Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-11-14, n. 202209950

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-11-14, n. 202209950
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202209950
Data del deposito : 14 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/11/2022

N. 09950/2022REG.PROV.COLL.

N. 05635/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5635 del 2016, proposto da
M B, rappresentato e difeso dagli avvocati G R, M Z, con domicilio eletto presso lo studio Michele Lioi in Roma, viale Bruno Buozzi,32;

contro

Comune di Monteroduni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato M D N, con domicilio eletto presso lo studio Clementino Palmiero in Roma, via Albalonga, 7;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. MOLISE - CAMPOBASSO: SEZIONE I n. 00477/2015, resa tra le parti, concernente demolizione opere edilizie abusive.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Monteroduni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2022 il Cons. D P e uditi per le parti gli avvocati Benedetta Lubrano in sostituzione degli avvocati M Z e G R e M D N;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 630 del 2018 del Tar Molise, recante rigetto dell’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dalla stessa parte, in qualità di proprietaria in Monteroduni (unitamente al proprio coniuge) di un fabbricato per civile abitazione ricadente nella zona “ristrutturazione e completamento del centro urbano” del PRG, al fine di ottenere l’annullamento dell'ordinanza n. 53 del 10.12.14 notificata il successivo 16 dicembre, con la quale il responsabile dell'ufficio tecnico del Comune stesso ha ingiunto alla ricorrente la demolizione delle seguenti opere: manufatto in soprelevazione costituito da solaio in C.A. chiuso su due lati con muratura e coperto con struttura in legno lamellare, a falda inclinata, poggiante, su un lato, sul fabbricato esistente;
rifacimento di un porticato esistente antistante l’abitazione realizzato per una parte con copertura a falda inclinata e per altra parte con copertura piana il tutto sorretto da pilastri in cemento rivestiti con mattoncini rossi;
manufatto in muratura completamente chiuso in loco di un accesso pedonale utilizzato come deposito di legnaia.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante, contestando le argomentazioni del Giudice di prime cure, formulava i seguenti motivi di appello:

- violazione del dPR 3 del 1957 e dell’art. 7 dPR n. 62 del 2013, per mancata astensione della responsabile dell’ufficio tecnico;

- violazione degli artt. 3 lett. e), 10, 27 e 31 dPR 380 del 2001, in quanto le opere risultavano coperte da un’autorizzazione del 1967 (per il porticato chiuso) e per il resto qualificabili in termini di manutenzione straordinaria;

- analoghi vizi e violazione della l.r. n. 20 del 1996, per errata qualificazione delle due tettoie autoportanti;

- sussistenza di un interesse strumentale alla proposizione delle censure 1.4 e 1.5 del ricorso di primo grado, in relazione all’espunzione del riferimento bell’ordinanza all’impossibilità dio presentare una sanatoria paesaggistica;

- violazione dell’art. 31 cit., per difetto di istruttoria e di motivazione dell’ordine di demolizione.

Con ordinanza n. 4296 del 2016 veniva respinta la domanda cautelare sulla scorta delle seguente motivazione: “ Ritenuto, pur nell’ambito della delibazione propria della presente fase, non sufficientemente dimostrato il requisito del fumus boni iuris e che pertanto non sia possibile pervenire, allo stato, ad una prognosi favorevole dell’esito della controversia, avuto in particolare riguardo – tenuto conto della localizzazione geografica del territorio comunale nell’ambito del quale si sono svolti i fatti per cui è causa – all’assenza nella specie, e tra l’altro, di un previo atto di assenso agli interventi edilizi in relazione sia alla normativa antisismica sia a quella paesaggistica ”.

L’amministrazione comunale appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.

Alla pubblica udienza del 10 novembre 2022 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato, nei termini già prospettati in sede cautelare, con conseguente applicabilità dell’art. 74 cod proc amm.

