Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2012-01-25, n. 201200326

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2012-01-25, n. 201200326
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201200326
Data del deposito : 25 gennaio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05719/2002 REG.RIC.

N. 00326/2012REG.PROV.COLL.

N. 05719/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5719 del 2002, proposto da:
F A, rappresentata e difesa dall'avv. G L F, presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma, via Benozzo Gozzoli, 82;

contro

Comune di Assemini, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. SARDEGNA - CAGLIARI n. 00130/2002, resa tra le parti, concernente

RICHIESTA DI MANTENIMENTO IN SERVIZIO FINO AI

65 ANNI DI ETA'


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2011 il Cons. Doris Durante;

Udito per l’appellante l’avv. Falchi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- F A, dipendente del Comune di Assemini, in prossimità del compimento del sessantesimo anno d’età, avendo maturato solo dodici anni di anzianità ai fini pensionistici, chiedeva al Comune di essere mantenuta in servizio fino al compimento di 65 anni di età, ai sensi e per gli effetti dell’art. 6, comma 1, della l. n. 407 del 1990 e della legge n. 503 del 1992.

2.- Il Comune di Assemini rigettava la domanda, rilevando che il mantenimento in servizio non sarebbe stato utile all’istante, perché non avrebbe ugualmente conseguito l’anzianità minima richiesta per fruire del trattamento di quiescenza.

3.- F A, con separati ricorsi al TAR Sardegna impugnava gli atti dell’amministrazione con i quali era stato negato il diritto a permanere in servizio fino al compimento di 65 anni (telegramma del 28 febbraio 1995 e la delibera di giunta municipale n. 148 del 1995) e la delibera di giunta municipale n. 148 del 1995, con la quale era collocata in quiescenza a far data dal 1°aprile 1995 e chiedeva l’accertamento del diritto a permanere in servizio fino a 65 anni di età.

Deduceva violazione della l. n. 407 del 1990 e della l. n. 503 del 1992.

4.- Il TAR Sardegna, riuniti i ricorsi, dichiarava l’uno irricevibile e l’altro inammissibile.

Secondo la sentenza, non avendo la ricorrente presentato la comunicazione di voler permanere in servizio all’ente previdenziale, la sua posizione soggettiva era quella di interesse legittimo, con conseguente irricevibilità del ricorso avverso la negatoria del Comune perché proposto oltre il termine decadenziale, con conseguente inammissibilità del ricorso avverso l’atto di collocamento a riposo.

Il TAR richiamava in motivazione, ad esso conformandosi, l’orientamento espresso dalla Cassazione su casi analoghi.

5.- La ricorrente, con l’atto di appello in esame, ha impugnato la suddetta sentenza di cui chiede l’annullamento o la riforma per error in iudicando.

Essa appellante assume che l’orientamento giurisprudenziale richiamato in sentenza riguarda i casi di trattamento di quiescenza erogati dall’INPS e non dall’INPDAP;
che la disciplina relativa al trattamento INPDAP prevede che sia il datore di lavoro a trasmettere all’ente previdenziale la comunicazione e non l’interessato;
che nessuna norma prevede che il diritto a permanere in servizio degradi ad interesse legittimo ove non sia data tempestiva comunicazione all’ente previdenziale.

Il Comune di Assemini non si è costituito in giudizio.

Alla pubblica udienza del 25 ottobre 2011, il giudizio è stato assunto in decisione.

6.- L’appello è infondato e va rigettato.

L’art. 6, comma 1, della l. n. 407 del 1990 (Età pensionabile e prosecuzione del rapporto di lavoro) stabilisce che “ Gli iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed …alle gestioni sostitutive, esonerative o esclusive della medesima possono continuare a prestare la loro opera fino al compimento del sessantaduesimo anno di età (età elevata a sessantacinque anni dall'art. 1, d.lg. 30 dicembre 1992, n. 503), anche nel caso in cui abbiano raggiunto l'anzianità contributiva massima utile prevista dai singoli ordinamenti… ”.

Quanto alle modalità per l’esercizio di tale facoltà, il comma 2, stabilisce che “ …l'esercizio della facoltà di cui al comma 1 deve essere comunicato al datore di lavoro ed all'ente previdenziale competente almeno sei mesi prima della data di conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia.. ”.

Ciò posto, va osservato che la citata disciplina riguarda sia la generalità dei lavoratori privati, sia la generalità dei dipendenti pubblici, iscritti in larga maggioranza nelle gestioni "esclusive" dell'assicurazione generale obbligatoria che gestiscono forme di previdenza "esclusiva" dell'assicurazione generale obbligatoria.

Tanto trova ragione nell’interpretazione letterale della disposizione citata ed anche nella disposizione dell’art. 1 comma 2, del d.lg. 30 dicembre 1992 n. 503, che nel prevedere che " il limite di età previsto per l'applicazione delle disposizioni contenute nell'art. 6 l. 29 dicembre 1990 n. 407 è elevato fino al compimento del sessantacinquesimo anno ", individua i destinatari della norma negli stessi beneficiari dell'art. 6, ivi menzionato, e cioè negli " iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti e alle gestioni sostitutive, esonerative od esclusive della medesima", ai quali la stessa norma concedeva di continuare a prestare la loro opera "fino al sessantaduesimo anno di età” ( cfr. Consiglio Stato , sez. V, 14 novembre 1997 , n. 1315).

La facoltà riconosciuta dalle citate disposizioni di prosecuzione del rapporto di lavoro oltre l’ordinario limite di età non costituisce di per sé un diritto soggettivo pieno, ma diviene tale solo allorché l’interessato abbia esercitato l’opzione, dandone tempestiva comunicazione all’amministrazione e all’ente previdenziale.

La circostanza che l’esercizio di una facoltà del privato sia subordinata a particolari e specifici oneri è situazione ricorrente nell’ordinamento giuridico, che condiziona l’acquisizione di facoltà, previste in via generale in favore della collettività indifferenziata, alla dichiarazione di volontà dell’interessato di volersene avvalere, presentata nei modi indicati dalla legge.

Va, quindi, condiviso quanto affermato dalla Cassazione (cfr. per tutte, Cass. lav., 14 giugno 1999, n. 5900), secondo cui, la preventiva comunicazione al datore di lavoro e all’ente previdenziale della volontà di optare per la prosecuzione del rapporto fino al compimento del sessantaduesimo anno di età previsto dall’art. 6, comma 1, della l. n. 407 del 1990 costituisce un preciso onere al cui adempimento entro il termine previsto (almeno sei mesi prima della data di conseguimento del diritto a pensione di vecchiaia) va riconosciuto carattere decadenziale e che rappresenta condizione di un valido esercizio della facoltà di opzione ed elemento costitutivo del diritto del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro.

Sta di fatto che la ricorrente non ha inviato la comunicazione all’ente previdenziale e non ha impugnato nel termine il diniego dell’amministrazione di appartenenza, con conseguente decadenza sia dalla facoltà concessa che dall’esercizio dell’azione avverso l’atto di diniego dell’amministrazione.

Va, comunque, osservato quanto agli effetti della facoltà concessa al pubblico dipendente di permanere in servizio, che tale facoltà è disciplinata dalle leggi in materia pensionistica ed è finalizzata al conseguimento del minimo pensionabile.

Infatti, la Corte costituzionale, con sentenza n. 282 del 18 giugno 1991 aveva dichiarato incostituzionale l’art. 4 del d.p.r. n. 1092 del 29 dicembre 1973 (T.U. sul trattamento di quiescenza dei dipendenti pubblici) nella parte in cui non consentiva al personale che al raggiungimento del limite di età per il collocamento a riposo non avesse compiuto il numero di anni richiesto per ottenere il minimo della pensione di rimanere in servizio a richiesta fino al conseguimento di tale anzianità minima e, comunque, non oltre i settanta anni.

Tuttavia, di tale norma la ricorrente non avrebbe potuto giovarsi, non avendo possibilità di conseguire, anche permanendo in servizio fino a settanta anni, l’anzianità minima per conseguire la pensione, circostanza rilevata dall’amministrazione comunale nell’atto di diniego.

Quanto sin qui esposto conclude per il rigetto dell’appello.

Nulla per le spese di giudizio, essendo rimasta comtumace l’amministrazione comunale intimata.

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