonomia amministrativa dei Comuni (art. 118 della Costituzione), di uguaglianza (art. 3 della Costituzione) e aspetti di illegittimità costituzionale;

III) sconfinamento nel merito e nelle valutazioni di opportunità delle scelte dell’Amministrazione.

Si è costituita per resistere all’appello Verga s.r.l., che ha, altresì, proposto appello incidentale deducendo:

I) erroneità della sentenza impugnata in relazione al I e al II motivo del ricorso introduttivo;

II) difetto di motivazione della sentenza impugnata in relazione al III motivo del ricorso introduttivo;

III) erroneità, genericità e difetto di motivazione della sentenza impugnata in relazione al IV, V e VI motivo del ricorso introduttivo.

Alla camera di consiglio del 21 ottobre 2021, dato avviso alle parti della possibilità di decisione del merito della controversia con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., gli appelli sono stati trattenuti in decisione.

L’appello principale è fondato.

Deve premettersi che il comune di Milano, per le attività commerciali aventi particolare rilievo storico-identitario, stabiliva che il rinnovo delle concessioni avvenisse senza far ricorso a procedure ad evidenza pubblica e fissava come corrispettivo un canone pari alla media delle offerte degli ultimi due anni per la stessa categoria merceologica, ovvero al canone determinato dall’Agenzia delle Entrate ove superiore a questa media. Nella stessa determinazione veniva mantenuta la riduzione del 10% dell'importo del canone per gli esercizi commerciali riconosciuti botteghe storiche, limitatamente ai negozi mono-vetrina.

Con il ricorso di primo grado era invocata la differenziazione della quantificazione del canone di rinnovo in base alla categoria funzionale, l’effettività della tutela delle attività storiche e di tradizione, l’accidentalità del dato “numero di gare effettuate negli ultimi due anni”, la lesione del legittimo affidamento ingenerato da convenzioni risalenti agli anni 2007 e 2008.

La sola doglianza che il Tar riteneva fondata riguardava la lamentata mancanza di effettività della tutela delle attività storiche e di tradizione presenti in Galleria, asseritamente causata dal criterio di calcolo adottato dal comune di Milano e dall’entità del canone che ne è derivata.

Con il primo motivo di gravame il Comune ha dedotto l’erronea valutazione dei fatti da parte dell’Autorità giudicante nella sentenza impugnata, in ordine al contenuto premiale dei provvedimenti comunali impugnati;
con la seconda censura il Comune ha dedotto l’erronea applicazione della legge della regione Lombardia n. 6 del 2010, nonché la violazione dei principi di autonomia amministrativa dei Comuni (art. 118 della Costituzione), di uguaglianza (art. 3 della Costituzione) e aspetti di illegittimità costituzionale;
con la terza doglianza il Comune ha lamentato lo sconfinamento nel merito e nelle valutazioni di opportunità delle scelte dell’amministrazione.

Tutte le suddette censure, che si reputa opportuno trattare congiuntamente per ragioni di stretta connessione, sono fondate.

La sentenza ha accolto solo il terzo motivo di ricorso, con cui la ricorrente aveva lamentato la mancanza di effettività della tutela delle attività storiche e di tradizione presenti in Galleria, asseritamente causata dal criterio di calcolo adottato dal Comune e dall’entità del canone che ne era derivata.

Per il giudice di prime cure, in particolare, pur essendo il criterio di calcolo adottato dal Comune astrattamente privo di censure logiche, lo stesso “ presta tuttavia il fianco al rischio di elusione della tutela dell’interesse storico-identitario che si intende perseguire.

Esso infatti non tiene conto di variabili indeterminate, quali la differenza tra le dimensioni dell’impresa concessionaria e le dimensioni delle imprese che partecipano alle gare, la differenza tra le dimensioni dell’immobile oggetto di rinnovo e le dimensioni degli altri immobili appartenenti alla categoria funzionale del commercio, ed il numero delle gare espletate nel biennio di riferimento, il quale rappresenta un arco temporale oggettivamente limitato per testare la reale contendibilità del bene sul mercato ”, dovendo il canone di rinnovo delle concessioni d’uso delle attività storiche e di tradizione “ conformarsi ad una logica premiale, al fine di favorire la sopravvivenza dell’impresa sul mercato, ed essere ancorato a parametri certi e prevedibili, al fine di garantire la calcolabilità delle scelte imprenditoriali ”.

L’articolo 148 quater, comma 4, della legge della regione Lombardia 2 febbraio 2010, n. 6 ( Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere ) così recita: “ Al fine di tutelare la tradizione storico-culturale del territorio lombardo, attraverso la salvaguardia e la conservazione delle attività storiche e di tradizione, i comuni individuano specifiche premialità per il rilascio delle concessioni degli spazi demaniali sulla base degli indirizzi determinati dalla Giunta regionale, previo parere della commissione consiliare competente... ”.

