Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-04-26, n. 202103343

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-04-26, n. 202103343
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202103343
Data del deposito : 26 aprile 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/04/2021

N. 03343/2021REG.PROV.COLL.

N. 04544/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4544 del 2014, proposto da
V G, rappresentata e difesa dagli avvocati A S e L S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Formia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati S A e D D R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima) n. 00971/2013, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Formia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il Cons. Francesco De Luca nell'udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2021, svoltasi ai sensi dell’art. 4, comma 1 del Decreto Legge n. 28 del 30 aprile 2020 e dell'art. 25 Decreto Legge n. 137 del 2020, conv. dalla L. n. 176 del 2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, la Sig.ra Gandolfi appella la sentenza n. 971 del 2013, con cui il Tr Lazio, Latina, ha rigettato il ricorso di primo grado proposto avverso il diniego di condono edilizio assunto dal Comune di Formia con determinazione n. 28 del 4.2.2005.

In particolare, secondo quanto dedotto dall’appellante:

- con istanza n. 12093 del 29.3.1986 il Sig. Orlandi, in qualità di comproprietario, ha chiesto, ai sensi della L. n. 47 del 1985, il condono edilizio in relazione ad opere abusive realizzate in Formia in loc. Gianola, via del Torrione;

- i beni oggetto di condono sono stati acquistati in data 2.5.1988 dai Sig.ri P e Salvia, i quali in data 16.2.1989 hanno presentato al Comune di Formia, in aggiunta alla domanda di condono edilizio presentata dal dante causa, gli elaborati grafici, la relazione tecnica ed altri documenti, tra cui la ricevuta dell’avvenuto accatastamento presso l’U.T.E. di Latina;

- il Comune di Formia con nota n. 1374/17460 del 16.5.1997 ha comunicato al Sig. P l’avvio del procedimento per il rigetto della domanda di concessione edilizia in sanatoria del 29.3.1986 cit.;

- il Sig. P, stante la sopravvenuta promulgazione della L. n. 724 del 1999, ha chiesto all’Amministrazione comunale con nota prot. n. 17084 del 18.5.1998 e con nota n. 1715 del 20.1.1999 un nuovo esame della pratica alla luce della nuova disciplina sul condono edilizio di cui alla L. n. 724 del 1994;
tale richiesta è stata ribadita con note n. 4473 e 5338 del 2003;

- con atto del 4.2.2005 l’odierna appellante ha acquistato il fabbricato interessato dalla domanda di condono;

- il Comune di Formia con provvedimento n. 28 del 4.2.2005 ha rigettato la domanda di condono, ritenendo che le opere fossero state, in parte, realizzate successivamente all’1.10.1983;

- l’odierna appellante ha impugnato il provvedimento di diniego dinnanzi al Tr Lazio Latina, deducendone la “ violazione e falsa applicazione dell’art. 39, commi 1 e segg., della Legge 724 del 23/12/1994 e dell’art. 10 del D.L. 31.12.1996, n. 669, con. con mod. dalla L. 18.2.1997, n. 30 – Violazione e falsa applicazione degli art. 3 e 10 della legge 241 del 1990 – Eccesso di potere per erroneità ed inesistenza dei presupposti – Difetto di motivazione ”;

- il Tr ha rigettato il ricorso.

2. In particolare, alla stregua di quanto emergente dalla sentenza di prime cure, il Tr ha rigettato il ricorso, rilevando che sulla questione oggetto di giudizio si era espressa la Corte Costituzionale, con l'ordinanza n. 174 del 10 maggio 2002, che aveva dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 38, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dallo stesso Tribunale amministrativo in fattispecie del tutto analoga, in quanto basata, innanzitutto, sull'implicito ed erroneo presupposto che la domanda di condono edilizio ex art. 39 della legge n. 724/94 potesse essere presentata solo dopo la definizione di precedente e pendente domanda di condono ex artt. 31 e seguenti della legge 28 febbraio 1985, n. 47.

3. La ricorrente in primo grado ha appellato la sentenza formulando un unico motivo di appello e riproponendo un motivo di ricorso ritenuto non esaminato dal Tr.