2. Con il primo motivo di appello, si lamenta la mancata astensione del responsabile del procedimento.

2.1 Preliminarmente, va precisata l’ammissibilità della censura, limitatamente alla riproposizione della contestazione di prime cure – pena altrimenti la violazione del divieto dei nova in appello – concernente la parte della motivazione dell’ordinanza demolitoria in cui si anticiperebbe impropriamente il diniego di sanatoria sul presupposto, eventuale, che la ricorrente proponesse la relativa istanza, con ciò mostrando – nella prospettazione ricorrente - una prevenzione frutto di rapporti personali tesi fra il responsabile dell’ufficio comunale e la ricorrente.

Invero, se per un verso tale parte di motivazione dell’atto impugnato in prime cure è priva di rilievo ai fini sanzionatori, oggetto di corretto esercizio comunale, per un altro verso la stessa appare comunque coerente alla qualificazione degli abusi accertati, in termini di nuova costruzione e quindi pacificamente non sanabile paesaggisticamente stanti i noti limiti dettati dall’art. 167 d.lgs. 42 del 2004.

2.2 Peraltro, nel caso in esame non emerge alcun elemento qualificabile in termini di vero e proprio conflitto di interessi, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 6 bis l. 241 del 1990, norma di principio in materia: “ Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale ”.

2.3 In generale, deve ritenersi sussistente una situazione di conflitto tale da inficiare l'esito del procedimento, quando il funzionario sia portatore di interessi personali estranei alla sfera dell'amministrazione nella quale opera (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. III, 2/4/2014 n. 1577, sez. V, 13/6/2008 n. 2970 e sez. VI 10 novembre 2020 n. 6918).

2.4 Nel caso di specie, l’invocata e presunta inimicizia tra la figlia dell’odierna appellante ed il responsabile del procedimento riguarda un soggetto diverso da quello inciso dall’azione amministrativa, nonché fatti e comportamenti del tutto estranei alla vicenda edilizia in questione.

Va quindi condivisa la conclusione dei Giudici di prime cure, non essendo dato individuare alcun interesse privato dei funzionari, contrario a quello dell'amministrazione, né contrapposto a quello di parte appellante, stante anche il carattere vincolato dell’attività sanzionatoria edilizia e paesaggistica in caso di accertamento di abusi.

3. In relazione alle seguenti censure, concernenti la qualificazione delle opere, sia in sé, sia in rapporto alla preesistenza di un’autorizzazione per un manufatto precedente (un deposito attrezzi agricoli, divenuto un porticato), assumono rilievo dirimente i consolidati orientamenti di questo Consiglio, alla luce dei quali risulta corretta la qualificazione fatta propria dall’amministrazione e condivisa dal Giudice di prime cure: le opere abusive accertate, realizzate in zona vincolata nei termini predetti, hanno dato luogo ad un intervento di rilevante impatto, correttamente considerato in termini unitari anche a fronte della incisività su di un’area soggetta a specifica tutela, come desumibile dalla chiara ricostruzione posta a base della statuizione contestata: manufatto in soprelevazione costituito da solaio in cemento armato chiuso su due lati con muratura e coperto con struttura in legno lamellare, a falda inclinata, poggiante, su un lato, sul fabbricato esistente;
rifacimento di un porticato esistente antistante l’abitazione realizzato per una parte con copertura a falda inclinata e per altra parte con copertura piana il tutto sorretto da pilastri in cemento rivestiti con mattoncini rossi;
manufatto in muratura completamente chiuso in loco di un accesso pedonale utilizzato come deposito di legnaia.

3.1 Sulla scorta di tali risultanze, va ribadito che l’opera edilizia abusivamente eseguita debba essere identificata con riferimento all'unitarietà dell'immobile o del complesso immobiliare ove realizzato in esecuzione di un disegno unitario, come nella specie. In linea generale, infatti, al fine di valutare l'incidenza sull'assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto – specie in ambito soggetto a specifica tutela vincolistica - un apprezzamento globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprenderne in modo adeguato l'impatto effettivo complessivo, con la conseguenza che i molteplici interventi eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera “frazionata” (cfr. ad es. Consiglio di Stato , sez. VI , 08/09/2021 , n. 6235).

3.2 Nel caso di specie la valutazione svolta dal Comune e condensata nella motivazione dell’atto, appare pienamente coerente sia ai principi richiamati che ai dati di fatto accertati.

