Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-05-18, n. 201502515
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
N. 02515/2015REG.PROV.COLL.
N. 03437/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3437 del 2013, proposto dall’ISTAT - Istituto Nazionale di Statistica, dal Ministero dell'Economia e delle Finanze e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12
contro
Fondazione La Triennale di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati F P e L M, con domicilio eletto presso L M in Roma, Via Panama, 18
per la riforma della sentenza del T.A.R. della Lombardia, Sezione I, n. 326/2013
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Fondazione ‘La Triennale’ di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 aprile 2015 il Cons. C C e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Stigliano Messuti, nonché gli avvocati Mazzarelli e Perli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
Le vicende all’origine del presente ricorso sono descritte nei termini che seguono nell’ambito dell’impugnata sentenza del T.A.R. della Lombardia.
La ricorrente in primo grado Fondazione La Triennale di Milano ha esposto in fatto di essere stata riconosciuta come ente pubblico autonomo con R.D. 25 giugno 1931, n. 349 e di essere stata trasformata in fondazione di diritto privato senza scopo di lucro con decreto legislativo 20 luglio 1999, n. 273, garantendo la personalità giuridica di diritto privato, in luogo di quella pubblica, la possibilità di un migliore e più razionale svolgimento delle proprie funzioni.
Queste ultime si riassumono, a norma dello statuto, nello svolgimento e nella promozione di plurime attività con particolare riferimento ai settori dell’architettura, dell’urbanistica, delle arti decorative e visive, del design, dell’artigianato, della produzione industriale, della moda, della comunicazione audiovisiva e dell’organizzazione di esposizioni di rilievo nazionale e internazionale.
La Fondazione La Triennale di Milano provvede al perseguimento dei fini statutariamente previsti, giovandosi del proprio patrimonio, dei proventi delle viste attività, nonché di contributi da parte dello Stato, di enti pubblici territoriali e di altri enti, oltre che di quelli elargiti dai cosiddetti partecipanti istituzionali e dai partecipanti.
La Fondazione è gestita da un consiglio di amministrazione, i cui soci a designazione pubblica ne costituiscono la maggioranza.
Il comma 3 dell’articolo 3 del richiamato decreto legislativo n. 273 del 1999 ha autorizzato la costituzione di società di capitali, a condizione che non siano perseguiti utili e che, comunque, l’eventuale surplus rispetto alle spese occorse sia destinato ai fini istituzionali.
Con atto notarile in data 16 dicembre 2002 la ricorrente ha costituito (ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 273 del 1999) la società unipersonale Triennale di Milano Servizi S.r.l., interamente posseduta e controllata dalla ricorrente e alla stessa è stato affidato il compito di dar corso alle attività commerciali.
Operando attraverso strumenti privatistici, la struttura del bilancio è mutata, ricercando la Fondazione autonomamente il proprio equilibrio economico, continuando in ogni caso a fruire di contributi pubblici, che assommerebbero al 30 per cento circa dei ricavi e che le sarebbero assegnati periodicamente senza integrare alcun obbligo da parte del soggetto pubblico erogante.
Su tale posizione di autonomia e di equilibrio finanziario, nel quale il bilancio consolidato per l’esercizio 2005 esponeva ricavi pari ad euro 7.094.805,00, ivi compresi i contributi pubblici per euro 2.520.223,00, nonché costi per euro 7.090.286,00, ha inciso il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, il cui articolo 22 prescriveva la riduzione delle spese di funzionamento per enti e organismi pubblici non territoriali per il 2006 nella misura del 10 per cento e comunque nei limiti delle disponibilità non impiegate alla data di sua entrata in vigore.
Al detto contenimento delle spese si associava l’obbligo di riversare nel bilancio dello Stato la corrispondente somma con ulteriore previsione che, per il triennio 2006 - 2009, le previsioni di spesa non potessero superare l’80 per cento di quelle dell’anno 2006: in difetto di una puntuale osservanza di quanto così stabilito i bilanci degli enti e degli organismi pubblici non sarebbero stati approvati da parte delle rispettive Amministrazioni vigilanti.
Lo stesso articolo 22 faceva, poi, riferimento, quanto al suo spettro di applicazione, all’elenco allegato al comma 5 dell’articolo 1 della l. 30 dicembre 2004, n. 311, la quale a sua volta prevedeva che, per l’anno 2006, gli enti e le amministrazioni pubbliche assoggettate alla vista disciplina, fossero individuate dall’Istituto nazionale di statistica con proprio provvedimento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale non oltre il 31 luglio di ogni anno.
E dunque avverso detta statuizione, che aveva incluso nell’elenco dei soggetti obbligati a rispettare la vista disciplina anche la Fondazione La Triennale di Milano, veniva proposto il primo ricorso che il T.A.R. della Lombardia accoglieva ritenendolo fondato.
La sentenza in questione è stata impugnata in sede di appello dall’ISTAT, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dal Ministero per i Beni e le Attività culturali i quali ne hanno chiesto la riforma articolando plurimi motivi.
Con un primo motivo (pagine da 4 a 6 dell’atto di appello) gli appellanti lamentano che i primi Giudici non abbiano rilevato l’improcedibilità del ricorso di primo grado per avere la Fondazione appellata omesso di impugnare gli elenchi ISTAT successivi all’anno 2006.
E infatti, gli elenchi in questione (nel cui ambito la Fondazione appellata era sempre stata inserita) si sarebbero integralmente sostituiti a quello impugnato in primo grado e avrebbero consolidato il paventato nocumento prodotto dall’iniziale inserimento nell’elenco relativo all’anno 2006.
Del resto, non potrebbe in alcun modo ritenersi che l’eventuale annullamento di un elenco si ripercuota su quelli degli anni successivi, non trattandosi di un unico elenco ‘aggiornabile’ nel corso degli anni, bensì di diversi elenchi che vengono predisposti ex novo di anno in anno (oltretutto, la Fondazione appellante risulta inserita anche nell’elenco relativo all’anno 2012).
A questo punto del ricorso in appello le amministrazioni appellanti svolgono una breve disamina sulle previsioni di cui al Regolamento(CE) 25 giugno 1996, n 2223 (‘ Regolamento del Consiglio relativo al Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella Comunità ’ – c.d. sistema europeo dei conti nazionali o ‘SEC 95’) e sulle modalità di predisposizione del conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche nell’ambito della procedura per deficit eccessivi di cui all’articolo 126 del TFUE (pagine da 6 a 10 dell’atto di appello).
Al riguardo l’Istituto appellante rammenta che l’elaborazione del conto economico consolidato si basa sulla corretta individuazione delle unità istituzionali che fanno parte del Settore ‘Amministrazioni pubbliche’ (AP) denominato S13 secondo i criteri di cui al richiamato regolamento n. 2223/96 e del relativo ‘Manuale del SEC 95 sul disavanzo e sul debito pubblico’.
La qualificazione di un Ente o Organismo come ‘Unità istituzionale’ e il suo inserimento nell’ambito del Settore ‘Amministrazioni Pubbliche’ - S13 sono disciplinate dai paragrafi 2.12, 2.68 e 2.69 del Regolamento.
In particolare, le disposizioni da ultimo richiamate stabiliscono che ciò che distingue le ‘Unità istituzionali’ è il fatto di agire quali “ produttori di beni e servizi non destinabili alla vendita ”.
Tale carattere viene a sua volta identificato in base al c.d. ‘criterio del 50 per cento’ il quale consiste nell’accertare se i ricavi per prestazioni di servizi, realizzati in situazioni e condizioni di mercato, coprano una quota superiore al 50 per cento dei costi di produzione.
Tanto premesso dal punto di vista generale, le amministrazioni appellanti passano ad articolare i propri motivi di censura – per così dire – ‘di carattere sostanziale’.
In primo luogo (pagine da 10 a 17 dell’atto di appello) esse lamentano che i primi Giudici abbiano erroneamente affermato che le previsioni in materia di contenimento della spesa pubblica di cui al comma 5 dell’articolo 1 della l. 30 dicembre 2004, n. 311 e di cui all’articolo 22 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 comportino ex se l’assoggettamento a tali previsioni delle amministrazioni e degli Enti ivi contemplati (fino ad affermare che “ è con la statuizione di inserzione nella lista che si costituiscono gli obblighi ricadenti sugli enti che ivi figurano iscritti ”).
In tal modo decidendo i primi Giudici avrebbero commesso un vero e proprio errore di prospettiva, omettendo di considerare:
- che nessuna delle due disposizioni richiamate (il comma 5 dell’articolo 1 della l. 311 del 2004 e l’articolo 22 del decreto-legge 223 del 2006) rimette direttamente all’Istituto il compito di individuare le amministrazioni e gli Enti da assoggettare alle richiamate previsioni in materia di contenimento della spesa pubblica;
- che, al