Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-04-09, n. 202002349

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-04-09, n. 202002349
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202002349
Data del deposito : 9 aprile 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/04/2020

N. 02349/2020REG.PROV.COLL.

N. 04567/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4567 del 2019, proposto da
Nuove Terme di Agnano S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati A T, F V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Inps, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A C, M S, V T, domiciliataria ex lege in Roma, via Cesare Beccaria ,29;

nei confronti

Terme di Agnano in liquidazione non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 11673/2018, resa tra le parti, concernente il diniego di ammissione al Fondo di Integrazione Salariale;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’Inps;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2020 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli avvocati F V, M S e l'avvocato dello Stato Bruno Dettori;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. - Con due domande del 4/2/2017, la prima riferita alla matricola 5136449718 e la seconda alla matricola 5136435676, la società Nuove Terme di Agnano – che aveva preso in affitto i dipendenti della società Terme di Agnano - ha richiesto al Fondo di Integrazione Salariale (d’ora in avanti F.I.S.) la concessione dell’assegno di solidarietà ex art. 6 del D.I. n. 94343/2016 per il periodo 6.2.2017-5.2.2018 con riferimento a sedici dipendenti (la prima) ed a quarantadue dipendenti (la seconda).

Con provvedimento di reiezione n. 2946/2017 del 19/07/2017 l’INPS ha respinto tali istanze.

2. - Avverso tale provvedimento la società Nuove Terme di Agnano ha proposto ricorso amministrativo;
formatosi il silenzio rigetto, lo ha impugnato, unitamente al provvedimento di reiezione delle proprie domande, con ricorso proposto dinanzi al TAR Campania;
dopo la declaratoria di incompetenza territoriale, tale ricorso è stato riassunto dinanzi al TAR Lazio.

2.1 – Unitamente a tali atti la ricorrente ha impugnato anche l’interpello del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 3/2017 ed il messaggio INPS n. 3617 del 20/9/2017 che hanno interpretato l’art. 29 del d.lgs. n. 148/2015 ritenendo che, in caso di operazioni societarie nelle quali l'azienda di origine resta in essere e trasferisce parte dei suoi dipendenti ad una o più aziende già esistenti o nuove (es. scissioni parziali, cessione di ramo d'azienda, etc.), ai fini del computo del cd. “tetto aziendale”, si debba tener conto della sola contribuzione dovuta dall’azienda istante, a nulla rilevando la contribuzione precedentemente dovuta dalle aziende cedute.

Infine, con lo stesso ricorso, la società ha chiesto anche di sollevare la questione di legittimità costituzionale degli art.29 comma IV e 44 comma V del D.Lgs. n.148/2015 innanzi alla Corte Costituzionale per contrasto con gli artt. 2, 4 e 36 della Costituzione.

2.1 - Nel giudizio di primo grado si sono costituiti in resistenza sia l’INPS che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

3. - Con la sentenza n. 11673 del 2018 il TAR ha respinto il ricorso.

4. - Avvero tale decisione la ricorrente ha proposto appello deducendo, con il primo motivo, la “nullità della impugnata sentenza n. 11673/2018 per assoluto difetto di motivazione...” (cfr. pag. 6 dell’atto d’appello).

Ha poi proposto ulteriori censure dirette a censurare nel merito la sentenza di primo grado;
infine ha reiterato la richiesta di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, già formulata in primo grado e disattesa dal primo giudice.

4.1 - Si è costituito in giudizio il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che ha eccepito l’inammissibilità del ricorso proposto avverso l’interpello, in considerazione della sua natura di atto endoprocedimentale, rilevando, altresì, la sua estraneità al giudizio.

4.2 - Anche l’INPS si è costituito in giudizio replicando alle doglianze proposte.

4.3 - L’istanza cautelare proposta con il ricorso è stata abbinata al merito.

4.4 - In prossimità dell’udienza di discussione le parti hanno depositato scritti difensivi, anche in replica.

5. - All’udienza pubblica del 20 febbraio 2020 l’appello è stato trattenuto in decisione.

6. - L’appello è infondato e va, dunque, respinto.

6.1 - Con il primo motivo la società appellante ha dedotto che la sentenza impugnata sarebbe affetta da nullità per “assoluto difetto di motivazione” chiedendo a questo Collegio di disporre “la rimessione del giudizio al TAR di primo grado, ai sensi dell’art. 105 c.p.c.”.

