Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-11-23, n. 202007336

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-11-23, n. 202007336
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202007336
Data del deposito : 23 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/11/2020

N. 07336/2020REG.PROV.COLL.

N. 02857/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2857 del 2012, proposto dal signor
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato F P, con domicilio eletto presso l’avv. Michele Sandulli in Roma, via XX Settembre 3;

contro

il Ministero della Difesa - Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione di Brescia (sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l’impugnazione della sanzione disciplinare della -OMISSIS-per rimozione


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa e del Comando generale dell'Arma dei Carabinieri;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 settembre 2020 il Cons. Cecilia Altavista e udito per la parte appellante l’avvocati Giulio Renditiso su delega dell’avv. F P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue


FATTO

Il maresciallo dei Carabinieri -OMISSIS- è stato sottoposto a procedimento penale per i reati di-OMISSIS-in danno dello Stato, per condotte risalenti agli anni 2004-2006, consistite nella attribuzione di ore di straordinario e indennità non dovute in concorso con altri, compiute mentre era in servizio presso la Sezione amministrativa del Comando provinciale di -OMISSIS-

Il procedimento penale si è concluso con la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Bergamo di applicazione della pena su richiesta della parte, pubblicata l’11 giugno 2009.

Pertanto è stato sottoposto a procedimento disciplinare, avviato il 23 novembre 2009 e concluso con il provvedimento dell’11 giugno 2010, di irrogazione della sanzione della -OMISSIS-per rimozione, notificato il 1 luglio 2010.

Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sezione di Brescia, formulando i seguenti motivi:

- violazione dell’art. 9 l. 19/90 , per il superamento del termine di 180 giorni dalla sentenza di condanna per l’avvio del procedimento disciplinare e di ulteriori 90 giorni per concluderlo, termini che non sarebbero stati rispettati, in quanto il dies a quo avrebbe dovuto essere individuato alla data del 5 giugno 2009, di lettura del dispositivo del patteggiamento in udienza, a cui era presente il -OMISSIS-del Nucleo informativo del Comando provinciale di Bergamo, o al massimo alla data del 25 settembre 2009, in cui il cancelliere ha consegnato copia della sentenza al brigadiere -OMISSIS-;
inoltre il procedimento disciplinare si sarebbe concluso solo il 1 luglio 2010, con la notifica del provvedimento;

- violazione dell’art. 65 l. 599/54 per l’incompetenza del comandante della Regione militare Nord, in quanto l’inchiesta formale avrebbe dovuto essere disposta dal comandante di vertice di livello gerarchico pari a Generale di corpo d’armata, e quindi dal Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri;

- violazione dell’art. 64 l. 599/54 in relazione alla genericità dell’atto di contestazione degli addebiti;

- violazione degli artt. 70 e 73 l. 599/54, in quanto l’ufficiale difensore scelto dal ricorrente era stato ritenuto incompatibile in quanto superiore diretto del ricorrente, mentre l’altro successivamente scelto era in servizio in altra sede (Torre Annunziata) rendendo difficile la difesa;

- violazione e falsa applicazione dell’art. 64 l. 599/54 e della Guida tecnica sulle procedure disciplinari per il mancato rispetto del termine a difesa di dieci giorni per la visione degli atti e la presentazione delle memorie, essendo stato concesso prima un termine di cinque giorni, poi ridotto a due;

- eccesso di potere per violazione del principio del giusto procedimento, istruttoria carente e travisamento dei fatti , non essendo stata effettuata alcuna istruttoria autonoma rispetto alla sentenza di patteggiamento che non contiene accertamento di responsabilità;

- violazione dell’art. 3 l. 241/90 per difetto di motivazione, manifesta ingiustizia e violazione del principio di proporzionalità, gradualità e ragionevolezza in relazione agli artt. 60 comma 1 n. 6 e 63 legge 599 del 1994;
violazione di legge per omessa ponderazione dei profili oggettivi e soggettivi della vicenda;

Il giudice di primo grado ha respinto tutti i motivi, ritenendo la tempestività del procedimento disciplinare, in relazione al termine iniziale del 25 settembre 2009, data di comunicazione formale della sentenza di condanna, e la conclusione alla data di emissione del provvedimento finale, non influendo la successiva fase della comunicazione sui tempi di conclusione del procedimento;
ha respinto la censura di incompetenza nonché tutte le censure relative alla violazione del diritto di difesa del ricorrente, ritenendo che questa fosse stata comunque compiutamente assicurata;
ha respinto altresì le censure di difetto di istruttoria e di motivazione.

Con l’atto di appello sono state contestate le affermazioni del giudice di primo grado, nella sostanza riproponendo in parte i motivi del ricorso di primo grado, in particolare:

- errores in iudicando, illogicità e difetto di motivazione;
recettizietà del provvedimento;
tardiva notifica del provvedimento e conseguente invalidità dell’atto,
con cui ha riconosciuto il termine per l’inizio del procedimento penale fissato al 25 settembre 2009, ma ha sostenuto che il procedimento disciplinare si sarebbe dovuto concludere nei 180 giorni da tale data quindi al 25 giugno 2010, mentre la notifica del provvedimento è avvenuta solo il 1 luglio 2010, data rilevante in relazione alla natura recettizia dell’ atto;

- errores in iudicando, incompetenza a disporre l’inchiesta formale, con cui ripropone la censura di incompetenza del Comandante della Regione militare Nord, in relazione all’art. 65 della l. 599/54, sostenendo la competenza del Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri;

- errores in iudicando, illogicità ed erroneità della motivazione della contestazione;
genericità della comunicazione del procedimento disciplinare,
con cui è stata riproposta la censura di violazione dell’art. 64 della l. 599/54 sostenendo la genericità dell’atto di contestazione degli addebiti;

- incongruità della sentenza circa il mancato rispetto dei termini di chiusura della istruttoria, impossibilità da parte del ricorrente di produrre controdeduzioni, con cui si ripropone la censura relativa al mancato rispetto dei termini per la visione degli atti e la presentazione di memorie, contestando l’affermazione del giudice di primo grado per cui da questa violazione non sarebbe derivata alcuna lesione al ricorrente, essendo rilevante la violazione formale del diritto di difesa;

- error in iudicando, illogicità e difetto di motivazione , con cui si ripropone la censura di difetto di motivazione del provvedimento disciplinare, basata solo sulle risultanze delle indagini preliminari.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero della difesa e il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri con atto di mero stile.

All’udienza pubblica del 7 aprile 2020, in difetto di richiesta dei difensori delle parti, ai sensi dell'art. 84 comma 2 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 è stato disposto il rinvio della trattazione alla pubblica udienza del 29 settembre 2020.

La difesa appellante ha depositato memoria di replica, riportandosi ai motivi di appello.

DIRITTO

Con il primo motivo di appello si ripropone la prima censura del ricorso di primo grado limitatamente al mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento alla data del 25 giugno 2010. Non è infatti più contestata la decorrenza del procedimento disciplinare dal 25 settembre 2009, data di consegna formale della sentenza, considerata nell’atto di appello “pacificamente” la data di decorrenza di detto termine.

Non è stata quindi riproposta le censura relativa alla decorrenza del termine dalla lettura del dispositivo della sentenza di patteggiamento all’ udienza del 5 giugno 2009, comunque infondata, essendo evidente che la mera presenza di un appartenente all’Arma dei carabinieri non possa costituire elemento determinante ai fini della conoscenza da parte dell’Amministrazione.

Per costante giurisprudenza, infatti, la decorrenza dei termini del procedimento disciplinare parte dalla conoscenza qualificata della sentenza passata in giudicato, che può essere raggiunta dalla data di acquisizione della copia conforme della sentenza irrevocabile di condanna, non attraverso comunicazioni informali (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 giugno 2015 n. 2853;
sez. IV 28 marzo 2019 n. 2050).

Peraltro, il motivo così come riformulato in appello, ovvero limitatamente al superamento del termine finale del 25 giugno 2009, essendo a tale data ancora non intervenuta la notifica del provvedimento è infondato.

Ai sensi dell’art. 9 della legge n. 19 del 1990, “ la destituzione può sempre essere inflitta all'esito del procedimento disciplinare che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni”.

In primo luogo, ritiene il Collegio di richiamare la giurisprudenza anche della Sezione, per cui l’unico termine rilevante ai fini della perdita del potere di provvedere dell’Amministrazione all’adozione della sanzione disciplinare è il termine complessivo di 270 giorni, ovvero di 180 più 90 (cfr. Cons. Stato Sez. II, 2 marzo 2020, n. 1506;
Sez. III 13 maggio 2015, n. 2374), termine che, nel caso di specie, sarebbe venuto a scadere il 25 giugno 2010, a partire dalla data del 25 settembre 2009.

Poiché il provvedimento disciplinare è stato adottato l’11 giugno 2010 deve ritenersi tempestivo.

Non può, infatti, essere condivisa l’argomentazione difensiva dell’appellante, per cui il procedimento sarebbe perfezionato solo con la notifica del provvedimento - che, nel caso di specie, è avvenuta il 1 luglio 2010- per la natura recettizia di tale provvedimento, che non potrebbe quindi produrre effetti in mancanza della comunicazione al destinatario.

