Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-02-16, n. 201200818

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-02-16, n. 201200818
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201200818
Data del deposito : 16 febbraio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10559/2009 REG.RIC.

N. 00818/2012REG.PROV.COLL.

N. 10559/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10559 del 2009, proposto da:
F M, C M, C Z, rappresentati e difesi dagli avv. M F D, T M, con domicilio eletto presso M F D in Roma, via Lazio N. 20/C;

contro

Comune di Giustino, rappresentato e difeso dall'avv. F M B, con domicilio eletto presso Guido Francesco Romanelli in Roma, via Cosseria N. 5;

per la riforma

della sentenza del T.R.G.A. - DELLA PROVINCIA DI TRENTO n. 00202/2009, resa tra le parti, concernente ESPROPRIAZIONE AREA PER COMPLETAMENTO DELL'ARREDO URBANO


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Giustino;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 febbraio 2012 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Luigi D'Ambrosio su delega di Massimo F . Dotto e Guido Francesco Romanelli su delega di F M B;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Amministrativo Regionale gli attuali appellanti, essendo comproprietari di terreni, costituenti ampio giardino privato di mq. 3054 sito nel nucleo storico di Vadaione del Comune di Giustino, interessati dal progetto esecutivo di opera pubblica, agivano per l’annullamento degli atti relativi alla procedura di esproprio (progetto esecutivo dei lavori di completamento dell’arredo urbano, che prevede esproprio di mq.138 di loro proprietà) che li riguardava, deducendo i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili.

Il giudice di primo grado dichiarava l’inammissibilità (o irricevibilità) del ricorso, perché depositato oltre il termine dimidiato ai sensi dell’art. 23 bis, valevole per le impugnazioni di atti relativi alle procedure di esproprio. Infatti, il ricorso era stato notificato in data 24 aprile 2008 ed era stato depositato in data 22 maggio 2008, quindi oltre il termine di quindici giorni. Inoltre, secondo il primo giudice, non poteva valere ad evitare la declaratoria di inammissibilità, la circostanza che i ricorrenti, a mezzo del loro difensore, avessero poi da un lato rinunciato al primo motivo di ricorso e dall’altro lato ribadito che la domanda dovesse ritenersi proposta avverso la delibera impugnata nella parte in cui non era stata accolta la proposta degli istanti volta a concludere un accordo sostitutivo in luogo del provvedimento espropriativo. Infine, per completezza, il giudice di prime cure valutava altresì nel merito la infondatezza della domanda, ritenendo che il fallimento delle trattative intercorse tra le parti, dirette secondo i privati a consentire la edificazione di un sottostante garage e secondo il Comune inaccettabili a quelle condizioni, fosse da attribuirsi solo ai ricorrenti medesimi.

Avverso tale sentenza propongono appello i medesimi ricorrenti di prime cure, deducendo in primo luogo la erroneità della declaratoria di inammissibilità, in quanto essi avevano impugnato gli atti relativi agli accordi sostitutivi diretti a sostituire l’esproprio e a tali atti non si applicherebbe la regola del dimezzamento dei termini, che è regola tassativa;
i ricorrenti avevano rinunciato al primo motivo di ricorso;
il giudice di primo grado non si è reso conto del contenuto duplice del provvedimento impugnato.

Con altro motivo di appello viene dedotta la erroneità della sentenza di prime cure laddove ha ritenuto attribuirsi ai privati, piuttosto che al Comune, la responsabilità precontrattuale per il fallimento delle trattative. Il Comune ha ritenuto inaccettabile la proposta, valutando che la modifica apportata nella proposta avrebbe comportato un aggravio di 20.000 euro per perizia geologica e 10.000 per redazione secondo normativa antisismica. Il primo giudice ha errato nel valutare i maggiori costi dell’opera, l’urgenza inesistente dei lavori;
inoltre, era del tutto pretestuoso il motivo relativo alla difficoltà a costruire su fascia di rispetto stradale. In sostanza, accettando l’accordo, il Comune avrebbe risparmiato rispetto ai costi dell’esproprio e il comportamento dell’amministrazione – che a sua volta aveva presentato una inaccettabile controproposta – è stato tenuto in violazione di regole di proporzionalità, ragionevolezza e buona fede.

Si è costituito il Comune appellato chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dell’appello e il suo rigetto perché infondato.

Alla udienza pubblica del 7 febbraio 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.L’appello è palesemente infondato e come tale da respingere.

La tesi di parte appellante, al fine di dimostrare la erroneità della pronuncia di inammissibilità del primo giudice, basata sulla violazione della regola della dimidiazione dei termini, applicabile a tutte le controversie aventi ad oggetto procedure espropriative, è che la rinuncia al motivo di ricorso riguardante gli atti di esproprio avrebbe fatto residuare quale oggetto del processo soltanto il capo di domanda relativo ad una assunta responsabilità precontrattuale, consistente da parte del Comune nel rifiuto immotivato ad accettare la proposta di un accordo sostitutivo del provvedimento, che sarebbe stato particolarmente favorevole per l’Amministrazione e gli interessi pubblici.

2.Senonchè, in senso contrario, va osservato che è pacifica, e tra l’altro sotto alcun profilo fattuale contestata, la violazione del termine dimidiato per l’impugnazione degli atti riguardanti il procedimento di esproprio, né la parte appellante contesta di avere impugnato inizialmente tali atti.

Vale il principio secondo cui in caso di tardivo deposito del ricorso in violazione dell'art. 23 bis, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, relativo alla dimidiazione dei termini processuali, l'errore commesso non è mai giustificabile, dopo che in argomento è intervenuta l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, non sussistendo più alcuna difficoltà interpretativa od oscillazione giurisprudenziale (Consiglio Stato , sez. IV, 24 aprile 2009 , n. 2638).

E’ pacifico altresì che la regola della dimidiazione dei termini processuali, che nella specie è stato violato, comprenda anche quello per il deposito del ricorso in appello (Consiglio Stato , sez. V, 17 febbraio 2004 , n. 609).

Il Collegio condivide il principio per cui la dimidiazione dei termini, prevista dal comma 2 dell'art. 23 bis l.Tar, con riguardo alle controversie rientranti tra quelle elencate nel comma 1 del medesimo articolo, deve ritenersi applicabile anche al termine per il deposito del ricorso dopo la notificazione del medesimo (Consiglio di Stato, a.plen., 18 marzo 2004, n. 5).

Né vale in senso contrario sostenere che la regola della dimidiazione dei termini, oggi consacrata dal secondo comma dell’art. 119 c.p.a., sarebbe tassativa, in quanto nell’ambito del suo perimetro di applicazione, tutti i termini sono ridotti alla metà, salvi quelli previsti per la proposizione (prima) e per la notificazione del ricorso, ai sensi del’attuale secondo comma su menzionato. Ne deriva che, in tal senso, se la regola della dimidiazione si applica soltanto alle fattispecie espressamente ricomprese dalla legge, nell’ambito del suo perimetro di applicazione essa però trova applicazione generalizzata e le eventuali eccezioni, come quelle per esempio oggi previste dal secondo comma dell’art. 119, debbono essere espressamente previste nella stessa normativa che richiami quel rito (così, Consiglio Stato , sez. IV, 26 novembre 2009 , n. 7446).

3.Non vale sostenere in contrario che il giudizio in esame avrebbe oggetto soltanto risarcitorio, a seguito della rinuncia ad un motivo di ricorso effettuata in prime cure, e ciò per due ordini di ragioni.

Infatti, se è vero che la dimidiazione dei termini processuali, di cui all'art. 23 bis, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, non è applicabile alle controversie che, sebbene conseguenti a una procedura di espropriazione, sottopongano alla cognizione del g.a. profili di stampo esclusivamente risarcitorio, è altrettanto vero che nella specie l’oggetto della controversia è nato come di stampo impugnatorio e quindi pienamente sottoponibile alle regole della dimidiazione perché non esclusivamente risarcitorio.

La dimidiazione dei termini processuali di cui all'art. 23-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, non è applicabile alle controversie che, sebbene conseguenti ad una procedura di espropriazione, sottopongano alla cognizione del giudice amministrativo profili di stampo esclusivamente risarcitorio;
viceversa il rito accelerato di cui alla citata disposizione normativa e la conseguente dimidiazione dei termini deve trovare piena applicazione in ogni caso in cui la domanda proposta in un giudizio rientrante tra quelli di cui al relativo comma 1 non sia meramente risarcitoria, ma riguardi (anche) l'annullamento di atti amministrativi (così, Cons.giust.amm. Sicilia, sez. giurisd., 20 novembre 2008 , n. 946).

4.Non può neanche sostenersi che la successiva rinuncia determini un mutamento del rito già instaurato in corso di causa, consentendo una tardiva tempestività di un ricorso oramai divenuto irricevibile, in quanto il determinarsi di una preclusione processuale, collegata allo scadere del termine per il deposito dell’appello, non risulta più sanabile. Inoltre, come si evince sia dal codice di procedura civile (artt. 306 e seguenti) sia dal c.p.a. (art.84), la rinuncia è fatto successivo rispetto alla introduzione del giudizio (come fattispecie che comprende sia la notificazione che il successivo deposito), sicchè essa non è in grado, successivamente, né di mutare l’oggetto del giudizio, oramai definito, né di mutare il rito, oramai determinato in funzione della natura non esclusivamente risarcitoria del medesimo, né di consentire la rimessione in termini rispetto a decadenze già verificatesi.

5. Per completezza, pur dovendosi confermare la pronuncia di inammissibilità del primo giudice, il Collegio osserva che, nel merito, è del tutto infondata la tesi di parte appellante di ritenere responsabile per responsabilità precontrattuale l’Amministrazione, colpevole di non avere accettato proposte tese a sostituire il procedimento ablatorio con accordi sostitutivi e quindi di avere “chiuso” le trattative tese a concludere una convezione urbanistica o un accordo sostitutivo.

Tale tesi non tiene in alcun conto la natura discrezionale delle scelte anche progettuali e pianificatorie, né controdeduce rispetto alla inattuabilità della proposta dei privati, al fatto che il Comune non era di certo vincolato ad acquisire la disponibilità dell’area sulla quale, secondo parte appellante, dovevano essere effettuati i parcheggi.

Infine, non può non osservarsi che la ragionevolezza o meno delle scelte del Comune – aspetto sul quale in vero l’appello non è in grado di sovvertire la pronuncia del primo giudice – non basterebbe in ogni caso a considerare provati tutti i requisiti per affermare la responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione, che stava agendo a mezzo di provvedimenti chiaramente autoritativi, senza alcun minima integrazione di possibilità di affidamenti incolpevoli, ingenerati nella sfera giuridica dei privati.

6.Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto.

La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza;
le spese sono liquidate in dispositivo.

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