La Giunta regionale, con deliberazione n. XI/2043 del 31 luglio 2019, ha approvato gli indirizzi, di cui all’Allegato A, per l’individuazione di specifiche premialità a favore delle attività storiche e di tradizione per le concessioni d’uso dei beni demaniali, tra le quali è prevista anche la possibilità di assegnare l’uso di tali beni senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica.

In mancanza di una norma che imponesse specifici criteri di calcolo dei canoni di concessione e in mancanza di una gara per l’affidamento della concessione stessa, per determinare il canone il Comune ha ritenuto di operare un bilanciamento fra gli interessi coinvolti: massimizzare le utilità derivanti dai beni di cui l’amministrazione dispone, al fine di destinare il ricavato alle esigenze della collettività che rappresenta;
preservare il carattere storico e identitario delle attività presenti da tempi risalenti in luoghi cruciali e rappresentativi della città;
porre a carico dei concessionari un onere economico sostenibile ed equo.

L’amministrazione comunale riteneva, dunque, di fissare per il godimento degli immobili presenti in Galleria un canone pari alla media delle offerte presentate negli ultimi due anni, in tal modo rinunciando in parte alla remuneratività degli immobili di sua proprietà, poiché non concessi secondo logiche concorrenziali e con un criterio di calcolo che tenesse conto delle offerte più alte e presentate per classi merceologiche dal reddito più elevato. Nello stesso tempo il Comune si determinava per mantenere la riduzione del 10% dell'importo del canone per gli esercizi commerciali riconosciuti botteghe storiche, limitatamente ai negozi mono-vetrina.

Il Comune ha dunque rispettato le previsioni della legge regionale n. 6 del 2010, introducendo molteplici correttivi premiali: la possibilità del rinnovo con conseguente continuità nella gestione, lo sconto del 10% sui negozi mono vetrina, la scelta di un criterio di calcolo basato sulle offerte medie degli ultimi due anni.

Tale modus operandi rientra tra le legittime scelte politico-discrezionali dell’amministrazione e non può essere sindacata dal giudice, in mancanza di violazione di legge o di erroneità ed illogicità, che non sussistono nel caso di specie e che lo stesso giudice di prime cure ha escluso.

Del resto, altri operatori del settore hanno accettato il canone concessorio così determinato senza assumerne l’incongruità.

Invero, pur ribadendo quanto affermato da questa sezione con sentenza 3 settembre 2018, n. 5157 proprio con riferimento alle attività storiche presenti nella Galleria, secondo le cui statuizioni: “ il principio della concorrenza deve recedere a fronte dell’interesse imperativo generale della tutela delle attività storiche e di tradizione che occupano immobili di proprietà pubblica, le quali contribuiscono a salvaguardare ed a conservare il patrimonio storico e artistico delle città ”, il criterio oggettivo scelto dal Comune per la determinazione del canone è condivisibile.

Lo stesso, infatti, non è stato determinato a seguito di una procedura concorsuale, ove l’offerente più forte avrebbe prevalso, ma è stato applicato secondo le risultanze di una dinamica di mercato di cui non può non tenersi conto, anche nell’ottica di necessaria valorizzazione virtuosa dei beni pubblici, il rendimento dei quali contribuisce ad incrementare il bilancio dell’amministrazione.

Il Comune ha, invero, garantito agli esercenti le attività storiche il rinnovo senza gara delle loro concessioni demaniali, applicando un canone più che equo e nettamente inferiore rispetto a quello che si sarebbe determinato in seguito ad una procedura concorsuale.

Sono invece infondati tutti i motivi dell’appello incidentale.

Riguardo al primo motivo dedotto, con cui si lamenta, sostanzialmente, la disparità di trattamento tra i titolari di attività storiche appartenenti alla categoria funzionale del commercio ed i titolari di attività storiche appartenenti alle categorie funzionali di bar/ristorante e bar/tabacchi e dei tabacchi,

si condivide pienamente la decisione del giudice di prime cure secondo cui: “ La scelta del Comune di parametrare il canone per il rinnovo delle concessioni d’uso caratterizzate da un valore storico-identitario alle diverse categorie funzionali ed alla loro effettiva contendibilità sul mercato di riferimento è immune da vizi logici ed è finalizzata al bilanciamento dell’esigenza di preservare il carattere storico ed il valore identitario delle attività presenti da molti anni in Galleria con la effettiva valorizzazione dei beni pubblici ”.

Invero, la scelta di differenziare l’entità del canone di rinnovo in base alla destinazione d’uso del bene ed alle caratteristiche del mercato di riferimento, ed in particolare allo svolgimento o meno di gare negli ultimi due anni per le specifiche categorie funzionali, si rivela immune dai vizi dedotti dall’appellante incidentale, atteso che il criterio scelto dall’amministrazione della media delle offerte presentate negli ultimi due anni nell’ambito della stessa categoria merceologica e, dunque, della determinazione della domanda di una determinata tipologia di bene, è certamente in grado di fornire un logico riferimento per l’identificazione della redditività del bene medesimo.

