Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-04-29, n. 201502170

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2015-04-29, n. 201502170
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201502170
Data del deposito : 29 aprile 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02980/2014 REG.RIC.

N. 02170/2015REG.PROV.COLL.

N. 02980/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2980 del 2014, proposto dalla signora G B, rappresentata e difesa dagli avvocati M C e G G, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M C in Roma, via Pierluigi Da Palestrina, n. 63;

contro

Il Comune di Trofarello;

nei confronti di

La signora O B;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Piemonte, Sez. I n. 1367/2013, resa tra le parti, concernente la rimozione di opere edilizie;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2015 il Cons. Alessandro Palanza e udito per la parte appellante l’avvocato Pafundi, in dichiarata delega dell’avvocato Contaldi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – In data 4 marzo 1998, la signora B, per eseguire le opere di finitura della cappella funeraria sita nel cimitero di Trofarello di cui è concessionaria, ha presentato una D.I.A. (prot. n. 29/1998) avente ad oggetto l’intera parete frontale della sua cappella, compreso il setto divisorio a vista che separa il fronte della cappella in sua concessione da quello della cappella adiacente, assegnata alla signora Giuseppina B.

In corso d’opera, quest’ultima ha a sua volta presentato, in data 17 settembre 1998, una D.I.A. riguardante la propria cappella e comprensiva di quello stesso setto.

Il Comune di Trofarello, dopo aver comunicato alla signora B l’avvio del procedimento di annullamento parziale della D.I.A. presentata dalla stessa, ha emanato il provvedimento n. 9373/1999 di annullamento parziale, perché dalle planimetrie allegate alle concessioni il setto in questione risultava inserito nel progetto assentito con la concessione rilasciata alla signora Giuseppina B ed ha conseguentemente assentito alla D.I.A. presentata da quest’ultima.

La signora B ha impugnato il citato provvedimento di annullamento parziale innanzi al TAR Piemonte.

2. – Nelle more del giudizio istaurato, il Comune di Trofarello, in esecuzione del provvedimento impugnato n. 9373/1999 di annullamento parziale in autotutela della D.I.A. n. 29/1998, ha emanato l’ordinanza di rimozione opere n. 33 del 2000 (che è stata impugnata innanzi al TAR Piemonte con successivo ricorso, che ha dato luogo alla sentenza dello stesso TAR appellata nel presente giudizio).

3. – Il TAR, con la sentenza n. 1608/2003, ha rigettato il primo ricorso presentato dalla signora B (avverso il provvedimento di annullamento parziale della D.I.A.) sul presupposto che “la parete in questione non è stata concessa in esclusiva alla (ricorrente) insieme con tutta la struttura della cappella di famiglia, poiché la concessione amministrativa di una cappella di famiglia “al rustico” comprendeva e comprende tutti i suoi elementi strutturali compositivi e tra questi i muri perimetrali ad eccezione del solo muro perimetrale comune con la cappella adiacente, così come risulta evidenziato nella planimetria allegata all’atto di concessione”.

Il TAR ha precisato che la planimetria allegata alla concessione della controinteressata sig.ra B presenta evidenziati in rosso tutti i muri perimetrali della cappella, mentre nella planimetria allegata alla concessione rilasciata alla odierna appellante è evidenziato quasi tutto il perimetro della cappella, con l’eccezione della porzione controversa.

La signora B ha quindi appellato la sentenza del TAR Piemonte n. 1608/2003.

4. – Il TAR Piemonte - con il provvedimento n. 1735/2005 - aveva inizialmente sospeso il giudizio sul ricorso avverso la ordinanza di demolizione, stante la pendenza del giudizio di appello avverso la sentenza n. 1608/2003. Successivamente, il TAR Piemonte ha ripreso il giudizio su istanza della Amministrazione appellante e con la sentenza appellata nel presente giudizio ha preliminarmente ritenuto facoltativo e quindi di natura sostanzialmente ordinatoria il precedente provvedimento di sospensione adottato in data 21 maggio 2005 e pienamente revocabile (sulla base di considerazioni di opportunità e della giurisprudenza più recente, che fa prevalere le esigenze di limitare la eccessiva durata dei processi) ed ha quindi escluso la sussistenza, dal punto di vista processuale, della esigenza della sospensione obbligatoria.