4. Il Comune appellato si è costituito in giudizio in data 21.8.2014, resistendo all’appello. La medesima Amministrazione ha insistito nelle proprie conclusioni con memoria dell’11.1.2021, chiedendo la decisione della controversia con note del 10.2.2021.

5. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza dell’11 febbraio 2021.

6. Con un unico articolato motivo di impugnazione (rubricato “ Error in iudicando - Violazione ed errata applicazione dell'art. 39, commi 1e segg. e del comma 10-bis della L. 724 del 23.12.1994 e dell'art. 2, comma 38 della L. 23.12.1996 n. 662 - Travisamento dei fatti ”) è censurata la sentenza di prime cure, per avere escluso l’applicabilità nella specie del regime legale dettato dalla L. n. 724 del 1994, nonostante il dante causa dell’odierna appellante avesse presentato apposita istanza di rideterminazione ex artt. 39, comma 10 bis L. n. 724 del 1994 e 2, comma 38, L. n. 662 del 1996, che il Comune intimato avrebbe dovuto esaminare al fine di decidere la domanda di condono.

In particolare, secondo la prospettazione della parte appellante, premesso che le istanze di condono edilizio e di rideterminazione ex art. 39, comma 10 bis, L. n. 724 del 1994 erano state presentate dai propri danti causa - avendo la Sig.ra Gandolfi proposto il ricorso di prime cure nella sola qualità di nuova proprietaria del bene de quo – il Tr avrebbe erroneamente interpretato la sentenza della Corte costituzionale posta a base della decisione di prime cure, facendosi questione di precedente asseritamente non afferente alla fattispecie in esame, connotata dalla presentazione di una richiesta di rideterminazione in epoca anteriore al rigetto della domanda di condono ex L. n. 47/85.

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 39, comma 10 bis, L. n. 724/94 e 10 d.l. n. 669/96 conv. in L. n. 30/97, la necessità di rispettare il termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della L. n. 662/96, ai fini della presentazione dell’istanza di rideterminazione ex art. 39 L. n. 724/94, avrebbe dovuto operare nel solo caso in cui preesistesse un provvedimento di diniego della domanda di condono, seppure non notificato o notificato successivamente all’entrata in vigore della L. n. 662/96.

Di contro, “ qualora, come nella fattispecie, non sia stato adottato alcun provvedimento di rigetto, con la conseguenza che non può neppure parlarsi di mancanza di notificazione dello stesso, l'interessato può sempre richiedere di rideterminare, ai sensi del comma 10 bis citato, o più precisamente di esaminare la domanda di condono edilizio, presentata in base alla legge n. 47 del 1983 ,secondo le sopravvenute disposizioni dell'art. 39 della Legge n. 724del 1994 ” (pag. 12 appello).

Pertanto, posto che nel caso in esame, in assenza di un previo diniego di condono, il dante causa dell’appellante, con nota del 12.5.1998, acquisita al protocollo comunale al n. 17084 del 18.5.1998, aveva chiesto di definire la domanda di condono edilizio n. 12093 del 29.3.1986 sulla base delle sopravvenute disposizioni contenute nell’art. 39 L. n. 724/1994, il Comune avrebbe dovuto provvedere conformemente alla richiesta di parte.

Difatti, con la L. n. 724 del 1994 non si sarebbe introdotto un nuovo, autonomo e diverso condono edilizio, ma soltanto si sarebbe prorogato il pregresso regime giuridico dettato dalla L. n. 47 del 1985;
ragion per cui il Comune procedente avrebbe dovuto esaminare la domanda di condono originariamente presentata, tenendo conto dello jus superveniens e, in specie, per quanto più di interesse ai fini del presente giudizio, del nuovo termine di ultimazione delle opere previsto dalla L. n. 724 del 1994 (31.12.1993).

Per l’effetto, avrebbe dovuto ravvisarsi illegittimità di un diniego, quale quello impugnato in prime cure, motivato sulla base dell’ultimazione delle opere successivamente ad un termine (1.10.1983) previsto da una normativa (L. n. 47 del 1985) non operante ai fini della decisione della domanda di condono.