4. È parimenti infondata la evocata qualificazione come pertinenza;
assume rilievo preliminare e dirimente anche a cagione del carattere pacificamente vincolato dell’area il consolidato orientamento per cui, in linea di diritto, in area sottoposta a vincolo paesaggistico la realizzazione di un nuovo volume ulteriore va qualificato come nuova costruzione che modifica irreversibilmente lo stato dei luoghi, sicché - ferma restando la valutazione discrezionale dell'autorità paesaggistica sulla sua fattibilità, qualora vi sia soltanto un vincolo relativo – l’abusiva edificazione comporta la sanzione ordinaria, cioè ripristinatoria (cfr. ad es. Consiglio di Stato , sez. VI , 05/03/2013 , n. 1316 e 07/01/2014 , n. 18).

4.1 Al riguardo, giova ribadirlo, hanno una indubbia rilevanza paesaggistica tutte le opere realizzate sull’area sottoposta a vincolo, anche se trattasi di volumi tecnici ed anche se si tratta di una eventuale pertinenza, poiché le esigenze di tutela dell’area sottoposta a vincolo paesaggistico – da sottoporre alla previa valutazione degli organi competenti - possono anche esigere l’immodificabilità dello stato dei luoghi (ovvero precluderne una ulteriore modifica).

4.2 In proposito, in linea generale va altresì ricordato che le opere abusive, anche qualora in astratto abbiano natura pertinenziale o precaria e, quindi, siano assentibili con mera d.i.a. o s.c.i.a., se realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, debbono considerarsi comunque eseguite in totale difformità dalla concessione, laddove non sia stata ottenuta alcuna preventiva autorizzazione paesaggistica e, conseguentemente, deve essere applicata la sanzione demolitoria (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 26 settembre 2018, n. 5524).

4.3 A fronte di tali principi nel caso di specie irrilevante è la preesistenza di un’autorizzazione del 1967, in quanto relativa ad un manufatto diverso (deposito attrezzi) da quello poi abusivamente trasformato ed accertato (porticato), nonché la presunta autonomia delle due tettoie portanti e del conseguente limitato impatto, stante la correttezza della valutazione unitaria svolta dal Comune nonché della specifica rilevanza per l’impatto in ambito paesaggisticamente vincolato, quale è pacificamente quello interessato.

5. Infine, se in relazione all’interesse strumentale alla decisione dei motivi concernenti la prospettata insanabilità assume rilievo dirimente quanto sopra evidenziato in merito al primo motivo di appello, anche in relazione all’ultimo profilo di censura di appello, circa la violazione dell’art. 31 cit., assume rilievo dirimente l’orientamento consolidato a mente del quale la sanzione ripristinatoria costituisce atto vincolato, per la cui adozione non è necessaria la valutazione specifica delle ragioni di interesse pubblico, né la comparazione di questi con gli interessi privati coinvolti, né tantomeno una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non essendo in alcun modo ammissibile l'esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 17 luglio 2018, n. 4368).

5.1 Nel caso di specie, se da un canto le opere risultano correttamente indicate e qualificate dall’atto impugnato (cfr. pag. 1 dell’ordinanza), dall’altro canto lo stesso atto richiama i consolidati orientamenti in materia (cfr. pag. 2 dell’ordinanza);
l’atto specifica anche il carattere vincolato dell’area, sia paesaggisticamente che in relazione alla disciplina antisismica.

5.2 In merito alla contestata indeterminatezza dell’area da acquisire, va poi ribadito che neppure l’omessa o imprecisa indicazione di un'area che verrà acquisita di diritto al patrimonio pubblico costituisce motivo di illegittimità dell'ordinanza di demolizione: invero, l'indicazione dell'area è requisito necessario ai fini dell'acquisizione, che costituisce distinta misura sanzionatoria (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 3 dicembre 2020, n. 7672).

5.3 Né assume rilievo l’eventuale successiva precisazione in sede di ulteriore sopralluogo del 16 gennaio 2015, in quanto la stessa, oltre a non apparire illogica in sé, risulta coerente alla seguente attività di delimitazione dell’area da acquisire.

6. L’appello è quindi infondato va pertanto respinto.

Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

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