Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-04-13, n. 202103024

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-04-13, n. 202103024
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202103024
Data del deposito : 13 aprile 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/04/2021

N. 03024/2021REG.PROV.COLL.

N. 06437/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6437 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato F S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente un diniego di rinnovo del permesso di soggiorno.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2021 svolta in modalità da remoto il Cons. Antonio Massimo Marra e rinviato, quanto alla presenza degli avvocati delle parti, al verbale di udienza

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il sig. -OMISSIS-, cittadino -OMISSIS-, ha impugnato dinanzi al Tar Emilia Romagna il decreto del Questore della Provincia di Modena, 30.12.2019, Cat. -OMISSIS-, di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno per attesa occupazione, opposto sul rilievo della sussistenza, a carico del ricorrente, di otto condanne inerenti gli stupefacenti, nonché per reati in materia di armi (art. 14 della L. n. 110/1975).

Il primo giudice ha respinto il ricorso, affermando che:…“il decreto questorile risulta corredato da congruo impianto motivazionale, incentrato, non solo sulle plurime condanne penali;
ed ancora: “il mancato inserimento del ricorrente nel tessuto sociale e lavorativo nazionale, desunto dall’accertata propensione a delinquere del cittadino -OMISSIS- nonostante egli soggiorni da diverso tempo in Italia e nonostante i legami familiari esistenti (-OMISSIS-), con conseguente condivisibilità della valutazione negativa operata dalla Questura riguardo all’effettivo inserimento del cittadino -OMISSIS- nel tessuto sociale italiano”.

Contro detta sentenza ha proposto appello il sig. -OMISSIS- . A sostegno del gravame lo stesso deduce che l’Amministrazione non avrebbe adeguatamente compiuto il bilanciamento, previsto ex lege, fra i reati ostativi al rinnovo del permesso di soggiorno e la condizione familiare dell’odierno appellante, pervenendo, così alla logica conclusione della prevalenza dei reati commessi sulla condizione familiare dello straniero, avuto riguardo alla gravità e alla contiguità temporale, rispetto alla domanda di rinnovo, dei fatti commessi dallo straniero nonché alla loro reiterazione che non può giustificare la convinzione dallo stesso maturata di essere protetto da una sorta di perpetua impunità.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio.

La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 25 marzo 2021

Ritiene il Collegio che l’appello sia infondato.

Risulta dagli atti di causa che lo straniero nell’anno:

- 2013, è stato condannato a-OMISSIS- per violazione dell’art 73 del d.PR 309/90;

- 2014, è stato condannato a -OMISSIS- per violazione dell’art. 14 della legge n. 110/75;

- 2015, è stato condannato a-OMISSIS- per violazione dell’art 73 DPR 309/90;

- 2016 è stato condannato a -OMISSIS- per violazione dell’art. 73 DPR 309/90;

- 2017, condannato a-OMISSIS- per violazione art 73 DPR 309/90 (reati commessi nel 2013/15);

- 2019 è stato condannato a-OMISSIS- per violazione art 73 DPR 309/90

Appare indubbio che i fatti, definitivamente accertati, siano gravi e reiterati, certamente sintomatici della pericolosità sociale del reo, nonché indice di una minaccia concreta e attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato e siano perciò integrate tutte le condizioni per rifiutare allo straniero l’ingresso nel territorio italiano ai sensi dell’art. 4, comma 3, d.lgs. 286/98, e conseguentemente, per denegarne la permanenza a qualsiasi titolo, giusto il disposto del successivo art. 5, comma 5.

Del resto il legislatore ha ritenuto che la commissione di reati in materia di stupefacenti da parte di uno straniero, sia sintomatica del carattere altamente pericoloso dello stesso, a prescindere dal quantum di pena per essi previsto dal d.P.R. n. 309/1990, e persino nel caso in cui non vi siano ancora sentenze passate in giudicato come si evincerebbe dall’art. 4, co. 3, e 5 del d.lgs. n. 286/1998. Nel caso di specie vi sarebbero plurime condanne passate in giudicato, in relazione a fatti gravi e reiterati, l’ultima delle quali del 2019 alla condanna a-OMISSIS- per violazione dell’art. 73 del d.P.R. 309/90 per la quale sono stati concessi arresti domiciliari

E’ vero tuttavia che, in forza della disposizione da ultimo citata, nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, del familiare ricongiunto, ovvero dello straniero che abbia legami familiari nel territorio dello Stato (sul punto, Corte costituzionale, n. 202/2013), “si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale” .

Questo non significa che tutte le volte che l’amministrazione, pur dando atto dell’esistenza di vincoli familiari, si limiti a sottolineare, ai fini del diniego, la particolare gravità dei reati e la loro reiterazione, senza spiegare perché gli interessi familiari siano recessivi rispetto alla sicurezza dello Stato, sia per ciò solo inadempiente all’obbligo di motivazione scaturente dall’ art. 5, comma 5 del d.lgs. 286/99 e dall’art. 3 della legge 241/90. Occorre invece esaminare in concreto, anche al fine di evitare annullamenti meramente formali.

Nella specie tuttavia l’amministrazione ha motivato adeguatamente sul punto, là dove ha precisato che …”la presenza di familiari hanno convinto lo straniero di essere protetto da una sorta di perpetua impunità, … anche solo frequentando sporadicamente persone con precedenti di Polizia aumentava il tenore della gravità dei reati commessi;
quindi la pericolosità della persona si coglie dal comportamento antigiuridico tenuto nonostante l'esistenza di legami affettivi;
….la pericolosità sociale dello straniero, in relazione alla sicurezza fisica o anche soltanto morale dei cittadini, costituisce ostacolo al rilascio/rinnovo/mantenimento del permesso di soggiorno, tenuto anche conto che le ragioni della solidarietà umana non possono essere affermate al di fuori di un corretto bilanciamento dei valori in gioco e che le regole stabilite in funzione di un ordinato flusso migratorio e di una adeguata accoglienza vanno rispettate, essendo poste a difesa della collettività nazionale”

Esistono reati già considerati dal legislatore ai fini dell’ingresso e della permanenza sul territorio italiano, particolarmente gravi in sé, da imporre l’allontanamento a prescindere come accennato, dal quantum di pena, specie in ipotesi di spaccio di stupefacenti di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990.

Vi sono poi comportamenti, quali la recidiva, che il legislatore considera sintomatici di pericolosità sociale del reo, in quanto indice della mancata comprensione del disvalore delle condotte illecite serbate, e che perciò danno luogo ad un incremento della pena.

Nel caso di specie, si aggiunge, oltre alla reiterazione, la gravità dei fatti di rilievo penale, caratterizzata anche dall’ultima condanna a -OMISSIS- per quantitativo di stupefacenti a fini di spaccio.

Tali concorrenti elementi, complessivamente considerati, oggettivamente potrebbero financo precludere qualsiasi concreto e serio bilanciamento con gli interessi familiari del reo, tenuto conto che esiste una soglia di gravità, oggettivamente percepibile secondo l’ id quod plerumque accidit, oltre la quale il comportamento criminale diviene intollerabile per lo Stato che offre ospitalità, in guisa da rendere, in concreto, vincolato il diniego di permanenza.

Del resto la formazione di una famiglia sul territorio italiano non può costituire scudo o garanzia assoluta di immunità dal rischio di revoca o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, ossia del titolo in base al quale lo straniero può trattenersi sul territorio italiano. Piuttosto, in casi speciali e situazioni peculiari, che eventualmente espongano i figli minori del reo a imminente e serio pregiudizio, l’ordinamento offre, in via eccezionale, e a precipua tutela dei minori, uno specifico strumento di tutela, affidato al giudice specializzato dei minori. In forza del disposto dell’art. 31 comma 3 del TU immigrazione, infatti “Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l'ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni della presente legge”.

La motivazione del diniego, resa dall’amministrazione, è dunque, nel caso di specie, avuto riguardo alla connotazione delle condotte e al giudizio di pericolosità che oggettivamente ne deriva, in concreto pienamente sufficiente.

L’appello è pertanto respinto, con conferma della sentenza di primo grado.

Avuto riguardo alla peculiarità del caso e allo stato della giurisprudenza, appare equo compensare le spese del giudizio.

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