Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-01-20, n. 202300718

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-01-20, n. 202300718
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202300718
Data del deposito : 20 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/01/2023

N. 00718/2023REG.PROV.COLL.

N. 03205/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3205 del 2022, proposto da R C, rappresentato e difeso dagli avvocati A L e C G, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Ministero per la Cultura (già Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo);
Ministero per la Cultura (già Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo) - Direzione Generale Musei e Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma;
Parco Archeologico dell'Appia Antica, non costituiti in giudizio;

nei confronti

Roma Capitale, in persona del sindaco in carica, rappresentata e difesa dall'avvocato Sergio Siracusa, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso gli uffici dell’avvocatura municipale in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda bis, n. 02260/2022, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e di Ministero per i Beni e le Attività Culturali;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2022 il Cons. Stefano Filippini, uditi per le parti gli avvocati A L, C G e l'avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni e preso atto della richiesta di passaggio in decisione senza discussione dell’avvocato Siracusa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Con la sentenza segnata in epigrafe il TAR del Lazio, oltre a statuizioni che non formano oggetto dell’odierno gravame (nella parte in cui sono stati dichiarati improcedibili il ricorso di primo grado e i primi motivi aggiunti al medesimo), ha respinto il ricorso (o meglio, i secondi motivi aggiunti) del Sig. R C avverso la determina n.3275 del 24 dicembre 2020 con cui il Parco Archeologico dell’Appia Antica aveva emesso il parere negativo, ex art. 32 della legge n. 47 del 1985, per le difformità rilevate tra il progetto di variante approvato con prot. n.7732 del 1.8.1962 e lo stato attuale dei luoghi, in contrasto con i valori oggetto di tutela.

2. In punto di fatto deve osservarsi che il sig. C, divenuto proprietario (per acquisto in sede di asta giudiziaria giusta decreto del Tribunale di Roma - IV Sezione Civile del 22/9/2016, rep. 627/2016) di un fabbricato sito in via Appia Antica, 119/a, in catasto al foglio 916, particella 19, in area soggetta a vincoli, in data 31 gennaio 2017 aveva presentato domanda di condono all’Amministrazione capitolina, ex art. 40, comma 6 della Legge n.47 del 1985, per abusi preesistenti (sulla presenza di parti abusive dell’immobile di causa già si soffermava, seppure in maniera parziale, la perizia ex art. 568 c.p.c. a firma dell’arch. C F).

3. Il richiamato parere contrario, espresso dal Parco Archeologico in relazione al condono, ha evidenziato, nel dettaglio, le difformità esistenti tra l’assetto effettivo delle strutture e i relativi titoli autorizzativi edilizi (in particolare, rispetto a quanto da ultimo assentito con la variante di progetto n.51215 del 1962), nonché il contrasto delle opere abusive da sanare rispetto ai vincoli, anche se sopravvenuti rispetto agli abusi (ovvero, tra gli altri, il vincolo archeologico apposto con D.M. 12 giugno 1986, per la presenza sottostante delle catacombe ebraiche di Vigna Randanini e il vincolo paesaggistico del PTP 15/12 “Valle della Caffarella, Appia Antica, Acquedotti” del 2010), ma da valutare in relazione ad una domanda di condono presentata nel 2017.

In particolare, quanto al profilo edilizio, risultavano sussistere principalmente ampliamenti con sbancamenti al piano interrato e ai piani fuori terra, oltre a coperture di aree interne e modifiche di prospetti;
quanto al rispetto dei vincoli, il D.M. 12 giugno 1986 aveva imposto un vincolo diretto sugli immobili insistenti, tra le altre, sulla particella 19, interessata dalla presenza delle sottostanti catacombe, mentre il Piano Territoriale Paesaggistico aveva incluso l’area in questione in zona TI 24, ovvero a tutela integrale, con divieto di costruire nuovi edifici che alterassero il rapporto esistente tra aree libere e aree edificate, nonché di interventi, tra gli altri, di sbancamento e di sterro, ex art.29, comma 1b, e delle NTA (cfr. anche art.30 delle NTA).

Di conseguenza, secondo il parere impugnato, in forza delle prescrizioni contenute negli atti impositivi dei vincoli, le opere in ampliamento al piano interrato e ai piani fuori terra, non assentite sotto il profilo edilizio in ultimo nel 1962, non potevano ricevere il parere favorevole del Parco Archeologico dell’Appia Antica, necessario ex art. 32 della legge n. 47 del 1985, per poi essere ammesse, in presenza degli altri presupposti di legge, al condono.

4. Con l’impugnata sentenza il TAR ha respinto i motivi di impugnazione proposti dal sig. C avverso il richiamato parere (trattasi, come detto, dei secondi motivi aggiunti proposti al TAR), evidenziando:

- le opere abusive (e principalmente gli ampliamenti con sbancamenti al piano interrato e ai piani fuori terra) non potevano ricevere il parere favorevole della Soprintendenza atteso il richiamato contrasto con i vincoli esistenti sull’area: né potevano invocarsi risalenti pareri soprintendentizi favorevoli connessi all’ultima variante approvata sotto il profilo edilizio, ovvero il nulla osta n.7732 del 1.8.1962 -peraltro di massima e condizionato ad alcune demolizioni poi non avvenute- perché precedenti al 1986, epoca di introduzione del vincolo archeologico -poi seguito da quello paesaggistico di cui al PTP del 2010-, evidentemente non presenti all’epoca in cui veniva emessa la richiamata nota della Soprintendenza del 1962, seguita poi da altra conforme (la n.12300 del 12 maggio 1965);
non potevano quindi utilmente invocarsi, per le opere ulteriori rispetto a quanto assentito -sotto il profilo edilizio- con la variante del 1962, pareri della Soprintendenza che non si confrontavano con gli attuali vincoli di conformità archeologica e paesaggistica (rispettivamente introdotti nel 1986 e nel 2010).

- con riferimento agli scavi di sbancamento e all’intercapedine esterna, nessuna influenza favorevole poteva assumere la predetta nota della Soprintendenza del 1965, dovendo la valutazione di compatibilità comunque confrontarsi con il sopravvenuto D.M. del 1986;
di conseguenza neppure era necessario recuperare i documenti di archivio richiesti dalla parte privata;
né il parere del Parco in data 24 dicembre 2020 poteva ritenersi conseguenza necessitata della mancata demolizione (ascrivibile a terzi) di un ulteriore fabbricato di area (identificato in atti come “A”);
né risultavano dirimenti alcuni studi (il parere G del ricorrente e L dell’Amministrazione) vertenti sul rapporto tra il fabbricato soprastante e le catacombe sottostanti, bastando all’uopo le prescrizioni contenute nel D.M. 12 giugno 1986, pacificamente vigente, mediante cui veniva imposto un vincolo diretto sugli immobili insistenti sul foglio 916, particelle 19, 26, 74, proprio per la presenza sottostante delle richiamate catacombe ebraiche di Vigna Randanini;
a fronte delle plurime ragioni di incompatibilità delle opere rispetto ai vincoli, non poteva ritenersi decisiva l’ulteriore questione, pure sollevata dal ricorrente, in merito alla pretesa carenza dei caratteri di ruralità della zona, che invece l’Amministrazione ravvisava presenti e riteneva di dover preservare.

- in relazione al parere impugnato, lo stesso risultava corredato da adeguata e congrua motivazione, preceduto da approfondita e articolata istruttoria, ben calibrato sulla fattispecie concreta, con specifici riferimenti alla pertinente documentazione;
non apparivano dunque violati i principi di proporzionalità o ragionevolezza;
né le difformità rilevate potevano considerarsi marginali rispetto all’ultimo assenso edilizio;
né rilevava la risalenza nel tempo delle opere non approvate, posto che rispetto a queste, comunque, insistendo su area con vincoli sopravvenuti, doveva esserne valutata la relativa compatibilità;
né rilevava l’assenza medio tempore di avvenuti pregiudizi o contestazioni, giacchè le prescrizioni in questione erano volte a salvaguardare, nell’ottica del preminente interesse pubblico, l’assetto di notevolissimo pregio esistente e dunque a scongiurare il verificarsi di eventuali danni al patrimonio archeologico e a quelle paesaggistico.

- l’incompatibilità delle opere relative al fabbricato definito in atti come “B” sussisteva dunque a prescindere dalla mancata concordata demolizione del fabbricato “A”.

- le valutazioni del Parco si fondavano su giudizi di (in)compatibilità coi vincoli archeologico e paesaggistico, non già sui profili edilizi;
tuttavia, le opere esterne e gli incrementi volumetrici non potevano non essere considerati dal Parco, rilevando, a fronte dei plurimi vincoli ivi insistenti e del notevolissimo pregio del contesto in cui è inserito il fabbricato, la variazione dei parametri di superficie, cubatura, conformazione planovolumetrica, sagoma, prospetti e carico urbanistico che gli stessi avevano prodotto, indipendentemente dalla loro risalenza o ridotta, in alcuni casi, consistenza;
l’assenza dei caratteri di ruralità degli immobili non bastava di per sé a rendere le opere compatibili coi vincoli in esame, a fronte delle ulteriori ragioni di diniego dedotte nel parere dal Parco;
l’art.29 delle NTA del PTP in ultimo, recante la preclusione della realizzazione di nuove opere nelle zone a tutela integrale come quella in esame, non poteva non trovare applicazione per le opere già realizzate, ma successive, come detto, all’ultimo atto di assenso, considerato che la domanda di condono era del 2017 e il PTP veniva approvato nel 2010.

- neppure poteva essere ignorato il vincolo archeologico apposto con D.M. 12 giugno 1986, a fronte di opere realizzate diversi anni prima, ma dopo l’ultimo atto di assenso edilizio, tenuto conto che la domanda di condono era del 2017.

5. Con l’atto di appello ora in esame il sig. C ha riproposto le questioni già sollevate dinanzi al TAR, prospettando i seguenti motivi di impugnazione:

I. Violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su censure e punti decisivi della controversia. Violazione degli artt. 64, co. 2, 63, co. 1, 64, co. 3, c.p.a., erronea valutazione delle risultanze istruttorie e mancata applicazione del principio di non contestazione. Mancata verifica dei fatti, difetto di un effettivo sindacato: in sostanza si lamenta la sommaria disamina da parte del TAR dei motivi di ricorso e la mancata risposta analitica, anche in relazione alla dedotta mancata ottemperanza, da parte dell’Amministrazione, all’ordinanza cautelare del TAR in data 11 giugno 2020 n. 4268;

II. Erroneità della sentenza in ordine a identificazione, portata dei vincoli e presunta non sanabilità delle opere in ampliamento. violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 32 e 33 della l. n. 47/1985: si nega che il regime vincolistico vigente sull’area precluda di per sé il rilascio di parere favorevole ai sensi dell’art. 32 della l. n. 47/1985;
di vincolo sopravvenuto ai lavori ve ne sarebbe uno solamente, quello archeologico, mentre quello paesistico risale al 1960;
si sostiene che nell’ambito del richiamato parere ex art. 32 l’autorità competente alla tutela del vincolo non è chiamata ad esprimere “ora per allora” un giudizio di conformità delle opere al vincolo, ma a valutarne ex post la “compatibilità” con lo stato dei luoghi;

III. Erroneo rigetto del quarto motivo di ricorso per difetto di motivazione, abnormità del parere e violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza: la motivazione del parere della Sovrintendenza sarebbe lacunosa, vaga e ipotetica;
sarebbe stato omesso il puntuale accertamento di fatti e punti decisivi della controversia;

IV. Erroneo rigetto del primo motivo del ricorso sulla non corretta identificazione e datazione delle opere difformi: si lamenta errata datazione delle opere e mancata considerazione dei risalenti pareri paesaggistici favorevoli con nulla osta della Soprintendenza.

V. Erroneo rigetto del secondo e del terzo motivo di ricorso per violazione degli artt. 10 e 10- bis della l. n. 241/1990 e del giudicato derivante dall’ordinanza: si evidenzia in particolare la tardività del preavviso di rigetto, la mancata considerazione delle osservazioni di parte e l’errata valutazione dei profili attinenti alla pretesa interferenza tra villa e catacombe;

VI. Violazione dell’art. 112 c.p.a. per omessa pronuncia sul quinto motivo di ricorso: si ripropone la questione relativa alla mancata demolizione del fabbricato indicato in atti come “A”;

VII. Erroneo rigetto del sesto motivo di ricorso. irragionevolezza e contraddittorietà del giudizio di incompatibilità paesaggistica.

VIII. Sull’erroneo rigetto del settimo motivo concernente l’erroneità del giudizio di incompatibilità rispetto al vincolo archeologico sopravvenuto.

6. Anche in sede di appello si sono costituite le Amministrazioni convenute, indicate in epigrafe, che hanno resistito al gravame chiedendone il rigetto.

7. Con ordinanza n. 2126 del 12 maggio 2022, ai sensi dell’art. 55 comma 10 del CPA, le esigenze cautelari rappresentate dall’appellante in relazione alla necessità di celere definizione della pratica di condono edilizio sono state favorevolmente apprezzate ai soli fini della sollecita celebrazione del giudizio nel merito, fissato per l’udienza di discussione del 20.12.2022.

8. A quest’ultima udienza, sulle ulteriori memorie difensive e conclusioni in atti, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

9. L’appello è infondato.

Le doglianze (e gli argomenti posti a loro fondamento) esposte col ricorso introduttivo del giudizio e ampiamente reiterate dall’appellante in sede di appello non scardinano le coordinate logiche sulle quali si impernia il ragionamento posto dal primo giudice alla base del rigetto del ricorso in quanto: -i vincoli gravanti sull’area, anche quelli sopravvenuti rispetto ai lavori abusivi di causa, ma precedenti rispetto all’istanza di condono, ben possono e debbono essere considerati nell’ambito del parere in questione;
-il parere impugnato individua validi profili ostativi rispetto al giudizio di compatibilità archeologica e paesaggistica;
- il parere medesimo, adeguatamente ricostruttivo e analitico, resta pur sempre espressione di discrezionalità amministrativa, che nella specie risulta legittimamente esercitata e adeguatamente motivata;
-non sussistono le violazioni procedimentali lamentate dalla parte privata.

9.1. Passando alla disamina dell’atto di appello, i cui motivi per la loro stretta connessione possono essere trattati in maniera unitaria, giova ricordare come il primo giudice abbia correttamente affermato che il parere di causa non potesse prescindere, ai fini della valutazione della domanda di condono edilizio del 31 gennaio 2017, dalla preliminare individuazione e analisi delle opere abusive (quelle cioè realizzate difformemente dall’ultimo titolo edilizio assentito, costituito dalla variante di progetto n.51215 del 1962);
si è poi ritenuto pacificamente necessario, in considerazione della particolarissima area su cui insistono le opere, che queste ricevessero l’assenso dell’Autorità preposta alla tutela dei vincoli ivi esistenti (anche di quelli nel frattempo sopravvenuti), quali quello archeologico apposto con D.M. 12 giugno 1986 (gli immobili ricadono nelle particelle ove è stata individuata la presenza delle catacombe ebraiche di Vigna Randanini) e il vincolo paesaggistico del PTP 15/12 “Valle della Caffarella, Appia Antica, Acquedotti” del 2010.

Ciò posto, il TAR ha constatato la correttezza dei rilievi relativi alla consistenza delle opere che eccedono l’assentito con l’ultima variante del 1962 (principalmente, gli ampliamenti con sbancamenti al piano interrato e ai piani fuori terra, oltre ad ulteriori abusi minori) e ha riscontrato l’incontestata ricorrenza del vincolo archeologico direttamente imposto (cfr. D.M. 12 giugno 1986) sulla particella 19 interessata dagli immobili di causa, come pure del PTP che include l’area in questione in zona TI 24 (tutela integrale, con divieto di costruzione di nuovi edifici), incompatibile con le alterazioni del rapporto esistente tra aree libere e aree edificate, nonché con gli interventi di sbancamento e di sterro, ex art.29, comma 1b,e delle NTA (cfr. anche art.30 delle NTA).

Del tutto lineare è pertanto la conclusione secondo cui, alla luce dei predetti vincoli, le opere in ampliamento al piano interrato e ai piani fuori terra, non assentite sotto il profilo edilizio in ultimo nel 1962, non potessero ricevere il parere favorevole del Parco Archeologico dell’Appia Antica.

9.2. Neppure potevano rilevare in senso favorevole all’appellante i pareri soprintendentizi favorevoli, quali il nulla osta sul progetto di variante n. 51215/62, prot. n. 7732 dell’1.8.1962, peraltro di massima e condizionato ad alcune demolizioni poi non avvenute, o la nota della Soprintendenza n.12300 del 12 maggio 1965, posto che, essendo precedenti al 1986, non consideravano né il vincolo archeologico, né quello paesaggistico di cui al PTP del 2010.

Né ha pregio l’argomento difensivo che distingue tra vincolo paesistico (vigente sull’area fin dal 1953 -d.m. 14/12/1953- ), primo Piano Territoriale Paesistico della Via Appia Antica (approvato con il d.m. 11/02/1960) e PTT del 2010: è infatti sin troppo evidente che il parere debba essere rilasciato all’esito della considerazione del complesso dei vincoli d’area e in relazione al complessivo intervento edilizio realizzato in assenza di titolo edilizio;
nella specie non solo è emerso che le opere realizzate eccedono quanto previsto nel progetto di variante (e cioè quanto precedentemente valutato nei relativi pareri Soprintendentizi), ma neppure nulla dimostra la piena sovrapponibilità delle più risalenti prescrizioni paesistiche (evidentemente non comportanti inedificabilità assoluta) rispetto alle successive previsioni di cui al PTT del 2010. Senza neppure considerare i sopravvenuti divieti di scavo e sterro. Tutto ciò è dirimente quanto ad incompatibilità tra opere esistenti e vincoli di piano.

9.3. Come pure dirimente è il rilievo del TAR secondo cui, in relazione agli scavi effettuati, nessuna influenza favorevole poteva assumere la nota della Soprintendenza del 1965, dovendo la valutazione di compatibilità degli abusi confrontarsi sia con la maggiore consistenza delle opere rispetto al progetto di variante, sia -comunque - col sopravvenuto D.M. del 1986;
profilo, quest’ultimo, che rende ultroneo il recupero dei documenti di scavo dall’archivio e che sorregge ulteriormente il parere de qua a proposito della incompatibilità delle opere abusive col regime di tutela vigente;
profilo che all’evidenza risulta capace di travolgere comunque anche la valenza abilitante che la parte vorrebbe riconnettere al ricordato nulla osta del 1962 (titolo che del resto può essere considerato inefficace, atteso che non risulta effettuata la concordata demolizione del fabbricato definito in atti come “A”, evidentemente funzionale rispetto alla riduzione dei carichi sugli strati sotterranei;
ma, in ogni caso, anche volendo prescindere dalla violazione delle condizioni iniziali -ovvero dalla mancata demolizione del fabbricato A, che ha di fatto tradito l'accordo tra l'interesse pubblico rappresentato dalla Soprintendenza e quello privato dell'allora istante- gli stessi progetti e varianti approvate dall'organo statale di tutela hanno subito, fin dalle fasi del primitivo cantiere, come attestato dai sopralluoghi e note presenti in archivio, ulteriori variazioni e superfetazioni anche di notevole impatto, così come emerso nel corso dell'istruttoria;
invero, il parere illustra adeguatamente la rilevata variazione dei parametri di superficie, cubatura, conformazione planovolumetrica, sagoma, prospetti e carico urbanistico).

