Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-11-16, n. 202210045
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Testo completo
Pubblicato il 16/11/2022
N. 10045/2022REG.PROV.COLL.
N. 02830/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2830 del 2022, proposto da
Servizio Elettrico Nazionale Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati G L P e F C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. F C in Roma, via Vittoria Colonna 32;
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Arera - Autorita' di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
U.Di.Con. - Unione per la Difesa dei Consumatori, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 02332/2022, resa tra le parti, concernente sanzione amministrativa per pratica commerciale scorretta.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e di Arera - Autorita' di Regolazione per Energia Reti e Ambiente;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 luglio 2022 il Cons. U L e uditi per le parti l’avv. F C e l’avv. Fiduccia dell’Avvocatura dello Stato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. . Con l’atto di appello in esame è stata impugnata la sentenza del TAR Lazio, sez. I, 28 febbraio 2022, n. 2302 con la quale è stato respinto il ricorso avverso il provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) n. 28509 adottato nell'adunanza del 22 dicembre 2020, con il quale è stata contestata ad Enel Energia S.p.A.(“ENEL”) e alla soc. Servizio elettrico Nazionale s.p.a. (“SEN”) una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 24 e 25 del Codice del Consumo ed è stata irrogata a carico di ENEL una sanzione di € 4.000.000,00 ed a SEN una sanzione di 3.500.000 euro nonché disposta la pubblicazione – a cura e spese dei professionisti – di una dichiarazione rettificativa ai sensi dell’art. 27, co. 8, del Codice del Consumo, per aver gestito in modo inadeguato le istanze di prescrizione biennale presentate dagli utenti, i successivi reclami ed i tentativi di conciliazione, per non avere correttamente accertato la responsabilità dei consumatori per omessa/tardiva lettura dei contatori, procedendo all’incasso di somme non dovute in forza della minaccia della sospensione e distacco di un servizio essenziale oggetto di fornitura.
In particolare l’illecito sarebbe consistito nel fatto che Enel e SEN, nel trattare le istanze di prescrizione, si sarebbero avvalsi principalmente delle indicazioni fornite dal Distributore.
Come emerge dalla narrazione in fatto della sentenza impugnata, il ricorso in primo grado era strutturato su sei motivi di impugnazione.
Premesso che la vicenda in contestazione si era svolta nella vigenza dell’art. 1, comma 5, della legge di bilancio 2018 (secondo cui le disposizioni sulla prescrizione breve biennale del diritto al corrispettivo dovuto al venditore di energia elettrica “non si applicano qualora la mancata o erronea rilevazione dei dati di consumo derivi da responsabilità accertata dell'utente”), disposizione abrogata con la legge di bilancio dell’anno successivo, con il primo motivo è stata contestata l’interpretazione della suddetta normativa della legge di bilancio 2018 fornita dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o Autorità) contenuta nel provvedimento, sostenendo che addosserebbe in capo al venditore una responsabilità per fatto altrui;si riteneva che, conformemente a quanto chiarito da ARERA nel parere rilasciato nel corso del procedimento, solo il distributore fosse il soggetto che ha la gestione dei contatori ed il potere/dovere di eseguirne la lettura. La ricorrente in primo grado aggiungeva che, qualora le disposizioni di cui all’art. 1, commi 4 e ss., della legge di bilancio 2018 fossero interpretate nel senso di non consentire al venditore di accertare la sussistenza di una responsabilità dell’utente ai fini dell’art. 1, comma 5, attraverso le dichiarazioni rese dal distributore, allora la disciplina dovrebbe ritenersi costituzionalmente illegittima per violazione degli articoli 3, 23 e 41 Cost. domandando che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale sul punto. Con riferimento alla durata della condotta contestata, la ricorrente in primo grado censurava, in via subordinata, l’affermazione dell’Autorità secondo cui la pratica non si sarebbe mai interrotta, in quanto nel giugno del 2020, in conseguenza della notifica dell’avvio del procedimento, aveva sospeso la trattazione delle istanze di prescrizione presentate dagli utenti, conformandosi ad uno specifico obbligo imposto dall’art. 1, comma 4, della legge di bilancio 2018.
Con il secondo motivo di ricorso è stata contestata la genericità del provvedimento: non sarebbero stati specificati i contorni della condotta illecita punibile, in particolare in relazione alla presunta inadeguatezza della gestione delle istanze di prescrizione biennale, dei successivi reclami e dei tentativi di conciliazione e non sarebbe stato chiarito cosa la ricorrente avrebbe dovuto fare per rispettare la legge e per evitare la sanzione.
Con il terzo motivo di ricorso, che riguardava la condotta sanzionata relativa all’“acquisizione immediata dei crediti prescrivibili laddove gli utenti avessero optato per il pagamento tramite domiciliazione bancaria/postale o su carta di credito”, si criticava che l’Autorità non avrebbe considerato le difficoltà tecniche nell’implementare gli interventi tecnici volti ad escludere dal flusso automatico di domiciliazione le fatture relative ad importi prescrivibili;si sosteneva che nelle more dell’implementazione dei predetti interventi, l’eventuale addebito automatico di importi riferiti a periodi per i quali poteva essere maturata la prescrizione non avrebbe precluso ai clienti di eccepire l’intervenuta prescrizione e, quindi, non vi sarebbero elementi per qualificare la pratica imputata come scorretta e aggressiva.
Con il quarto motivo la ricorrente in primo grado censurava il provvedimento in relazione alla decadenza del termine per la contestazione dell’illecito, in quanto la comunicazione di avvio sarebbe stata notificata tardivamente, e in particolare oltre il termine di 90 giorni previsto dall’art. 14 della L. n. 689/1981;in sostanza si sosteneva che gli elementi necessari per l’avvio del procedimento fossero stati conosciuti dall’Autorità fin dal marzo 2018, mentre il procedimento istruttorio avrebbe avuto avvio solamente il 6 luglio 2020.
Col quinto motivo, la ricorrente deduceva che l’Autorità avrebbe imposto la misura ulteriore dell’obbligo di pubblicazione di una dichiarazione rettificativa nonostante non vi fossero effetti che avrebbero potuto ancora essere prodotti, dal momento che la condotta era cessata e che era sopraggiunta anche una modifica normativa. Deduceva inoltre che l’Autorità si sarebbe ritenuta titolare ex lege di un potere di costituire un diritto di credito in capo all’utente quale conseguenza diretta ed immediata del provvedimento amministrativo con il quale si accertava la sussistenza di una pratica scorretta nella gestione delle eccezioni di prescrizione.
Nel sesto e ultimo motivo di impugnazione, la ricorrente in primo grado contestava la quantificazione della sanzione, ritenendola sproporzionata, in quanto la condotta sarebbe stata conforme alla disciplina di settore dettata dall’ARERA e l’Autorità si sarebbe comunque determinata a sanzionarla tardivamente. Inoltre, l’AGCM non avrebbe tenuto conto della esiguità delle segnalazioni pervenute se parametrate al numero complessivo degli utenti.
I Giudici di primo grado hanno respinto il ricorso, osservando in particolare:
- (i) l’infondatezza delle doglianze di SEN in merito alla tardiva contestazione dell’illecito, in ragione della decorrenza del termine di 90 giorni previsto dall’art. 14 della legge n. 689/1981, sostenendo che nel caso di specie, venendo in considerazione un procedimento relativo all’accertamento di una pratica commerciale scorretta, estraneo al perimetro dei procedimenti in materia antitrust regolati dal D.P.R. n. 217/1998, non si potrebbe condividere la tesi che afferma l’immediata applicabilità del termine di cui all’art. 14 l. n. 689/1981. Secondo i Giudici di prime cure, i termini previsti nella delibera AGCM 1 aprile 2015 n. 25411, entro cui avviare l’istruttoria, non sono qualificati come perentori e la loro eventuale inosservanza non comporterebbe la decadenza dalla potestà sanzionatoria. In ogni caso il termine di avvio dell’istruttoria, quand’anche fosse perentorio, decorrerebbe pur sempre non già dalla notizia del fatto ma dall’acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita. Il che non toglie che il termine debba essere pur sempre ragionevolmente congruo, in relazione alla complessità della fattispecie sottoposta, a pena di violazione dei principi di legalità e buon andamento che devono sempre comunque contraddistinguere l'operato dell’AGCM. Secondo il Collegio di primo grado nella presente fattispecie non sarebbero sussistite le condizioni per ritenere tardivo l’intervento dell’Autorità, in quanto l’elemento cardine dell’illecito contestato afferisce alla cattiva gestione delle istanze di prescrizione presentate dai consumatori. Dalla documentazione in atti risulterebbe che le prime segnalazioni sono pervenute nel marzo del 2018 e si sarebbero intensificate nell’anno successivo, proseguendo anche nel corso del 2020. A fronte di tale quadro fattuale, la durata della fase preistruttoria, conclusasi il 6 luglio 2020 con l’avvio del procedimento, non sarebbe da ritenersi irragionevolmente lunga, sull’assunto della necessità per l’Autorità di ponderare il numero delle segnalazioni e la significatività delle criticità descritte dall’utenza;
- (ii) la correttezza del ragionamento svolto dall’Autorità, secondo il quale non può che essere il venditore il soggetto tenuto a svolgere la funzione di intermediazione tra cliente e distributore, intrattenendo con entrambi i soggetti della “filiera” energetica rapporti diretti. Tale posizione obbligherebbe il venditore a valutare la fondatezza delle dichiarazioni del consumatore sulle ragioni della tardiva od omessa lettura del contatore, riconoscendo o meno l’operatività del ritardo ed il costo economico dei corrispettivi tardivamente fatturati. Questo costo potrebbe essere anche imputato al distributore se questo dovesse risultare colpevolmente inadempiente al proprio obbligo di rilevare tempestivamente i consumi. Quindi non sarebbe consentito al venditore disattendere le istanze dei consumatori senza effettuare, prima, una adeguata istruttoria per valutare la fondatezza delle relative affermazioni;
- (iii) la adeguata specificità delle argomentazioni contenute nel provvedimento sulla inidoneità condotta del professionista a soddisfare il canone di diligenza richiesto. Per quanto concerne la gestione delle istanze di prescrizione, questa era incentrata infatti sull’inversione dell’onere della prova in sfavore del consumatore, il quale - di fronte a mere dichiarazioni del distributore quanto al non perfezionamento del tentativo di lettura del contatore ed in assenza di riscontri acquisiti in via istruttoria – sarebbe stato costretto a smentire le attestazioni del distributore sui tentativi di lettura svolti e non andati a buon fine. Il provvedimento, con riferimento alla condotta tenuta, evidenzia che il beneficio della prescrizione sarebbe stato applicato solo alla parte variabile e che la modalità di gestione delle istanze sarebbe stata modificata solo con le fatture emesse a partire dal mese di aprile 2020 nonostante fin dal mese di gennaio 2020 fosse entrata in vigore la nuova disciplina sull’accoglimento delle istanze di prescrizione;la stessa condotta sarebbe stata tenuta in sede di reclamo e di conciliazione, ove i consumatori sarebbero stati indebitamente condizionati a versare somme non dovute per evitare la sospensione od il distacco della fornitura;
- (iv) la presenza, nella pratica contestata alla soc. ricorrente, di elementi richiamati dalla giurisprudenza con riferimento alla pratica aggressiva, consistenti in una serie di ostacoli onerosi e sproporzionati posti in essere per indurre i consumatori a corrispondere importi non dovuti in quanto richiesti per crediti prescritti;dal provvedimento emergerebbe che il professionista avrebbe acquisito immediatamente i crediti prescrivibili nel caso di pagamento tramite domiciliazione bancaria o postale o su carta di credito, il che costituirebbe un comportamento in contrasto con la regolazione in materia, anche perché lo stesso professionista non si sarebbe attivato tempestivamente, dopo l’entrata in vigore delle legge di Bilancio 2018, per escludere l’addebito automatico, ma solamente in seguito alla delibera ARERA n. 569/2018 del 14.11.2018;
- (v) la congruità della motivazione contenuta nel provvedimento di AGCM laddove si discosta dal parere reso da ARERA in merito al compito in capo al distributore e non al venditore di accertare la responsabilità del cliente per il ritardo;l’autorità avrebbe congruamente motivato le ragioni per le quali l’onere del venditore non poteva limitarsi a fornire al cliente informazioni per consentirgli di esercitare i propri diritti;la legge di bilancio del 2018 avrebbe introdotto un regime di prescrizione breve che “opera tanto a monte, nei rapporti tra distributore e venditore, quanto a valle, tra venditore e consumatore: in relazione a questo secondo aspetto del rapporto contrattuale, non può che spettare al venditore provare l’esistenza di una responsabilità del consumatore in grado di impedire il decorso della prescrizione breve”;
- (vi) la chiarezza del contenuto della diffida prevista nel provvedimento, la quale esige dal professionista di indicare le iniziative assunte per garantire agli utenti una corretta gestione delle istanze da loro presentate, rivedendo quelle disattese senza avere proceduto ad una congrua istruttoria;anche l’ulteriore prescrizione della dichiarazione rettificativa non avrebbe lo scopo di sanzionare l’operatore, bensì di contrastare l’eventuale persistere degli effetti della pratica commerciale scorretta, per cui la misura disposta sarebbe congrua rispetto alle finalità perseguite;
- (vii) la correttezza dell’entità della sanzione in riferimento ai criteri ed alle relative disposizioni contenute nelle norme di riferimento, le quali sono state applicate coerentemente con le indicazioni fornite dalla giurisprudenza.
2. Avverso la sentenza di primo grado parte appellante ha formulato i seguenti motivi di appello:
Con il primo motivo del ricorso in appello (rubricato: Error in iudicando. Sulla errata interpretazione dell’art. 1, commi 4 e 5, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Legge di Bilancio 2018). Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 4 e 5, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Legge di Bilancio 2018). Violazione degli articoli 20, 24 e 25 del d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. Codice del consumo ). Violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 cod. civ. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione, nonché per sviamento, irragionevolezza e illogicità manifesta. Incompetenza relativa ), parte appellante ritiene errata, arbitraria, in contrasto con pacifici e fondamentali principi dell’ordinamento giuridico e apertamente smentita dal parere reso nel procedimento dal Regolatore, l’interpretazione della legge del bilancio del 2018 e del verbo “accertare” ivi enunciato. Impedire al venditore di avvalersi del distributore significherebbe attribuirgli un comportamento inesigibile, in quanto il distributore non sarebbe soltanto il soggetto cui compete di effettuare la lettura - il che già dovrebbe far ricadere nella sua sfera l’ambito di rilevanza probatoria - ma svolgerebbe tale attività come un concessionario di servizio pubblico ed in tale veste sarebbe chiamato ad attestare se la lettura del contatore sia stata possibile, se l’utente si sia adoperato in questo senso per favorirla o almeno consentirla o se invece così non sia stato. Se al venditore non fosse consentito di avvalersi del rapporto col distributore, il venditore non avrebbe sostanzialmente nessuna possibilità di provare l’imputabilità del fatto al consumatore e sarebbe inconsistente la tesi che si afferma il par. 111 del provvedimento, secondo cui il venditore dovrebbe iniziare a promuovere cause civili verso i suoi utenti. Secondo l’appellante, il giusto equilibrio in questa vicenda potrebbe essere raggiunto anche mediante l’autolettura, da sempre sollecitata e raccomandata ai propri clienti. La rilevanza dell’autolettura in questa vicenda sarebbe evidente e lo stesso parere di ARERA avrebbe messo in stretta relazione l’adempimento del ruolo del distributore da una parte e l’incentivo all’autolettura dall’altra parte;il principio di buona fede oggettiva e di leale collaborazione, che ha una valenza reciproca, dovrebbe valere anche per il consumatore, sicché dovrebbe anche tenersi conto del fatto che l’utente, qualora volesse sottrarsi al rischio di una condotta impropria del distributore e delle eventuali difficoltà di reagire ad essa con apposite prove, ben potrebbe optare per l’autolettura, risolvendo così la problematica a monte. Inoltre, il provvedimento non avrebbe mai detto che cosa il venditore avrebbe dovuto fare per rispettare la legge e per evitare la sanzione.
Con il secondo motivo di appello (rubricato: Error in iudicando. Sulla mancata valutazione del parere endoprocedimentale di ARERA. Violazione e falsa applicazione dell’art. 27, comma 1-bis, del d.lgs. n. 205 del 2006. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della direttiva 2005/29/CE. Violazione e falsa applicazione degli articoli 16 e 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione, nonché per sviamento, irragionevolezza e illogicità manifesta ), l’appellante sostiene l’erroneità della sentenza per aver ritenuto adeguatamente assolto l’onere di motivazione incombente sull’Autorità nel discostarsi dal parere dell’ARERA, con il quale sarebbe stato escluso che è il venditore il soggetto deputato ad accertare la responsabilità del cliente finale. Ad avviso dell’appellante il parere di ARERA avrebbe avuto cura di precisare anzitutto che “La complessità di tale fenomeno dipende, principalmente, dal fatto che la c.d. maxibolletta, emessa dal venditore, si produce in conseguenza di una condotta, consistente in un ritardo nella rilevazione e messa a disposizione del dato di misura effettivo, che rientra nella disponibilità del distributore ” e ancora che “… la responsabilità dell’attività di misura presso gli impianti di consumo dei clienti finali … è unicamente posta in capo al distributore e non al venditore ” e infine che “ la regolazione non ha attribuito al venditore il ruolo di soggetto deputato ad accertare o meno la responsabilità del cliente finale o del distributore bensì quello di fornire in modo completo, trasparente ed oggettivo al cliente finale le informazioni e gli ulteriori elementi necessari a consentire al cliente medesimo di esercitare i propri diritti” . Pertanto, non basterebbe proporre una interpretazione differente dal parere, tout court, per dire che sarebbe stato assolto l’obbligo di motivazione. Sostiene la parte appellante che - anche si volesse ammettere che tra le due tesi interpretative debba prevalere quella di AGCM, come fatto dal Giudice di primo grado - sarebbe innegabile che vi fosse quantomeno non solo un’elevata incertezza interpretativa ma anche un quadro regolatorio vigente che a quella data poneva l’obbligo di accertamento a carico del distributore;quindi, anche solo il prendere atto di questa incertezza e di questo contesto regolatorio dovrebbe valere ad escludere quantomeno che un illecito sia stato commesso e che possa essere attribuito a SEN un profilo soggettivo di responsabilità. L’appellante eccepisce che l’Autorità, qualora avesse ritenuto di richiedere ad essa una condotta diversa, avrebbe avuto la possibilità di avviare la moral suasion prevista dall’art. 4, comma 5, della Delibera