Il motivo di appello, per ragioni di connessione oggettiva, deve essere esaminato congiuntamente al motivo di ricorso riproposto nella presente sede processuale e riferito alla “ violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 10 della legge 241 del 1990 – Difetto di motivazione ”.

Secondo quanto censurato dal ricorrente, il Comune non avrebbe preso in considerazione le note nn. 17084 del 18.5.1998 e 1715 del 20.1.1999, con cui il Sig. P aveva chiesto di esaminare la domanda di condono edilizio in base alle disposizioni di cui alla legge 724 del 1994, nonostante si trattasse di note presentate in riscontro al preavviso di rigetto comunicato dall’Amministrazione, come tali da esaminare ai fini della motivazione della decisione finale.

7. L’appello è infondato.

8. Diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, le coordinate ermeneutiche tracciate dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 174 del 2002 risultano rilevanti ai fini della soluzione dell’odierna vertenza, consentendo di evidenziare come il regime giuridico sopravvenuto, dettato dalla L. n. 724 del 1994, non potesse trovare applicazione automatica alle domande di condono presentate ai sensi della L. n. 47 del 1985, occorrendo a tali fini che la parte interessata avanzasse una tempestiva richiesta di rideterminazione all’Amministrazione procedente, nel rispetto di un preciso termine di decadenza all’uopo fissato dal legislatore (sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della L. n. 662/96).

In particolare, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 38, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, considerato:

che la questione è manifestamente infondata in quanto è basata, innanzitutto, sull'implicito ed erroneo presupposto che la domanda di condono edilizio ex art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 possa essere presentata solo dopo la definizione di precedente e pendente domanda di condono ex artt. 31 e seguenti della legge 28 febbraio 1985, n. 47;

che la richiesta di condono-sanatoria edilizio, sia in base alla legge n. 47 del 1985, sia alla successiva legge n. 724 del 1994, può rinvenire la propria giustificazione anche in un semplice interesse alla regolarizzazione o alla certezza dei rapporti da parte di chiunque sia interessato al conseguimento della sanatoria, indipendentemente dalla presenza o dalla possibilità di avere un diverso titolo abilitativo dell'opera, anche per escludere rischi di procedimenti in corso o futuri;

che, inoltre, il condono ex legge n. 724 del 1994 (da valutarsi in connessione indissolubile con le altre disposizioni dettate, in epoca immediatamente successiva, in materia di sanatoria edilizia) introduce nuovi ed ulteriori limiti, obblighi, restrizioni soggettive ed oggettive e differenti presupposti, comportanti la riapertura dei termini, riferiti soprattutto allo spostamento in avanti del limite temporale dell'abuso commesso, esteso anche al periodo successivo al 1° ottobre 1983 fino al 31 dicembre 1993 (v. sentenze n. 416 del 1995;
n. 427 del 1995);

che, pertanto, proprio per evitare rischi connessi alle difficoltà di fornire la prova che la costruzione fosse stata ultimata entro la data del 1° ottobre 1983 (requisito tassativo per il condono della legge n. 47 del 1985), ben sussisteva un interesse del soggetto che aveva posto in essere l'illecito ad avvalersi della nuova procedura, che allargava il limite temporale dell'abuso entro il termine previsto, a pena di decadenza, del 31 dicembre 1993;

che il legislatore del 1996, per sciogliere i dubbi che potevano sorgere al riguardo e all'evidente scopo di dare un'altra possibilità di sanatoria (accompagnata da aumento di entrate che si volevano tempestive, per esigenze anche finanziarie di bilancio), ha concesso un'ulteriore indifferenziata facoltà, consentendo - per le domande di concessione in sanatoria presentate entro i termini del precedente condono - di chiederne la rideterminazione, ove l'abuso risultasse sanabile a norma delle sopravvenute disposizioni;

che, in tal modo, si accordava a tutti gli interessati la possibilità di superare il nuovo termine per la definizione agevolata delle violazioni edilizie, previsto dall'art. 39, comma 4, della legge n. 724 del 1994, mediante l'aggiunta del comma 10-bis nel medesimo art. 39 (introdotto con l'art. 2, comma 37, della legge 23 dicembre 1996, n. 662);

che, tuttavia, il beneficio della sanatoria è stato accompagnato da una precisa - e non irragionevole - volontà di circoscrivere ulteriormente il termine decadenziale della domanda di concessione in sanatoria "entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore" della legge (art. 2, comma 38, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), con una immediata integrazione (art. 10, comma 5-bis, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 recante "Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l'anno 1997", modificato dalla legge di conversione 28 febbraio 1997, n. 30) con la quale si è stabilito che il termine di sessanta giorni per presentare, a pena di decadenza, la domanda di rideterminazione sulla base delle nuove norme, era indipendente dalla notifica del provvedimento di diniego ex legge n. 47 del 1985, decorrendo dalla entrata in vigore della suddetta legge;

che dai lavori parlamentari (rapportando il subemendamento approvato con le soluzioni diverse e non convergenti presentate e non approvate) emerge la precisa e ragionevole volontà di "impedire una specie di perpetuazione e di inopportuna iterazione dei processi di condono, che hanno un senso solo se appunto hanno anche un termine" (Atti Senato, Assemblea, 6 febbraio 1997), termine indifferenziato proprio per le finalità del condono-sanatoria;

che dal complesso del quadro normativo anzidetto è evidente l'intento del legislatore di porre in atto una risistemazione della materia del governo del territorio, idonea ad impedire il ripetersi del fenomeno dell'abusivismo edilizio attraverso la sua repressione (sentenza n. 427 del 1995), nonché di stabilire termini rigorosi per consentire la sanatoria, ed evitare la protrazione di situazioni incerte, con il pericolo di ulteriori abusi;

che, pertanto, risulta la manifesta infondatezza della questione, non solo sotto il profilo dell'art. 3 della Costituzione, ma anche con riguardo all'art. 97 della Costituzione, in quanto proprio il buon andamento della pubblica amministrazione e la primaria esigenza di misure effettive contro il perpetuarsi di abusi e il protrarsi della facoltà di sanatorie (certamente non ulteriormente reiterabili sotto il profilo costituzionale) giustificavano la scelta di un termine assoluto ed indifferenziato, riferito all'entrata in vigore della disposizione censurata ”.

9. Alla stregua di tali considerazioni, cui il Collegio intende conformarsi, anche al fine di assicurare un’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina primaria in commento, deve ritenersi, in primo luogo, che il regime giuridico dettato dalla L. n. 724 del 1994 non potesse trovare applicazione automaticamente - a prescindere da un’istanza di parte - in relazione alle domande di condono già presentate ai sensi della L. n. 47 del 1985, essendosi in presenza di discipline tra loro differenti e concorrenti.

In particolare, l’art. 39, comma 1, L. n. 724 del 1994, sebbene abbia operato un rinvio ai capi IV e V della L. n. 47 del 1985 ai fini della definizione agevolata delle violazioni edilizie, non si è limitato a prorogare (come infondatamente sostenuto dall’appellante) la pregressa disciplina condonistica, bensì ha apportato talune modificazioni applicabili soltanto alle istanze presentate ai sensi dell’art. 39 L. n. 724 del 1994: come osservato dalla Corte costituzionale, “ il condono ex legge n. 724 del 1994 (da valutarsi in connessione indissolubile con le altre disposizioni dettate, in epoca immediatamente successiva, in materia di sanatoria edilizia) introduce nuovi ed ulteriori limiti, obblighi, restrizioni soggettive ed oggettive e differenti presupposti, comportanti la riapertura dei termini, riferiti soprattutto allo spostamento in avanti del limite temporale dell'abuso commesso, esteso anche al periodo successivo al 1° ottobre 1983 fino al 31 dicembre 1993 (v. sentenze n. 416 del 1995;
n. 427 del 1995)
”.

Pertanto, una volta sopravvenuta la disciplina dettata dall’art. 39 L. n. 304 del 1994, anche coloro, che avessero presentato una domanda di condono ai sensi della previgente disciplina ex L. n. 47 del 1985, avrebbero potuto avanzare una seconda ed autonoma domanda di condono, in applicazione delle nuove disposizioni primarie, senza che una tale iniziativa potesse determinare la rinuncia o comunque l’improcedibilità della precedente domanda, che avrebbe, pertanto, dovuto, in ogni caso, essere esaminata dal Comune procedente;
ben potendo concludersi entrami i procedimenti positivamente, con il rilascio di due concorrenti titoli di sanatoria idonei a legittimare le opere abusivamente realizzate.

A tali fini, per permettere al Comune di valutare le opere de quibus anche in applicazione dello jus superveniens , la seconda domanda di condono, ai sensi di quanto previsto dall’art. 39, comma 4, L. n. 304 del 1994, avrebbe dovuto essere presentata al comune competente, a pena di decadenza, entro il 31 marzo 1995.

Come pure statuito dalla Sezione, dunque, non vi era alcun automatismo tale per cui l’omessa risposta all’istanza di condono presentata ai sensi della L. n. 47 del 1985 determinasse la sua automatica conversione nella domanda prevista dalla l. 724/1994 (Consiglio di Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5442), dovendo il Comune, in assenza di una diversa istanza, delibare la domanda di condono alla stregua della disciplina positiva sulla cui base la stessa era stata presentata.

Ne deriva, dunque, in primo luogo, l’impossibilità di censurare l’illegittimità del diniego di condono impugnato in prime cure, per non avere il Comune di Formia comunque applicato la più favorevole disciplina dettata dalla L. n. 724 del 1994.

In assenza di una domanda tempestivamente avanzata entro il 31.3.1995, il Comune odierno appellato non avrebbe potuto applicare la sopravvenuta disciplina ex art. 39 L n. 724 del 1994, dovendo definire il procedimento ai sensi della L. n. 47 del 1985, sulla cui base era stata presentata l’istanza di condono n. 12093 del 1986 per cui è controversia.

10. Ciò premesso, l’appello risulta infondato, tendendo erroneamente a dedurre l’assenza di un termine perentorio per la presentazione dell’istanza di rideterminazione ex art. 2, comma 37, lett. g), L. 23 dicembre 1996, n. 662.

Al fine di accordare un ulteriore beneficio a sanatoria delle opere edili, il legislatore del 1996, prendendo in considerazione la posizione degli istanti che, avendo presentato una domanda di condono ai sensi della L. n. 47 del 1985, avevano preferito attendere la conclusione del relativo procedimento senza avanzare una seconda domanda ai sensi della L. n. 724 del 1994, ha previsto la possibilità di chiedere una rideterminazione dell’originaria domanda di condono (presentata ai sensi della L. n. 47 del 1985) sulla base delle (eventualmente) più favorevoli previsioni di cui all’art. 39 L. n. 724 del 1994.

In particolare, l'art. 2, comma 37, lett. g), L. 23 dicembre 1996, n. 662 ha aggiunto il comma 10 bis all’art. 39 L. n. 724 del 1994, prevedendo che: “ Per le domande di concessione o autorizzazione in sanatoria presentate entro il 30 giugno 1987 sulle quali il sindaco abbia espresso provvedimento di diniego successivamente al 31 marzo 1995, sanabili a norma del presente articolo, gli interessati possono chiederne la rideterminazione sulla base delle disposizioni della presente legge ”.

L’art. 2, comma 38, L. 23 dicembre 1996, n. 662, contestualmente, ha previsto che “ la domanda di cui al comma 10-bis dell'art. 39 della citata legge n. 724 del 1994, introdotto dal comma 37, lettera g), del presente articolo, deve essere presentata entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge ”;
all’esito delle modifiche apportate dall’art. 10, D.L. 31 dicembre 1996, n. 669 conv. dalla L.. 28 febbraio 1997, n. 30, al periodo citato sono state aggiunte le parole “ anche qualora la notifica del provvedimento di diniego intervenga successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge ”.

L’aggiunta operata dall’art. 10, D.L. 31 dicembre 1996, n. 669 conv. dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30, pertanto, diversamente da quanto ritenuto dall’appellante, non ha inteso restringere la portata applicativa del termine di sessanta giorni previsto dall’originaria formulazione dell’art. 2, comma 38, L. 23 dicembre 1996, n. 662, bensì ha inteso estendere l’applicazione della sanatoria di cui alla L. n. 724 del 1994 anche ai procedimenti di condono non ancora conclusi con provvedimento di diniego notificato all’istante.