Il TAR ha quindi con la stessa sentenza rigettato il ricorso per l’annullamento dell’ordinanza n. 33 del 2000 di rimozione delle opere, emanata in pendenza del giudizio dal Comune di Trofarello in esecuzione del provvedimento n. 9373/1999 di annullamento parziale in autotutela della D.I.A. n. 29/1998.

5. – La signora B, con l’appello r.g. n. 2980/2014, ha impugnato la sentenza del TAR Piemonte n. 1367/2013 di rigetto della domanda di annullamento dell’ordinanza n. 33 del 2000 di rimozione delle opere, lamentando la erroneità della stessa in quanto emanata senza attendere la decisione del Consiglio di Stato sull’appello proposto avverso la sentenza dello stesso TAR n. 1608/2003, che aveva respinto l’annullamento del provvedimento in autotutela.

L’appellante ha dedotto che la sentenza n. 1618/2003, seppur esecutiva, non è passata in giudicato e dunque il TAR avrebbe dovuto attendere la pronuncia di questo Collegio, sospendendo il giudizio. La signora B ha riprodotto nel presente giudizio i contenuti dell’atto di appello relativo al giudizio precedente ed ha riproposto le medesime censure;
lamenta inoltre la carenza di motivazione dell’ordinanza n. 33 del 2000, che non avrebbe preso in considerazione gli interessi privati e non avrebbe indicato l’interesse pubblico sottostante, ma si sarebbe limitata ad affermare il difetto “di titolo idoneo e necessario all’esecuzione, così come prescritto dall’art. 56 l..r. 5 n. 6/77”.

L‘ordinanza di demolizione sarebbe illegittima per inadeguata motivazione, che evidenzierebbe la pregiudizialità tra le diverse impugnazioni.

La signora B ha ribadito, anche in questo giudizio come nell’altro, che la controinteressata, in data 3 luglio 1999, aveva proposto innanzi al Tribunale di Torino un ricorso ex art. 703 e 669 c.p.c. conclusosi con ordinanza possessoria per la quale “la parziale revoca della D.I.A. per stessa ammissione dei testi (tecnici, comunali, ndr) sarebbe… motivata più da propositi di omogeneità con riferimento alla situazione venutasi a creare nelle cappelle adiacenti, che non sulla scorta di un accertato diritto”.

Ella ha dedotto che il Comune si sarebbe intromesso in una lite tra privati e che il Comune avrebbe adottato il provvedimento in autotutela non per mancata conformità della D.I.A. all’atto presupposto (concessione), ma per esigenze di omogeneità emerse in seguito agli interventi degli altri concessionari che non si sarebbero attenuti alla regolamentazione. Da qui l’illegittimità del provvedimento in autotutela:il Comune, se avesse considerato non corretta la statuizione del giudice ordinario, avrebbe dovuto agire con opposizione di terzo ex art.404 c.p.c., poiché la questione verteva su beni di proprietà demaniale del Comune oggetto di concessione ai privati. Altrimenti, il Comune avrebbe dovuto sollevare il regolamento preventivo per difetto di giurisdizione ex art. 41, comma secondo, c.p.c.

6. – Il Comune di Trofarello non si è costituito in appello.

7. – La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 27 gennaio 2015.

8. – L’appello è infondato.

8.1. – Il Collegio ritiene, innanzitutto, necessario chiarire e circoscrivere l’oggetto del presente giudizio. In questa sede si discute della impugnazione avverso la sentenza del TAR Piemonte n. 1367/2013 di reiezione della domanda di annullamento dell’ordinanza n. 33 del 2000, avente ad oggetto l’ordine di rimozione del rivestimento marmoreo operato sul setto di cui sopra.

In particolare, con il gravame in esame si lamenta la erroneità della sentenza da ultimo citata sotto due principali profili:

a) perché è stata emanata senza attendere la decisione del Consiglio di Stato sull’appello relativo alla precedente sentenza n. 1608/2003 di annullamento del provvedimento in autotutela che aveva a sua volta annullato la DIA per contrasto con la sottostante concessione;

b) perché non ha censurato il vizio di carente motivazione dell’ordinanza n. 33 del 2000 di rimozione dell’opera medesima.

8.2. – Ne deriva che, nel rispetto dell’oggetto di questo giudizio e del principio del ne bis in idem , non possono in questa sede essere esaminati i motivi di appello rivolti avverso la sentenza del TAR Piemonte n. 1608/2003 (appellata con il differente ricorso r.g. 2588/2004) e riproposti in questa sede. Per la stessa ragione non possono in questa sede essere esaminate neanche le censure rivolte avverso il provvedimento n. 9373/1999 di annullamento parziale della D.I.A. prot. n. 29/1998.

8.3. – Definito l’ambito del giudizio, deve essere in primo luogo esaminato il motivo di gravame relativo alla asserita sussistenza di una causa di sospensione obbligatoria che avrebbe imposto al TAR Piemonte di attendere la pronuncia di questo Consiglio di Stato sull’appello (r.g. n. 2588/2004) relativo alla sentenza n. 1608/2003, che ha respinto il ricorso relativo al provvedimento di annullamento parziale della D.I.A. prot. n. 29/1998.

8.4. - Al riguardo, osserva il Collegio che, tenuto conto delle date nelle quali sono stati emanati i provedimenti impugnati in primo grado e vi sono state le evenienze processuali rilevanti nel presente giudizio, occorra fare applicazione dei principi generali sulla sospensione del giudizio, desumibili dal codice di procedura civile.

8.5. – Quanto all'ambito applicativo dell'art. 337 c.p.c., nei suoi rapporti con l'art. 295 c.p.c., come rilevato da questa Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 806 del 16 febbraio 2015, si deve osservare come l'art. 295 cit. richieda una pregiudizialità in senso tecnico-giuridico.

Nella specie, le questioni concernenti la sospensione del giudizio di primo grado riguardavano una sospensione facoltativa e revocabile: il TAR ha legittimamente deciso di proseguire il giudizio, per il principio di ragionevole durata del processo (che trova oggi copertura costituzionale nell'art. 111 della Costituzione), oltre che per il fatto che avverso l’ordine di rimozione erano state proposte anche autonome censure.

In altri termini, il Collegio ritiene decisivo osservare che, quando una sentenza del TAR respinge il ricorso contro un atto presupposto, ed è proposto avverso di essa un atto d’appello, il conseguente ricorso proposto contro l’atto esecutivo e consequenziale può essere senz’altro deciso in primo grado, senza necessità di attendere la sentenza del Consiglio di Stato: nessun pregiudizio di ordine processuale può derivare al ricorrente per il fatto che è deciso il secondo ricorso, poiché l’eventuale riforma della sentenza che ha deciso il primo ricorso, con l’annullamento da parte del Consiglio di Stato dell’atto presupposto, comporta la caducazione ipso iure degli effetti dell’atto consequenziale.

8.6. – Sul primo motivo di appello deve pertanto essere integralmente confermata anche nella ampia motivazione la sentenza del TAR Piemonte n. 1367/2013, emanata senza attendere la decisione del Consiglio di Stato sul primo ricorso (r.g. n. 2588/2004) instaurato per l’annullamento del provvedimento in autotutela.

8.7. – Con riferimento alla censura con cui si lamenta il vizio di carente motivazione dell’ordinanza n. 33 del 2000, si precisa che la stessa costituiva un provvedimento vincolato, in quanto, una volta disposto l’annullamento parziale in autotutela della D.I.A. prot. n. 29/1998, i lavori eseguiti dalla signora B risultavano ormai privi di titolo idoneo e necessario all’esecuzione, così come previsto dall’art. 56 L.R. 56/77.

Pertanto la stringente motivazione dell’ordinanza n. 33 del 2000 deve essere ritenuta sufficiente, con conseguente reiezione del motivo di appello.

8.8. – Per le ragioni esposte ai punti 8.1. e 8.2., sono estranee al presente giudizio le argomentazioni conseguenti alla già richiamata ordinanza possessoria emanata dal Tribunale civile di Torino in merito alla stessa vicenda a seguito di un ricorso ex art. 703 e 669 c.p.c..

Tale pronuncia, che ha concluso per l’impossibilità di “ evincere l’esatta consistenza e delimitazione delle concessioni in capo alle ricorrenti ”, non solo non fornisce alcun accertamento significativo, essendo espressa in forma dubitativa, ma, oltretutto, riguarda effetti possessori derivanti dalla preesistente concessione, la cui legittimità non può essere sindacata in un giudizio, che concerne invece l’ordinanza n. 33 del 2000 di rimozione delle opere, emanata in doverosa esecuzione dell’atto che aveva annullato la D.I.A. che aveva autorizzato le opere medesime.

9. - In base alle considerazioni che precedono, l’appello deve essere respinto e la sentenza del TAR va confermata.

10. – Nel complessivo andamento della vicenda si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del presente grado del giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi