Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-05-18, n. 201803009
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Pubblicato il 18/05/2018
N. 03009/2018REG.PROV.COLL.
N. 01843/2017 REG.RIC.
N. 02521/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1843 del 2017 proposto dall’Azienda territoriale per l'edilizia residenziale pubblica – A.T.E.R.P. per la Regione Calabria - Distretto di Reggio Calabria, in persona del Direttore p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati G D L e A B, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A B in Roma, via Federico Cesi, 72;
contro
F T, rappresentata e difesa dall'avvocato G M, con domicilio eletto
ex
art. 25 c.p.a. presso la Segreteria sezionale del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
Comune di Reggio Calabria, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Damiana F, con domicilio eletto
ex
art. 25 c.p.a. presso la Segreteria sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
D A, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Maria Gangemi, Alessandro Alati e Gregorio Costantino, con domicilio eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
Sul ricorso numero di registro generale 2521 del 2017 proposto dal Comune di Reggio Calabria, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Damiana F, con domicilio eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
F T, rappresentata e difesa dall'avvocato G M, con domicilio eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria sezionale del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
Azienda territoriale per l'edilizia residenziale pubblica – A.T.E.R.P. per la Regione Calabria - Distretto di Reggio Calabria, in persona del Direttore p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato G D L, con domicilio eletto presso il suo studio in Reggio Calabria, via Manfroci, 17;
D A, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Maria Gangemi, Alessandro Alati e Gregorio Costantino, con domicilio eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria – Reggio Calabria, n. 1273 del 12 dicembre 2016, resa tra le parti, concernente domanda di restituzione di beni occupati sine titulo e di risarcimento del danno per il periodo di illegittima occupazione.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della signora F T, del Comune di Reggio Calabria, del signor D A e dell’A.T.E.R.P.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2017 il consigliere D D C e uditi per le parti gli avvocati M (su delega dell’avvocato B), M e F;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La controversia riguarda l’annosa vicenda relativa alla procedura ablativa dei beni immobili siti in comune di Reggio Calabria, località Sbarre e distinti in catasto al foglio 104, particelle 183, 192, 184 e 544, appartenuti alla ditta Sgrò Filomena vedova Guarna, e oggetto di divisione ereditaria tra l’odierna ricorrente signora F T (in qualità di erede del signor G T) e gli altri coeredi, tra cui l’odierno cointeressato D A.
1.1. Con decreto del Provveditore alle opere pubbliche di Catanzaro del 6 febbraio 1969 veniva dichiarata la pubblica utilità delle aree e imposto il vincolo preordinato all’esproprio.
1.2. Con decreto del Prefetto n. 9574 del 6 agosto 1970 venivano occupati temporaneamente e in via d’urgenza, per la durata di due anni, in favore del comune di Reggio Calabria, i terreni distinti al foglio 104, particelle 183 (mq 6.448,04) e 192 (mq 110) per la realizzazione della scuola media S. Giorgio Extra (oggi scuola media Bevacqua).
1.3. Con decreto del Presidente della giunta regionale calabra n. 2770 del 24 novembre 1978 venivano occupate, invece, per la durata di cinque anni e in favore dell’A.T.E.R.P., le particelle 183 e 184 (mq 3.070) per la costruzione di n. 40 alloggi popolari e relative opere di sistemazione esterna delle aree di pertinenza.
1.4. Un ulteriore decreto del Presidente della giunta regionale n. 13 del 10 gennaio 1978 disponeva, infine, l’occupazione della particella 183 (mq 6.952) ancora per la durata di cinque anni e sempre in favore dell’A.T.E.R.P., per l’edificazione di n. 56 alloggi popolari e relative opere di pertinenza.
1.5. Il signor G T, de cuius e dante dell’odierna ricorrente, aveva impugnato dinanzi al T.a.r. taluni di questi provvedimenti, ma il giudizio era esitato in una declaratoria in parte di inammissibilità e in parte di rigetto nel merito (sentenza n. 455 del 22 aprile 1994).
1.6. I beni venivano dunque utilizzati e, oggi, risultano irreversibilmente trasformati, essendo state portate a compimento le anzidette opere (segnatamente, la scuola è stata ultimata il 5 novembre 1974;gli alloggi popolari il 13 luglio 1990 e le opere di pertinenza il 9 luglio 1994).
1.7. Il decreto di esproprio, col pagamento della relativa indennità, non veniva però adottato.
1.8. L’odierno contenzioso riguarda, pertanto, l’azione proposta dalla signora F T per la condanna del Comune di Reggio Calabria e dell’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica (A.T.E.R.P.), in via principale, alla restituzione dei beni immobili di sua proprietà nello stesso stato di fatto esistente al momento dell’occupazione in via d’urgenza e al risarcimento del danno per il periodo di illegittima occupazione;e, solo in via subordinata, all’adozione del provvedimento di acquisizione sanante ai sensi dell’art. 42- bis del d.P.R. n. 327/2001 e al pagamento della relativa indennità.
2. Il T.a.r. per la Calabria, Reggio Calabria, con la sentenza n. 1273 del 12 dicembre 2016 ha:
a) in via preliminare, riqualificato l’atto difensivo depositato in data 24 settembre 2016 dal signor D A, comproprietario e coerede del compendio immobiliare per cui è causa, quale mero atto di intervento ad adiuvandum, a sostegno delle ragioni della ricorrente signora F T, ostando – alla qualificazione del medesimo in termini di atto di costituzione di parte – il difetto della necessaria notificazione all’amministrazione resistente e agli intimati non costituiti;
b) accertato il diritto della ricorrente alla restituzione dei beni immobili, previa integrale riduzione in pristino;
c) assodato il diritto della medesima al risarcimento del danno per il periodo di illegittima occupazione, pari agli interessi legali compensativi decorrenti dal giorno dell’inizio dell’occupazione illegittima (come emergente dalla c.t.u.) e fino all’effettivo rilascio;
d) quantificato il valore dei terreni, sui quali computare i detti interessi, in quello emergente dalla c.t.u. espletata nel giudizio, da porsi in raffronto con quello risultante dalla c.t.u. eseguita nell’ambito del giudizio civile di divisione ereditaria tra i coeredi (c.t.u. a firma dell’ing. Arcudi nella causa civile n. 992/1968);
e) limitato il diritto al detto risarcimento al quinquennio anteriore al giorno della proposizione della domanda, dovendosi reputare prescritte tutte le restanti pregresse annualità ai sensi dell’art. 2947, comma 1 c.c.;
f) fatto salvo l’esercizio, da parte dell’amministrazione comunale, del potere di acquisizione sanante ai sensi dell’art. 42- bis del d.P.R. n. 327/2001;
g) indicato, quale base di calcolo per il computo delle relative indennità, il valore venale dei terreni come ravvisato ai fini della liquidazione del risarcimento del danno per il periodo di illegittima occupazione e come illustrato negli scritti difensivi della parte ricorrente e di quella intervenuta;
h) rigettato l’eccezione di usucapione sollevata dalle parti intimate per difetto dei presupposti di legge;
i) assegnato il termine di 120 giorni per provvedere;riservato, all’eventuale giudizio di ottemperanza, la trasmissione degli atti alla Procura regionale della Corte dei conti;nominato il Commissario ad acta nella persona del Prefetto di Reggio Calabria;
l) condannato il comune di Reggio Calabria e l’A.T.E.R.P., in solido tra di loro, alla refusione delle spese di lite liquidate, in favore della signora F T, in complessivi euro 1.500,00 oltre accessori di legge, nonché alla restituzione del contributo unificato.
3. La sentenza è stata oggetto di due separate impugnazioni.
4. Col ricorso n. 1843/2017, l’A.T.E.R.P. ha dedotto le seguenti censure:
4.1. “ Erroneità nella individuazione dei soggetti legittimati passivamente ”. Si sostiene l’erroneità della pronuncia nella parte in cui ha ravvisato la responsabilità solidale del comune e dell’A.T.E.R.P. in relazione alla costruzione dell’edificio scolastico, rispetto al quale l’A.T.E.R.P. non ha (né potrebbe avere) alcuna competenza. Si argomenta, invece, la correttezza della pronuncia nella parte in cui ha ritenuto la responsabilità solidale degli enti in relazione alle case popolari, avendo – l’A.T.E.R.P. - agito su delega comunale ai sensi dell’art. 60 della legge n. 865/1971.