Secondo l’appellante, infatti, il TAR non avrebbe compiutamente esaminato le doglianze da esso proposte, ma si sarebbe limitato a recepire le tesi difensive dedotte dall’INPS respingendo il ricorso.

6.2 - La censura non può essere condivisa.

Come ha correttamente rilevato l’INPS nella propria memoria difensiva, con la sentenza n. 10/2018 l’Adunanza Plenaria ha statuito che:

- “In coerenza con il generale principio dell'effetto devolutivo/sostitutivo dell'appello, le ipotesi di annullamento con rinvio al giudice di primo grado previste dall'art. 105 c.p.a. hanno carattere eccezionale e tassativo e non sono, pertanto, suscettibili di interpretazioni analogiche o estensive”;
- “la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, anche quando si sia tradotta nella mancanza totale di pronuncia da parte del giudice di primo grado su una delle domande del ricorrente, non costituisce un'ipotesi di annullamento con rinvio;
pertanto, in applicazione del principio dell'effetto sostitutivo dell'appello, anche in questo caso, ravvisato l'errore del primo giudice, la causa deve essere decisa nel merito dal giudice di secondo grado”;

- “costituisce un'ipotesi di nullità della sentenza che giustifica l'annullamento con rinvio al giudice di primo grado il difetto assoluto di motivazione;
esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, tale anomalia si identifica, oltre che nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, nella motivazione meramente assertiva, tautologica, apodittica oppure obiettivamente incomprensibile: quando, cioè, le anomalie argomentative sono di gravità tale da collocare la motivazione al di sotto del “minimo costituzionale” di cui all'art. 111, comma 5, Cost.”.

Dalla disamina della sentenza impugnata non emergono i vizi radicali indicati dall’Adunanza Plenaria, in quanto il TAR ha esaminato le tesi prospettate dalla società ricorrente e le ha respinte fornendo una motivazione che, benchè sintetica, consente di comprendere i presupposti sui quali si fonda la decisione. Il primo giudice ha omesso di pronunciarsi su taluni aspetti, ritenendoli non rilevanti ai fini della decisione. Ad ogni modo, secondo quanto ha precisato l’Adunanza Plenaria, eventuali vizi della motivazione, corrispondenti alla violazione del principio recato dall’art. 112 c.p.c., non necessitano il rinvio al primo giudice ex art. 105 c.p.a., ben potendo essere emendati in sede di appello in virtù dell’effetto devolutivo.

La doglianza va, quindi, respinta.

7. - Prima di procedere alla disamina delle successive doglianze che, come già anticipato, si riferiscono ad aspetti di merito, ritiene il Collegio di dover richiamare la normativa di riferimento ed il tenore del provvedimento di rigetto delle istanze dirette ad ottenere l’assegno di solidarietà oggetto di impugnazione.

7.1 - Il d.lgs. n. 148/2015, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali, diretto a disciplinare i cc.dd. “Fondi di solidarietà”, ha statuito, all’art. 29, che il Fondo di solidarietà residuale, di cui ai commi 19 e seguenti dell’art. 3 della Legge n. 92/2012 ed istituito con D.I. 79141/2014, a decorrere dal 1° gennaio 2016, ha assunto la denominazione di Fondo di integrazione salariale.

Destinatari del predetto Fondo di integrazione salariale sono i datori di lavoro che occupano mediamente più di cinque dipendenti, appartenenti a settori, tipologie e classi dimensionali non rientranti nell'ambito di applicazione della normativa afferente i trattamenti di integrazione ordinaria ed i trattamenti di integrazione straordinaria e che non hanno costituito fondi di solidarietà bilaterali di cui all'articolo 26 o fondi di solidarietà bilaterali alternativi di cui all'articolo 27 (art. 29).

7.2 - Con il D.I. 3 febbraio 2016, n. 94343 - emanato in applicazione dell’art. 28, comma 4°, del d.lgs. n. 148/2015 – la disciplina del precedente Fondo di solidarietà residuale è stata adeguata, a decorrere dal 1° gennaio 2016, al complesso delle disposizioni del citato d.lgs. del 2015.

Il Fondo è finanziato con i contributi dei datori di lavoro appartenenti al fondo e dei lavoratori da questi occupati, con aliquote differenti a seconda che si tratti di datori di lavoro che occupano più o meno di quindici dipendenti;
è anche stabilito un contributo addizionale a carico del datore di lavoro che ricorra alla sospensione o riduzione dell' attività lavorativa, pari al 4% della retribuzione persa.

Le prestazioni garantite dal F.I.S. sono due (art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 148/2015):

- l’assegno di solidarietà, di cui al comma 31 del citato d.lgs. n. 148/2015, disciplinato dall’art. 6 del D.I. n. 94343/2016 (che costituisce oggetto del presente contenzioso) “in favore dei lavoratori dipendenti di datori di lavoro che stipulano con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative accordi collettivi aziendali che stabiliscano una riduzione dell’orario di lavoro, al fine di evitare o ridurre le eccedenze di personale nel corso della procedura di cui all’articolo 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, o al fine di evitare licenziamenti plurimi individuali per giustificato motivo oggettivo”;

- l’assegno ordinario di cui al comma 30 del medesimo d.lgs., disciplinato dall’art. 7 del citato D.I., costituente una ulteriore prestazione (consistente nell’assegno ordinario d’importo pari all’integrazione salariale) per i lavoratori dipendenti di datori di lavoro che occupano mediamente più di quindici dipendenti, compresi gli apprendisti, nel semestre precedente la data di inizio delle sospensioni o delle riduzioni di orario di lavoro.

Sia l’art. 31, comma 2, del d.lgs. n. 148/2015 che l’art. 6, comma 3, del successivo D.I. n. 94343/2016 dispongono che “L’assegno di solidarietà può essere corrisposto per un periodo massimo di dodici mesi in un biennio mobile”;
sia l’art. 31, comma 7, del d.lgs. n. 148/2015 che l’art. 6, comma 10, del D.I. n. 94343/2016 statuiscono che “All’assegno di solidarietà si applica, per quanto compatibile, la normativa in materia di integrazioni salariali ordinarie”.

L’art. 8, primo comma, del D.I. n. 94343/2016 dispone, inoltre, che “Per ciascuna unità produttiva, i trattamenti relativi alle prestazioni di cui agli articoli 6 e 7 non possono comunque superare la durata massima complessiva di 24 mesi in un quinquennio mobile.”.

Tale disposizione precisa, quindi, che nelle materie di competenza del F.I.S. il riferimento al quinquennio mobile opera solo per misurare la durata complessiva dei due trattamenti, assegno di solidarietà e ed assegno ordinario, che addizionati non possono comunque superare nel predetto spazio temporale (quinquennio) i 24 mesi, con la precisazione, però, che per quanto riguarda la prestazione del contratto di solidarietà previsto dall’art. 7 del citato D.I. opera il limite biennale.

7.3 - Di particolare interesse per la risoluzione della controversia è l’art. 11 del citato D.I., che dispone il principio del pareggio di bilancio e del c.d. “tetto aziendale”, che così recita:

“1. Il Fondo ha obbligo di bilancio in pareggio e non può erogare prestazioni in carenza di disponibilità.

2. Gli interventi a carico del Fondo sono concessi previa costituzione di specifiche riserve finanziarie ed entro i limiti delle risorse già acquisite.

3. Alle prestazioni si provvede nei limiti delle risorse finanziarie acquisite al Fondo di integrazione salariale, al fine di garantirne l'equilibrio di bilancio. In ogni caso, tali prestazioni sono determinate in misura non superiore a quattro volte l'ammontare dei contributi ordinari dovuti dal singolo datore di lavoro, tenuto conto delle prestazioni già deliberate a qualunque titolo a favore del datore di lavoro.

4. In via transitoria, allo scopo di consentire l'erogazione delle prestazioni per i primi anni di operatività del Fondo, il limite di cui al precedente comma 3, calcolato in relazione all'ammontare dei contributi ordinari dovuti dal singolo datore di lavoro, tenuto conto delle prestazioni già deliberate a qualunque titolo a favore dell'azienda medesima, è modificato nel modo seguente: nessun limite per le prestazioni erogate nell'anno 2016, dieci volte nell'anno 2017, otto volte nell'anno 2018, sette volte nell'anno 2019, sei volte nell'anno 2020, cinque volte nell'anno 2021. In ogni caso, le prestazioni possono essere erogate soltanto nei limiti delle risorse finanziarie acquisite al Fondo”.

7.4 - Come già anticipato, tale disposizione prevede il principio di pareggio di bilancio (individuato non solo nell’art. 11 citato, ma anche negli artt. 29, comma 10 –vigente ratione temporis- e 35 del d.lgs. n. 148/2015, oltre che nell’art. 7 dello stesso D.I.) che comporta il divieto di erogare prestazioni economiche in difetto di fondi, ed introduce, in via conseguenziale, il c.d. “tetto aziendale”, in base al quale la prestazione può essere concessa in relazione all’ammontare dei contributi versati dal datore di lavoro, tenuto conto delle “prestazioni già deliberate a qualunque titolo a favore del datore di lavoro”.

La struttura ed il funzionamento del Fondo in oggetto, così come delineati nell’art. 11 cit., evidenziano che il c.d. “tetto aziendale”, costituisce il limite di accesso alle prestazioni del medesimo F.I.S. ed è collegato alla contribuzione dovuta al Fondo da ciascun datore di lavoro.

Detto limite era stato fissato, ratione temporis (cioè prima delle modifiche apportate dall’art. 1, comma 159, lett. a), della L. n. 205/2017 che a regime ha fissato il “tetto aziendale” nella misura pari a dieci volte l’ammontare dei contributi) in quattro volte l’ammontare dei contributi ordinari dovuti, tenuto conto delle prestazioni già deliberate, come previsto dall’art.29, co.4, del D.lgs. n. 168/2015 e scaturisce proprio dall’obbligo di bilancio in pareggio vigente per il F.I.S. – così come per gli altri Fondi di solidarietà -, obbligo che impone la non erogazione di prestazioni in carenza di disponibilità (così art.11 del D.I. cit.).

Il quarto comma dell’art. 11 cit. ha disciplinato, in via transitoria ed allo scopo di consentire l’erogazione delle prestazioni per i primi anni di operatività, una mitigazione del suddetto limite non prevedendo, per quanto di interesse, alcun tetto per l’anno 2016 ed il tetto pari a 10 volte la contribuzione versata per l’anno 2017.

7.5 - Con il messaggio n. 3617 del 20/09/2017, anch’esso impugnato dalla società appellante, l’INPS ha fornito indicazioni operative per la determinazione del c.d. tetto aziendale ai fini dell’erogazione delle prestazioni, nelle quali ha richiamato la disciplina di settore in tema di “tetto aziendale”, precisando che “le prestazioni già deliberate a qualunque titolo” a favore del singolo datore di lavoro, che devono essere scomputate dal c.d. tetto aziendale, sono quelle fruite dal medesimo datore di lavoro nel biennio mobile.

7.6 - Infine, per ciò che rileva nel presente giudizio, con specifico riguardo alla determinazione del c.d. “tetto aziendale” nei casi di aziende richiedenti il beneficio già interessate da operazioni societarie, l’Istituto ha precisato che, in tali casi, la contribuzione dell'azienda cedente per i lavoratori transitati nell'azienda cessionaria è computata ai fini del tetto aziendale esclusivamente nelle ipotesi di fusioni/incorporazioni totali, ossia nelle ipotesi in cui l'azienda istante abbia acquisito la totalità dei lavoratori dell'azienda cedente.

Qualora, invece, si tratti di un'operazione societaria nella quale l'azienda di origine resta in essere e trasferisce parte dei suoi dipendenti ad una o più aziende già esistenti o nuove (come, ad esempio, nel caso di scissioni parziali o di cessioni di ramo d'azienda), nel computo del tetto aziendale si tiene conto della sola contribuzione dovuta dall'azienda istante (nonché cessionaria), a nulla rilevando la contribuzione precedentemente dovuta dalle aziende cedenti.

7.7 - Tali indicazioni sono state condivise dall’interpello del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 3/2017, anch’esso impugnato, con il quale l’Amministrazione ha ritenuto che: “...L'interpretazione più coerente con la logica dell'impianto normativo introdotto dal decreto legislativo n. 148 del 2015 induce a ritenere che le prestazioni già deliberate a qualunque titolo a favore del singolo datore di lavoro e che devono essere scomputate dal c.d. tetto aziendale siano quelle fruite dal medesimo datore di lavoro nel biennio mobile.”

8. - Svolto questo richiamo preliminare alla normativa che regola la fattispecie, prima di procedere alla disamina dei successivi motivi di appello, è necessario richiamare i presupposti sui quali si fonda il diniego impugnato.

8.1 - L’INPS ha respinto le istanze presentate dalla società Nuove Terme di Agnano il 4 febbraio 2017 e dirette ad ottenere l’assegno di solidarietà, rilevando che:

- tale società è stata costituita in data 1° agosto 2016 a seguito di cessione aziendale con la ditta cedente, Terme di Agnano S.p.A.;

- secondo le disposizioni dell’art. 11, comma 4, del D.I. n. 94343/2016, per gli eventi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa cadenti nell’anno 2017, non è possibile superare 10 volte l’ammontare dei contributi ordinari dovuti dal datore di lavoro, tenuto conto delle prestazioni già deliberate a qualsiasi titolo a favore dello stesso datore di lavoro (c.d. tetto aziendale);

- dai controlli effettuati risulta che l’importo delle prestazioni richieste con le domande del 4.2.2017, non risulta coperto, neppure parzialmente, dal tetto aziendale disponibile per l’azienda per l’anno 2017;

- la ditta Nuove Terme di Agnano S.r.l. ha usufruito, per l’anno 2016, delle prestazioni del Fondo d’Integrazione salariale assegno ordinario, per le due matricole, per il periodo 08/08/16-04/02/17, per un ammontare complessivo di € 449.614,15;

- tale situazione di incapienza totale resta immutata anche valorizzando la contribuzione al fondo dell’impresa cedente, Terme di Agnano S.p.A.

9. - Nella sentenza impugnata, il TAR, dopo aver richiamato sinteticamente la normativa di settore, ha ritenuto legittimo tale provvedimento facendo riferimento al principio di pareggio di bilancio che comporta il divieto – per i Fondi di Solidarietà – di erogare prestazioni in carenza di disponibilità;
ha poi rilevato che l’INPS aveva precisato che, pur computando la contribuzione dell’impresa cedente, non vi sarebbe stata comunque capienza;
ha quindi aggiunto che l’impresa aveva versato per l’anno 2017 €1.858,27 e che, quindi, il tetto aziendale per tale annualità ammontava ad € 18.582,27;
ha infine sottolineato che nell’anno 2016 la società aveva già beneficiato di un ammontare complessivo di € 449.614,15 da sottrarre al tetto aziendale, con conseguente impossibilità di concedere l’accesso alla prestazione richiesta.

In relazione a quest’ultimo aspetto, il primo giudice ha anche rilevato l’inammissibilità delle censure prospettate dalla ricorrente, in quanto non dedotte con motivi aggiunti, ma con semplice memoria.

Il TAR, infine, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente.

10. - Con il primo motivo di appello l’appellante ha dedotto vizi di violazione della normativa di riferimento prima richiamata e vizi di eccesso di potere sotto diversi profili, sottolineando, in estrema sintesi, che:

- l’entità della sua contribuzione annuale per l’anno 2017 sarebbe stata pari ad € 88.302,80 e, quindi, il tetto aziendale per tale annualità sarebbe stato pari ad € 883.028,00;
tale importo, sarebbe stato superiore a quello di € 627.000,00 richiesto con le domande respinte dall’INPS;

- il TAR avrebbe confuso l’assegno di solidarietà con l’assegno ordinario;

- la società avrebbe usufruito dell’assegno sociale per 26 settimane, quindi avrebbe potuto usufruire dell’assegno di solidarietà quantomeno sino alla concorrenza dei 12 mesi nel biennio mobile e dei 36 mesi nel quinquennio mobile;

- nel 2016 non sussisteva alcun tetto aziendale e, quindi, non avrebbero potuto essere computate - tra le prestazioni deliberate ed erogate – quelle relative all’anno 2016, per il quale non sussistevano limitazioni per erogare le prestazioni;

- in caso di interpretazione contraria, si sarebbe applicato il tetto aziendale anche agli anni antecedenti, vanificando la ratio della normativa che prevede una graduale riduzione del tetto sino a raggiungere la soglia del quadruplo dei contributi annui per l’anno 2022;

- il dato testuale deporrebbe nel senso di prendere in considerazione le sole prestazioni deliberate nell’anno 2017, a prescindere da quando sono state erogate e, nel caso di specie, l’assegno ordinario sarebbe stato deliberato nel 2016;

- nessuna prestazione sarebbe stata deliberata nell’anno 2017 e, quindi, l’assegno richiesto con le istanze del 2 febbraio 2017 costituirebbe la prima richiesta di erogazione richiesta in quell’anno;

- il tetto aziendale non potrebbe applicarsi alle prestazioni erogate dall’INPS nel 2016, non essendovi per quella annualità alcun limite massimo per le prestazioni assentibili;

- in via subordinata dovrebbero essere computate solo le prestazioni erogate nell’anno 2017, pari ad € 74.935,69;

- tenuto conto del tetto aziendale di € 883.028,00 anche ove si prendessero in considerazione le prestazioni già erogate nel 2016 per € 449.614,15 rimarrebbe una disponibilità di € 433.413,85 per cui l’asserita incapienza riguarderebbe la somma di circa € 200.000,00 e non l’intero assegno di solidarietà;

- in merito all’entità della contribuzione dalla quale discende il tetto aziendale, l’appellante ha fatto riferimento alla perizia dedotta in primo grado, rappresentando l’evenienza di disporre una CTU.

