Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-11-09, n. 202006848

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-11-09, n. 202006848
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202006848
Data del deposito : 9 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/11/2020

N. 06848/2020REG.PROV.COLL.

N. 02128/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 2128 del 2010, proposto dal
Comune di Lecce, in persona del Sindaco pro-tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati L A ed E C, con domicilio eletto presso l’avvocato F B in Roma, via Flaminia, 56;

contro

R Q, A M S, P P, A R, A T, P F, C B, G C, rappresentati e difesi dall'avvocato V P, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso Rinascimento, 11;

nei confronti

C M, M Mazzotta, G T, Lupiae Servizi S.p.A. non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Puglia, Sezione staccata di Lecce, Sezione I n. 622/2010, resa tra le parti, concernente nomina dei componenti del consiglio di amministrazione del consiglio sindacale della Lupiae Servizi s.p.a.;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di R Q, A M S, P P, A R, A T, P F, C B e di G C;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2020 il Cons. R P e uditi per le parti gli avvocati Pecorilla su delega di Astuto, Pellegrino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il 23 marzo 2009 il Comune di Lecce aveva bandito avviso pubblico per la nomina, rispettivamente, di tre membri del Consiglio di Amministrazione e dei cinque componenti (di cui due supplenti) del Collegio Sindacale della società a totale partecipazione pubblica “Lupiae Servizi”.

Era seguita la valutazione delle domande pervenute, delle quali in prima istanza ne erano state ritenute idonee trentotto candidature, di cui due donne, per il consiglio di amministrazione e trentanove, di cui due donne, per il collegio sindacale e quindi erano poi stati nominati i componenti di tali organismi, tutto di sesso maschile.

Le nomine venivano impugnate dinanzi al Tribunale ammnistrativo di Lecce da R Q, A M S, P P, A R, A T, P F, C B e G C, nella qualità di consiglieri comunali, i quali sostenevano la violazione del principio delle pari opportunità tra uomo e donna di cui all’art. 51 Cost., dell’art. 6 del decreto legislativo n. 267 del 2000, nonché degli artt. 2, 69 e 109 dello statuto comunale, nonché difetto di motivazione ed eccesso di potere per contraddittorietà dell’azione amministrativa.

Si costituivano in giudizio il Comune di Lecce, nonché C M, M Mazzotta e G T, come controinteressati in quanto nominati negli organi predetti.

Gli intimati, oltre al rigetto del ricorso per infondatezza, ne eccepivano l’inammissibilità per difetto di giurisdizione, per difetto di legittimazione a ricorrere, per mancata impugnazione della precedente deliberazione n. 25 del 22 aprile 2004 recante direttive da rispettare per le nomine, per mancata impugnazione della delibera assembleare 30 giugno 2009 recante la nomina propriamente detta.

Con la sentenza 24 febbraio 2010 n. 622, veniva dapprima ritenuta infondata la questione di giurisdizione, poiché a parere del giudice di primo grado, le controversie relative agli atti di nomina dei rappresentanti dell'Ente locale in seno agli organi di gestione di una società a partecipazione pubblica rientravano nella giurisdizione del giudice amministrativo, dovendosi tale società considerare parte integrante dell'amministrazione controllante, quale suo prolungamento organizzativo.

Era altresì infondata l’ulteriore eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione ad agire in capo ai ricorrenti consiglieri comunali.

Il consigliere comunale era legittimato a impugnare gli atti dell'ente presso il quale svolge il suo " munus publicum ", sia perché, una volta venuto meno il controllo preventivo di legittimità, ciò consentiva una estensione del sindacato sugli atti amministrativi, sia in quanto nell’interesse alla legalità, sia per l’interesse morale a ricorrere per la tutela dell'immagine della propria amministrazione.

Il giudice di primo grado superava poi l’eccezione di inammissibilità per mancata impugnazione della deliberazione n. 25 del 2004, contenente indirizzi applicativi circa le modalità di nomina dei membri degli organismi societari, sia l’eccezione concernente la mancata impugnazione della delibera dell’assemblea della società in data 30 giugno 2009, di presa d’atto della nomina dei suddetti soggetti anche ai fini della corresponsione dei relativi compensi.

Tale delibera non aggiungeva alcunché in termini di effetti costitutivi e di lesività, dato che tali effetti erano stati già posti in essere dai due decreti del Sindaco, titolare del potere di nomina.

Nel merito, a parere del giudice di primo grado, il ricorso era fondato e ciò in virtù che in ogni caso il rispetto del principio di pari opportunità tra uomo e donna, enunciato dall'art. 51 Cost., e, relativamente agli enti locali, dall'art. 6 comma 3 d.lgs. n. 267 del 2000, era immediatamente precettivo, indipendentemente dall’intervenuta adozione di modifiche statutarie o di atti generali, in mancanza dei quali deve essere comunque attuato caso per caso.

La nuova disposizione apportata dalla legge costituzionale del 2003 rappresentava non tanto una “modifica” quanto, piuttosto, una vera e propria “attuazione” del dettato di cui all’art. 51 Cost., a sua volta specificazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.

Si osservava che la specificazione introdotta nell’art. 51 della Costituzione dalla legge costituzionale del 2003, nell’affidare alla “Repubblica” la promozione del principio delle pari opportunità, andava letto alla stregua del seguente art. 114, dunque tutti gli enti territoriali, compresi comuni e province, erano tenuti alla realizzazione dell’obiettivo indicato dalla norma;
il termine “appositi provvedimenti” si riferiva non solo ad atti legislativi ma anche a regolamenti ed atti amministrativi e ciò per dare all’attuazione del principio un campo d’azione articolato nelle fonti e nei soggetti che pongono in essere il ridetto principio;
l’accesso anche ai “pubblici uffici” oltre che alle cariche pubbliche implicava sia le ammissioni tramite pubblici concorsi, sia quelle che avvengono mediante “nomina” come nel caso di specie. E nei “pubblici uffici”, ci si doveva riferire a tutti i soggetti dell’ordinamento al di là della veste formale, quindi assimilabili sulla base delle funzioni esercitate e degli interessi perseguiti ad una pubblica amministrazione in senso sostanziale, appunto il caso di specie, nella sostanza ente strumentale del Comune.

Coerente con tale impostazione era l'art. 2 dello statuto del Comune di Lecce nel prevede l’obbligo del Comune ad adottare le misure necessarie nelle materie di competenza, assicurando in ogni caso la parità e la pari opportunità tra i due sessi: il principio in questione doveva trovare applicazione anche in relazione alle nomine concernenti gli enti strumentali del Comune, ivi comprese le società da esso partecipate che possiedono le medesime caratteristiche di quella di specie.

Né l'art. 6 comma 3, t.u.e.l., anche alla luce del novellato art. 51 Cost., poteva avere carattere meramente sollecitatorio, alla stregua di "mera raccomandazione liberamente disattendibile": si trattava di regola giuridicamente rilevante immediatamente recepibile dalle norme comunali anche in assenza di una revisione statutaria e ciò trovava conferma anche nella nuova formulazione di cui all’art. 1, comma 4, del decreto legislativo n. 198 del 2006 (Codice delle pari opportunità), come modificato sul punto ad opera dell’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 5 del 2010: tale disposizione prevede infatti che “l’obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere tenuto presente nella formulazione e attuazione, a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori, di leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività”, con l’esclusione di qualsiasi carattere di norma programmatica.

Perciò il Sindaco di Lecce, nell’ambito delle nomine di cui si controverteva, avrebbe comunque dovuto tenere conto del principio delle pari opportunità, eventualmente riservando una aliquota dei membri da nominare al sesso generalmente sottorappresentato, ossia quello femminile.

Per cui il ricorso andava accolto.

Con appello in Consiglio di Stato notificato il 9 marzo 2010 il Comune di Lecce impugnava la sentenza in questione e con il primo motivo contestava l’esercizio della giurisdizione del giudice amministrativo laddove sussisteva quella dell’a.g.o., trattandosi dell’utilizzo di strumenti privatistici, con il secondo motivo sosteneva l’insussistenza della legittimazione dei consiglieri comunali a censurare la legittimità dell’esercizio del potere da parte di altri organi comunali solo in forza del proprio munus , con il terzo motivo si lamentava la mancata impugnazione della delibera consiliare n. 24/2004 contenente gli indirizzi applicativi per le nomine dei componenti gli organismi societari anche in dipendenza di un’inammissibile automatica integrazione dello statuto comunale, con il quarto motivo criticava le scelte di merito del primo giudice, il quale non aveva riconosciuto l’alta discrezionalità del Sindaco nello scegliere i soggetti di cui in controversia, scelta tipicamente fiduciaria non tenuta all’assoluto rispetto di una norma finalistica non riguardante schemi che non sono eminentemente pubblicistici ed in cui non rientrano soggetti che non sono “pubblici uffici”.

Il Comune concludeva per l’accoglimento dell’appello con vittoria di spese e per l’illegittimità dell’ordine contenuto nella stessa sentenza, di nominare parte del consiglio di amministrazione della Lupiae Servizi di genere femminile.

Gli appellati si sono costituiti in giudizio, sostenendo l’improcedibilità dell’appello e la sua infondatezza.

All’udienza del 29 ottobre 2020 la causa è passata in decisione.

La prima censura sul difetto di giurisdizione del giudice amministrativo è fondata.

Le SS.UU. della Corte di cassazione hanno dettato un punto tuttora fermo in materia con la sentenza 15 aprile 2005 n. 7799.

La controversia relativa alla nomina o alla revoca degli amministratori di una società che gestisce un servizio pubblico attenendo a rapporti che non sono pertinenti alla sua gestione e che non sono strumentali all’erogazione delle prestazioni, non è ricompresa nella giurisdizione esclusiva di cui all'art. 33 d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80.

La facoltà attribuita all’ente pubblico dall'art. 2458 c.c. di revoca degli amministratori della società da esso partecipata è quindi sostitutiva della generale competenza dell’assemblea ordinaria, e pertanto tale deve essere qualificata come potestà di diritto privato: ora, avendo la situazione giuridica coinvolta natura di diritto soggettivo, ne deriva l’esclusione della giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo.

La società per azioni con partecipazione pubblica non muta in ogni caso la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché il Comune ne possegga, in tutto o in parte, le azioni: il rapporto tra società ed ente locale è di assoluta autonomia, non essendo consentito al Comune di incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società per azioni mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società. Ne consegue che rientra nella giurisdizione del g.o. la controversia avente ad oggetto la domanda di annullamento di provvedimenti comunali di non approvazione del bilancio e conseguente revoca degli amministratori di società per azioni di cui il Comune sia unico socio, costituendo gli atti impugnati espressione non di potestà amministrativa ma dei poteri conferiti al Comune dagli art. 2383, 2458 e 2459 c.c., nella specie trasfusi nello statuto della società per azioni, e quindi manifestazione di una volontà essenzialmente privatistica, cosicché la posizione soggettiva degli amministratori revocati - che non svolgono, né esercitano un pubblico servizio - è configurabile in termini di diritto soggettivo, dovendo inoltre escludersi la riconducibilità di detta controversia nel novero di quelle attribuite alla giurisdizione esclusiva del g.a. dall'art. 33 d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 (novellato dall'art. 7 l. 21 luglio 2000 n. 205).

Se l’influenza derivata agli apparati amministrativi dall’utilizzo di strumenti privatistici ha portato alla nascita dell’”organismo di diritto pubblico”, i cui contorni sono stati definiti dalla direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 – art. 2 par. 0 – intendendosi per tale qualsiasi organismo istituito per soddisfare specificamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, dotato di personalità giuridica, finanziato in modo maggioritario dallo Stato o dagli enti pubblici territoriali oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di uno di questi, oppure ancora il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata da tali soggetti, ebbene tutto ciò non può essere invocato per invocare la tutela dinanzi al giudice amministrativo.

Lo sarà solamente ove la legge lo disponga espressamente, il caso maggiormente rappresentativo è quello delle procedure di gara, ma in ogni caso il principio generale dettato dalle Sezioni Unite non può essere superato e la regola dell’espressione dei poteri sociali va conosciuta dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria.

L’accoglimento della censura ha naturalmente carattere assorbente di qualsiasi altro motivo o eccezione, comporta l’accoglimento dell’appello e l’indicazione nel tribunale civile competente per territorio il giudice dinanzi al quale potrà continuare l’azione in controversia.

Le spese di giudizio possono essere compensate per entrambi i gradi, vista la peculiarità della questione e le ragioni che l’hanno mossa.

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