Difatti, il combinato disposto dei commi 37, lett. g) e 38 L. 23 dicembre 1996, n. 662, nella formulazione originaria, prevedeva la possibilità di avvalersi eccezionalmente del regime dettato dall’art. 39 L. n. 724 del 1994 - nonostante fosse decorso il termine del 31 marzo 1995 per la presentazione della relativa istanza - nei soli confronti di coloro che avessero ricevuto un diniego di condono motivato sulla base della L. n. 47 del 1985 e che avessero presentato un’istanza di rideterminazione del diniego entro il termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della L. n. 662 del 1996.

Con le aggiunte apportate dall’art. 10, D.L. 31 dicembre 1996, n. 669 conv. dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30 è stata estesa una tale facoltà anche in favore di coloro che non avessero ricevuto la notificazione del provvedimento di diniego, in tale modo abilitandoli a presentare un’istanza di rideterminazione avente ad oggetto (più che un provvedimento negativo ancora non notificato e, dunque, non legalmente conosciuto dal destinatario) la stessa domanda di condono originariamente presentata, al fine di consentirne una decisione alla stregua della sopravvenuta disciplina ex L. n. 724 del 1994;
a condizione, tuttavia, che anche in tale ipotesi fosse rispettato il termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della L. n. 662 del 1996, rimasto immutato all’esito dell’integrazione apportata con D.L. n. 669 del 1996 cit.

Ne deriva che era sì possibile per coloro, che avessero presentato una domanda di condono ai sensi della L. n. 47 del 1985, chiedere una decisione sull’istanza in applicazione della sopravvenuta L. n. 724 del 1994, ma a condizione che la richiesta di rideterminazione sulla base dello jus superveniens fosse presentata tempestivamente, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della L. n. 662 del 1996.

L’interpretazione proposta dall’appellante, in forza della quale, per i procedimenti di condono non ancora giunti alla fase decisoria con l’adozione del provvedimento di diniego, l’interessato potesse presentare un’istanza di rideterminazione sine die , non operando il termine decadenziale di sessanta giorni dall’entrata in vigore della L. n. 662 del 1996, non trova alcuna corrispondenza nel dato positivo, che limita la possibilità di chiedere la rideterminazione de qua al rispetto di uno specifico termine decadenziale, nonché confligge manifestamente con la ratio sottesa alla disciplina condonistica, occorrendo " impedire una specie di perpetuazione e di inopportuna iterazione dei processi di condono, che hanno un senso solo se appunto hanno anche un termine" (Atti Senato, Assemblea, 6 febbraio 1997), termine indifferenziato proprio per le finalità del condono-sanatoria ” (Corte costituzionale, ord. n. 174 del 2002 cit.).

Né potrebbe ritenersi che il termine di sessanta giorni in parola non fosse prescritto a pena di decadenza, tenuto conto che la normativa sul condono edilizio è caratterizzata dalla specialità, avendo natura derogatoria ed eccezionale, con conseguente necessità di procedere ad una lettura di stretta interpretazione (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., n. 20/1999).

Pertanto, è possibile ottenere una deroga al rispetto delle norme di disciplina dell'assetto del territorio nel solo caso in cui, entro un arco temporale definito, si realizzino tutte le condizioni rigorosamente prescritte dalla legge: diversamente opinando, se si consentisse, in assenza di norma specifica di autorizzazione, la dilazione dei termini di presentazione delle istanze, si violerebbero i valori sottesi alla programmazione del territorio, tenuto conto che “ proprio il buon andamento della pubblica amministrazione e la primaria esigenza di misure effettive contro il perpetuarsi di abusi e il protrarsi della facoltà di sanatorie (certamente non ulteriormente reiterabili sotto il profilo costituzionale) giustificavano la scelta di un termine assoluto ed indifferenziato, riferito all'entrata in vigore della disposizione censurata ” (Corte costituzionale, ord. n. 174 del 2002 cit.).

Alla stregua delle considerazioni svolte, merita conferma la sentenza appellata.