4.2. “ Violazione della legge n. 458 del 1988, art. 3 ”. Si assume l’erroneità della pronuncia nella parte in cui ha condannato alla restituzione dei terreni sui quali sono state edificate le case popolari. L’art. 3 della legge n. 458/1998 (abrogata dall’art. 58 del d.P.R. n. 327/2001) sarebbe, infatti, ancora applicabile alle espropriazioni la cui dichiarazione di pubblica utilità è anteriore al 30 giugno 2003, sicché – a suo dire – spetterebbe il solo risarcimento del danno, esclusa la retrocessione del bene.
4.3. “ Difetto di motivazione in ordine al rigetto dell’eccezione di usucapione ”. Si critica la decisione del primo giudice di avere individuato il dies a quo per la decorrenza del periodo prescrizionale utile all’usucapione, nel giorno dell’entrata in vigore del d.P.R. n. 327/2001, anziché in quello della legge n. 458/1988, effettivamente regolante la materia delle espropriazioni per pubblica utilità a fini di edilizia residenziale pubblica.
4.4. “ Contraddittorietà della decisione relativamente alla procedura ex art. 42 bis, d.P.R. n. 327/2001 ”. Il motivo si articola in due diverse censure:
a) per un verso, si critica la nomina del Commissario ad acta , nella persona del Prefetto di Reggio Calabria, per l’adozione del provvedimento di acquisizione del bene, reputandosi il compimento della suddetta attività una mera facoltà e non un obbligo coercibile;
b) per un altro verso, si ritiene inesatto il riferimento, ai fini della determinazione del valore venale del bene da corrispondersi ai sensi dell’art. 42- bis del d.P.R. n. 327/2001, alla valutazione di cui alla c.t.u. espletata nell’ambito del giudizio civile di divisione, giacché il giudice ordinario ha giurisdizione sulle sole controversie che sorgono tra le parti in merito alla congruità dell’indennizzo medesimo.
4.5. “ Difetto di motivazione relativamente alla determinazione del valore venale dei suoli oggetto del ricorso – Violazione dell’art. 3 del decreto legislativo n. 104/2010 ”. Si critica la decisione di avere posto a base della determinazione del valore venale del bene la valutazione (pari ad euro 300/mq) eseguita da un c.t.u. nell’ambito di un giudizio civile avente un oggetto completamente diverso (divisione ereditaria) dal presente, in luogo di quella (pari ad euro 209,17/mq) determinata dalla Corte di Appello in un altro giudizio civile caratterizzato da un oggetto più omogeneo al presente, giacché concernente un suolo diverso e intestato a diverso proprietario, ma pur sempre ricompreso nell’ambito della medesima procedura ablativa.
4.6. “ Omessa motivazione in merito alle superfici dei suoli oggetto di esproprio – Violazione dell’art. 3 del del decreto legislativo n. 104/2010 ”. Si assume la mancanza di motivazione in ordine alle ragioni della ricomprensione, tra le aree destinate alla costruzione degli alloggi popolari, anche dell’area di sedime (esterna alla recinzione dei predetti alloggi) deputata ad ospitare l’ampliamento della sede stradale pubblica, di proprietà del solo comune.
5. Si è costituita la signora F T chiedendo il rigetto dell’avverso gravame per le seguenti ragioni:
5.1. la condanna solidale del comune di Reggio Calabria e dell’A.T.E.R.P. non deve ritenersi estesa ai rimedi concernenti la restituzione dei beni o la loro acquisizione ai sensi dell’art. 42- bis del d.P.R. n. 327/2001, riferibili solo ai terreni da ciascuna amministrazione detenuti;
5.2. la (pretesa) violazione dell’art. 3, della legge n. 458/1998 sarebbe - in realtà - insussistente, atteso che la suddetta disposizione (che esclude la retrocessione del bene prevedendo il solo diritto al risarcimento del danno) può trovare applicazione sul (solo) presupposto dell’adozione di un decreto di esproprio dichiarato illegittimo in sede giurisdizionale. Nel caso all’esame, invece, il detto decreto non è stato mai adottato. Inoltre – si insiste – un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma imporrebbe di leggere la stessa alla luce della giurisprudenza europea e interna formatasi a seguito dell’introduzione, nel nostro ordinamento, dell’art. 42- bis del d.P.R. n. 327/2001, sicché sarebbe sempre data la possibilità delle restituzione del bene;
5.3. l’eccezione di usucapione è infondata perché il mancato compimento della procedura ablativa, mediante adozione di formale decreto di esproprio, costituisce illecito permanente e il relativo periodo non è computabile ai fini del decorso prescrizionale utile ai fini dell’usucapione.
