Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2016-03-15, n. 201601026

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2016-03-15, n. 201601026
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201601026
Data del deposito : 15 marzo 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06286/2015 REG.RIC.

N. 01026/2016REG.PROV.COLL.

N. 06286/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6286 del 2015, proposto dal signor M A S, titolare della ditta Ecolube, rappresentato e difeso dagli avvocati A F e M A, con domicilio eletto presso M A in Roma, piazza Adriana 4

contro

Comune di Cafasse, non costituito

per la riforma della sentenza del T.A.R. del Piemonte, Sezione II, n. 547/2015


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2016 il Cons. Claudio Contessa e udito per l’appellante l’avvocato Ferdinando Barucco su delega dell'avvocato M A;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue


FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. del Piemonte e recante il n. 17/2015 l’odierno appellante, premesso di svolgere un’attività di impresa nel Comune di Cafasse (TO), chiedeva l’annullamento della nota comunale in data 29 ottobre 2014 con cui era stata irrogata nei suoi confronti la sanzione pecuniaria di euro 516 per avere impedito il precedente 24 ottobre ad alcuni addetti del Comune di accedere alla sua proprietà al fine di verificare se fossero state ivi commesse irregolarità di carattere edilizio e urbanistico (la sanzione in questione era stata irrogata ai sensi dell’articolo 59 della legge regionale piemontese 5 dicembre 1977, n. 56 – ‘Tutela ed uso del suolo’ -).

Con il ricorso in questione l’appellante aveva altresì contestato la condotta del Comune il quale gli aveva impedito l’accesso all’esposto di fonte privata dal quale era scaturito il tentativo di accesso da parte dei funzionari dell’Ufficio Tecnico Comunale.

Con la sentenza in questione il Tribunale amministrativo, non definitivamente pronunciando sul ricorso in questione, ha esaminato la sola parte della domanda relativa all’impedimento dell’accesso e ha dichiarato infondata la pretesa dell’appellante, riservando al prosieguo del giudizio l’esame dell’impugnativa rivolta avverso il provvedimento sanzionatorio in data 29 ottobre 2014.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dal signor Aimone Secat il quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi di doglianza.

Alla camera di consiglio del 28 gennaio 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal signor Aimone Secat, titolare di un’impresa corrente in Cafasse (TO), avverso la sentenza del T.A.R. del Piemonte con cui, non definitivamente pronunciando sul ricorso n. 17/2015, è stata respinta la domanda volta ad ottenere l’accesso a un esposto privato dal quale era scaturita una verifica volta all’accertamento di eventuali trasformazioni urbanistiche ed edilizie non consentite.

2. L’appello è infondato.

Il ricorrente dedica una parte rilevante delle proprie difese all’esame dell’orientamento (invero consolidato) secondo cui l’Ordinamento interno non tollera le denunce segrete, né assicura una speciale tutela ai denunzianti.

In base a tale orientamento deve ritenersi allo stato insussistente una sorta di generalizzato ‘diritto all’anonimato’, ragione per cui il soggetto che subisca atti di controllo o ispettivi vanti un interesse qualificato a conoscere i documenti utilizzati nell’esercizio del potere in questione, ivi compresi gli atti di iniziativa o pre-iniziativa quali – appunto – gli esposti privati (vengono citate – ex multis -: Cons. Stato, V, 10 maggio 2009, n. 3081; id ., VI, 25 giugno 2007, n. 3601).

Ma il punto è che l’orientamento appena richiamato non risulta univocamente idoneo a risolvere la questione nel senso auspicato dall’odierno appellante dovendo essere interpretato ed applicato in combinazione con i più generali principi in materia di accesso agli atti di cui al Capo V della l. 7 agosto 1990, n. 241.

Come è noto, ai sensi dell’articolo 22, comma 1, lettera b) della l. 241, cit., per ‘interessati’ all’accesso si intendono “ tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso ”.

Pertanto, un orientamento più che consolidato ha tracciato una relazione piuttosto stretta fra l’esercizio del diritto di accesso e il suo carattere di strumentalità ( i.e. : la finalizzazione della domanda ostensiva alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale – e non meramente emulativo o potenziale – connesso alla disponibilità dell’atto o del documento del quale si richiede l’accesso).

E’ altresì noto che la giurisprudenza di questo Consiglio ha delineato una nozione piuttosto ampia d’ ‘strumentalità’, non imponendo che l’accesso al documento sia unicamente e necessariamente strumentale all’esercizio del diritto di difesa in giudizio, ma ammettendo che la richiamata ‘strumentalità’ vada intesa in senso ampio in termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, V, 23 settembre 2015, n. 4452; id ., III;
26 giugno 2015, n. 3214).

E’ stato tuttavia precisato che, pur nell’ambito della richiamata, ampia nozione di ‘strumentalità’, non può comunque essere consentito il diritto di accesso quante volte la relativa richiesta sia funzionale al soddisfacimento di intenti i quali, pur se comprensibili, non risultino tuttavia meritevoli di una specifica tutela ordina mentale, come quelli mossi da finalità emulative o da mera curiosità (in tal senso – da ultimo -: Cons. Stato, IV, 14 aprile 2015, n. 1897).

3. Ebbene, riconducendo i principi appena delineati alle peculiarità del caso di specie, occorre domandarsi se il richiesto accesso all’esposto di fonte privata risultasse compatibile con la pur ampia nozione di strumentalità che dinanzi si è delineata.

Ad avviso del Collegio al quesito deve essere fornita risposta negativa, se solo si consideri:

- che l’impugnativa di primo grado è stata in primis rivolta avverso il provvedimento sanzionatorio in data 29 ottobre 2014;

- che il provvedimento in questione non è stato adottato a fronte della rilevata violazione, da parte dell’appellante, della pertinente normativa edilizia ed urbanistica, ma quale conseguenza legale del rifiuto da parte dell’odierno appellante di consentire l’accesso ispettivo alla sua proprietà (in tal senso, l’articolo 59 della legge regionale n. 56 del 1977);

- che, quindi, non sussiste un nesso di strumentalità (se non del tutto labile ed estremamente mediato) fra la conoscenza del nominativo dell’esponente e la reazione avverso una sanzione che è stata irrogata per il mero rifiuto di consentire l’accesso (e non già in relazione al contenuto sostanziale dell’esposto).

In definitiva – richiamando nuovamente la previsione di cui all’articolo 22, comma 1, lettera b) della l. 241 del 1990, non può affermarsi che allo stato l’appellante vanti, in relazione al richiamato esposto, “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso”.

Il documento al quale è chiesto l’accesso, laddove pure conosciuto, non conferirebbe alcuna utilità al fine di reagire avverso una sanzione che è stata irrogata per un comportamento consapevolmente tenuto dall’appellante, in alcuni modo collegato con il possibile contenuto dell’esposto.

4. Le considerazioni sin qui svolte risultano del tutto assorbenti al fine di palesare l’insussistenza dell’invocato diritto di accesso e di disporre la reiezione dell’appello (sia pure, per ragioni diverse da quelle rappresentate dai primi Giudici), in tal modo esimendo il Collegio dall’esame puntuale delle ulteriori ragioni sottese all’articolazione dell’appello.

Nulla è dovuto per le spese di lite, attesa la mancata costituzione in giudizio del Comune appellato.

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