Non può accedersi, dunque, in ragione della rilevanza delle dinamiche di mercato, alla prospettazione dell’appellante incidentale, secondo cui le concessioni d’uso dei beni destinati allo svolgimento di attività di interesse storico-identitario dovrebbero essere comunque rinnovate al canone corrispondente al valore di mercato unitario individuato dall’Agenzia delle Entrate.

Né può rilevare, al fine di assumere una perpetrata disparità di trattamento, una fattispecie in cui il bene demaniale è stato assegnato a trattativa privata all’operatore che aveva formulato un’offerta maggiorata di un euro rispetto alla base d’asta - fissata con riferimento al minimo inderogabile del valore unitario di mercato - solo dopo che la gara era andata deserta.

Con riferimento al secondo motivo dell’appello incidentale, con cui è stata dedotta la carenza di motivazione della sentenza appellata in ordine alla parte del terzo motivo del ricorso introduttivo che è stata assorbita in ragione dell’accoglimento della restante parte della censura, l’appellante assume la sostanziale violazione dell’interesse pubblico individuato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 5157 del 2018 e dalla d.g.r. Lombardia 31 luglio 2019 n. XI/2043 per irragionevolezza e illogicità nell’applicazione del criterio della “media delle offerte degli ultimi due anni” ad attività alle quali lo stesso Comune ha accordato il rinnovo senza gara.

La censura non coglie nel segno, ribadendo il Collegio quanto già affermato con riferimento alla fondatezza dell’appello principale, e, cioè, in relazione alla logicità della scelta dell’amministrazione di determinare il canone secondo le risultanze di una dinamica di mercato di cui non può non tenersi conto, anche nell’ottica della necessaria valorizzazione virtuosa dei beni pubblici.

Invero, il Comune ha garantito agli esercenti le attività storiche il rinnovo senza gara delle loro concessioni demaniali, applicando un canone più che equo e nettamente inferiore rispetto a quello che si sarebbe determinato in seguito ad una procedura concorsuale.

Riguardo al terzo motivo dedotto, l’appellante incidentale lamenta l’erroneità della sentenza per non avere dichiarato l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, in quanto il canone proposto dall’amministrazione sarebbe sproporzionato e irragionevole, se si considera che la proposta di rinnovo limita fortemente le facoltà del concessionario, considerato, in particolare, il divieto assoluto, a pena di decadenza, di cessioni/affitto di azienda (fatta eccezione per il trasferimento di quote in ambito familiare o infragruppo);
inoltre, gli stessi provvedimenti sarebbero contraddittori, prevedendo sia l’assegnazione dei beni a canoni di mercato, che il criterio della media delle offerte negli ultimi due anni;
si porrebbero, infine, in violazione della convenzione di concessione del 10 maggio 2011, ed in particolare della clausola che prevede un’indennità per la rinuncia al rinnovo da parte del concessionario, che, per l’appellante, non si porrebbe in contrasto con i principi di concorrenza eurounitari – come invece assunto dal giudice di prime cure - posto che si tratterebbe di indennità riconosciuta a titolo di avviamento, al di fuori di una procedura di gara.

Le censure sono tutte prive di fondamento.

Con le delibere impugnate in primo grado il Comune ha inteso superare i precedenti criteri di assegnazione delle concessioni dei beni demaniali, valorizzando il patrimonio immobiliare di sua proprietà, atteso che, come già affermato nella delibera n. 2715 del 16 novembre 2007: “ L’obiettivo della redditività impone di valorizzare il canone concessorio avendo come riferimento imprescindibile il valore di mercato, ossia il valore praticato in regime di libero mercato per immobili aventi analoghe caratteristiche ”.

E proprio il criterio del valore di mercato è quello che viene applicato facendo riferimento alla “media delle offerte degli ultimi due anni per la stessa merceologia”.

Si condivide, inoltre, la sentenza appellata, in particolare ove ha affermato che: “ le clausole convenzionali che contemplano le condizioni del rinnovo e la corresponsione di un equo indennizzo per la rinuncia al rinnovo da parte del concessionario devono essere interpretate alla luce dei principi euro-unitari che impongono la scelta del concessionario dell’uso di beni demaniali mediante l’espletamento di procedure di evidenza pubblica ”, non potendo, alla luce di tali principi, ricevere garanzia il diritto al rinnovo delle concessioni affidate senza gara e, dunque, neppure quello alternativo alla corresponsione di un’indennità in caso di rinuncia al rinnovo.

Infatti, le convenzioni allegate dall’appellante incidentale, in cui è stata riprodotta la clausola del riconoscimento di un indennizzo in caso di rinuncia al rinnovo, sono state stipulate tutte in epoca antecedente all’adozione della deliberazione della Giunta regionale n. 1246 del 26 luglio 2019, con la quale il Comune ha, appunto, adeguato il sistema delle concessioni dei beni demaniali ai principi eurounitari.

Alla luce delle suesposte considerazioni va accolto l’appello principale e va respinto quello incidentale e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, va respinto integralmente il ricorso di primo grado.

Sussistono giusti motivi, in considerazione delle peculiarità della fattispecie, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

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