Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-02-26, n. 201901344

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-02-26, n. 201901344
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201901344
Data del deposito : 26 febbraio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/02/2019

N. 01344/2019REG.PROV.COLL.

N. 03700/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3700 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato L S, e domiciliato in Roma, via Lucrezio Caro, 38;

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 04793/2017, resa tra le parti, concernente richiesta annullamento decreto Ministero Difesa prot. n. 0667926 del 17.11.2016 consegnato il 27.11.2016;
Richiesta annullamento decreto Ministero Difesa prot. 0712923 del 7.12.2016 comunicato il 24.12.2016. Annullamento sanzione disciplinare Carabinieri.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2019 il Cons. Antonino Anastasi e uditi per le parti gli avvocati L S e l'Avvocato dello Stato Fabio Tortora;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

-OMISSIS-, vicebrigadiere dei Carabinieri in servizio presso la Scuola perfezionamento forze polizia, nel 2003 fu accusato in sede penale per i reati di associazione per delinquere, peculato e falso, in relazione alle mansioni da lui svolte.

Nel 2011, con sentenza del Tribunale penale di Roma, il sottufficiale è stato assolto dal reato associativo e invece condannato per peculato continuato. Con la medesima sentenza il reato di falso veniva dichiarato estinto per prescrizione.

Con sentenza del 2013 la Corte d’Appello di Roma, su appello del Leone, riduceva la pena per il peculato.

Infine, per effetto di rinvio disposto dalla Corte di Cassazione, la Corte d’Appello di Roma con sentenza 6001/2015 assolveva il Leone dall’accusa di peculato e confermava la prescrizione del reato di falso, come dichiarata nella sentenza di primo grado.

Nel giugno 2016 l’Arma avviava nei confronti del sottufficiale un procedimento disciplinare che si concludeva nel novembre del 2016 con l’irrogazione della sanzione della perdita del grado per rimozione.

L’interessato ha impugnato la sanzione avanti al TAR del Lazio il quale con la sentenza in epigrafe indicata ( resa in forma “breve” all’esito della camera di consiglio) ha però respinto il gravame.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi in esame dal soccombente il quale ne ha chiesto l’integrale riforma.

Si è costituita in resistenza l’Amministrazione della Difesa.

Le Parti hanno depositato memorie, insistendo nelle già rappresentate conclusioni.

All’udienza del 14 febbraio 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.L’appello non è fondato e la sentenza impugnata va confermata, con integrazioni motivazionali.

Con il primo motivo l’appellante deduce il tardivo avvio dell’azione disciplinare nei suoi confronti.

In tal senso l’appellante osserva da un lato che la sanzione disciplinare gli è stata inflitta per condotte riconducibili nella loro materialità a quelle ascritte in sede penale al reato di falso ideologico;
dall’altro che tale reato era stato dichiarato prescritto già nel primo grado di giudizio, conclusosi con la sentenza del Tribunale di Roma divenuta irrevocabile il 7.4.2012.

Ne consegue, secondo l’appellante, che l’Amministrazione ha avviato il procedimento disciplinare quando il termine massimo divisato dall’art. 1392 COM era da anni scaduto.

Il mezzo non può trovare favorevole considerazione.

In primo luogo, secondo quanto lo stesso appellante espone, la Corte d’Appello di Roma in seno alla sentenza di rinvio ha ritenuto di confermare ( non ravvisando elementi certi di innocenza per entrambi gli imputati) la intervenuta prescrizione del reato di falso.

In secondo luogo, e soprattutto, deve osservarsi che l’appellante era stato contestualmente accusato di gravi reati ( associazione e peculato continuato) rispetto ai quali – come correttamente evidenziato dal TAR – il falso ideologico si poneva in funzione di strumentalità, nel senso che la falsificazione dei registri o la scorretta annotazione delle poste contabili risultava secondo l’accusa finalizzata all’appropriazione o comunque all’utilizzo dei fondi dell’Amministrazione.

Ne consegue che la reale rilevanza disciplinare del comportamento addebitato al sottufficiale non poteva logicamente essere apprezzata senza attendere l’esito di una vicenda penale così unitaria e così complessa.

D’altra parte, ed il rilievo è dirimente, la sanzione espulsiva risulta inflitta in quanto il vicebrigadiere è stato ritenuto “ l’ideatore di un meccanismo finalizzato all’utilizzo dei fondi dell’amministrazione” e quindi per un condotta che nel suo complesso eccede la falsificazione dei registri, posta in essere per l’ occultamento di tale delittuosa attività.

Con il secondo motivo l’appellante deduce che l’azione disciplinare è stata comunque avviata tardivamente, anche a considerare come termine iniziale quello ( 15.2.2016) di intervenuta irrevocabilità della sentenza di rinvio.

Il mezzo è infondato.

Infatti per consolidata giurisprudenza della Sezione il termine d'inizio dell'azione disciplinare di cui all'art. 1392 comma 1, del codice dell'ordinamento militare, approvato con D.lg. 15 marzo 2010, n. 66 e recante per il militare la perdita del grado per rimozione, coincide con il momento in cui la Pubblica amministrazione ha avuto a disposizione il testo integrale della sentenza penale, completa di motivazioni. ( cfr. IV n. 3652 del 2016).

Oppone l’appellante che l’Arma, ai sensi della circolare relativa alle procedure disciplinari, avrebbe dovuto in realtà attivarsi con controlli periodici presso la cancelleria, onde acquisire tempestivamente le motivazioni della sentenza, depositate ben quattro mesi prima.

Il rilievo non è concludente, in quanto una circolare interna non può incidere sul disposto della norma primaria ( art. 1392 COM ) la quale correla l’onere di avvio dell’azione disciplinare al fatto obiettivo della “conoscenza integrale” della sentenza penale.

Peraltro l’interessato avrebbe potuto attivarsi personalmente e notificare la sentenza integrale all’Amministrazione, in modo da abbreviare il periodo di incertezza sugli esiti della sua carriera.

In conclusione, dal momento che nel caso all’esame la conoscenza integrale della sentenza di rinvio fu conseguita dall’Amministrazione il 6.4.2016, ne deriva che l’azione disciplinare è stata intrapresa entro il termine decadenziale di novanta giorni.

Con il terzo motivo l’appellante deduce che il provvedimento sanzionatorio è carente di essenziali elementi formali, risultando non datato e non sottoscritto.

Sulla nullità ( di tipo strutturale) del provvedimento derivante dalla mancanza degli elementi essenziali la Difesa dell’appellante ha del resto lungamente insistito nel corso della discussione orale.

Al riguardo la Sezione, con ordinanza n. 2911 del 2018, ha richiesto all’Amministrazione di depositare copia dei provvedimenti impugnati.

Avendo l’Amministrazione espletato l’incombente, ne risulta che i provvedimenti in questione furono sottoscritti digitalmente dal competente Direttore Generale alle date del 17.11.2016 e del 7.12.2016: tanto infatti si evince dall’annotazione apposta a margine degli stessi.

Dal momento che nei provvedimenti della PA la firma digitale sostituisce, secondo il CAD, la firma autografa il mezzo va pertanto respinto.

Ovviamente in questa sede non c’è spazio per verificare – in difetto di querela di falso – la veridicità dell’annotazione relativa alla sottoscrizione digitale del provvedimento.

Con il terzo motivo l’appellante deduce il difetto di motivazione e il travisamento che viziano il provvedimento impugnato.

Il mezzo è infondato.

Per quanto riguarda la motivazione, ad avviso del Collegio nel provvedimento risultano precisamente evidenziati i profili di contrasto radicale tra il comportamento concreto tenuto dal sottufficiale e i criteri comportamentali fondamentali ( moralità e rettitudine ) richiesti in servizio ad un militare.

D’altra parte la condotta materiale del sottufficiale, anche riguardata e ricostruita sotto l’angolo prospettico minimizzante proposto dall’interessato, rimane obiettivamente incompatibile rispetto a quei canoni di correttezza, professionalità e affidabilità che devono contrassegnare sempre l’agire di un sottufficiale dell’Arma.

Quanto al travisamento, la tesi del ricorrente – in buona sostanza – può compendiarsi nel rilievo che, una volta escluso il peculato, doveva cadere simultaneamente anche l’accusa di falso, non avendo senso una contraffazione delle risultanze dei registri contabili non finalizzata all’appropriazione delle somme o dei mezzi di pagamento non annotati.

Il rilievo non è convincente, in quanto si scontra con le risultanze dell’inchiesta disciplinare, in linea del resto con quanto attestato dalla Corte d’appello ( e prima dal Tribunale) circa l’impossibilità di predicare con certezza la innocenza dell’appellante dal reato di falso di cui era accusato.

Il vero è che – ancora una volta – l’appellante minimizza il rilievo delle condotte materiali da lui tenute, come comprovate nei vari gradi del giudizio penale e nell’inchiesta disciplinare e come del resto accertate dalla CTU disposta in primo grado dal Tribunale proprio al fine di ricostruire il vorticoso giro di titoli emessi sui numerosi conti correnti aperti dal sottufficiale presso la banca tesoriera.

Con l’ultimo motivo l’appellante deduce la disparità di trattamento rilevando che gli altri militari coinvolti nella vicenda sono stati oggetto di sanzioni gravi ma non espulsive.

Il mezzo non è meritevole di positiva considerazione poiché dagli atti non risulta quella assoluta equivalenza delle posizioni che – al limite - potrebbe giustificare la censura di disparità in sede disciplinare.

Infatti – come si è visto sopra – alla luce di quanto emerso nel corso dei giudizi penali e nell’inchiesta disciplinare l’appellante è stato sanzionato in quanto ritenuto l’ideatore del meccanismo finalizzato ad occultare l’attività assolutamente impropria poi posta concretamente in essere insieme ai commilitoni.

Di talché ( a prescindere da ogni approfondimento in ordine agli altri fattori potenzialmente in grado di differenziare le posizioni degli incolpati, quali i precedenti di carriera, il comportamento tenuto nel corso del procedimento e simili) il giudizio dell’Amministrazione in ordine alla maggiore gravità della condotta posta in essere dall’appellante non esibisce profili di illogicità sindacabili in questa sede di legittimità.

Infatti, il giudizio circa la gravità delle violazioni poste in essere dal dipendente, specie se militare, al fine di individuare la sanzione da applicare è il frutto di valutazioni di merito riservate all’Amministrazione, che il giudice della legittimità non può sindacare se non per profili estrinseci di manifesta illogicità o abnormità.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va pertanto respinto, con rigetto del ricorso introduttivo.

Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.





Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi