Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-04-18, n. 201902530

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2019-04-18, n. 201902530
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201902530
Data del deposito : 18 aprile 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/04/2019

N. 02530/2019REG.PROV.COLL.

N. 02195/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2195 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato L S, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Carso, n. 23;

contro

Ministero dell'Interno e Questura di Grosseto, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di Grosseto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2019 il Cons. F G e uditi per le parti l’avvocato Gianluca Calderara, su delega dichiarata di L S, e l'avvocato dello Stato Wally Ferrante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana il sig. -OMISSIS-, cittadino -OMISSIS-ese, ha impugnato il provvedimento del 14 febbraio 2017 con il quale il Questore di Grosseto ne ha respinto l’istanza di rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e gli ha revocato il permesso di soggiorno per attività di lavoro autonomo, in base alla ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni fiscali e per il mancato versamento di imposte e contributi.

A sostegno del gravame il ricorrente ha sostenuto che, incorrendo in difetto di istruttoria e di motivazione, la Questura non ha tenuto conto che egli ha sempre lavorato, ha mantenuto una ottima condotta, vive con il padre titolare del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e risiede stabilmente in Italia da oltre nove anni;
in particolare, dalla stessa istruttoria esperita dall’Amministrazione sarebbe risultato il possesso, nell’anno antecedente la presentazione dell’istanza, di un reddito sufficiente, ex art. 26, 3 comma del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, a legittimare la presenza in Italia del ricorrente, il quale avrebbe provveduto alla regolarizzazione della sua posizione contributiva ottenendo la rateazione delle cartelle esattoriali relative ai contributi INPS, IVA ed IRPEF;
suo padre, col quale convive, percepisce dall’INPS una pensione netta di circa €. 6.000,00 annui, di cui sarebbe stato necessario tener conto posto che, ex art. 29, comma 3, lettera b) del d.lgs. 286/98, occorre valutare il reddito annuo complessivo dei familiari conviventi col richiedente;
in ogni caso la mancanza di reddito nella misura richiesta non rappresenta una causa automaticamente ostativa alla permanenza in Italia, in quanto in presenza di legami familiari stabili dello straniero in Italia è necessario un bilanciamento ragionevole e proporzionato tra l'esigenza, da un lato, di regolare i flussi migratori e, dall'altro, l'esigenza di salvaguardare i diritti riconosciuti dagli artt. 29 e segg. Cost., senza discriminazione alcuna.

Il T.A.R. adito, con sentenza in forma semplificata n. 934 del 18 luglio 2017, ha respinto il ricorso motivando la decisione col fatto che non risultava alcun versamento di imposte e contributi in relazione alle dichiarazioni dei redditi presentate dal ricorrente, che questi non aveva riscontrato la richiesta della Questura di produrre documentazione integrativa sul costo e sulla provenienza della merce e che “ per quanto riguarda il legame familiare con il genitore, la medesima Questura ha rilevato che il rapporto di parentela non è stato dimostrato attraverso idonea certificazione tradotta e legalizzata;
ha rilevato altresì che i singoli titoli di soggiorno (del ricorrente e del genitore) sono stati sempre rinnovati senza che sia stato mai documentato e neanche rappresentato il rapporto di lavoro tra i due soggetti
”.

Il sig. -OMISSIS- ha appellato la sentenza sostenendo, col primo motivo di appello, che nelle dichiarazioni dei redditi vi sarebbero semplici incongruità, che il ragionevole dubbio sulla consistenza dei redditi, in difetto di prova effettiva della falsità ideologica della documentazione prodotta, non può giustificare l’adozione di un provvedimento di rifiuto del permesso di soggiorno e che, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, sarebbe irrilevante, alla luce del quadro normativo, qualsiasi indagine in merito ai versamenti fiscali e contributivi negli anni precedenti alla domanda;
con un secondo motivo di appello poi, osservando che nel ricorso di primo grado aveva formulato una richiesta gradata tesa ad ottenere quanto meno la reintegrazione nel permesso di soggiorno originariamente detenuto, denuncia, anzitutto, la violazione delle disposizioni di salvaguardia che, nella specifica materia della revoca dei permessi di soggiorno, impongono di tenere conto dei legami familiari maturati dal soggetto nel territorio nazionale, poiché sia la Questura che il T.A.R. non hanno valutato il legame familiare tra l’appellante e suo padre, col quale convive e compone un nucleo familiare ai fini fiscali, e lamenta, altresì, la violazione dell’art. 21 nonies l. 241/90 in cui l’Amministrazione sarebbe incorsa in sede di revoca del permesso di soggiorno, non avendo valutato e motivato la sussistenza di un interesse pubblico alla revoca, disposta a grande distanza dalla concessione del primo titolo e dopo averne concesso per più volte di seguito il rinnovo;
con lo stesso motivo, infine, deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 5, comma 5, ultima parte del d.lgs. 286/98 che obbliga a tener conto dei legami familiari stretti dallo straniero sul territorio nazionale, posto che il legame familiare dell’appellante con il padre non è stato oggetto di alcuna considerazione sia nella fase amministrativa che nel giudizio davanti al TAR.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’interno e la Questura di Grosseto, senza espletare attività difensiva.

Con ordinanza di questa Sezione, n. -OMISSIS-, l'esecutività della sentenza impugnata è stata sospesa ai limitati fini del riesame da parte dell’Amministrazione della posizione del ricorrente in relazione alla validità del permesso di soggiorno per lavoro autonomo.

Con provvedimento del 3 maggio 2018, prot. -OMISSIS-., adottato in esecuzione dell’ordinanza cautelare, il Questore di Grosseto ha confermato l’atto impugnato affermando che gli interessati “ non hanno mai dimostrato il loro rapporto parentale "padre/figlio" e che nemmeno in sede di reclamo al Consiglio di Stato hanno depositato idonea documentazione che attesti tale rapporto, limitandosi alla produzione di una autocertificazione ISEE non supportata da prove certe sulla filiazione ” e, per il resto, ribadendo quanto in precedenza osservato sulle incongruenze nelle dichiarazioni sui redditi e sul mancato versamento di imposte e contributi.

Il nuovo provvedimento è stato anch’esso impugnato con ricorso al T.A.R. per la Toscana, che ha respinto la domanda cautelare con la motivazione che l’atto “ sembra avere natura prevalentemente confermativa ” (T.A.R. Toscana, sez. II, ord. 31 ottobre 2018, n. 668, non appellata).

Il 14 settembre 2018 l’appellante ha depositato copia conforme dell’estratto di nascita, con traduzione del consolato di Livorno, a comprova del rapporto di parentela, chiedendone, con coeva memoria, l’ammissione al giudizio, nonché la certificazione dell’INPS riguardante la pensione del padre.

Alla pubblica udienza del 31 gennaio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Va dato atto della persistenza dell’interesse alla decisione dell’appello, poiché il provvedimento del 3 maggio 2018, adottato in difetto di una nuova istruttoria e sulla base delle medesime argomentazioni contenute nel provvedimento originario, si appalesa come atto meramente confermativo del precedente.

Va, poi, accolta la richiesta di ammissione agli atti del giudizio dell’estratto del registro degli atti di nascita rilasciato dal comune di -OMISSIS-(-OMISSIS-) in data 13 luglio 2018, con relativa traduzione del 28 agosto 2018 del Consolato onorario di Livorno della Repubblica del -OMISSIS-, trattandosi di un documento indispensabile, siccome idoneo a fornire un contributo decisivo all’accertamento della verità materiale ai fini della decisione della causa, che la parte, evidentemente, non avrebbe potuto ottenere e produrre nel giudizio di primo grado, definito nel merito già all’esito della prima udienza camerale, in ragione del tempo necessario a conseguirne il rilascio dall’Autorità estera.

Nel merito, l’appello è fondato.

Il Questore di Grosseto ha respinto l’istanza di rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo presentata dall’odierno appellante e gli ha revocato il permesso di soggiorno per attività di lavoro autonomo ritenendo inattendibili le dichiarazioni fiscali presentate dall’interessato (Mod. Unico 2016 per €. 9.707,00;
Mod. Unico 2015 per € 8.136,00), revocando in dubbio la provenienza lecita delle merci dallo stesso vendute e constatando una serie di irregolarità fiscali.

Si afferma nel provvedimento che “le dichiarazioni rese appaiono chiaramente inconsistenti per quanto riguarda i guadagni ottenuti, tra l'altro per la abnorme differenza tra il costo delle merci e gli incassi. Si tratta di dati non solo non dimostrati ma palesemente inattendibili”, poiché il richiedente “non ha prodotto la documentazione relativa al costo delle merci né tanto meno ha dimostrato la provenienza della stessa, il che fa propendere per una origine illecita delle merci”;
si osserva, altresì, che “il ricorrente [sic] per tutto il periodo in cui ha operato in Italia non solo non ha mai versato imposte, tasse e contributi previdenziali obbligatori, ma non ha nemmeno in modo realistico dimostrato un reddito comunque lecito” e che “il pagamento delle imposte e dei contributi risulta un elemento indispensabile per chi intende usufruire dei servizi pubblici, e comunque per quanto riguarda lo straniero è un elemento di valutazione del suo inserimento sociale”.

Tuttavia, l’omissione dei versamenti fiscali e previdenziali non può costituire in sé, neppure indirettamente, ragione ostativa alla concessione del permesso di soggiorno, in assenza di una espressa previsione di legge in questo senso, e l’eventuale situazione d’infedeltà fiscale e previdenziale, regolarmente accertata, deve costituire, piuttosto, oggetto dei provvedimenti tipici di contrasto all’evasione adottati dall’amministrazione fiscale e dagli enti previdenziali (ex ceteris, C.d.S., sez. III, 14 giugno 2017, n. 2931;
sez. III, 18 aprile 2018, n. 2345);
ciò in disparte dal fatto che l’interessato ha dimostrato già in primo grado la rateizzazione del debito da parte dell’agente della riscossione.

E se tale circostanza può costituire elemento di valutazione dell’inserimento sociale dell’immigrato, è vero anche che l’Amministrazione non risulta aver considerato, allo stesso tempo, il consolidato vincolo instaurato con l’ambiente di inserimento, derivante dalla lunga permanenza in Italia nel sostanziale rispetto delle norme a tutela della sicurezza pubblica e dell’ordinato andamento della vita quotidiana dei cittadini, nell’ambito di un giudizio più ampio e globale.

A ciò si aggiunga che la perentoria affermazione contenuta nel provvedimento impugnato per cui “il cittadino straniero non risulta avere familiari, ex art. 29 del D. Lgs. 286/98 e successive modifiche, sul territorio dello Stato” trova, ormai, definitiva smentita nella documentazione prodotta in giudizio.

L’Amministrazione, dunque, avrebbe dovuto considerare anche la pensione del padre convivente ai fini della dimostrazione del requisito reddituale.

Infine, il fatto che nelle dichiarazioni dei redditi l’appellante abbia esposto costi irrisori delle merci acquistate non è sufficiente a concludere, senz’altro, nel senso dell’origine illecita delle merci compravendute, in difetto di specifici accertamenti o contestazioni da parte delle autorità competenti di cui non è stata fornita evidenza neppure nel corso del presente giudizio.

Per queste ragioni, in conclusione, l’appello va accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata ed in accoglimento del ricorso proposto in primo grado, deve essere annullato l’impugnato decreto del Questore di Grosseto, che dovrà, perciò, rivalutare la situazione dell’odierno appellante, alla luce della documentazione in questa sede prodotta e dei principî in questa sede affermati.

Le spese di giudizio del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensate in considerazione della controvertibilità delle questioni esaminate.

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