11. - La doglianza è infondata.

Va innanzitutto respinta la prospettazione dell’appellante diretta a sostenere che la contribuzione versata sarebbe stata pari ad € 88.302,80 e che – conseguentemente – il tetto aziendale sarebbe stato pari ad € 883.028,00: la cifra indicata dall’appellante non è corredata da alcun elemento probatorio a sostegno, ed addirittura è sconfessata dalla perizia redatta dal proprio consulente, versata in atti in primo grado, che conferma la veridicità dei dati dell’INPS.

La tabella riportata nella relazione tecnica di parte ricorrente (pag. 4) con riferimento alla società Nuove Terme di Agnano riporta per la matricola 5136435676 per l’anno 2016 l’importo di € 1.191,00 e di € 334,00 per l’anno 2017;
per la matricola 51364497187 per l’anno 2016 l’importo di € 199,00 e di € 134,00 per l’anno 2017 per la stessa cifra complessiva di € 1.858,00 indicata dall’INPS nei propri scritti difensivi.

Dinanzi a tale conformità dei dati numerici, non può sussistere alcuna esigenza di approfondimento istruttorio da parte di questo Collegio, essendo palese l’attendibilità dei dati forniti dall’Istituto appellato.

L’infondatezza della tesi relativa all’asserito tetto aziendale di € 883.028,00 rende irrilevanti, prima che infondate, le successive prospettazioni dell’appellante relative all’interpretazione dell’art. 11 del D.I. citato, in quanto – a fronte di un tetto aziendale di soli € 18.580,00 per l’anno 2017 – è del tutto evidente l’impossibilità per l’INPS di concedere una prestazione di oltre 600.000 euro – tenuto conto del principio del pareggio di bilancio.

Tale elemento dirimente ha – presumibilmente – indotto il primo giudice a non approfondire gli ulteriori aspetti prospettati dalla società ricorrente disponendo il loro assorbimento.

In ogni caso, la tesi dell’appellante non può essere condivisa neppure nel merito.

11.1 - Innanzitutto non può accogliersi la tesi secondo cui – data la natura diversa delle due prestazioni l’una erogata nel 2016 (assegno ordinario) e l’altra richiesta nel 2017 (assegno di solidarietà) l’INPS - non avrebbe dovuto tener conto di quanto erogato a titolo di assegno ordinario per valutare l’istanza diretta ad ottenere l’assegno di solidarietà: come emerge in modo chiaro dall’art. 10 del D.I. cit. entrambe le prestazioni sono finanziate sulla base della stessa contribuzione a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori che vanno a costituire il c.d. “tetto aziendale” con la conseguenza che – tenuto conto del principio del pareggio di bilancio (ribadito dall’art. 11 dello stesso decreto) – se il fondo è stato attinto per il finanziamento per l’assegno ordinario, di tale detrazione deve necessariamente tenersi conto in sede di valutazione della richiesta di concessione dell’assegno di solidarietà per non incorrere nel divieto di erogazione di prestazioni non coperte da finanziamenti.

L’art. 11, comma 4, ultimo periodo, dispone espressamente che “In ogni caso, le prestazioni possono essere erogate solo nei limiti delle risorse finanziarie acquisite al Fondo”, ribadendo il principio già espresso – in via generale – nel comma 3 dello stesso articolo secondo cui “Alle prestazioni si provvede nei limiti delle risorse finanziarie acquisite al Fondo di integrazione salariale, al fine di garantirne l’equilibrio di bilancio”;
inoltre, il comma 4 dello stesso articolo fa riferimento alle “prestazioni già deliberate a qualunque titolo a favore dell’azienda” facendo riferimento, quindi, sia all’assegno ordinario che a quello di solidarietà.

11.2 - Anche la tesi prospettata in appello, secondo cui le prestazioni rese nel 2016 non sarebbero computabili, non essendo stata prevista per quell’anno la previsione di un tetto aziendale, non può condividersi, poiché non trova riscontro in alcuna previsione normativa e contrasta con il principio cardine che regge la materia: l’art. 11, comma 4, del D.I. cit., come già anticipato, fa espresso riferimento per individuare il tetto aziendale “alle prestazioni già deliberate a qualunque titolo a favore dell’azienda medesima” e tale previsione è prevista in modo generale per tutti gli anni per i quali vale il regime transitorio.

Del resto la tesi dell’appellante comporterebbe la palese violazione del principio di pareggio di bilancio, in quanto consentirebbe, come nel caso di specie, di erogare prestazioni onerosissime in carenza di fondi.

Ciò comporta l’infondatezza della tesi dell’appellante, secondo cui non potrebbero prendersi in considerazione le prestazioni rese nel 2016 perché la norma dell’art. 4 cit. fa riferimento alle prestazioni “deliberate” e non a quelle erogate, in quanto tale indicazione – tenuto conto del principio di pareggio di bilancio – non può che estendersi, “a maggior ragione”, per quelle già erogate.

Gli ulteriori profili di doglianza possono essere respinti sulla base delle precedenti considerazioni.

Ne consegue che il secondo motivo va complessivamente respinto.

12. - Con il terzo motivo l’appellante ha denunziato l’omessa pronuncia da parte del TAR sulle doglianze proposte avverso l’interpello del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 3/2017.

Come già precisato, in caso di omessa pronuncia non occorre disporre il rinvio al primo giudice, in quanto opera il principio devolutivo che consente al giudice di appello di provvedere in via diretta alla disamina della domanda.

12.1 - La questione dedotta dall’appellante riguarda due profili:

- investe, innanzitutto, il periodo di riferimento nel quale deve effettuarsi la scomputabilità dal tetto aziendale delle prestazioni fruite (c.d. biennio mobile o quinquennio mobile);

- riguarda, poi, la computabilità o meno – ai fini della definizione del tetto aziendale – della contribuzione effettuata dalla impresa cedente, ed in caso positivo, entro quali limiti.

12.2 - In merito al primo profilo la tesi dell’appellante non può trovare accoglimento, in quanto la disciplina di riferimento, propria dell’assegno di solidarietà, è univoca nel far riferimento al biennio mobile;
il F.I.S., infatti, ha al riguardo una disciplina ad hoc, che sancisce, in modo chiaro che “L’assegno di solidarietà può essere corrisposto per un periodo massimo di dodici mesi in un biennio mobile” (2° comma dell’art. 31 del d.lgs. n. 148/2015 e 3° comma dell’art. 6 del successivo D.I. n. 94343/2016) e che “All’assegno di solidarietà si applica, per quanto compatibile, la normativa in materia di integrazioni salariali ordinarie” (7° comma dello stesso art. 31 del d.lgs. n. 148/2015 e 10° comma del medesimo art. 6 del D.I. n. 94343/2016).

Condivisibilmente l’INPS ha sottolineato che in nessun altro disposto normativo disciplinante l’assegno di solidarietà erogato dal F.I.S. vi è rinvio alle norme dell’integrazione salariale straordinaria, rivendicata dall’appellante.

12.3 - In relazione al secondo profilo, l’incapienza del tetto aziendale della società appellante consente al Collegio di dichiarare inammissibile la censura, sussistendo una evidente carenza di fondi anche computando la contribuzione della società cedente, come correttamente ritenuto dall’INPS nel provvedimento impugnato e condiviso dal TAR.

E’ sufficiente al riguardo esaminare la tabella contenuta a pag. 4 della relazione tecnica, prodotta in giudizio dalla stessa appellante, per rilevare che il totale complessivo per le due matricole prima richiamate per gli anni antecedenti alla cessione è pari ad € 22.789,00 che, moltiplicati per 10 volte, determinano un tetto di € 227.890,00;
a tale ammontare occorre aggiungere € 18.580,00 pari alla contribuzione versata dalla impresa cessionaria, per un totale complessivo di € 246.470,00.

A tale cifra andrebbe poi sottratto l’importo erogato nel 2016 a titolo di assegno ordinario e pari ad € 449.614,00.

Da tali conteggi emerge in modo palese l’incapienza del fondo anche computando i versamenti della società cedente.

Ne consegue l’inammissibilità, per carenza di interesse, della doglianza proposta avverso l’interpello del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 3/2017 e del messaggio INPS n. 2617 del 20/9/2017.