9.4. Del pari adeguata è la valutazione del primo giudice quanto all’ultroneità dei pareri scientifici (G per l’appellante e L per l’Amministrazione) sull’esatta sovrapponibilità o meno tra il fabbricato di causa e le catacombe sottostanti, risultando dirimente la ricorrenza delle prescrizioni contenute nel D.M. 12 giugno 1986, che pone un vincolo diretto proprio sugli immobili insistenti sul foglio 916, particelle 19, 26, 74. Invero, il vincolo archeologico gravante su un'area, anche laddove non comporti l’inedificabilità assoluta, fa comunque sorgere l’obbligo di verificare, da parte dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo stesso, la compatibilità dell’intervento edilizio con le ragioni di tutela. Verifica che, evidentemente, specie in relazione (come nella fattispecie) a scavi o studi ancora oggettivamente incompleti, connessi a strutture sotterranee dall’andamento ed estensione non ancora ben definiti, non può che essere operata secondo criteri di estremo rigore, cautela e prudenza, commisurati alla particolare rilevanza del sito (a proposito della quale anche l’appellante concorda -cfr. memoria del 28.11.2022-).

Ciò posto, una volta rilevata, da parte dell’Amministrazione, con motivazione effettiva e non illogica, l’interferenza tra le preesistenze da tutelare e la specifica particella catastale\immobile di causa, la valutazione di compatibilità non può che essere negativa. Né detta valutazione muta in relazione al fatto che l'opera sia stata realizzata o meno: invero, una volta intervenuto il vincolo diretto, l'autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo deve in ogni caso verificarne la compatibilità con il determinato tipo di intervento di cui si discute;
il giudizio circa tale compatibilità non è in alcun modo influenzato dal fatto che l'opera sia stata, o meno, realizzata: o l'intervento è compatibile con quel determinato vincolo, ed allora lo era sia prima che dopo la realizzazione, o non lo è, ed allora l'autorizzazione postuma non può essere rilasciata, non già perché non chiesta in precedenza, ma perché non poteva essere rilasciata, anche se richiesta tempestivamente.

9.5. Né, a fronte di tali rilievi ed emergenze, può ritenersi esigibile o determinante l’effettuazione di (un numero indeterminato di) saggi ulteriori del terreno, o di ancor più approfondite ricerche di archivio, trattandosi di attività di imprevedibile durata, complessità o onerosità, incompatibili con i tempi del procedimento. Del resto, specie a fronte di un vincolo archeologico diretto sulla particella, fondato su ampia istruttoria che ha accertato la presenza di reperti archeologici sull’area, non può ragionevolmente pretendersi che il parere negativo della Soprintentendenza debba necessariamente fondarsi sulla rinnovata verifica di una sicura interferenza fisica tra opere edilizie e reliquati storici (e dunque sulla previa effettuazione dei richiamati saggi, scavi o ricerche), atteso che le conoscenze archeologiche già acquisite dimostrano comunque la presenza e prossimità di un esteso reticolo catacombale sulla particella e nelle adiacenze delle opere abusive che si vorrebbe sanare. Interferenza che non potrebbe essere esclusa neppure dall’acquisizione dei giornali di scavo o dalle relazioni sul presunto “piantonamento del cantiere” risalente agli anni ’60, atteso che le opere abusive attualmente esistenti travalicano oggettivamente (cfr. pagg.

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