Come rilevato dal giudice di primo grado, la recettizietà dell’atto, che influisce sul momento di produzione degli effetti per il destinatario, non riguarda, invece, il diverso profilo della tempestività dell’azione amministrativa.

Sul punto, la giurisprudenza di questo Consiglio è, infatti, consolidata nel ritenere che il procedimento disciplinare sia tempestivamente concluso con l’adozione del provvedimento, rilevando la notificazione al destinatario solo ai fini dell’efficacia dell’atto nei suoi confronti e non ai fini del perfezionamento dell’atto stesso (cfr. Cons. Stato, sez. IV 28 marzo 2019 n. 2050;
id. sez. IV, 13 giugno 2013, n. 3279;
id. sez. IV, 2 novembre 2012, n. 5582).

Con il secondo motivo si ripropone la censura di incompetenza del Comandante della Regione militare Nord, che ha avviato l’inchiesta formale, in relazione alla previsione dell’art. 65 della l. 599/54, per cui sussisterebbe la competenza del Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri.

Tale motivo è infondato.

Infatti, ai sensi dell’art. 65 della legge n. 31 luglio 1954 n. 599, “ l’inchiesta formale è disposta dal comandante di corpo d'armata o dal comandante di squadra navale o dal comandante di unità corrispondente dell'Aeronautica o dal comandante militare territoriale o dal comandante in capo del dipartimento militare marittimo o comandante militare marittimo autonomo dell'Alto Adriatico o dal comandante della zona aerea territoriale o comandante di Aeronautica da cui il sottufficiale dipende per ragioni di impiego. Qualora manchi tale dipendenza, la inchiesta formale è disposta dal comandante militare territoriale o dal comandante in capo del dipartimento militare marittimo o comandante militare marittimo autonomo dell'Alto Adriatico o dal comandante della zona aerea territoriale o comandante di Aeronautica nella cui giurisdizione il sottufficiale risiede .

Per i sottufficiali in servizio dell'Arma dei carabinieri l'inchiesta è disposta dal comandante generale dell'Arma dei carabinieri o dal comandante della divisione carabinieri dal quale il sottufficiale dipende per ragioni di impiego

Qualora siavi corresponsabilità tra sottufficiali della stessa Forza armata dipendenti per l'impiego da comandanti militari diversi o residenti in giurisdizioni di comandanti militari diversi, l'inchiesta è disposta dal comandante militare competente a provvedere per il sottufficiale più elevato in grado o più anziano. Se il più elevato in grado o più anziano sia sottufficiale in servizio dell'Arma dei carabinieri l'inchiesta è disposta dal comandante generale dell'Arma dei carabinieri ”.

In base alla stessa norma richiamata dalla difesa appellante, la competenza del Comandante generale dell’Arma, sussiste- peraltro concorrendo con quella del Comandante di divisione a cui il sottufficiale appartiene- solo per i sottufficiali in servizio.

Inoltre, è prevista la competenza del comandante militare competente a provvedere per il sottufficiale più elevato in grado o più anziano in caso di corresponsabilità tra sottufficiali della stessa Forza armata dipendenti per l'impiego da comandanti militari diversi.

Nella presente vicenda gli illeciti disciplinari sono stati compiuti in concorso con un altro Maresciallo dei Carabinieri, in congedo al momento di avvio del procedimento disciplinare.

La competenza è stata dunque determinata, sulla base delle disposizioni dei commi 1 e 3 dell’art. 65, in capo al Comandante militare territoriale, competente per il sottufficiale dei Carabinieri in congedo, in base al luogo di residenza (comma 1), e per connessione anche per il procedimento disciplinare dell’odierno appellante (comma 3).

La “ Guida tecnica Norme e procedura di disciplina del Ministero della Difesa ” è conforme dunque alle previsioni legislative, prevedendo la competenza del Comandante territoriale dell’Esercito per i militari non in servizio, compresi dunque i sottufficiali dei Carabinieri in congedo, per cui la specifica competenza del Comandante generale dell’Arma è prevista solo se in servizio.

Con il terzo motivo di appello si ripropone la censura relativa alla violazione dell’art. 64 della legge n. 599 del 1954, in quanto non sarebbero state sufficientemente specifico l’atto di contestazione degli addebiti.

Anche tale motivo è infondato.