Come ammesso in sede di appello, la prima istanza di rideterminazione è stata presentata con note. 17084 del 18.5.1998 e n. 1715 del 20.1.1999 dal Sig. P, pertanto una volta decorso il termine prescritto a pena di decadenza dall’art. 2, comma 38, L. 23 dicembre 1996, n. 662;
il che impediva al Comune di definire il procedimento di condono in applicazione della sopravvenuta L. n. 724 del 1994.

Ne deriva che, dovendo trovare applicazione nella specie le previsioni di cui alla L. n. 47 del 1985, che ammettevano la condonabilità delle sole opere ultimate entro la data dell’1.10.1983, il Comune ha legittimamente rigettato la domanda di sanatoria, riscontrando la presenza di opere ultimate oltre tale termine perentorio.

11. Infine, non risulta meritevole di accoglimento neanche il motivo di ricorso riproposto in grado di appello, incentrato su un’asserita carenza motivazionale del diniego di condono.

Si premette che, in ragione dell’effetto devolutivo dell’atto di appello e della tassatività delle fattispecie di rimessione della causa al primo giudice ex art. 105 c.p.c., il vizio di omessa pronuncia non è idoneo a determinare l’annullamento della sentenza con rinvio al Tr (non configurando una fattispecie di violazione del diritto di difesa della parte), bensì impone di decidere in sede di gravame le censure asseritamente non esaminate in primo grado.

Al riguardo, si osserva che il diniego di sanatoria, implicando una verifica di carattere vincolato, deve indicare le disposizioni di legge o di carattere urbanistico da cui derivi la inedificabilità, in modo da consentire all'interessato di rendersi conto degli impedimenti che si frappongono alla regolarizzazione e al mantenimento dell'opera abusiva e di confutare in giudizio, in maniera pienamente consapevole ed esaustiva, la legittimità del provvedimento impugnato (Consiglio di Stato Sez. II, 6 marzo 2020, n. 1643);
il che si è verificato nella specie, avendo il Comune rappresentato l’insussistenza dei presupposti per accogliere la richiesta di rideterminazione.

In particolare, secondo quanto emerge dall’ordinanza n. 28 del 2005 censurata in prime cure, il Comune ha espressamente evidenziato che “ in merito alla richiesta di rideterminazione, si controdeduce che, “Il fatto che l’Ufficio Condono non abbia ancora emesso un provvedimento di rigetto di condono, ma solo avviato il procedimento, non è ostativo alla presentazione dell’istanza ai sensi dell’art. 39, comma 10 bis;
è ostativo l’avvenuto decorso del termine di sessanta giorni fissato dall’art. 38 della Legge 23.12.1996, n. 662
”.

Pertanto, posto che le note n. 17084 del 18.5.1998 e 1715 del 20.1.1999, asseritamente non esaminate dal Comune, erano volte proprio a chiedere la rideterminazione alla stregua della sopravvenuta disciplina legislativa ex L. n. 724 del 1994, emerge che il Comune ha espressamente preso posizione su detta richiesta, evidenziando (correttamente) le ragioni ostative al suo accoglimento, date dalla decorrenza del termine di sessanta giorni fissato “ dall’art. 38 della Legge 23.12.1996, n. 662 ” ( rectius , dal comma 38 dell’art. 2 della Legge 23.12.1996, n. 662, essendo il riferimento all’art. 38 il frutto di un errore materiale, tale da non influire sulla corretta manifestazione della volontà dispositiva dell’Amministrazione –e, quindi, sulla legittimità dell’atto provvedimentale – chiaramente volta a contestare correttamente la tardività della richiesta di determinazione all’uopo presentata dalla parte privata).

Ne deriva che alcun difetto motivazionale può essere fondatamente contestato, essendo stato posto il destinatario in condizione di apprendere le ragioni del diniego - anche in relazione all’inidoneità delle note n. 17084 del 18.5.1998 e 1715 del 20.1.1999 a condurre ad una decisione amministrativa di segno contrario -, pure ai fini di una loro confutazione in giudizio, come avvenuto nella specie.

12. La particolarità della controversia esaminata giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del grado di appello.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi