Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-04-04, n. 201102102

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-04-04, n. 201102102
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201102102
Data del deposito : 4 aprile 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09245/2010 REG.RIC.

N. 02102/2011REG.PROV.COLL.

N. 09245/2010 REG.RIC.

N. 09522/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9245 del 2010, proposto dalla società Flora Napoli s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. A A, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via degli Avignonesi, 5;

contro

Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, U.T.G. - Prefettura di Napoli, in persona dei legali rappresentanti, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Treno Alta Velocità - Tav s.p.a., Comune di Casoria;
Consorzio Iricav Uno, in persona dei legali rappresentanti, rappresentati e difesi dall'avv. Giuseppe G, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via degli Scipioni 288;
Consorzio di Bonifica delle Paludi di Napoli e Volla, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall'avv. Angela Ferrara, con domicilio eletto presso l’avv. Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
Rete Ferroviaria Italiana Rfi s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Luigi M, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Panama, 58;
Regione Campania, in persona del Presidente legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Rosanna P, con domicilio eletto presso la stessa in Roma, via Boncompagni, 71/C;



sul ricorso numero di registro generale 9522 del 2010, proposto da:
Regione Campania, in persona del Presidente legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Rosanna P, con domicilio eletto presso la stessa in Roma, via Poli, 29;

contro

Flora Napoli s.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. A A, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via degli Avignonesi, 5;

nei confronti di

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Prefettura-Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, in persona dei legali rappresentanti, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di Casoria, Treno Alta Velocità - Tav – s.p.a.;
Consorzio Iricav Uno, rappresentati e difesi dall'avv. Giuseppe G, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via degli Scipioni 288;

e con l'intervento di

ad opponendum:
Na S.P.A. R.F.I. Rete Ferroviaria Italia, rappresentati e difesi dall'avv. Luigi M, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Panama, 58;

per la riforma

quanto al ricorso n. 9245 del 2010:

della sentenza del T.a.r. Campania – Napoli, Sezione V, n. 07709/2010, resa tra le parti, concernente OCCUPAZIONE D'URGENZA SUOLI – RISARCIMENTO DEL DANNO

quanto al ricorso n. 9522 del 2010:

della sentenza del T.a.r. Campania – Napoli, Sezione V n. 07709/2010, resa tra le parti, concernente OCCUPAZIONE D'URGENZA SUOLI


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2011 il Cons. G D M e uditi per le parti l’avv. A. A A, l’avvocato dello Stato Barbieri, nonché gli avvocati Reggio D'Aci per l’avv. G e P nella fase preliminare,A, P, e M per l’avv. M alla discussione;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Napoli, sez. V, n. 7709 del 21 maggio 2010 – che non risulta notificata – venivano assunte le seguenti decisioni, riferite a due ricorsi riuniti, proposti dalla società Flora Napoli s.r.l. (n. 12980/02, per l’annullamento di atti della procedura espropriativa, avviata nei confronti della società ricorrente, in vista della realizzazione di opere riconducibili al sistema dell’Alta Velocità, con riferimento alla tratta ferroviaria Roma-Napoli;
e n. 7636/03, per l’annullamento degli atti con cui la Regione Campania – Area Generale di Coordinamento e Sviluppo – aveva prima negato una proroga dei termini, per la realizzazione di un progetto ammesso al finanziamento di cui alla misura 4.9 del Piano Operativo Regionale (P.O.R.) Campania 2000 – 2006 (strumento con cui venivano stabilite le linee strategiche per l’impiego dei fondi strutturali dell'Unione Europea) e poi revocato la concessione del finanziamento stesso;
per entrambi i ricorsi anche con domanda di risarcimento del danno):

- estromissione del Consorzio di Bonifica delle Paludi di Napoli e Volla, nonché di T.A.V. s.p.a. e del Consorzio Iricav Uno (con riferimento al secondo ricorso ed ai secondi motivi aggiunti del primo);

- improcedibilità del ricorso n. 12980/03 e dei primi motivi aggiunti, reiezione della domanda risarcitoria nei confronti dell’Autorità espropriante;

- accoglimento del ricorso n. 7636/03, con conseguente annullamento del decreto di revoca del finanziamento, inammissibilità della domanda risarcitoria, proposta nei confronti della Regione, in ragione dell’effetto ripristinatorio della pronuncia in rapporto al finanziamento revocato.

Nella citata sentenza si rilevava, in particolare, come il Consorzio delle Paludi di Napoli e Volla fosse estraneo alle pretese risarcitorie avanzate, avendo lo stesso stipulato con la società Treno Alta Velocità – TAV s.p.a. una convenzione, in data 20 settembre 2004, per risolvere le interferenze tra le opere affidate alla TAV e quelle di bonifica di competenza del Consorzio, anche allo scopo di evitare che la realizzazione del “Drizzano Volla”, per cui era stata attivata la procedura espropriativa nei confronti della ricorrente, avvenisse con sacrificio della proprietà di quest’ultima (proprietà poi in effetti salvaguardata). I danni riconducibili alla procedura in questione, avviata ma non portata a compimento, pertanto, non avrebbero potuto essere addebitati che a TAV s.p.a. ed al Consorzio Iricav Uno;
anche questi ultimi, tuttavia, sarebbero conclusivamente risultati estranei alla pretesa risarcitoria, in quanto – benché beneficiari dell’esproprio originariamente previsto – avrebbero comunque operato in modo tale da individuare vie alternative, al fine di escludere il coinvolgimento di Flora Napoli s.r.l. (come appreso dalla società ricorrente solo in data 16 maggio 2006, tramite missiva proveniente dal Consorzio Iricav Uno, contenente copia del verbale del 14 giugno 2004, nonché della convenzione del 29 settembe 2004 tra T.A.V., Consorzio di Bonifica, Italferr ed Iricav e della comunicazione in data 16 agosto 2004, circa le procedure espropriative stralciate da quelle affidate ad Iricav Uno, con particolare riguardo alla decisione di soprassedere all’esecuzione del “drizzano Volla” e quindi anche all’esproprio delle aree di proprietà della stessa Flora Napoli s.r.l.).

Il mancato completamento della procedura espropriativa, inoltre, avrebbe reso improcedibile la domanda di annullamento degli atti impugnati, riferibili all’avvio della procedura stessa, quale circostanza impeditiva della realizzazione del progetto finanziato (realizzazione del Centro Commerciale Iperflora). Meritevole di considerazione, infine, sarebbe stata la mai avvenuta occupazione materiale dell’area, essendo il decreto di occupazione divenuto inefficace – nonostante il verbale di immissione in possesso, mai di fatto eseguito – per decorso del termine di tre mesi dalla relativa emanazione, ai sensi dell’art. 20, comma 1, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, con conseguente insussistenza dei pregiudizi lamentati dalla ricorrente, “in diretta connessione con la procedura espropriativa soltanto minacciata” .

Nella medesima sentenza veniva sottolineato come la società ricorrente avesse avanzato la propria richiesta risarcitoria solo con il secondo atto di motivi aggiunti, notificato in data 8 settembre 2006, ovvero circa quattro anni dopo rispetto alla comunicazione del decreto di occupazione e tre anni dopo rispetto alla revoca del finanziamento da parte della Regione Campania. Sarebbe poi in ogni caso mancato – per quanto riguarda l’azione risarcitoria, riferita alla procedura espropriativa di cui trattasi – il nesso di causalità, tra i presunti danni lamentati ed i provvedimenti ablativi, ormai privi di qualsiasi rilevanza.

Illegittime, invece, sarebbero state la denegata proroga dei termini per l’attuazione dell’intervento finanziato dalla Regione Campania (proroga richiesta con istanza in data 10 aprile 2003) e la revoca del finanziamento in precedenza concesso (delibera di G.R, n. 2/131 del 9 maggio 2003). La proroga in questione, infatti, risultava espressamente prevista nell’atto di assegnazione di detto finanziamento (art. 3 D.R.D. n. 2/316/02, secondo cui opere ed acquisti finanziati avrebbero dovuto essere completati entro 20 mesi dall’emissione del decreto stesso, “salvo cause di forza maggiore da giustificare”); quanto sopra, peraltro, in applicazione dei principi generali, di cui agli articoli 1256 e 1218 cod. civ., principi che non avrebbero consentito – in presenza di un cosiddetto factum principis (ovvero di un evento indipendente dalla volontà della società interessata, quale l’avvio della procedura espropriativa) – la revoca del finanziamento di cui trattasi, addirittura un anno prima della data prevista per il relativo impiego (scadendo il termine per l’effettuazione dell’intervento il 16 giugno 2004 ed essendo intervenuta detta revoca il 9 maggio 2003).

Nella pronuncia in esame, pertanto, veniva accolta la domanda di annullamento del decreto n. 2/131/03 del 9 maggio 2003, senza tuttavia che venissero ravvisati i presupposti per accogliere la domanda di risarcimento del danno: domanda ritenuta inammissibile, ravvisandosi nell’effetto ripristinatorio dell’annullamento il presupposto, per l’obbligatoria erogazione del finanziamento in precedenza revocato, da corrispondere poi in rapporto “all’effettiva esecuzione dei lavori … allegando alle singole richieste di liquidazione i documenti giustificativi delle spese”.

Avverso la sentenza sopra sintetizzata venivano proposti due distinti atti di appello: n. 9245/10, notificato il 2 novembre 2010, da parte della società Flora Napoli s.r.l. e n. 9522/10, notificato il 29 ottobre 2010, da parte della Regione Campania.

Nel primo di tali appelli si affermava la sussistenza di un interesse residuale all’annullamento degli atti di avvio dell’espropriazione impugnati, in base alle censure al riguardo prospettate, dovendo il danno subito dalla società essere ricondotto all’avvio illegittimo della procedura in questione, giunta in data 4 dicembre 2002 all’immissione dell’autorità espropriante nel possesso delle aree, su cui avrebbe dovuto essere realizzato l’intervento ammesso al finanziamento, senza che, in seguito, venisse comunicata la variante progettuale del 2004, che lasciava indenne la proprietà di cui si discute (stralcio progettuale approvato il 16 giugno 2004 e comunicazione all’appellante intervenuta solo nel 2006). Quanto alla dichiarata inammissibilità dell’istanza risarcitoria nei confronti della Regione Campania, inoltre, si sottolineava l’insussistenza del dichiarato effetto auto-esecutivo e satisfattorio della sentenza di primo grado, essendosi concluso il 30 giugno 2009 il Programma Operativo Regionale (P.O.R.) 2000 – 2006, con conseguente esaurimento, senza possibilità di riattivazione, dei fondi europei, con i quali avrebbe dovuto essere liquidato il finanziamento a suo tempo concesso, con conseguente attuale possibilità di ristoro della società Flora Napoli solo per equivalente, ovvero in via risarcitoria.

Tutte le parti appellate, costituitesi in giudizio, contestavano puntualmente le argomentazioni difensive anzidette.