Ad ogni buon conto l’interpretazione fornita dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dall’INPS è condivisibile, in quanto solo nelle operazioni societarie nelle quali l’azienda cessa di esistere e trasferisce interamente i suoi dipendenti ad una sola azienda (già esistente o nuova), nel computo del tetto aziendale si può tener conto sia della contribuzione dovuta dall’azienda istante che della contribuzione totalmente dovuta dalle aziende incorporate all’esito delle predette operazioni societarie. Ciò non è, invece, possibile nel caso in cui – come nella fattispecie - l’azienda originaria non cessa di esistere e trasferisce solo i suoi dipendenti o un parte di essi ad una o più aziende.

Il c.d. tetto aziendale riguarda, infatti, la posizione contributiva dell’azienda e trattandosi di un requisito che attiene al datore di lavoro, fondato sulla contribuzione dovuta dallo stesso, non può che restare ad esso imputato: nel caso di specie, la società Terme di Agnano non è cessata, ma ha provveduto soltanto ad affittare l’azienda alla società Nuove Terme di Agnano.

Ne consegue che, anche prescindendo dai profili di inammissibilità della doglianza, la tesi dell’appellante non risulta persuasiva.

13. – Va ora esaminata la doglianza con la quale l’appellante ha censurato la sentenza nella parte in cui ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 comma IV e dell’art. 44 comma V del d.lgs. 148/2015, nella parte in cui stabiliscono che le prestazioni erogate dal Fondo di Integrazione Salariale (F.I.S.) sono determinate in misure non superiore a multipli dei contributi ordinari dovuti dal datore di lavoro, tenuto conto delle prestazioni già deliberate a qualunque titolo a favore del datore di lavoro, per violazione degli artt. 2, 4 e 36 Cost., laddove suscettibili di essere interpretati nel senso fatto proprio dall’INPS:

- in relazione alla disciplina relative alle cessioni societarie per le quali in caso di persistenza della azienda cedente e trasferimento di parte dei propri dipendenti la contribuzione versata in favore dei lavoratori non può essere computata;

- nel senso di ricomprendere tra le prestazioni “deliberate” e vincolate al rispetto del tetto aziendale, quelle deliberate l’anno precedente sotto la vigenza di un tetto superiore ma erogate nell’anno successivo.

13.1 - Il TAR ha respinto la questione ritenendola manifestamente infondata.

Il Collegio ritiene che la questione sia inammissibile e, comunque, manifestamente infondata per le ragioni esposte dal TAR, e condivise dal Collegio, ed in particolare con riferimento al richiamo operato alla giurisprudenza della Corte Costituzionale (sent. 18 luglio 2014 n. 215) in relazione alla scelta del Legislatore di aver condizionato l’accesso agli ammortizzatori sociali all’effettiva copertura finanziaria.

13.2 - Come già anticipato, la questione si appalesa anche inammissibile per difetto di rilevanza, in quanto il rigetto dell’appello discende da ragioni che prescindono dall’interpretazione delle norme di cui l’appellante sospetta l’incostituzionalità, con la conseguenza che in caso di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale l’istanza non supererebbe il vaglio dell’ammissibilità.

Il Collegio ha già precisato che pur seguendo, in ipotesi, al solo fine della compiutezza espositiva, la tesi della computabilità dei contributi versati dalla società cedente, nondimeno il tetto aziendale della società appellante sarebbe comunque insufficiente e, quindi, l’accoglimento di tale prospettazione non avrebbe alcuna incidenza ai fini della decisione, permanendo il provvedimento negativo dell’INPS;
identico esito si avrebbe seguendo la tesi dell’appellante in ordine alla non valutabilità delle prestazioni erogate nell’anno 2016.

Ne consegue che la questione di legittimità costituzionale va dichiarata inammissibile e manifestamente infondata.

14. – Vanno, infine, respinte le ultime due doglianze con le quali sono stati dedotti vizi formali: non sussiste il difetto di motivazione, in quanto la società era sicuramente in grado di calcolare il proprio tetto aziendale, visto che si trattava di effettuare una semplice moltiplicazione per 10 volte dell’importo dei contributi versati (che il consulente tecnico di parte appellante ha conteggiato senza alcuna difficoltà);
quanto alla asserita violazione dell’art. 10 bis della L. 241/90, la norma non si applica ai procedimenti in materia previdenziale (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 2 maggio 2012 n. 2503), come rettamente rilevato dall’INPS.

15. - In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata con parziale diversa motivazione, la sentenza di primo grado e va, quindi, respinto il ricorso di primo grado corredato da motivi aggiunti.

16. - Quanto alle spese del grado di appello, tenuto conto della novità e complessità delle questioni trattate, sussistono i presupposti per disporne la compensazione tra le parti.

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