Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-01-03, n. 201900072
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Pubblicato il 03/01/2019
N. 00072/2019REG.PROV.COLL.
N. 03137/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 3137 del 2018, proposto da
Box 3 s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato C B, con domicilio digitale come da Pec da Registri di giustizia;
contro
A.M.A. s.p.a., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati D C ed A E, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Corso del Rinascimento, n. 49;
nei confronti
Intercarta s.p.a., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati Bruno Biscotto, Leonardo Gnisci e Maurizio Marino, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via Pisanelli, n. 40;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 02887/2018, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di A.M.A. s.p.a. e di Intercarta s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 novembre 2018 il Cons. V P ed uditi per le parti gli avvocati C B, Andrea Manzi in dichiarata delega di D C, nonché Leonardo Gnisci e Maurizio Marino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con bando di gara pubblicato il 17 febbraio 20171, A.M.A. s.p.a. indiceva una “ procedura d’asta, suddivisa in 4 lotti, per il servizio di selezione/valorizzazione dei rifiuti in carta e cartone (CER 20.01.01) provenienti dalla Raccolta Differenziata congiunta (flusso stradale) nel Comune di Roma Capitale, per un periodo di 24 mesi ”
In base al disciplinare d’asta (art. 3) il prezzo unitario proposto da ciascun concorrente avrebbe dovuto risultare dall’applicazione della percentuale di rialzo offerta al prezzo unitario posto a base d’asta, con la precisazione che non avrebbe comunque potuto essere pari od inferiore a quest’ultimo, a pena di esclusione;il quale era stato fissato in euro 20,00/ton.
Il bando prevedeva altresì che all’offerta dovesse essere allegata, sempre a pena di esclusione, una copia dei listini prezzi della CCIAA di Milano, riferito al mese di aprile 2017.
Relativamente al lotto n. 2 venivano presentate solo due offerte, da parte di Box 3 s.r.l. e di Intercarta s.p.a.
Nella seduta pubblica del 10 maggio 2017, convocate le offerenti, venivano svolte le operazioni preliminari di gara consistenti nell’apertura dei plichi e nella verifica della documentazione;in quella fase veniva ammessa la società Intercarta, nonostante il plico di quest’ultima si presentasse come se vi fosse inclusa solo la busta A (che secondo il bando avrebbe dovuto recare esclusivamente la documentazione amministrativa) e senza la busta B (relativa all’offerta), che, dopo l’apertura della busta A, risultava invece essere stata erroneamente inclusa all’interno di quest’ultima, unitamente al resto degli atti prodotti.
Le concorrenti presenti contestavano l’ammissione di Intercarta s.p.a. alla procedura, con specifiche annotazioni a verbale.
All’esito dell’operazione di apertura delle offerte economiche, risultava prima l’offerta di Box 3 (con un aumento del prezzo a base d’asta del 430% ed un importo unitario di euro 86,11) e seconda quella di Intercarta (con un aumento del 412% ed un importo unitario di euro 82,55%).
Il 28 settembre veniva comunicato a Box 3 s.r.l. il provvedimento n. 64 del 2017, con il quale l’A.M.A. le assegnava il lotto 2, con rideterminazione del prezzo unitario offerto tanto dalla ricorrente quanto dalla Intercarta (prezzo che veniva aumentato della base d’asta, ovvero di € 20,00/ton: Box 3 da euro 86,11 ad euro 106,11 ed Intercarta da euro 82,55 ad euro 102,55).
La comunicazione di assegnazione aveva il seguente tenore: “ in riferimento all'importo unitario si rappresenta che, nella compilazione dell'Allegato 2 "Facsimile offerta economica" al Disciplinare d'asta, è stato erroneamente calcolato il prezzo unitario, ossia il risultato dell'applicazione della percentuale di rialzo offerta al prezzo unitario posto a base d'asta pari ad €/t 20,00 ed il Seggio di Gara ha provveduto a ricalcolare detto prezzo unitario.
Pertanto, la graduatoria sopra riportata è stata sviluppata sulla base dell'elemento dell'offerta che assume carattere vincolante, ovvero la percentuale di rialzo proposta, in conformità alla previsione esplicita del paragrafo 8 del Disciplinare d’asta, che prevede «per ciascun Lotto, l'assegnazione avverrà in favore del concorrente che avrà presentato la percentuale di rialzo più alta da applicare all'importo unitario posto a base d'asta».
All’esito di accesso agli atti di gara, emergeva che in data 7 luglio 2017 il seggio di gara aveva rideterminato il prezzo unitario offerto da BOX 3 sulla base del rilievo che dalla percentuale di rialzo offerta (430,55%) al prezzo unitario posto a base d'asta (pari ad €/t 20,00) "[...] al fine di aumentare il valore del medesimo" (cfr: art. 8, ult. cpv, disciplinare d'asta), si rileva, però, che il "prezzo unitario risultante" espresso dal concorrente (€/86,11), è viziato da errore di calcolo: esso, infatti, risulta corrispondere alla sola espressione in euro della percentuale di rialzo offerta, senza che tale valore di rialzo sia stato applicato, sommandolo, al prezzo unitario posto a base della competizione, così come nelle specifiche della procedura d'asta;il Seggio di gara ritiene pertanto necessario provvedere al calcolo corretto, secondo tali specifiche della Procedura, del valore di prezzo unitario risultante, valore che risulta essere pari, per una percentuale di rialzo di base d'asta pari al 430,55% ad €/t 106,11 ” (medesima operazione veniva posta in essere per l'offerta della società Intercarta per il lotto 2 e per il lotto 4, nonché per l’offerta del Rti Ricicla Centro Italia per il lotto 1 ed il lotto 3).
Appreso quanto sopra, la società Box 3 (anche di concerto con altre società offerenti o assegnatarie per la medesima gara, la cui offerta era stata rideterminata con lo stesso metodo) inoltrava istanza di autotutela alla stazione appaltante chiedendo, da un lato, spiegazioni in merito alla rideterminazione del prezzo e facendo presente, dall’altro, la correttezza dei propri calcoli, fermo restando che la volontà (e l'effettivo impegno assunto) era di offrire il prezzo unitario rassegnato nell’offerta.
La stazione appaltante, dopo aver invitato la società a depositare le polizze fideiussorie e l’ulteriore documentazione richiesta per la stipula del contratto, notificava però, in esito alla predetta istanza di autotutela, la nota prot. 05595/2017U con cui revocava l'assegnazione, alla luce del contestato “ espresso rifiuto alla stipula del contratto ” della Box 3 s.r.l., provvedendo contestualmente ad assegnare il lotto alla seconda classificata società Intercarta s.p.a.
Avverso tali atti, la società Box 3 proponeva ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio, contestando altresì l’ammissione alla gara della seconda graduata Intercarta s.p.a.
Costituitesi in giudizio, tanto l’A.M.A. s.p.a. quanto la controinteressata eccepivano l’inammissibilità (per tardività) del ricorso, concludendo in ogni caso per la sua infondatezza e chiedendone quindi la reiezione.
Con sentenza 144 marzo 2018, n. 2887, il Tribunale adito respingeva il gravame, sul presupposto che il procedimento osservato dalla stazione appaltante che, in presenza di una discordanza tra la percentuale di rialzo ed il prezzo unitario, aveva adeguato quest’ultimo alla prima, fosse pienamente corretto.
Avverso tale decisione Box 3 s.r.l. interponeva appello, articolato nei seguenti profili di censura:
1. La (pretesa) prevalenza della percentuale di rialzo sul prezzo unitario offerto .
2. L'illegittimità dell'operazione di rideterminazione dell'offerta - il principio di immutabilità dei prezzi unitari / immodificabilità dell'offerta/divieto di eterointegrazione dell'offerta - il principio dell'interpretazione secondo buona fede e della ricerca della "effettiva volontà" dell'offerente .
3. L'esattezza dei calcoli della appellante e delle altre offerenti .
4. Difetto di soccorso istruttorio ex art 83 D.Lgs. 50/2016 - ambivalenza del disciplinare di gara - dovere di chiarezza della S.A .
5. La revoca dell'assegnazione ed il "legittimo affidamento" nella conclusione del contratto .
6. L'anomalia nell'offerta presentata dall'Intercarta .
7. I precedenti inadempimenti della società Intercarta e l'esclusione ex art. 80 D.Lgs. 50/2016 .
8. L'incongruità dell'offerta (come rimodulata dall'AMA s.p.a.) .
Si costituiva in giudizio A.M.A. s.p.a., chiedendo il rigetto dell’appello in quanto infondato.
Anche Intercarta s.p.a. si costituiva, parimenti concludendo per l’infondatezza del gravame.
Successivamente le parti ulteriormente ribadivano, con specifiche memorie, le proprie rispettive tesi difensive, ed all’udienza del 29 novembre 2018, dopo la rituale discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con il primo motivo di appello viene contestato il criterio di calcolo dell’offerta, sul presupposto che nessuna disposizione della lex specialis preveda, in realtà, una prevalenza della percentuale sul prezzo unitario offerto, laddove per contro numerose disposizioni contenute nel bando di gara prenderebbero a riferimento solamente il “prezzo unitario offerto”.
Più nello specifico, sostiene l’appellante, l'intera procedura sarebbe basata sul “prezzo unitario offerto” dalle concorrenti, circostanza del resto spiegabile con il fatto che di trattava di un un’asta per la compravendita di rifiuti.
Invero, la percentuale di rialzo sarebbe una grandezza (oltre che indicizzata) derivata e suscettibile di variare solo al variare del prezzo unitario indicato dall'offerente (che sta “a monte” dell'offerta);il tutto tenendo presente che la procedura di cui trattasi era “a misura” (per il lotto che qui interessa, circa 50.000 ton di rifiuto), ragion per cui l’offerta avrebbe dovuto essere strutturata (dall’offerente) e valutata (dalla stazione appaltate) sulla base del prezzo unitario offerto.
Analogamente, una benché minima rideterminazione sarebbe destinata a modificare radicalmente e completamente l’impegno assunto con l’offerta.
Ad un complessivo esame delle risultanze di causa, il Collegio ritiene che il motivo non sia fondato.
Ad avviso dell’appellante non vi sarebbe stata alcuna discordanza fra la percentuale di rialzo ed il prezzo unitario dalla medesima offerto, in quanto la lex specialis di gara non avrebbe prescritto che la percentuale di rialzo indicata nell’offerta dovesse essere sommata al prezzo a base d’asta, al fine di aumentarne il valore;piuttosto, dal momento che il prezzo unitario offerto sarebbe risultato della moltiplicazione della percentuale di rialzo per il prezzo-base, il valore di quest’ultimo avrebbe dovuto considerarsi già ricompreso nel primo. Tali considerazioni – oltre che nel generico e non meglio contestualizzato rilievo per cui diverse disposizioni del bando di gara farebbero riferimento al prezzo unitario anziché alla percentuale di rialzo – troverebbero logica conferma nella previsione del disciplinare volta ad escludere solamente “ le offerte che presentino una percentuale di rialzo pari o inferiore a zero ”, dalla quale avrebbe dovuto testualmente escludersi – a contrario – che la percentuale minima dovesse sommarsi al prezzo a base d’asta, ossia essere perlomeno superiore al 100%.
Così sintetizzato il nucleo fondamentale delle censure della Box 3 s.r.l., in realtà, come correttamente nota nelle proprie difese anche la stazione appaltante, proprio la disposizione in questione confermerebbe la correttezza del metodo di calcolo già avallato dal giudice di prime cure (% di rialzo + prezzo base = prezzo unitario offerto): in effetti, la previsione in questione era evidentemente finalizzata ad assicurare che il prezzo offerto fosse effettivamente superiore a quello posto a base di gara, per assicurare l’utile dell’amministrazione, obiettivo che però non potrebbe matematicamente realizzarsi se non sommando alla detta percentuale il prezzo base (ovvero, nella diversa ricostruzione proposta dall’appellante, che la percentuale di rialzo minima ammissibile fosse pari al 101%).
Invero, nel caso di un rialzo percentuale (vietato) pari a 0, si avrebbe il risultato di offerta parti al prezzo base (ossia euro 20+0% = euro 20), laddove un rialzo negativo comporterebbe addirittura una diminuzione dello stesso.
Per contro, per aversi un’offerta che effettivamente fosse in aumento, anche solo di 1 euro, rispetto al prezzo base d’asta ma utilizzando il diverso metodo di calcolo proposto dall’appellante (ossia % di rialzo x prezzo base = prezzo unitario offerto), il disciplinare d’asta non avrebbe dovuto escludere semplicemente “ le offerte che presentino una percentuale di rialzo pari o inferiore a zero ” bensì anche “ le offerte che presentino una percentuale di rialzo pari o inferiore a 100 ”, posto che matematicamente solo a partire dal 101% l’offerta avrebbe potuto effettivamente essere in aumento rispetto al prezzo a base d’asta (euro 20x101% = euro 20,20).
Quanto sopra, peraltro, trova conferma nello stesso tenore letterale del punto 8 del disciplinare d’asta, per cui “ ciascun concorrente dovrà necessariamente, a pena di esclusione, offrire una percentuale da applicare al menzionato importo unitario al fine di aumentare il valore del medesimo. Non saranno prese in considerazione/saranno escluse le offerte che presentino una percentuale di rialzo pari od inferiore a zero ”. Da quest’ultima previsione si desume che la percentuale di rialzo indicata dai concorrenti doveva essere portata in aumento rispetto al prezzo a base d’asta, laddove il prezzo unitario indicato dall’offerente doveva essere la mera “ risultante dell’applicazione della percentuale di rialzo offerta ” sul prezzo a base d’asta (art. 6 cit.).
Quanto ora osservato trova conferma nel punto 6 del disciplinare ( busta “B” - offerta economica ), per il quale la dichiarazione di offerta economica doveva contenere l’indicazione “ della percentuale di rialzo, sia in cifre che in lettere, da applicare all’importo unitario posto a base d’asta di cui al precedente paragrafo 3;dell’importo unitario offerto risultante dall’applicazione della percentuale di rialzo offerta;del listino mensile della CCIIAA di Milano di riferimento ”. Il punto 8 del disciplinare, a sua volta, prescriveva che “ Per ciascun Lotto, l’assegnazione avverrà in favore del concorrente che avrà presentato la percentuale di rialzo più alta da applicare all’importo unitario posto a base d’asta ”.
Dalle disposizioni sopra esaminate emerge l’esclusiva rilevanza, allo specifico fine dell’aggiudicazione, su cui si controverte, della “percentuale di rialzo” indicata nell’offerta, con la conseguenza che, in caso di discordanza, tale elemento avrebbe necessariamente dovuto prevalere sull’elemento “prezzo unitario”.
Deve quindi concludersi che l’espressa esclusione delle sole offerte che presentino una percentuale di rialzo pari o inferiore a zero conferma la correttezza delle conclusioni raggiunte dal primo giudice circa la rispondenza alle previsioni della lex specialis del metodo di calcolo applicato da A.M.A., dal momento che solo applicando quest’ultimo ogni percentuale di rialzo superiore allo 0% era suscettibile di aumentare il prezzo a base d’asta (euro 20x1% = euro 20,20).
Il criterio proposto dall’appellante, invece, chiaramente contraddice la previsione della lex specialis (coerente con l’esigenza di escludere le offerte di un prezzo finale inferiore o uguale a quello posto a base d’asta), dal momento che, a tal punto, solo le offerte che prevedano un rialzo percentuale superiore al 100% (e non già allo 0% previsto dal disciplinare) sarebbero in grado di aumentare il prezzo base.
Neppure è pertinente il richiamo al precedente della Sezione 29 agosto 2017, n. 4101, riferito a fattispecie del tutto diversa, ossia un contratto passivo per l’amministrazione (relativo ai lavori per la bonifica e messa in sicurezza di un’ex-discarica comunale) che valorizzava, all’opposto del caso attualmente in esame, il prezzo offerto rispetto al ribasso percentuale;quello su cui si controverte era invece un contratto attivo , dal quale cioè la stazione appaltante intendeva trarre un utile, valorizzante – all’opposto – la maggiore percentuale di rialzo , con la precisazione che il prezzo unitario da indicare era la risultante dell’applicazione di detta percentuale.
Con il secondo motivo di appello viene invece censurato il presunto intervento “correttivo” della stazione appaltante sul contenuto delle offerte, in realtà tradottosi in un inammissibile mutamento delle stesse.
Per contro, l’effettiva volontà della Box 3 s.r.l. sarebbe stata esclusivamente quella di offrire il prezzo unitario dichiarato (rientrante nel margine del listino mensile CCIAA, che costituirebbe parte integrante e sostanziale dell'offerta economica ai sensi del punto 6, pag. 18, del disciplinare d'asta);del resto - rileva l’appellante - se l’allegazione del predetto listino da parte all’offerta aveva la finalità di legare il prezzo unitario offerto all’andamento dei prezzi unitari di mercato, ben avrebbe anche potuto assolvere la funzione di evidenziare eventuali anomalie dell’offerta ed essere utilizzato “ come strumento interpretativo dell’offerta stessa in luogo ad un mutamento radicale della stessa (in virtù del principio di divieto di etero-determinazione dell'offerta, immutabilità dei prezzi unitari e di buona fede oggettiva nell'interpretazione degli atti contrattuali )”.
Dunque - conclude la Box 3 (che nel contempo deduce altresì un profilo di presunta anomalia dell’offerta di Intercarta) - qualunque offerta che “sfori” il parametro massimo della CCIA di Milano sarebbe insostenibile, di talché la stazione appaltante avrebbe dovuto “interpretare le offerte” rispettando comunque il parametro di prezzo massimo stabilito dal detto listino.
Neppure questo motivo è fondato.
Alla luce delle osservazioni già svolte sul primo motivo di appello, deve ritenersi che – come occorso nel caso di specie – in presenza di una discrasia nell’offerta economica fra percentuale di rialzo e prezzo unitario indicati dal concorrente, la Commissione di gara dovesse semplicemente attenersi alle specifiche disposizioni della lex specialis rilevanti in materia, tenendo conto dell’elemento dell’offerta indicato dal disciplinare come dirimente ai fini dell’aggiudicazione.
Tale elemento, come già rilevato in precedenza, era la percentuale di rialzo (che Box 3 aveva indicato nel 430%), il cui valore necessariamente avrebbe dovuto essere portato in aumento rispetto al prezzo a base d’asta.
Il ricalcolo operato del prezzo unitario, ad emenda di quello che allora appariva come un verosimile errore materiale dell’offerente, era pari a 430%+ euro/ton. 20 = euro/ton. 106,11.
Come già evidenziato in relazione al precedente motivo di appello, non vi era altra possibile modalità di calcolo del prezzo unitario diversa da quella fatta propria dalla stazione appaltante, in virtù delle previsioni della lex specialis d gara, di talché l’intervento “correttivo” operato da A.M.A., in quella fase e con quelle modalità di procedura, non integrava assolutamente una (inammissibile) modifica dell’offerta, bensì semplicemente – e legittimamente – il ricalcolo, in ragione della percentuale di rialzo offerta da Box 3, del prezzo unitario da questa indicato, sulla base della corretta regola matematica applicabile al caso di specie.
Peraltro, una volta preso atto che la società aggiudicataria intendeva in realtà offrire un prezzo inferiore (ossia quello dalla stessa indicato, seppur in applicazione di un criterio di computo errato, nella propria documentazione di gara), rifiutando la corresponsione di quello correttamente ricalcolato dalla stazione appaltante, doverosamente quest’ultima aveva dichiarato la revoca dell’assegnazione del lotto di gara.
Neppure risulta pertinente il richiamo, da parte dell’appellante, ai listini CCIAA di Milano, costituenti solamente il parametro per l’applicazione del meccanismo di indicizzazione dei prezzi previsto dall’ultimo capoverso del punto 3 del disciplinare (“ qualora la rilevazione mensile presso la CCIAA di Milano del prezzo minimo del macero si discosti di un valore positivo o negativo pari o superiore al 20 % (venti per cento) del valore rilevato nel mese precedente a quello di scadenza della presentazione dell’offerta, il corrispettivo unitario da riconoscere ad AMA varierà rispetto al corrispettivo unitario offerto della stessa variazione percentuale ”).
In pratica, l’allegazione del listino CCIAA non rappresentava affatto uno strumento per vincolare i concorrenti ad offrire un prezzo in linea con il prezzo di mercato, né un parametro per valutare la congruità dell’offerta.
La correttezza della formula di calcolo applicata, del resto, andava valutata esclusivamente alla luce delle disposizioni della lex specialis di gara, non svolgendo tali listini alcuna funzione al riguardo.
Con il terzo motivo di appello Box 3 s.r.l. deduce che, essendo a suo avviso il prezzo unitario offerto “legato” a quello rassegnato dal listino CCIAA – ai sensi del già richiamato punto 3 del disciplinare – l’opzione per un criterio di calcolo che non consideri l’importo a base d’asta come già inglobato nell’offerta porterebbe ad una situazione paradossale, nel momento in cui, per ipotesi, il listino CCIAA dovesse scendere sotto il prezzo base d'asta.
In tal caso, infatti, le aggiudicatarie avrebbero dovuto comunque acquistare da AMA ad euro 20,00/ton (soglia minima incomprimibile), non potendo fruire della proporzionale riduzione al di sotto del detto importo a base d'asta, sebbene il materiale, a valle della lavorazione, verrebbe venduto ad un prezzo inferiore di quello di acquisto del rifiuto. Ne deriverebbe una situazione di “inefficienza assoluta”, in cui le aggiudicatarie verosimilmente si vedrebbero costrette ad agire in giudizio per chiedere la risoluzione dei contratti per eccessiva onerosità sopravvenuta.
Il motivo non è fondato.
Vanno in primo luogo richiamate le considerazioni già esposte riguardo l’infondatezza dei primi due motivi di gravame, i cui presupposti sono in larga parte riproposti dall’appellante.
Ai sensi del punto 8 del disciplinare d’asta (“ Criterio di assegnazione ”), come già visto, “ Per ciascun Lotto, l’assegnazione avverrà in favore del concorrente che avrà presentato la percentuale di rialzo più alta da applicare all’importo unitario posto a base d’asta di cui al paragrafo 3 del presente Disciplinare d’Asta. Ciascun concorrente dovrà necessariamente, a pena di esclusione, offrire una percentuale da applicare al menzionato importo unitario al fine di aumentare il valore del medesimo ”. In estrema sintesi, l’assegnazione doveva essere disposta in favore dell’offerta percentuale di rialzo più alta da applicare al prezzo a base d’asta, in modo tale da aumentarne il valore.
Ciò premesso, la circostanza che la formula di calcolo non preveda la possibilità, per le aggiudicatarie, di ottenere una riduzione del prezzo al di sotto della soglia a base d’asta di 20 euro nel caso in cui, per ipotesi, il prezzo medio del rifiuto (come “registrato” nei listini della CCIAA di Milano) dovesse scendere al di sotto di tale limite non ha nulla di incredibile, ma è la logica conseguenza della individuazione, nella lex specialis di gara, di un limite di prezzo giustappunto insuperabile al ribasso (presidiato, in fase di valutazione delle offerte, con l’esclusione dalla gara).
Del resto, la fissazione di un limite invalicabile di prezzo in favore dell’amministrazione rappresenta un elemento di trasparenza e chiarezza a beneficio proprio dei potenziali offerenti – tutti operatori professionali del settore – che in tanto possono effettuare liberamente e consapevolmente le proprie valutazioni circa la convenienza o meno a partecipare alla procedura d’asta (della durata, peraltro, di soli 24 mesi), in quanto siano sin dall’inizio resi edotti, in modo oggettivo, delle condizioni e dei rischi della stessa.
Con il quarto motivo di appello viene invece ribadito che la lex specialis non avrebbe previsto in alcun modo un potere di rideterminazione e/o mutamento dell'offerta in capo alla stazione appaltante, a maggior ragione laddove tale rideterminazione non rispecchi l’effettiva volontà degli offerenti.
Al più la stazione appaltante avrebbe dovuto disporre il cd. soccorso istruttorio, al fine di chiedere chiarimenti sull'entità dell'impegno assunto in sede di gara dagli offerenti, a maggior ragione a fronte di una presunta “ambivalenza” delle pertinenti disposizioni della lex specialis che sarebbe stata riconosciuta anche dal giudice di prime cure.
L’argomento è destituito di fondamento.
Giova ricordare, infatti, che l’istituto del soccorso istruttorio (attualmente disciplinato dall’art. 83, comma 9 del d.lgs. n. 50 del 2016) consente di rimediare ad eventuali carenze di qualsiasi elemento formale della domanda, nonché alla mancanza, incompletezza ed irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo di cui all’articolo 85 de medesimo decreto, con esclusione di quelle afferenti all’offerta economica e all’offerta tecnica.
Nel caso di specie, però, non si era in presenza di documentazione incompleta, bensì di un mero errore di calcolo nel quale erano incorse alcune imprese partecipanti alla gara, errore del quale la stazione appaltante si era avveduta in sede di controllo, alla luce dell’incongruenza aritmetica tra la percentuale di rialzo offerta (rispetto al prezzo a base d’asta) ed il conseguente prezzo unitario.
E’ dunque condivisibile il rilievo dell’A.M.A., secondo cui, nel caso di specie, non si sarebbe consumata alcuna esclusione evitabile per il tramite del soccorso istruttorio: trattandosi di errore materiale, l’azienda, in luogo di un’esclusione, aveva correttamente operato aggiudicando la procedura all’odierna appellante, previa correzione dell’errore di calcolo presente nella sua offerta.
Del resto, in subordine, le considerazioni dell’appellante troverebbero smentita anche nel principio da ultimo richiamato nel precedente di Cons. Stato, V, 11 gennaio 2018, n. 113, qui condiviso, per cui – vigendo nella materia degli appalti pubblici il principio generale della immodificabilità dell’offerta, a tutela dell’imparzialità e della trasparenza dell’agire della stazione appaltante, nonché della parità di trattamento tra gli operatori economici – andrebbe comunque data continuità all’orientamento consolidato secondo cui “ nelle gare pubbliche è ammissibile un’attività interpretativa della volontà dell’impresa partecipante alla gara da parte della stazione appaltante, al fine di superare eventuali ambiguità nella formulazione dell’offerta, purché si giunga ad esiti certi circa la portata dell’ impegno negoziale con essi assunti;evidenziandosi, altresì, che le offerte, intese come atto negoziale, sono suscettibili di essere interpretate in modo tale da ricercare l’effettiva volontà del dichiarante, senza peraltro attingere a fonti di conoscenza estranee all’offerta medesima né a dichiarazioni integrative o rettificative dell’offerente ” (Consiglio di Stato, IV, 6 maggio 2016 n. 1827).
Con il quinto motivo di appello Box 3 s.r.l. lamenta la violazione, da parte della stazione appaltante, del proprio legittimo affidamento nella conclusione del contratto e nell’accoglimento dell’istanza di autotutela, atteso che, nel mentre il Rup di gara dava inizio ai preparativi per la stipulazione del contratto con la appellante (invitando la società al deposito di polizze fideiussorie, assicurazioni, cauzioni, etc.), perveniva alla Box 3 s.r.l. l'atto prot. 05595/2017U con il quale l’A.M.A. revocava l'assegnazione in ragione del contestato “ espresso rifiuto alla stipula del contratto ”.
Anche questo motivo non è fondato.
A prescindere dalle generiche considerazioni (peraltro non sviluppate in una puntuale censura) circa l’eventuale incompetenza del funzionario sottoscrivente la nota di revoca dell’affidamento, non è pertinente l’affermazione di parte appellante secondo cui non vi sarebbe stato alcun rifiuto di sottoscrivere il contratto, avendo anzi la Box 3 s.r.l. manifestato la propria intenzione di concluderlo, ma alla (minore) offerta a suo tempo presentata, pari ad euro 86,11.
Invero, quest’ultima aveva sì manifestato la propria intenzione di concludere un contratto, ma a condizioni incompatibili con la lex specialis di gara, pretendendo di imporre un prezzo unitario non coerente con la percentuale di rialzo inizialmente offerta.
Dal momento che l’intervento della stazione appaltante si era limitato – come già visto – alla semplice e doverosa rettifica di un calcolo matematico, il rifiuto dell’offerente di riconoscere il proprio errore e, quindi, di stipulare il contratto alle condizioni economiche risultanti da tale correzione integrava a tutti gli effetti il rifiuto alla stipula del contatto contestatole dalla stazione appaltante, che quindi legittimamente procedeva alla conseguente (e doverosa) revoca dell’assegnazione.
E’ dunque corretto quanto rilevato dal primo giudice, per cui “ la ricorrente non aveva accettato la sottoscrizione del contratto alle condizioni risultanti dalla comunicazione dell’assegnazione, posto che le relative comunicazioni in tal senso esprimevano la volontà di confermare non già la percentuale offerta, ma il prezzo unitario ”: con il provvedimento di revoca, A.M.A. s.p.a. ha dunque agito in risposta ad una spontanea manifestazione di volontà, espressa dall’appellante, di non accettare il ricalcolo operato in osservanza della lex specialis , conseguentemente non residuando, in capo alla stazione appellante, alcun margine di discrezionalità.
Con il sesto motivo di appello viene invece dedotta l’anomalia dell’offerta di Intercarta s.p.a., risultata aggiudicataria della gara a seguito della revoca dell’affidamento a Box 3 s.r.l.
Al riguardo viene innanzitutto rilevato che, contrariamente a quanto prescritto dal disciplinare d’asta, sarebbe stata depositata solamente una “ isolata e volante ” busta A (relativa alla documentazione amministrativa, senza plico e senza che la stessa fosse accoppiata ad una o più buste B). Mancanza che avrebbe comportato, ad avviso dell’appellante, l’obbligo di immediata esclusione dell’offerta dalla procedura di gara.
A fronte di ciò, la Commissione di gara non avrebbe neppure dovuto aprire la busta A (dentro la quale – va detto per inciso – si trovava anche la busta B, evidentemente inserita nella prima per errore) ma avrebbe dovuto immediatamente escludere Intercarta dalla gara, atteso che nulla lasciava presagire, in quel momento, che dentro la detta busta A fosse contenuta la busta B.
Quindi, l’appellante contesta ad Intercarta s.p.a. una serie di precedenti gravi inadempimenti contrattuali (“ talmente gravi da costituire, ad oggi, danno erariale a sei zeri ”) rilevanti ai sensi dell’art. 80, comma 5, d.lgs. n. 50 del 2016, e precisamente: “ nella precedente gara, 1) ha omesso di saldare in favore di AMA circa € 550.000,00 a fronte di un valore dell'appalto fatturato di € 900.000,00;2) l'unico importo pagato di circa € 300.000,00 è stato pagato con mesi e mesi di ritardo;3) l'AMA s.p.a. ha emesso svariate fatture per interessi moratori (risarcimento del danno ex art 1224 c.c., e/o "altre sanzioni") ”.
Al riguardo, l’appellante contesta la rilevanza, ai fini dell’odierno giudizio, di alcune precedenti decisioni di merito richiamate in sentenza, le quali avrebbero avuto ad oggetto solo la congruità dell’offerta di una precedente gara, laddove nel presente caso si era invece eccepito che, nel corso della successiva esecuzione del precedente rapporto, l’Intercarta non avrebbe regolarmente adempiuto ai propri obblighi di pagamento in favore di A.M.A., per oltre 550.000,00 euro.
Ad abundantiam , prosegue l’appellante, Intercarta s.p.a. neppure starebbe pagando le fatture emesse da A.M.A. relativamente al nuovo rapporto.
Infine (come terzo profilo di censura), l’offerta di Intercarta s.p.a. sarebbe del tutto incongrua, come dimostrato dal fatto che detta società non sarebbe già ora in grado di sostenerla (così come ricalcolata dalla stazione appaltante), tant’è che nessuna delle fatture emesse nell'ambito di detto rapporto sarebbe stato saldato dall’aggiudicataria.
Ciò premesso, contesta l’assunto del primo giudice secondo cui la verifica di congruità delle offerte sarebbe stata del tutto facoltativa per la stazione appaltante, essendosi in presenza di un contratto attivo per l’amministrazione: invero, deduce l’appellante, il d.lgs. n. 50 del 2016 imporrebbe “ senza distinzione tra appalto attivo, passivo, a prezzi unitari, ad offerta economicamente vantaggiosa, ecc. alla stazione appaltante il controllo di congruità e verifica delle offerte ”.
Né il sol fatto che il contratto sia “attivo” implicherebbe che l’offerta sia di per sé sostenibile (nel caso di specie, in particolare, l'aggiudicataria starebbe acquistando rifiuto cellulosico da lavorare, pulire, triturare, etc. ad un prezzo superiore del prezzo che il prodotto – la carta pulita – avrebbe a valle della lavorazione).
Il motivo, nelle sue diverse declinazioni, non è fondato.
Per quanto concerne il profilo dell’erroneo inserimento della busta B (offerta economica) nella busta A (contenente la documentazione amministrativa), quest’ultima peraltro depositata direttamente presso la stazione appaltante anziché essere inserita (unitamente alla predetta busta B) in apposito plico, va rilevato che Intercarta s.p.a. si era limitata a depositare, in luogo del plico, un’unica busta A, al cui interno erano però regolarmente presenti la documentazione amministrativa sfusa, nonché la “busta B”, separata e sigillata, contenente al suo interno l’offerta economica.
Tale erroneo confezionamento delle buste, ad avviso del Collegio, non era in grado di inficiare le finalità di segretezza dell’offerta che giustificano la separazione dell’offerta economica rispetto alla documentazione amministrativa (che, in effetti, era regolarmente custodita in apposita busta sigillata), né di ingenerare dubbi sulle generalità dell’offerente (la busta A avrebbe infatti recato adeguata indicazione esterna circa la procedura pubblica d’asta cui si riferiva, nonché gli estremi necessari per ricondurre l’offerta allo specifico concorrente).
In questi termini, appare sostanzialmente corretto quanto evidenziato dalla Commissione di gara nel verbale n. 2 del 10 maggio 2017, secondo cui la fattispecie non poteva essere ricompresa tra quelle per le quali la lex specialis comminava l’esclusione, atteso che la busta presentata dalla concorrente era integra ed esternamente sigillata;al suo interno, inoltre, conteneva le buste relative alle offerte economiche dei diversi lotti di gara, ciascuna autonomamente separata e debitamente sigillata, per cui non risultavano circostanze tali da far ritenere violato il principio di segretezza delle offerte ovvero tali da far porre dubbi circa la provenienza dell’offerta.
Appare dunque condivisibile la conclusione cui è pervenuto, al riguardo, il primo giudice, secondo cui il vizio dedotto da Box 3 s.r.l., concernente all’atto pratico le modalità di confezionamento del plico (tale era, in concreto, la busta A) avrebbe dovuto essere ricondotto nell’ambito delle irregolarità meramente formali, inidonee a comportare l’esclusione della concorrente, “ non essendo dedotte circostanze atte ad incidere sulla certezza del contenuto o della provenienza dell’offerta, non integrità del plico, o irregolarità tali da far ritenere – secondo obiettive circostanze – che possa essere stato violato il principio di segretezza dell’offerta ”.
In merito poi ai dedotti precedenti inadempimenti contrattuali di Intercarta s.p.a., va detto che la fattispecie di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016, invocata dall’appellante, prevede che la stazione appaltante possa disporre l’esclusione dalla gara di un concorrente ove la stessa “ dimostri con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità ”.
In pratica, lungi dal prevedere delle specifiche (e tipizzate) ipotesi di esclusione, al cui verificarsi il legislatore faccia conseguire l’ obbligo per la stazione appaltante di disporre l’esclusione dalla gara (così come dedotto dall’appellante), la norma eccezionalmente consente – in deroga al generale principio della tipicità delle cause di esclusione – all’amministrazione di disporre comunque l’esclusione per fatti non tipizzati a priori, a condizione però che la stessa dimostri, alla luce di tali circostanze, che l’operatore economico si era reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità ed affidabilità ( ex multis , Cons. Stato, V, 16 novembre 2018, n. 6461).
Dunque, fuori dall’ipotesi di cause esclusive tipiche, che vincolano in primis la stazione appaltante nelle proprie decisioni, la gravità di inadempienze non automaticamente escludenti è rimessa alla valutazione discrezionale di quest’ultima, al più sindacabile entro i limiti della abnormità o della manifesta irragionevolezza [sul tema si veda Cass., SS.UU., 17 febbraio 2012, n. 2312, che in relazione all’omologa norma del previgente codice dei contratti pubblici – art. 38, comma 1, lett. f), del decreto legislativo n. 163 del 2006 – ha affermato che è rimessa alla stazione appaltante « la individuazione del punto di rottura dell’affidamento nel pregresso e/o futuro contraente »].
Ciò precisato, le censure in esame si collocano in un ambito riservato alla valutazione di merito dell’amministrazione, laddove si consideri, come sottolineato da A.M.A., che Intercarta s.p.a. non è mai incorsa in alcuna risoluzione contrattuale, né tantomeno sarebbe stata disposta nei suoi confronti alcuna sanzione amministrativa o misura penale. Infatti, la stazione appaltante, evidentemente consapevole sin dall’inizio dei fatti contestati dall’appaltante alla concorrente Intercarta (trattandosi di presunte inadempienze di quest’ultima proprio nei confronti di A.M.A.), non ha ritenuto di attribuire loro una rilevanza escludente, alla luce di una valutazione complessiva delle risultanze in suo possesso.
In merito poi alla dedotta anomalia dell’offerta di Intercarta, la sentenza impugnata ha evidenziato che “ trattandosi di una offerta al rialzo non trova applicazione l’obbligo di procedere alla verifica di cui all’art. 97 del dlgs 50/2016 (che è formulato in relazione alle offerte al ribasso), sussistendo in proposito solamente una facoltà della S.A. che non è coercibile, dal momento che si tratta di contratti attivi ovvero che generano un introito per l’Amministrazione stessa (e dunque non è configurabile un automatismo legale di presunzione tra eccessivo rialzo e sospetto di insostenibilità dell’offerta, mentre il relativo giudizio rimane sindacabile solo entro i limiti della macroscopica irragionevolezza, che non sussiste nel caso di specie) ”.
Ritiene il Collegio, ad un complessivo esame delle risultanze di causa, che la doglianza non sia fondata.
Va in primo luogo ricordato che al di fuori del sub -procedimento di anomalia non vi è spazio, nel quadro normativo definito dal legislatore, per ulteriori forme di sindacato (ad opera della stazione appaltante e, nei limiti in cui esso è possibile, del giudice amministrativo) dell’attendibilità dell’offerta.
Ciò detto, prima ancora di porsi il problema – di cui alla sentenza appellata – se possa o meno configurarsi un obbligo di svolgere comunque il giudizio di anomalia delle offerte presentate per contratti attivi della pubblica amministrazione, alla luce del tenore testuale dell’art. 97 del d.lgs. n. 50 del 2016 (norma che effettivamente fa riferimento a tipologie di offerta tipiche dei contratti passivi ), va rilevato come la censura di parte appellante si ponga – in realtà – al di fuori dei parametri di tale giudizio.
Invero, non solo non viene dedotto un eventuale “sforamento”, da parte di Intercarta s.p.a., di un’ipotetica soglia di anomalia, individuata alla luce delle disposizioni dettate in materia dal legislatore ma, più in generale, detta censura si risolve – al di là delle forme – in una mera ed inammissibile prospettazione ipotetica.
Il giudizio di anomalia, invero, è un giudizio legato all’attualità, con il quale – sulla base di una serie di indici individuati dalla legge – viene riscontrata, sia pure all’esito di una valutazione connotata da ampia discrezionalità tecnica, l’oggettiva ed attuale inattendibilità dell’offerta.
La critica mossa dall’appellante, per contro, si sostanzia in una deduzione meramente ipotetica, che fa riferimento, al di là delle forme, a condizioni di mercato del tutto ipotetiche che non si sa né se si verificheranno, né con quali modalità.
Solo per completezza va poi rilevato che la presunta “ evidente prova empirica dell'incongruità dell'offerta ”, consistente nel rilievo che Intercarta non sarebbe in grado di sostenere l’offerta, a seguito del ricalcolo operato da A.M.A. (tant’è che la società non avrebbe ancora onorato alcuna delle fatture emesse dall’Azienda municipalizzata romana), riposa su una circostanza – il mancato pagamento di alcune fatture – che, ancorché fosse dimostrata nella sua realtà fattuale, potrebbe a rigore essere spiegata con ragioni del tutto estranee all’astratta sostenibilità economica dell’offerta (quali contingenti problemi di liquidità finanziaria, etc.).
Alla luce delle circostanze che precedono, l’appello va dunque respinto.
Ritiene peraltro il Collegio che la particolarità delle questioni esaminate giustifichi, nel caso di specie, l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite del grado di giudizio.