La Regione Campania, a sua volta, con separato atto di appello contestava il capo della decisione, riferito alla revoca del finanziamento, assegnato il 16 ottobre 2002 e risultato non più erogabile, dopo l’accertamento – effettuato il 10 aprile 2003 – di interruzione dei lavori finanziati (il cui avvio era stato comunicato il 20 novembre 2002), per effetto di una procedura espropriativa, che avrebbe determinato assoluta incertezza sulla possibilità di esecuzione delle opere finanziate e sui relativi tempi, con conseguente applicabilità del regolamento Ce1260/1999, circa il disimpegno automatico delle risorse non utilizzate tempestivamente;
il provvedimento annullato in primo grado di giudizio, pertanto, sarebbe stato emesso legittimamente, in corrispondenza di un “altissimo rischio” di perdita dei fondi in questione.

DIRITTO

La complessa vicenda sottoposta all’esame del Collegio ha avuto origine il 31 dicembre 2001, con la richiesta della società Flora Napoli s.r.l. di un finanziamento regionale, alimentato da fondi comunitari (misura 4.9 del Piano Operativo Regionale (P.O.R.) Campania 2000 – 2006 , circa l’impiego dei fondi strutturali dell’Unione Europea), per la realizzazione – presso la sede operativa della medesima società, a Casoria – del Centro Commerciale Iperflora , specializzato nella vendita di tutto il materiale relativo al verde attrezzato e all’ambiente, tramite ampliamento delle strutture edilizie esistenti e realizzazione ex novo di un capannone.

Detto finanziamento veniva concesso – per l’importo complessivo di € 1.530.757,85, pari al 50% della spesa ammissibile – il 16 ottobre 2002 (decreto dirigenziale n. 2/316), con previsto inizio dei lavori entro trenta giorni e realizzazione del 30% degli investimenti entro sei mesi dalla comunicazione di inizio dei lavori stessi (lavori da completare poi entro venti mesi “salvo cause di forza maggiore” , con scadenza del termine– in assenza di proroghe – al 16 giugno 2004).

La comunicazione di inizio dei lavori veniva inoltrata il 20 novembre 2002, quando già, tuttavia, risultava avviata una procedura espropriativa, riferita ad una rilevante porzione dell’opificio, per opere infrastrutturali connesse alla realizzazione della linea ferroviaria di alta velocità per la tratta Napoli/Roma (dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza in data 27 maggio 2002, seguita da decreto prefettizio di occupazione il 16 settembre 2002, nonché da verbale di immissione in possesso in data 4 dicembre 2002 del Consorzio Iricav Uno, in qualità di general contractor per la progettazione esecutiva e la realizzazione della tratta in questione, a seguito di convenzione con TAV s.p.a. del 15 ottobre 1991, integrata in data 8 febbraio 1994).

Il 10 aprile 2003 un’apposita Commissione, nominata dalla Regione, accertava come i lavori cui si riferiva il finanziamento, a seguito dell’intervenuta occupazione, fossero fermi ed in pari data la società Flora Napoli chiedeva alla Regione stessa una proroga dei termini per la realizzazione del progetto: proroga non accordata, con conseguente revoca del finanziamento, a seguito di decreto dirigenziale n. 2/131 del 9 maggio 2003.

Nell’ambito del procedimento espropriativo, tuttavia, la richiesta della società interessata di una variante progettuale, che consentisse di non perdere il finanziamento, aveva corso e conduceva ad uno stralcio, approvato il 16 giugno 2004, delle opere che avrebbero dovuto interessare le aree di proprietà della società stessa. Questa, tuttavia, aveva notizia di tale nuova situazione solo successivamente, quando era ormai imminente la conclusione delle procedure di ammissione al finanziamento del P.O.R. 2000 – 2006, chiuse il 30 giugno 2009 con finanziamenti europei ormai esauriti e non riattivabili.

Premesso quanto sopra, appare evidente che la vicenda in esame si concentra ormai - a parte il vaglio della legittimità degli atti riproposto con gli appelli, sulla richiesta risarcitoria per lesione di interessi legittimi, per il danno lamentato dalla società quale effetto della procedura espropriativa non portata a compimento (ma comunque avviata, e certamente origine dell’interruzione dei lavori finanziati), nonché per il danno lamentato dalla stessa società quale effetto della illegittimità della revoca del finanziamento, divenuta ormai di fatto irreversibile, dopo il diniego di proroga dei termini per la conclusione dell’intervento programmato.

In rapporto a quanto sopra appare necessario esaminare, in primo luogo, le estromissioni dal giudizio, disposte con la sentenza appellata relativamente alla revoca del finanziamento, nonché all’istanza risarcitoria.

Non contestata (ed in effetti condivisibile) appare la dichiarata estraneità ai fatti di causa del Consorzio delle Paludi di Napoli e Volla, mentre a conclusioni opposte il Collegio ritiene di dover pervenire per quanto riguarda la società Treno Alta Velocità (TAV) s.p.a. ed il Consorzio Iricav Uno. L’estromissione dal giudizio, infatti, implica un accertamento negativo della legittimazione del soggetto estromesso in ordine alla pretesa sostanziale dedotta nel giudizio stesso (giurisprudenza pacifica: cfr., fra le tante, Cons. Stato, IV, 27 dicembre 2006, n. 7877;
VI, 5 agosto 1999, n. 1018;
Cons. giust. amm. sic., 30 ottobre 1990, n. 373): tale estraneità può ravvisarsi per il citato Consorzio delle Paludi di Napoli e Volla, in quanto soggetto contraente di una convenzione, sottoscritta in data 20 settembre 2004 al fine di risolvere possibili interferenze fra le opere riconducibili alla realizzazione della tratta ferroviaria di cui si discute e le opere di bonifica. Tale soggetto – benché in astratto legittimato all’acquisizione delle aree, interessate dalla realizzazione di opere idrauliche funzionali all’intervento di cui trattasi – era tuttavia chiamato ad operare senza coinvolgimento della proprietà della società Flora Napoli s.r.l. (la cui posizione, come già in precedenza riferito, risultava stralciata dal 16 giugno 2004).

Pari estraneità non può ravvisarsi, invece, per la società TAV s.p.a. ed il Consorzio Iricav Uno, la prima concessionaria delle linee facenti parte del sistema dell’Alta Velocità, a seguito di delibera delle Ferrovie dello Stato n. AS/971 del 7 agosto 1991, il secondo affidatario delle funzioni di general contractor per la progettazione e la realizzazione della tratta ferroviaria di cui si discute, a seguito di convenzione attuativa stipulata il 24 settembre 1991 fra F.S. e TAV s.p.a..

A quest’ultimo riguardo il Collegio non condivide le considerazioni della sentenza appellata, secondo cui la mancata esecuzione del decreto di occupazione ne avrebbe determinato l’inefficacia, per effetto del decorso del termine di tre mesi dalla relativa emanazione, a norma dell’art. 20, comma 1, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, con conseguente, ravvisata insussistenza del danno diretto da occupazione: anche se, in via di mero fatto, l’ente espropriante non sembra avere materialmente occupato l’area, al decreto di esproprio del 16 settembre 2002 è seguita la formale immissione in possesso nel termine prescritto (25 novembre 2002, con rinvio al 4 dicembre 2002 su richiesta della società Flora Napoli).

Fermo restando, dunque, che il finanziamento è stato revocato (con atto ritenuto illegittimo dal Tribunale amministrativo, nel capo della sentenza oggetto di appello della Regione Campania) – ed è risultato successivamente non più ripristinabile – proprio con riferimento alla procedura espropriativa in corso (che, secondo la medesima Regione, avrebbe vanificato la possibilità di portare a compimento l’intervento finanziato), non può non ritenersi che l’avvio e gli ulteriori atti di detta procedura, ove affetti da vizi invalidanti, avrebbero potuto costituire di per sé causa di danno risarcibile, già in rapporto alla sospensione dei lavori avviati, così come sarebbero stati concausa del danno, riconducibile alla revoca del finanziamento (a sua volta contestata per vizi propri, nei termini che saranno successivamente esaminati).

L’estromissione delle parti sopra indicate dal giudizio, pertanto, deve essere annullata, senza che ciò comporti – ad avviso del Collegio – il vizio di procedura che, ai sensi dell’art. 35 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, determinerebbe rinvio al giudice di primo grado, secondo l’indirizzo giurisprudenziale che ritiene attinenti al contenuto della decisione – e non identificabili con difetti procedurali (come quelli attinenti a non corretta valutazione di sussistenza, o meno, di giurisdizione) – erronee declaratorie di inammissibilità, irricevibilità o decadenza del ricorso, identificate come contenuto della sentenza appellata, con conseguente ritenzione della causa, per pronunce di quest’ultimo tipo, da parte del giudice di secondo grado (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. Stato, IV, 20 dicembre 2000, n. 6848;V, 6 dicembre 1988, n. 797;
IV, 15 gennaio 1980, n. 13;
IV, 23 ottobre 1984, n. 774;
VI, 17 aprile 2003, n. 2083;
IV, 7 giugno 2004, n. 3608;
V, 10 maggio 2005, n. 2348, 14 aprile 2008, n. 1605 e 2 ottobre 2008, n. 4774).

Nel merito, tuttavia, le censure prospettate dalla Flora Napoli s.r.l. non appaiono meritevoli di accoglimento, anche a prescindere dalla parziale inesattezza dei riferimenti normativi, mai rapportati dall’appellante alla disciplina applicabile ratione temporis al procedimento contestato (d.lgs. 8 giugno 2001, n. 325 – Testo unico delle disposizioni legislative in materia di espropriazione per pubblica utilità – entrato in vigore con decorrenza 1 febbraio 2002, e d.P.R. 8 giugno 2001, n.327 – Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità – entrato in vigore con decorrenza 30 giugno 2003).

Deve essere sottolineato, peraltro, che l’interesse residuale al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi può, come è nella situazione in esame, sorreggere un’azione di annullamento altrimenti improcedibile per sopravvenuta inutilità pratica: solo la ravvisata illegittimità di quest’ultimo – e la conseguente sua caducazione ex tunc – giustificherebbe infatti il soddisfacimento della pretesa risarcitoria.

Non viene meno tuttavia il principio generale – riconducibile all’art. 100 Cod. proc. civ. – della necessaria sussistenza, per l’ammissibilità dell’azione, di un interesse concreto ed attuale, mai identificabile con il mero ripristino della legalità violata (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, VI, 12 novembre 2008, n. 5661;V, 6 giugno 2007, n. 6252 e 20 maggio 2008, n. 2364).

In tema di domanda risarcitoria per lesione di interessi legittimi (ritenuta senz’altro ammissibile, dopo la sentenza della Corte di Cassazione, SS.UU., 22 luglio 1999, n. 500 e rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a norma dell’art. 35, comma 1, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come modificato dall’art. 7 l. 21 luglio 2000, n. 205 – cfr. anche Cass., SS.UU. 9 marzo 2005, ord. n. 5078), l’interesse attuale coincide con i presupposti, che le norme e la giurisprudenza hanno definito in materia: sussistenza del danno, nesso di causalità fra tale danno ed un atto illegittimo dell’Amministrazione e colpa di quest’ultima, da ricondurre – sia secondo la citata sentenza n. 500 del 1999, sia in base alla giurisprudenza successiva – non a mera “inosservanza di leggi regolamenti, ordini o discipline” (secondo la formula dell’art. 43 Cod. pen.), ma all’ulteriore elemento della violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero a negligenza, omissioni o anche errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili. Tali principi risultano applicabili per ravvisare, sotto il profilo residuale anzidetto, la procedibilità del presente giudizio, anche in rapporto ad atti non più efficaci.

Quanto agli elementi che in concreto possono fondare un titolo sostanziale al risarcimento dei danni – e tenuto conto del principio generale, secondo cui ignorantia legis non excusat – si può ammettere che l’errore sull’interpretazione delle norme sia, eccezionalmente, scusabile solo in presenza di oggettiva oscurità, sovrabbondanza o repentino mutamento delle norme stesse, ovvero di verificata sussistenza di contrasti interpretativi (cfr. in tal senso Cons. Stato, Ad. plen., 18 marzo 2004, n. 5;
Cass., III, 9 febbraio 2004, n. 2494;
Corte cost. 24 marzo 1988, n. 364;
Cons. Stato,IV, 14 giugno 2001, n. 3169).

Circa la prova della colpa dell’Amministrazione che, in base ai parametri indicati, non si può ritenere in re ipsa , ma va dimostrata in riferimento alla condotta amministrativa in relazione ai suoi parametri generali – va considerata la particolare dimensione della responsabilità dell’Amministrazione per lesione di interessi legittimi: una responsabilità non del tutto coincidente con quella di cui all’art. 2043 Cod. civ.,, poichè implicante anche profili (di rilievo, in particolare, sul piano probatorio) assimilabili a quelli della responsabilità contrattuale;
quanto sopra in ragione dell’interesse, giuridicamente protetto, al giusto procedimento amministrativo, quale interesse che sussiste nell’ambito del rapporto fra Amministrazione e amministrati e che implica, per l’Amministrazione stessa, uno specifico dovere di comportamento ispirato al rispetto dei principi generali di affidamento, non aggravamento, economicità ed efficacia (cfr. art. 1 l. 7 agosto 1990, n. 241), che sono parametri normativi dell’azione amministrativa (si è parlato, a tale riguardo, di “contatto sociale qualificato” o di “responsabilità da contatto” , implicante il corretto sviluppo dell’ iter procedimentale e – salvo errore scusabile, nei termini qui esposti – corretta emanazione del provvedimento finale: cfr., in tal senso, Cons.Stato, V, 2 settembre 2005, n. 4461).

Quando pertanto, come nel caso di specie, la domanda di annullamento sia sorretta dall’interesse residuale al risarcimento del danno (essendo pacifica la sopravvenuta inefficacia della procedura espropriativa contestata), le censure prospettate a fondamento della domanda stessa debbono trovare disamina conforme all’interesse in questione, con riferimento ai vizi che giustificherebbero il soddisfacimento della pretesa risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione.

Nella situazione in esame, per ciò che concerne la procedura di espropriazione, la colpa degli enti appellati potrebbe essere, in astratto, ravvisabile per gravi vizi di procedura, illogica localizzazione dell’opera pubblica, impedimenti frapposti all’apporto partecipativo dei proprietari espropriandi.

Nessuno dei profili di illegittimità sopra indicati appare tuttavia ravvisabile. Per quanto riguarda il momento partecipativo – imposto dalla normativa di settore, ma anche dalla legge generale sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990,n. 241 – non è contestato che l’Amministrazione ferroviaria abbia provveduto a notificare il decreto prefettizio del 16 settembre 2002, che autorizzava l’occupazione, a tutti i proprietari interessati, ovvero, per l’area che qui interessa, al Comune di Casoria, risultato intestatario catastale dell’immobile. Tale notificazione doveva considerarsi satisfattiva dell’obbligo imposto dalla normativa, secondo l’indirizzo giurisprudenziale che esclude la necessità di accertamenti più puntuali da parte dell’autorità espropriante, in considerazione del prevalente interesse pubblico alla realizzazione delle opere cui è finalizzato l’esproprio, con carattere di urgenza (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, V, 10 luglio 2000, n. 3850).

Non è stata nella fattispecie evidenziata, inoltre, una palese illogicità della localizzazione dell’intervento di cui trattasi (peraltro in area originariamente agricola e non produttiva, come affermato dall’appellante), al di là di una generica segnalazione di sussistenza di altri terreni, incolti e inutilizzati, idonei allo scopo perseguito dall’ente pubblico;
la possibilità di scelte alternative, d’altra parte, non costituisce di per sé prova di irrazionalità della localizzazione originaria, in rapporto alla quale l’Amministrazione non ha, comunque, omesso di prestare attenzione alle ragioni della parte privata interessata, preannunciando l’intenzione di valutare una variante progettuale già al momento della immissione in possesso ed in effetti optando, in seguito, per soluzioni tali da non incidere sulla proprietà di Flora Napoli s.r.l. (con stralcio della posizione di quest’ultima il 16 giugno 2004).

Quanto ai tempi di approvazione della variante (nemmeno un anno dalla relativa richiesta da parte della società interessata, in data 13 ottobre 2003), l’azione amministrativa non può dirsi affetta da ritardi colpevoli, anche in considerazione della complessità dell’intervento globale da effettuare, mentre la mancanza di un formale provvedimento di revoca del decreto di esproprio risulta assorbita, per facta concludentia , dallo stralcio progettuale e dall’abbandono della procedura espropriativa (oltre che dalla successiva scadenza dei termini di occupazione). Non altrettanto congrui appaiono i tempi di comunicazione dello stralcio stesso, tramite missiva del Consorzio Iricav Uno in data 16 maggio 2006.Una tale circostanza, tuttavia, non appare idonea costituire di per sé fonte di danno risarcibile, sia perché la revoca del finanziamento risulta disposta il 9 maggio 2003, sia perché l’eventuale colpevole inerzia nell’effettuare la comunicazione anzidetta dovrebbe ritenersi bilanciata, ai sensi dell’art. 1227 Cod. civ., dall’assenza di qualsiasi dimostrata iniziativa di Flora Napoli s.r.l., per ottenere informazioni che la stessa aveva titolo ad ottenere e che risultavano pertanto accessibili, in rapporto alla variante progettuale approvata nel 2004.

A conclusioni non diverse il Collegio deve pervenire in rapporto alle altre numerose censure, prospettate avverso la procedura espropriativa in questione, soprattutto sul piano che, nei termini già in precedenza chiariti, proietterebbe il vizio di legittimità nella dimensione risarcitoria: sembra sufficiente rilevare in termini sintetici che non si pongono problemi di competenza per il decreto di esproprio, sottoscritto in calce anche dal Prefetto (al quale poteva subentrare comunque il Vice prefetto, nell’esercizio delle proprie funzioni vicarie), mentre il termine di validità dell’occupazione risulta correttamente indicato, nel decreto stesso, in misura pari a cinque anni, così come, all’atto dell’approvazione del progetto esecutivo (equivalente a dichiarazione di pubblica utilità e urgenza) erano stati fissati i termini di inizio e compimento dei lavori e delle procedure di esproprio;
la destinazione urbanistica della zona, peraltro, sarebbe stata resa compatibile con l’intervento programmato, previa conferenza di servizi ratificata dal Consiglio Comunale, non senza Valutazione di Impatto Ambientale (VIA).

Inammissibili o infondate debbono ritenersi, inoltre, le argomentazioni difensive riferite alle procedure di aggiudicazione dell’Alta Velocità alla società concessionaria TAV s.p.a. ed alla stipula di convenzioni fra quest’ultima ed i vari general contractors , fra cui il Consorzio Iricav Uno: anche a prescindere, infatti, dalle puntuali controdeduzioni, prospettate al riguardo dalle parti appellate, appare evidente come gli atti in questione, risalenti ai primi anni ’90 e da tempo inoppugnabili, non possano più essere oggetto di contestazione agli unici fini – rilevanti in questa sede – di precostituire il vizio di incompetenza dei soggetti, incaricati di avviare la procedura espropriativa impugnata;
espressamente prevista dalla normativa, infine, risulta l’effettuazione dell’esproprio da parte dell’impresa affidataria dell’esecuzione delle opere, ovvero nel caso di specie dal Consorzio Iricav Uno (art. 324 l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F e art. 33 d.P.R. 21 novembre 1999, n. 554).

Ogni altra argomentazione difensiva – a suo tempo prospettata per contestare la regolarità di singoli atti della procedura espropriativa – può considerarsi assorbita, non essendo idonea a concretizzare i presupposti dell’azione risarcitoria: censure come quelle riferite ad omessa individuazione, nel piano parcellare, dei fabbricati della società Flora Napoli, o a presunte difformità del progetto esecutivo dalle conclusioni della conferenza di servizi, o a mancata determinazione dell’indennità di esproprio risultano infatti non sorrette da interesse attuale in rapporto a detta procedura, ormai definitivamente interrotta senza alcuna diretta produzione di effetti (e quindi di danno risarcibile, tenuto conto dei parametri che comportavano – nei termini già valutati nell’ambito della presente decisione, senza individuazione di vizi invalidanti – identificazione del possibile nesso di causalità fra procedura espropriativa e perdita del finanziamento solo nelle modalità di avvio della procedura stessa, nella localizzazione di parte degli interventi su aree di proprietà della società appellante e sui tempi di individuazione di modalità alternative di effettuazione delle opere necessarie).

In riforma della sentenza appellata, dunque, l’azione risarcitoria nei confronti della società TAV s.p.a. e del Consorzio Iricav Uno deve essere respinta.

A risultati opposti,invece, il Collegio ritiene che si debba giungere per quanto riguarda la procedura di revoca dell’accordato finanziamento di origine europea, risultando il provvedimento impugnato illegittimo e ravvisandosi gli ulteriori presupposti, in precedenza illustrati, in materia di risarcibilità del danno per lesione di interesse legittimo.

L’azione risarcitoria risulta, pertanto, meritevole di accoglimento nei confronti della Regione Campania, con parziale riforma della sentenza appellata.

Il giudice di primo grado aveva infatti accolto la domanda di annullamento dell’atto di revoca del finanziamento, escludendo però la sussistenza di un danno da risarcire, in quanto la pronuncia giudiziale avrebbe avuto effetto ripristinatorio del finanziamento stesso, con conseguente soddisfacimento della pretesa dedotta in giudizio.

Come già illustrato nella parte in fatto della presente sentenza, viceversa, alla data di pubblicazione della pronuncia di primo grado (21 maggio 2010) il P.O.R. Regionale 2000/2006 era già stato da tempo chiuso, con esaurimento dei fondi europei con cui il medesimo era stato finanziato ed impossibilità di riattivazione dei fondi stessi.

Ne conseguiva l’impossibilità, per la ricorrente Flora Napoli s.r.l., di accedere al finanziamento in precedenza concesso: quanto sopra per fatto imputabile non alla stessa, ma ad una determinazione regionale ritenuta illegittima nella sentenza appellata, le cui statuizioni sul punto sono condivise dal Collegio, nei termini di seguito esposti.

L’interesse dell’originaria ricorrente al bene della vita, messo in discussione dalla condotta regionale (effettivo accesso al finanziamento, precluso prima dalla relativa revoca, poi dall’esaurimento del P.O.R.) non poteva quindi più trovare soddisfacimento se non in rapporto alla pretesa risarcitoria, tenuto conto dei limiti insuperabili, generalmente riconosciuti in materia di retroattività dell’annullamento: l’intangibilità delle situazioni soggettive di terzi in buona fede e la sussistenza di situazioni di fatto non più reversibili ( factum infectum fieri nequit ).

Detta pretesa, ad avviso del Collegio, deve dunque essere ora riconosciuta, con riforma sotto tale profilo della sentenza di primo grado e reiezione dell’appello, proposto dalla Regione Campania avverso l’annullamento della revoca dell’ammissione al finanziamento.

Deve essere ricordato infatti che in data 16 ottobre 2002 la società Flora Napoli s.r.l. aveva ottenuto un finanziamento di € 1.530.757,85 per la realizzazione di un centro commerciale, denominato Iperflora su un’area di sua proprietà ed aveva comunicato in data 20 novembre 2002 l’inizio dei lavori, da completare entro venti mesi (con scadenza, pertanto, il 16 giugno 2004) “salvo cause di forza maggiore” .

Nello stesso periodo la medesima società Flora Napoli aveva notizia di una procedura espropriativa, che si concretizzava con verbale in data 14 dicembre 2002 – di immissione in possesso nella porzione di immobile, più direttamente coinvolto nell’intervento finanziato – ad opera del Consorzio Iricav Uno, quale general contractor affidatario della progettazione esecutiva di opere connesse all’Alta Velocità, per la tratta ferroviaria Roma-Napoli.

Alla possibilità – già rappresentata nella ricordata fase di immissione in possesso e positivamente recepita dall’Autorità espropriante – di individuare localizzazioni alternative, tali da lasciare indenne l’area di proprietà della Flora Napoli s.r.l. , quest’ultima faceva seguire, in data 10 aprile 2003, richiesta di proroga dei termini per causa di forza maggiore alla Regione Campania, relativamente all’intervento finanziato e, in data 13 ottobre 2003, formale richiesta di variante progettuale all’Amministrazione ferroviaria.

Il decreto dirigenziale n. 2/131 del 9 maggio 2003, che al diniego di proroga affiancava la revoca del finanziamento, poneva fine anticipatamente ad una vicenda ancora suscettibile di diversi sviluppi, con oltre un anno di anticipo rispetto alla scadenza prevista per il completamento dei lavori finanziati, più di cinque anni prima della chiusura del programma di finanziamento regionale di cui trattasi e senza alcuna considerazione per la prorogabilità del termine di completamento dei lavori in questione in presenza di cause di forza maggiore, quali sicuramente dovevano ritenersi le iniziative dell’Amministrazione ferroviaria (tali da determinare il blocco cautelativo dei lavori stessi – pur nella persistenza della materiale disponibilità dell’area – ma senza impedimenti irreversibili, come successivamente reso evidente dal mancato completamento della procedura espropriativa).

La Regione appellante ha richiamato il regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999, recante disposizioni generali sui Fondi strutturali, che prevede il disimpegno automatico delle risorse non utilizzate tempestivamente, sottolineando la ravvisata sussistenza, nel caso di specie, di un “altissimo rischio” di perdita delle somme in questione.

Quanto sopra non giustificava, tuttavia, la lesione del giusto titolo della società destinataria del finanziamento ad una ragionevole proroga, espressamente prevista nell’atto di assegnazione del finanziamento stesso per cause di forza maggiore, in una situazione in cui non potevano essere esclusi sviluppi positivi della vicenda, senza compromissione degli impegni comunitari, avendo lo stesso rappresentante del Consorzio Iricav Uno preannunciato – in sede di avvio delle operazioni di esproprio – una ipotesi di variante del tracciato, da trasferire all’ufficio progettazione, allo scopo di salvaguardare la proprietà di Flora Napoli s.r.l..

A una siffatta proroga – e non già alla revoca del finanziamento – avrebbe ragionevolmente e prudentemente dovuto dar corso la Regione, in una situazione di incertezza circa la prosecuzione di una procedura espropriativa avviata, ma di cui poteva oggettivamente ipotizzarsi l’interruzione, in presenza di segnalate localizzazioni alternative dell’intervento di interesse pubblico, cui la procedura stessa risultava preordinata.

Come correttamente rilevato nella sentenza appellata, la Regione Campania, diversamente disponendo, ha disatteso l’art. 3 del decreto dirigenziale n. 2/316/02 di ammissione al finanziamento di cui trattasi, applicativo dei principi generali di cui agli articoli 1256 e 1218 Cod. civ. (sospensione del termine di adempimento dell’obbligazione per impossibilità temporanea della prestazione ed esonero della responsabilità del debitore, per inadempimento derivante da causa non imputabile al medesimo), con violazione dei già ricordati principi del giusto procedimento e conseguente colpa dell’Amministrazione.

Incontestabile, del resto, appare la configurazione dell’avvio della procedura espropriativa quale causa di forza maggiore, in quanto factum principis , idoneo ad escludere l’imputabilità alla società dell’inadempimento (Cass., II, 11 gennaio 1982, n. 119;
Cons. Stato, VI, 17 giugno 2010, n. 3851 e 22 novembre 2010, n. 8129) e a generare quella cautela, circa la sorte del finanziamento, che invece la Regione ha disatteso disponendo senz’altro la revoca dello stesso.

L’appello della Regione Campania deve quindi, conclusivamente, essere respinto, con effetti che – non risultando possibile l’integrale ripristino della situazione soggettiva lesa, e dunque il soddisfacimento dell’interesse di Flora Napoli s.r.l. alla reintegrazione della situazione indebitamente alterata – non possono che implicare accoglimento della domanda risarcitoria della citata società..

Detto accoglimento può essere senz’altro disposto per quanto riguarda l’ an , senza però immediata definizione del quantum , risultando necessario – a norma dell’art. 35, comma 2, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, nel testo introdotto dall’art. 7 l. 21 luglio 2000, n. 205, qui da applicare ratione temporis trattandosi di diritto sorto prima del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 – che si forniscano al riguardo i criteri cui l’Amministrazione dovrà attenersi nella successiva fase di liquidazione.

Se viene infatti normalmente esclusa - in assenza di esplicita disciplina normativa in tal senso - nel processo amministrativo l’azione di condanna generica dell’art. 278 Cod. proc. civ., e se dunque il giudice deve pronunciare anche circa il quantum debeatur , è comunque la stessa norma di riferimento (art. 35, comma 2, d.lgs. n. 80 del 1998) a consentire che questo profilo della condanna sia limitato alla determinazione dei criteri in base ai quali l’amministrazione deve “proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine” : e perciò a legittimare – sulla base della prova fornita dalla parte interessata (Cons. Stato, Ad. plen., 30 luglio 2007, n. 10;
VI, 2 marzo 2004, n. 973;
V, 13 giugno 2008, n. 2967) – la fissazione di soli parametri, in base ai quali sia possibile pervenire ad un accordo fra le parti, fatto salvo in difetto il ricorso previsto dall’art. 27, primo comma, n. 4 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (cfr. in tal senso Cons. Stato, IV, 2marzo 2004, n. 942, 28 aprile 2006, n. 2408 e 11 ottobre 2006, n. 6063;
V, 27 aprile 2006, n. 3229;
20 marzo 2007, n. 1346;
IV, 14 maggio 2007, n. 2389;
13 giugno 2008, n. 2967;
IV, 31 luglio 2008, n. 3823;
VI, 9 giugno 2008, n. 2751).

Alla liquidazione di cui trattasi si deve tuttavia applicare, ad avviso del Collegio, un coefficiente riduttivo, a norma del principio dell’art. 1227 Cod. civ., in corrispondenza della condotta, non completamente improntata all’ordinaria diligenza nel rapporto, della società Flora Napoli, di cui risulta una piena attivazione nel periodo 2002/2003 (fra inizio dei lavori e reiterate richieste di varianti progettuali, idonee ad evitare l’espropriazione), ma non anche nel periodo immediatamente successivo, quando sarebbe stato presumibilmente possibile avere più tempestiva notizia dell’abbandono, da parte dell’Amministrazione ferroviaria, dell’intervento progettato sulla proprietà in questione;
ancora più significativa deve poi ritenersi, in rapporto a quanto sopra, la condotta processuale della medesima società, che non risulta avere richiesto – nell’ambito del giudizio avviato avverso il diniego di proroga e la revoca del finanziamento – misure cautelari idonee, ove accordate, a ripristinare tempi ragionevoli per l’effettuazione delle opere progettate, in tempo utile per evitare la perdita definitiva del finanziamento. I principi di correttezza e buona fede oggettiva, che sono alla base dell’art. 1227, secondo comma, Cod. civ., avrebbero invece imposto che la società interessata si avvalesse di tutti i possibili strumenti processuali (e segnatamente dell’istanza cautelare) al fine di evitare o contenere il danno.

Premesso quanto sopra, i parametri in base ai quali dovrà essere quantificato il danno da risarcire (su contraddittorio fra le parti e mediante una proposta di liquidazione formulata dall’Amministrazione entro centoventi giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, o di sua notifica ad opera della parte più diligente se anteriore) vanno fissati nei seguenti termini (tenuto conto del fatto che la finalità di riparazione , di cui è strumento il risarcimento del danno, non consente di prescindere dalla causa pubblicistica dell’erogazione stessa, mentre la società interessata potrebbe nel frattempo avere destinato i fondi, corrispondenti alla quota di finanziamento a suo carico delle opere progettate, ad altri investimenti ordinariamente redditizi, in ragione della propria capacità produttiva (c.d. aliunde perceptum ) :

a) ( quanto a danno emergente ) rimborso del finanziamento che, secondo quanto già era stato disposto, sarebbe stato spettante, nella misura del 50% dei costi attualizzati dell’intervento presentato, con aggiunta di interessi e rivalutazione monetaria dalla data della presente decisione a quella di effettiva corresponsione. Quest’ultima sarà soggetta ai medesimi vincoli di scopo, rendicontazione ed ogni altra condizione già previsti per il finanziamento di cui trattasi, con apposita determinazione della tempistica di esecuzione dei lavori, parametrata su quella originaria ma aggiornata al tempo di effettiva erogazione.

b) ( quanto a mancato guadagno ) 50% degli utili non percepiti per l’attività del centro commerciale progettato – tenuto conto dell’ordinaria redditività, al netto dalle imposte, di iniziative similari - nel periodo intercorrente fra la data di probabile completamento dei lavori, ove la proroga fosse stata disposta in luogo della revoca, e la data di effettiva liquidazione. Detta liquidazione non sarà soggetta ai vincoli di cui al punto a).

c) decurtazione del 30% delle somme determinate nei termini di cui ai precedenti punti a) e b), per applicazione del principio di cui all’art. 1227 Cod. civ..

d) oneri accessori, sull’importo di cui al precedente punto b), nella misura legislativamente prevista (cfr., per limiti e modalità di calcolo, Cons. Stato,VI, 6 maggio 2008, n. 1995 e 29 luglio 2008, n. 3785).

Quanto alle spese giudiziali, infine, il Collegio stesso ne ritiene equa, in ragione della complessità della controversia, l’integrale compensazione

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