Premesso che l’obbligo della previa contestazione degli addebiti, nel procedimento finalizzato all'irrogazione d'una sanzione disciplinare di stato, come è la -OMISSIS-per rimozione, costituisce un principio generale dell'ordinamento, per una esigenza comune a tutti i procedimenti disciplinari di rispetto del nucleo fondamentale del diritto di difesa (cfr. Corte cost. 28 maggio 1999, n. 199;
Cons. Stato Sez. IV, 25 maggio 2005, n. 2681 Sez. II, 4 maggio 2020, n. 2841), la funzione dell’atto di contestazione degli addebiti è quella della conoscenza dei fatti che si assumono compiuti e delle violazioni commesse, ai fini di predisporre e svolgere le proprie difese.

In relazione a tale esigenza, non sono richieste formule sacramentali o una particolare analiticità degli addebiti, purché siano in grado di assicurare il pieno rispetto del diritto di difesa.

Nel caso di specie, dall’atto di contestazione degli addebiti risultano delineati i fatti contestati ovvero le condotte di attribuzione delle ore di straordinario e di indennità non dovute compiute durante il servizio.

In relazione, quindi, alle concrete circostanze della vicenda, non sussiste alcuna genericità dell’atto di contestazione degli addebiti, che abbia provocato una lesione del diritto di difesa dell’appellante, il quale ha presentato analitica memoria difensiva sui singoli episodi della vicenda.

Del resto, il procedimento penale aveva già sufficientemente delineato tali fatti contestati, in relazione al capo di imputazione formulato dal P.M. nella richiesta di rinvio a giudizio e richiamato nell’epigrafe della sentenza di patteggiamento, che, anche se riguardava anche altri concorrenti nei reati, comunque specificava le condotte di rilevanza penale attribuite all’imputato odierno appellante.

Con ulteriore motivo di appello si ripropone la censura relativa alla violazione dei termini a difesa previsti dall’art. 7 lettera H della Guida tecnica “ Norme e procedura di disciplina del Ministero della Difesa ”, di dieci giorni dalla presa visione per la presentazione di deduzioni difensive finali, lamentando di avere preso visione degli atti il 16 dicembre e che gli era stato assegnato per la presentazione delle memorie prima il termine di cinque giorni dal 16 al 21 dicembre 2009 e successivamente in data 16 dicembre un nuovo termine fino al 18 dicembre 2009;
in particolare, si contestano le affermazioni del giudice di primo grado che, pur dando atto del non corretto procedimento, ha ritenuto tali termini non lesivi del diritto di difesa, essendo stato formulato poi il rinvio a giudizio il 18 gennaio 2010, quindi con un termine anche più lungo di quello minimo di dieci giorni;
secondo la difesa appellante, infatti, le garanzie del procedimento disciplinare dovrebbero essere interpretate formalmente e non sostanzialmente.

In primo luogo, rileva il Collegio la genericità del motivo di appello, nel quale non si deduce alcunché su un eventuale deposito di memorie da parte dell’odierno appellante, che sia stato considerato tardivo;
né sui possibili argomenti defensionali ulteriormente apportabili in tale fase del procedimento, se fosse stato assegnato il termine di dieci giorni dalla visione degli atti.

In ogni caso, nulla impediva all’appellante di presentare ulteriori memorie nel termine di dieci giorni di cui alla Guida tecnica, circostanza che non risulta nel caso di specie;
così come non risulta alcun ulteriore deposito fino alla data del 18 gennaio 2010, come rilevato dal giudice di primo grado.

Ritiene sul punto il Collegio di richiamare quanto già affermato da questo Consiglio in un caso analogo, che ha ritenuto irrilevante la riduzione del termine per la presentazione di memoria, qualora i “ diritti di difesa dell'incolpato non abbiano subito un particolare pregiudizio in concreto, se l’interessato non ha fornito, né tempestivamente, né tardivamente, elementi di valutazione e di difesa in relazione ai fatti contestati ” (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 20 gennaio 2020, n. 448).

Infine, si sostiene il difetto di motivazione del provvedimento finale, il quale avrebbe sostanzialmente richiamato gli atti del procedimento senza alcuna valutazione disciplinare.

Anche tale motivo è infondato.

Ai sensi dell’art. 653 comma 1 bis c.p.p. la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso”.

Tale efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare è prevista anche per la sentenza di patteggiamento ai sensi dell’art. 445 comma 1 bis c.p.p., che, escludendo l’efficacia della sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, nei giudizi civili o amministrativi, fa salva la disposizione dell’art. 653.

L'Amministrazione, quindi, nell'esercizio del proprio potere disciplinare, può e deve utilizzare gli indizi di colpevolezza raccolti al fine di esercitare in giudizio l'azione penale, sicché non sussiste, né è ragionevolmente esigibile, l’obbligo di svolgere una particolare e diversa attività istruttoria al fine di acquisire ulteriori mezzi di prova, dovendo i profili di condanna essere oggetto di una diversa valutazione soltanto in merito alla loro rilevanza sotto il profilo disciplinare (cfr. Cons. Stato, IV, 5 novembre 2019, n. 6259;
Cons. Stato, IV, 2 novembre 2017, n. 5053).

Ai fini disciplinari, dunque, ai sensi degli artt. 445, comma 1 bis, e 653, comma 1 bis, c.p.p., l'Amministrazione è vincolata all'accertamento del fatto, alla sua qualificazione come illecito penale ed all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, contenuti nella sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. Peraltro, l'organo competente deve compiere, sulle univoche risultanze fattuali emerse in sede penale, un autonomo apprezzamento circa la gravità della condotta tenuta dall'inquisito e la sua rilevanza ai fini disciplinari. (Cons. Stato Sez. IV, 2 aprile 2020, n. 2218;
Sez. IV, 5 novembre 2018, n. 6259)

Il richiamo alla sentenza di patteggiamento pronunciata a carico dell’appellante era dunque idonea a considerare accertati i fatti contestati nel giudizio penale, né può rilevare la circostanza dedotta dall’appellante di avere richiesto il patteggiamento, non essendo in grado di sostenere le spese legali di un dibattimento, trattandosi di questione estranea alla disciplina degli effetti del patteggiamento e per cui l’ordinamento appresta appositi rimedi, quale il patrocinio a spese dello Stato.

Quanto alla mancanza di autonoma valutazione dei fatti in sede disciplinare, deve essere considerato che l'Amministrazione, oltre ad utilizzare le risultanze istruttorie della sede penale, quali elementi fattuali idonei a supportare il giudizio disciplinare, ha comunque dato rilievo ai fatti contestati anche sotto il profilo disciplinare, valutandoli in tale diversa prospettiva, ritenendo sussistenti la violazione dei doveri di lealtà e correttezza assunti con il giuramento e dei principi di moralità e rettitudine che dovrebbero accompagnare costantemente i comportamenti degli appartenenti all’Arma dei Carabinieri.

Sotto tale profilo la condotta è stata ritenuta incompatibile con lo status di militare dell’Arma, in quanto tale da recidere integralmente il necessario affidamento che l'Amministrazione militare deve in ogni momento poter nutrire circa la persona, la moralità e la professionalità dei propri membri (cfr. in tal senso Cons. Stato Sez. IV, 16 marzo 2020, n. 1864;
id. 23 marzo 2020, n. 2017).

Si deve poi tenere presente che si tratta di valutazioni connotate da ampia discrezionalità, anche quelle in ordine alla rilevanza del comportamento ai fini della irrogazione della più grave sanzione della rimozione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 2 novembre 2012, n. 5582, Sez. IV, 27 luglio 2020, n. 4761), in quanto la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di manifesta illogicità e irragionevolezza, evidente sproporzionalità e travisamento dei fatti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 ottobre 2019, n. 7335;
id., sez. IV, 22 marzo 2017, n. 1302;
id. sez. III, 31 maggio 2019, n. 3652).

Anche la Sezione di recente ha ribadito che spetta “ all'Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l'infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità, disponendo, essa, di un ampio potere discrezionale nell'apprezzare autonomamente le varie ipotesi disciplinari, con una valutazione insindacabile nel merito da parte del giudice amministrativo ” (Cons. Stato, Sez. II, 8 ottobre 2020, n. 5969, id. 15 maggio 2020, n. 3112).

Pertanto, la valutazione circa il rilievo e la gravità dell'infrazione disciplinare commessa dal militare è rimessa alla discrezionalità dell'Amministrazione, la quale, attraverso la commissione di disciplina, esprime un giudizio non sindacabile nel merito, ma soltanto in sede di legittimità nelle ipotesi in cui risulti abnorme o illogico in rapporto alle risultanze dell'istruttoria (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 ottobre 2018, n. 5700, Sez. II, 15 maggio 2020, n. 3112, cit.), profili, peraltro, neppure dedotti nel presente giudizio di appello.

La valutazione è stata, quindi, compiutamente svolta dall'Amministrazione che ha giudicato le condotte dell'incolpato contrarie ai principi che devono improntare l'agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato e a quelli di correttezza ed esemplarità propri di un appartenente all'Arma dei Carabinieri, con valutazioni che sfuggono al sindacato di questo giudice.

In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto.

In considerazione della particolarità della materia in questione e della costituzione solo formale dell’Avvocatura dello Stato, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

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