Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-11-16, n. 202309850

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-11-16, n. 202309850
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202309850
Data del deposito : 16 novembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/11/2023

N. 09850/2023REG.PROV.COLL.

N. 04486/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4486 del 2023, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato M A P, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Domenico Chelini n.3;

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore . appresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Nerone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia.

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. -OMISSIS-.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Campania Molise Puglia e Basilicata Sede di Napoli e di Comune di -OMISSIS- e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2023 il Cons. Luigi Furno e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I fatti rilevanti ai fini del decidere possono essere riassunti come segue.

La -OMISSIS- ha impugnato in primo grado il provvedimento del 18.11.2022 con cui il Provveditorato delle opere pubbliche per la Campania l’ha esclusa dalla procedura di gara per l’affidamento del servizio tecnico di direzione per l’esecuzione del contratto relativo all’appalto del servizio di igiene urbana del comune di -OMISSIS-.

La motivazione del provvedimento di esclusione muove dalla ritenuta sussistenza di un conflitto di interessi tra l’amministratore unico della -OMISSIS-, -OMISSIS-, e la società esecutrice dell’appalto relativo al servizio di igiene urbana, -OMISSIS- s.r.l.

La ragione del ravvisato conflitto di interessi risiede, secondo la motivazione del predetto provvedimento, nel fatto che l’amministratore della -OMISSIS- coop. è stato in passato consulente della -OMISSIS-, per conto della quale ha, in particolare, presenziato alla seduta di gara del 21.05.2018, nel corso della quale ha fornito precisazioni e chiarimenti in merito all’offerta presentata, appunto, dalla -OMISSIS-.

Il T.a.r ha respinto il ricorso riconoscendo l’esistenza di un conflitto di interessi in capo all’amministratore unico della -OMISSIS-.

-OMISSIS- coop ha proposto appello nei confronti della predetta sentenza deducendo:

I. error in iudicando;
errata valutazione del vizio di violazione degli artt. 80, comma 5, lett. d) e 42, comma 2, d.lgs. 50/2016;
omessa applicazione dell’art. 6 d.p.r. 62/2013;
carenza di attualità dei rapporti con -OMISSIS-;

II . error in iudicando;
eccesso di potere per travisamento dei fatti e dei presupposti;
eccesso di potere per ingiustizia manifesta;
scarsa rilevanza dell’attività prestata in favore di -OMISSIS- nell’ambito della stessa gara.

Si sono costituiti nel presente giudizio di appello il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il comune di -OMISSIS- e il Provveditorato interregionale per le opere pubbliche della Campania, Molise, Puglia e Basilicata, chiedendo di dichiarare l’appello infondato.

In vista dell’udienza del 26 ottobre 2023 le parti hanno depositato memorie con le quali hanno chiarito e ulteriormente argomentato la fondatezza delle rispettive linee difensive.

All’udienza del 26 ottobre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

L’appello è infondato

Con un primo mezzo di gravame la parte appellante assume l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha scelto di conferire rilevanza, sotto il profilo del ravvisato conflitto di interessi, a situazioni verificatesi oltre tre anni prima, in violazione dell’art. 42, comma 2, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e dell’art. 6, d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62.

In particolare, ad avviso della parte appellante, il citato art. 42 parla apertamente di “sussistenza”, introducendo, in tal modo, quale presupposto essenziale per il verificarsi di una situazione di conflitto di interesse, il requisito dell’attualità.

In tale ottica, si spiegherebbe la ragione per cui l’art. 6, d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, circoscrive la rilevanza temporale dell’obbligo dichiarativo del dipendente nei rapporti con soggetti privati agli “ultimi tre anni”.

Con un secondo mezzo di gravame la parte appellante deduce l’illegittimità della sentenza impugnata perché, a suo dire, fraintenderebbe completamente la portata dell’attività prestata dall’Ing. -OMISSIS- nei confronti della -OMISSIS-, affermando ingiustamente che lo stesso avrebbe “attivamente collaborato, nella fase di gara, con l’impresa aggiudicataria del servizio”.

In particolare, a giudizio della parte appellante, contrariamente a quanto ritenuto dalla decisione impugnata, le attività poste in essere dall’ingegner -OMISSIS- nell’interesse di -OMISSIS- sarebbero caratterizzate da tenuità e inconsistenza tali da essere insuscettibili di influenzare il processo organizzativo e decisionale della stazione appaltante e, in ultima analisi, non idonee ad arrecare un effettivo pregiudizio alla stazione appaltante.

I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro stretta connessione, sono infondati.

Ricorda il Collegio che l’esigenza di arginare il fenomeno della corruzione, all'interno delle pubbliche amministrazioni, ha comportato l’adozione della legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. legge anticorruzione), in linea con quanto stabilito dall'art. 6 della Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall'Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n. 116, e dagli artt. 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione, adottata a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata ai sensi della legge 28 giugno 2012, n. 110.

La legge n. 190 del 2012 prevede un sistema di tutela anticipata, che affianca il classico modello sanzionatorio imperniato su forme di tutela repressiva post crimen patratum .

In alternativa al tradizionale modello sanzionatorio imperniato su forme di tutela repressiva, la normativa anticorruzione si basa sul principio secondo il quale i fenomeni di corruzione all'interno delle amministrazioni pubbliche vanno affrontati e combattuti anche prima che i fenomeni corruttivi si siano consumati.

Quindi, l'ambito di individuazione della situazione di pericolo, legata ai fenomeni della corruzione, è stata anticipata dal piano dell'azione amministrativa al piano dell'organizzazione amministrativa.

Con l'art. 1, comma 41, della legge n. 190/2012, l’azione preventiva della corruzione è divenuta un principio generale di diritto amministrativo, in quanto è stato introdotto l'art. 6 bis alla legge n. 241/1990, secondo il quale il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale (in qualsiasi procedura anche diversa dalla materia che ci occupa) devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale.

La tutela anticipatoria in esame si realizza, inter alia , anche attraverso la individuazione e la gestione del fenomeno del conflitto di interessi, anche se, come più volte puntualizzato dal Consiglio di Stato, non vi è una necessaria coincidenza tra conflitto di interessi e corruzione, atteso che “Quanto all'interesse rilevante per l'insorgenza del conflitto, la norma … va intesa come operante indipendentemente dal concretizzarsi di un vantaggio”. (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 11 luglio 2017, n. 3415;
Cons. Stato, Sez. V, 14 maggio 2018, n. 2853;
Sez, III, 2 aprile 2014, n. 1577.).

Ne discende che il conflitto di interessi esiste a prescindere dal fatto che a esso segua o meno una condotta impropria. Ontologicamente, esso è dunque ascrivibile al paradigma tassonomico della “potenzialità”.

La “Guida pratica OLAF” elaborata dall’OCSE stabilisce che: “ Un ‘conflitto di interessi’ implica un conflitto tra la missione pubblica e gli interessi privati di un funzionario pubblico, in cui quest’ultimo possiede a titolo privato interessi che potrebbero influire indebitamente sull’assolvimento dei suoi obblighi e delle sue responsabilità pubblici.”. L’articolo 57, paragrafo 2, del regolamento finanziario applicabile al bilancio generale dell’Unione europea (regolamento n. 966/2012), chiarisce, a sua volta, che: “ esiste un conflitto d’interessi quando l’esercizio imparziale e obiettivo delle funzioni di un agente finanziario o di un’altra persona di cui al paragrafo 1, è compromesso da motivi familiari, affettivi, da affinità politica o nazionale, da interesse economico o da qualsiasi altra comunanza d’interessi con il destinatario”.

Sul piano dell’analisi economica del diritto, il conflitto di interessi non consiste in comportamenti dannosi per l’interesse funzionalizzato ma in una condizione giuridica o di fatto dalla quale scaturisce un rischio di siffatti comportamenti, un rischio di danno. L’essere in conflitto e abusare effettivamente della propria posizione sono due aspetti distinti.

Il fondamento costituzionale dell’istituto del conflitto di interessi si rinviene nell’art. 97 Cost., il quale richiede che la pubblica amministrazione agisca nel rispetto della regola dell’equidistanza nei confronti dei destinatari dell’azione amministrativa.

Ai fini della configurabilità di un conflitto di interessi, possono rilevare sia utilità materiali (ad esempio, di natura patrimoniale) che utilità immateriali, di qualsivoglia genere.

L'art. 6 bis della legge n. 241 del 1990 (introdotto dall’art. 1, co. 41 della legge n. 190 del 2012 e applicabile come norma generale anche al settore dei contratti pubblici) prevede l'obbligo di astensione dell'organo amministrativo in conflitto di interessi "anche potenziale". Similmente l’art. 53, d.lvo n. 165 del 2001, nel testo modificato dalla legge n. 190 del 2012, prevede la verifica o la dichiarazione di situazioni di conflitto di interesse anche potenziale. Ed ancora, l’art. 7 del d.P.R. n. 62 del 16 aprile 2013 prevede l’obbligo di astensione anche nel caso in cui sussistano “gravi ragioni di convenienza”. Infine l’art. 51 c.p.c. rimanda, a sua volta, a “gravi ragioni di convenienza” di cui all’art. 7.

Da tale complessivo quadro regolatorio emerge l’esistenza nell’ordinamento del concetto di conflitto di interessi non tipizzato.

Le situazioni di “potenziale conflitto” sono, quindi, in primo luogo, quelle che, per loro natura, pur non costituendo allo stato una delle situazioni tipizzate, siano destinate ad evolvere in un conflitto tipizzato (ad es. un fidanzamento che si risolva in un matrimonio determinante la affinità con un concorrente). Ciò, con riferimento alle previsioni esplicite riguardanti sia il rapporto di coniugio, parentela, affinità e convivenza, sia alla possibile insorgenza di una frequentazione abituale, sia al verificarsi delle altre situazioni contemplate nel detto art. 7 (pendenza di cause, rapporti di debito o credito significativi, ruolo di curatore, procuratore o agente, ovvero di amministratore o gerente o dirigente di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti).

Si devono inoltre aggiungere quelle situazioni le quali possano per sé favorire l’insorgere di un rapporto di favore o comunque di non indipendenza e imparzialità in relazione a rapporti pregressi, solo però se inquadrabili per sé nelle categorie dei conflitti tipizzati. Si pensi a una situazione di pregressa frequentazione abituale (un vecchio compagno di studi) che ben potrebbe risorgere (donde la potenzialità) o comunque ingenerare dubbi di parzialità (dunque le gravi ragioni di convenienza).

Entrambi i tipi di situazione, quelle che evolvono de futuro verso il conflitto e quelle favorenti de praeterito il conflitto, costituiscono la declinazione delle gravi ragioni di convenienza di cui agli art. 7 e 51 citati in cui si risolvono, ed anche del “potenziale conflitto” di cui agli articoli 6 bis e 53 citati. In sostanza la qualificazione “potenziale” e le “gravi ragioni di convenienza” sono espressioni equivalenti perché teleologicamente preordinate a contemplare i tipi di rapporto destinati, secondo l’id quod plerumque accidit, a risolversi (potenzialmente) nel conflitto per la loro identità o prossimità alle situazioni tipizzate.

I principi generali della disciplina del conflitto di interessi nelle procedure ad evidenza pubblica, per quanto concerne la normativa ratione temporis aplicabile al presente giudizio, sono contenuti nell'articolo 42 del D.lgs. n. 50/2016 il quale stabilisce che spetta alle stazioni appaltanti prevedere misure adeguate per contrastare le frodi e la corruzione nonché per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni, in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici (art. 42, comma 1, d.lgs. n. 50/2016), legate al fatto che sulla scelta del contraente possano incidere interessi estranei ad una corretta selezione dei concorrenti.

Da tale disposizione si ricava, anzitutto, che - a differenza della disciplina generale contenuta nella legge n. 190/2012 - il codice dei contratti pubblici contiene una definizione di conflitto di interessi, posto che il citato articolo 42, al secondo comma, stabilisce che esso ricorre “quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l'obbligo di astensione previste dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62.” (art. 42, comma 2, d.lgs. n. 50/2016 che riprende pedissequamente l’art. 24 della direttiva n. 24/2014).

A tal proposito, l’ANAC afferma al paragrafo 2.6 delle Linee Guida, che: “Le situazioni di conflitto di interesse di cui all’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, sono richiamate dall’articolo 42 del codice dei contratti pubblici a titolo meramente esemplificativo e rappresentano ipotesi predeterminate per le quali la valutazione della possibile sussistenza del rischio di interferenza dell’interesse privato nelle scelte pubbliche è operato a monte dal legislatore.” .

Le medesime linee guida chiariscono che “l’interferenza tra la sfera istituzionale e quella personale del funzionario pubblico, si ha quando le decisioni che richiedono imparzialità di giudizio siano adottate da un soggetto che abbia, anche solo potenzialmente, interessi privati in contrasto con l’interesse pubblico” (par. 2.1). Inoltre, si chiarisce ulteriormente che il rischio che si intende evitare “può essere soltanto potenziale e viene valutato ex ante” (par. 2.3) e che, comunque, “oltre alle situazioni richiamate dall’articolo 42, il conflitto di interesse sussiste nei casi tipizzati dal legislatore nell’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 16 aprile 2013, n. 62, ivi compresa l’ipotesi residuale, già indicata, di esistenza di gravi ragioni di convenienza”.

In sostanza, il codice dei contratti pubblici, ponendo come condizione di rilevanza del conflitto il fatto che la situazione possa “essere percepita” come una minaccia alla imparzialità e indipendenza dell’agire, introduce per la prima volta ed enfatizza l’obiettivo della tutela dell’interesse immateriale della P.A., allargando quindi il parametro di giudizio sulla “gravità delle ragioni di convenienza”, affidando invece la gestione vera e propria del rischio mediante un semplice rinvio esterno alle ipotesi di obbligo di astensione previste dall'art. 7 del d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, nella duplice qualità tipica e atipica. La mera “potenzialità” del conflitto di interessi, da valutare ex ante, è espressa dallo stesso art. 42 che, al co. 2, prevede che “si ha conflitto d'interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione”.

Le linee guida dell’ANAC chiariscono, inoltre, che l’ambito soggettivo riguarda non solo i dipendenti in senso stretto delle pubbliche amministrazioni ma anche coloro che possano “obiettivamente influenzarne l’attività esterna” (par. 4.1).

Nella medesima direzione si orienta la giurisprudenza amministrativa, la quale ha avuto modo di chiarire che, nell’ambito delle gare pubbliche ed in particolare in relazione alle ipotesi di conflitto di interesse del personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che (anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni), l'art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016, sul versante soggettivo, va interpretato in senso ampio, nel senso che il riferimento alla nozione di "personale della stazione appaltante" (le cui vicende soggettive rilevano ai fini dell'applicazione della normativa in tema di conflitto di interesse) non resti limitato ai soli soggetti che intrattengono con l'amministrazione rapporti di lavoro dipendente. Al contrario, tale nozione va riferita (e in modo più ampio) a quanti, in base ad un valido titolo giuridico (legislativo o contrattuale), siano in grado di validamente impegnare, nei confronti dei terzi, i propri danti causa o comunque rivestano, di fatto o di diritto, un ruolo tale da poterne obiettivamente influenzare l'attività esterna. (Consiglio di Stato Sez. V, 11/07/2017, n. 3415).

Tali acquisizioni giurisprudenziali sono state oggetto di esplicita codificazione (che, come da più parti sottolineato, sul tema in disamina, assume una valenza meramente compilativa) da parte del legislatore del nuovo codice dei contratti pubblici (art. 16, d.lgs. 31 marzo 2023 n. 36).

Inoltre, giova considerare che, ai sensi del comma 4 dell’art. 42 d.lgs. 50/2016, le disposizioni dei precedenti commi sul conflitto di interessi “valgono anche per la fase di esecuzione dei contratti pubblici”.

Alla luce del riportato quadro regolatorio, pare del tutto evidente che possa rientrare, sotto il profilo soggettivo, tra i soggetti suscettibili di integrare la nozione di conflitto di interessi l’affidatario del servizio di direzione e vigilanza della fase esecutiva dell’appalto ovvero il soggetto che opera, per conto della stazione appaltante, quale direttore (e, quindi, con funzioni anche di vigilanza e di controllo) della fase esecutiva.

Del resto, a favore di questa conclusione depone inequivocabilmente il richiamato sintagma normativo “prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione”.

Rispetto alla fattispecie per cui è causa, come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, non pare dubitabile che l’aver attivamente collaborato, nella fase di gara, con l’impresa aggiudicataria del servizio costituisca circostanza idonea a costituire una minaccia per l’imparzialità e l’indipendenza della parte appellante quale prestatore del servizio di direzione della fase esecutiva del servizio medesimo.

È, altresì, evidente che tale situazione integri anche le gravi ragioni di convenienza che caratterizzerebbero un vero e proprio obbligo di astensione.

Ciò, ove si rifletta sul fatto che -OMISSIS-, quale amministratore della -OMISSIS- coop., si troverebbe a dirigere e a vigilare, per conto del comune di -OMISSIS-, sull’esecuzione dell’appalto da parte di una società per cui ha prestato opera di consulenza nell’ambito della medesima gara che ha determinato l’assegnazione dell’appalto.

La rilevanza di tale dato non è incisa dalla diversa durata del contratto di direzione (per cui concorre la -OMISSIS- coop) rispetto a quella del contratto per lo svolgimento del servizio (allo stato, effettuato da parte della -OMISSIS-);
la circostanza che la direzione riguarderebbe solo l’ultimo anno dell’esecuzione del servizio da parte di -OMISSIS- (il 2023) non esclude, come correttamente evidenzia la sentenza impugnata, la rilevanza del conflitto di interesse né, evidentemente, rispetto all’anno 2023, in cui sarebbe diretta e vigilata proprio l’azione della -OMISSIS-, né rispetto al periodo successivo, allorché potrebbero risultare condizionate talune valutazioni della stazione appaltante (ad es. per quanto riguarda possibili proroghe), né rispetto alla gara per il periodo successivo alla quale ben potrebbe partecipare nuovamente la -OMISSIS- (l’eventualità non è esclusa neppure dalla parte ricorrente che si limita a definire “improbabile” una nuova aggiudicazione alla -OMISSIS-).

Non coglie nel segno l’argomento, sviluppato dalla parte appellante nel primo motivo di appello, che fa leva sul richiamo all’art.6, d.P.R. 16 aprile 2013, il quale prevede la irrilevanza del conflitto di interessi risalente a oltre il triennio

In senso contrario il Collegio evidenzia che quest’ultima disposizione è chiaramente riferibile ai soli dipendenti pubblici che hanno esercitato “poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni”.

Va a tal profilo evidenziato che, come chiarito dalle linee guida ANAC al paragrafo 1.2 e dal Parere del Consiglio di Stato 667/2019, l ’art. 42 del codice dei contratti pubblici è norma speciale, destinata a prevalere sulle altre norme che in via generale regolano la materia del conflitto di interessi, quando, come nel caso in esame, rispetto alle stesse si ravvisa una incompatibilità, sul piano soggettivo o oggettivo.

Infine, non suscettibile di favorevole considerazione è il motivo di appello che mira a sminuire l’attività di consulenza prestata -OMISSIS- in favore di -OMISSIS-, in base alla considerazione per cui la sussistenza di un'ipotesi di conflitto di interesse non potrebbe essere affermata in astratto, richiedendo - piuttosto - una verifica svolta in concreto sulle circostanze del singolo caso.

Il Collegio, pur condividendo in astratto il rilievo, non ritiene che possa attagliarsi al caso della prestazione fornita dall’ingegner -OMISSIS-, la quale si è rilevata concretamente idonea ad influire sul corretto esercizio della funzione amministrativa, essendosi tradotta in un’attività di consulenza, posta in essere nell’interesse della società -OMISSIS- (che si è poi aggiudicata il servizio) nell’ambito dell’affidamento del medesimo appalto sulla cui esecuzione lo stesso ingegner -OMISSIS-, nella nuova veste di amministratore della -OMISSIS-, pretenderebbe di poter vigilare.

Come anticipato, le situazioni di conflitto di interessi, nell'ambito dell'ordinamento pubblicistico non sono tassative, ma possono essere rinvenute volta per volta, in relazione alla violazione dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall'art. 97 Cost., quando esistano contrasto ed incompatibilità, anche solo potenziali, fra il soggetto e le funzioni che gli vengono attribuite".

Ad avviso di tale costante formante giurisprudenziale, ogni situazione che determini un contrasto, anche solo potenziale, tra il soggetto e le funzioni attribuitegli, deve comunque ritenersi rilevante al fine dell'applicazione della normativa in tema di conflitto di interesse. (cfr. Parere del Consiglio di Stato n. 667 del 5 marzo 2019)

Secondo tale orientamento infatti, ogni pubblica amministrazione deve conformare la propria immagine, prima ancora che la propria azione, al principio generale di imparzialità e di trasparenza ex art. 97 Cost., tanto che le regole sull'incompatibilità, oltre ad assicurare l'imparzialità dell'azione amministrativa, sono rivolte ad assicurare il prestigio della Pubblica Amministrazione ponendola al di sopra di ogni sospetto, indipendentemente dal fatto che la situazione incompatibile abbia in concreto creato o non un risultato illegittimo.

Alla luce di siffatte coordinate interpretative, il conflitto di interessi non consiste quindi in comportamenti dannosi per l’interesse funzionalizzato, ma in una condizione giuridica o di fatto dalla quale scaturisce un rischio di siffatti comportamenti, un rischio di danno.

Dal che discende, anche sotto il profilo in esame, la pacifica riconduzione del comportamento in concreto assunto da -OMISSIS-, nell’interesse della società -OMISSIS-, al paradigma del conflitto di interessi di cui all’art. 42 del codice dei contratti pubblici, ratione temporis vigente, giacché, come correttamente rilevato dal Comune nelle proprie difese, l’amministratore della -OMISSIS- si troverebbe, diversamente opinando, a esercitare il controllo, in qualità di direttore esecutivo, “proprio sulle attività della -OMISSIS- di cui non solo era consulente, ma per la quale ha anche partecipato alla stessa procedura di gara aggiudicata appunto alla -OMISSIS-”.

Dal che discende il respingimento dell’appello con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo

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