Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2012-04-20, n. 201202315
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N. 02315/2012REG.PROV.COLL.
N. 04141/2004 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 4141 del 2004, proposto dalla signora M G S, rappresentata e difesa dall'avv. F C, con domicilio eletto presso E. Bruno in Roma, viale Giulio Cesare n. 95;
contro
il Comune di Lecce in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. M L D S, con domicilio eletto presso l’avv. Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II n. 18;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo della Puglia, sede di Lecce, Sezione II, n. 00628/2004, resa tra le parti, concernente INQUADRAMENTO NEI RUOLI ORGANICI COMUNALI
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2012 il Cons. Manfredo Atzeni e uditi per le parti gli avvocati Carrozzo e Baldassarre, per delega dell'avvocato De Salvo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso al Tribunale amministrativo della Puglia, sede di Lecce, rubricato al n. 2208/1995, la signora M G S già dipendente di una istituzione pubblica di assistenza e beneficienza, inquadrata nei ruoli organici del Comune di Lecce a seguito della soppressione della suddetta istituzione, impugnava la deliberazione n. 599 in data 10 marzo 1995 con la quale il Sub Commissario prefettizio del Comune di Lecce aveva disposto il suo inquadramento nei ruoli organici del Comune con la sesta qualifica funzionale anziché con la settima, nonché qualsiasi atto connesso, comprese le precedenti deliberazioni del Comune di Lecce relative alle assunzioni ed attribuzioni di qualifica nei suoi confronti.
La ricorrente lamentava di essere stata inquadrata a tempo parziale (venti ore settimanali), anziché a tempo pieno, successivamente peraltro rinunciando alla domanda.
ï€Quanto all’individuazione del legittimo livello di inquadramento la ricorrente sosteneva di provenire dalla carriera insegnante, svolta nella scuola media e nell’istituto magistrale gestiti, fino al 1985, dalla soppressa I.P.A.B. dalla quale proviene, come insegnante di educazione musicale, materia per il cui insegnamento l’ordinamento scolastico prevede il possesso del diploma del conservatorio.
La ricorrente sosteneva che il Comune, nell’inquadrarla nella VI^ qualifica funzionale l’aveva considerata quale docente diplomato (secondo la classificazione di cui all’art. 46 della L. 312/1980, nonché dell’allegato A-2 del citato DPR n. 347/1983), senza tenere conto del fatto che il diploma del Conservatorio non può essere equiparato ad un titolo di istruzione media, né di I, né di II grado, ma appartiene all’istruzione superiore (come il diploma dell’accademia delle belle arti o quello dell’ISEF), tanto che nella tabella allegato C al D.L. n. 13/1976 (convertito in L. n. 88/1976) esso risulta equiparato alla laurea. Da ciò consegue, ad avviso della ricorrente, il suo diritto ad essere inquadrata nella VII ^ qualifica funzionale quale docente laureato.
La ricorrente chiedeva quindi l’annullamento degli atti impugnati.
Con la sentenza in epigrafe, n. 628 in data 19 gennaio 2004, il Tribunale amministrativo della Puglia, sede di Lecce, Sezione II, dava atto della parziale rinuncia e, per il resto, respingeva il ricorso.
2. Avverso la predetta sentenza, nella parte con la quale è stata rigettata l’impugnazione proposta, la signora M G S propone il ricorso in appello in epigrafe, rubricato al n. 4141/04, contestando gli argomenti che ne costituiscono il presupposto e chiedendo la sua riforma e l’accoglimento del ricorso di primo grado.
La causa è stata assunta in decisione alla pubblica udienza del 14 febbraio 2012.
3. L’appello è infondato.
Il primo giudice ha respinto il ricorso dell’odierna appellante affermando che il livello di inquadramento di sua spettanza deve essere individuato sulla base della corrispondenza fra la qualifica rivestita presso l’Istituzione dalla quale proviene e le qualifiche dell’ordinamento del personale degli enti locali.
Di conseguenza la stessa ricorrente, che contesta l’operato dell’Amministrazione, ha l’onere di dimostrare i fatti in base ai quali propone la sua domanda, e specificamente il suo inquadramento presso la IPAB.
L’appellante contesta tale impostazione, affermando che l’oggetto della controversia non è costituito dal suo inquadramento presso l’Istituzione di provenienza in quanto il Comune è tenuto a conferirle la qualifica funzionale di sua spettanza a prescindere da quella attribuita dall’ente presso il quale prestava servizio in precedenza, e che comunque questa è agevolmente ricavabile ovvero può essere disposta istruttoria al riguardo.
Le affermazioni appena riassunte non sono condivisibili.
Di norma, le procedure di trasferimento del personale pubblico da un’Amministrazione ad un’altra hanno lo scopo di utilizzare le professionalità che l’ente di provenienza ha riconosciuto con l’attribuzione di una determinata qualifica presso un ente diverso, all’interno del quale è stata ravvisata una più marcata necessità di quella specifica professionalità.
Di conseguenza, il ragionamento seguito dal primo giudice si colloca nell’ambito del principio appena enunciato, nella parte in cui afferma che il corretto inquadramento dell’appellante nei ruoli del Comune appellato deve essere individuato sulla base del raffronto con la qualifica posseduta dall’appellante presso la IPAB, e deve essere condiviso.
Non può, invece, essere seguita la tesi dell’appellante secondo la quale il trasferimento comporta una sorta di nuova assunzione, disposta in assenza di qualsiasi comparazione fra candidati, a seguito della quale al dipendente trasferito viene attribuito il livello corrispondente al titolo di studio posseduto.
Le argomentazioni dell’appellante non possono quindi essere condivise.
In subordine, l’appellante contesta l’ulteriore affermazione del primo giudice, secondo la quale ella ha l’onere di dimostrare in giudizio l’inquadramento attribuitole presso l’ente di provenienza, ed il totale inadempimento dell’onere impedisce di ordinare l’esibizione della documentazione di cui si tratta.
Il Collegio condivide anche questa affermazione del primo giudice.
E’ pacifico in giurisprudenza il principio secondo il quale il giudice amministrativo deve fare uso dei suoi poteri istruttori quando le argomentazioni di chi contesta l’operato dell’Autorità detentrice del materiale probatorio non si limitano a mere affermazioni di parte, ma sono basate quantomeno su un principio di prova, a sostegno della loro verosimiglianza.
“Nel giudizio amministrativo, si applica il principio dell'onere della prova, sancito dall'art. 2697 c.c. e i poteri di accertamento del giudice amministrativo possono essere esercitati solo su sollecitazione delle parti, o in caso di ravvisata incompletezza dell'istruttoria, ma non in caso di totale mancanza dell'istruttoria stessa;nessun accertamento può essere disposto a suffragio di una tesi difensiva, in ogni caso, ove la parte interessata non abbia fornito al riguardo, quanto meno, un principio di prova, in base agli artt. 112 e 115 c.p.c. in combinato disposto con gli artt. 21, l. n. 1034 del 1971 e 44, t.u. 26 giugno 1924 n. 1054, come interpretati da consolidata giurisprudenza” (C. di S., VI, 29 ottobre 2008, n. 5409).
Quanto appena affermato è ora ribadito dall’art. 64, primo comma, del codice del processo amministrativo.
Atteso che l’appellante non ha fornito alcun principio di prova a sostegno delle sue, peraltro generiche, affermazioni, anche la tesi appena discussa deve essere disattesa.
4. L’appello deve, in conclusione, essere respinto.
In considerazione della limitata attività difensiva spiegata dal Comune le spese del grado devono essere integralmente compensate.