5.4. la nomina del Commissario ad acta non costituisce un vulnus alle prerogative dell’amministrazione, la quale nel periodo di tempo assegnato (120 giorni) ha la facoltà (e non l’obbligo) di adottare il provvedimento di cui all’art. 42- bis cit.;
5.5. il valore venale dei beni (stimato in euro 300/mq) è del tutto congruo e non si differenzia in modo irragionevole dal diverso valore domandato dall’A.T.E.R.P. (pari a 209,17/mq), giacché la lieve discrasia si deve alla diversità dei terreni oggetto di valutazione da parte dei due diversi consulenti tecnici;
5.6. la misura dei terreni oggetto di valutazione deve ritenersi estesa pure alle aree destinate alla viabilità, sebbene non direttamente utilizzate per l’edificazione delle case popolari, giacché poste a loro diretto servizio.
6. Si è costituito pure il signor D A domandando – anch’esso – il rigetto del gravame per ragioni sostanzialmente analoghe a quelle rappresentate dalla signora Tripepi.
7. Il comune di Reggio Calabria ha chiesto, invece, la riforma della sentenza per motivi (in parte) diversi da quelli prospettati dall’A.T.E.R.P.. Ha riproposto, a tal fine, gli stessi motivi posti a sostegno del proprio appello principale nel giudizio n. 2521/2017, di cui ha chiesto la riunione al presente (n. 1843/2017), instaurato dall’A.T.E.R.P..
8. Le parti hanno ulteriormente insistito nelle rispettive tesi difensive mediante il deposito di memorie integrative e di replica.
9. Col giudizio n. 2521/2017, il comune di Reggio Calabria ha proposto i seguenti motivi di gravame:
9.1. “ Omessa motivazione relativamente all’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dal comune di Reggio Calabria ”. Si assume che unico legittimato passivo in relazione all’occupazione dei fondi per la costruzione dell’edificio scolastico è il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (prima Ministero dei lavori pubblici) perché:
a) l’opera era prevista all’interno del programma delle opere pubbliche da eseguire ai sensi della legge n. 641 del 27 luglio 1967;
b) il decreto di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio è del Provveditorato alle Opere Pubbliche di Catanzaro;
c) il decreto di occupazione d’urgenza del 1970 è del Prefetto.
9.2. “ Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato relativamente all’attribuzione di legittimazione passiva in capo al comune per la procedura espropriativa finalizzata alla realizzazione degli alloggi – Errore nell’attribuzione della responsabilità solidale ”. Si assume che la stessa ricorrente, fin dal primo grado del giudizio, ha tenuto ben distinti i titoli di responsabilità del comune e dell’A.T.E.R.P., attribuendo al primo la responsabilità per l’edificazione dell’istituto scolastico (benché, come detto, erroneamente, essendo unico legittimato passivo il ministero), e alla seconda la responsabilità per la costruzione degli alloggi popolari. Pertanto – a suo avviso – è del tutto erronea l’attribuzione al comune della responsabilità solidale per quanto compiuto dall’A.T.E.R.P..
9.3. “ Carenza di motivazione e difetto di interpretazione relativamente all’eccezione di usucapione ”. Si afferma essersi oramai compiuto il periodo prescrizionale utile all’usucapione, giacché le opere – per quanto di interesse, l’istituto scolastico – risultano essere terminate il 5 novembre 1974 e l’amministrazione è sempre rimasta nel possesso ininterrotto del bene.
9.4. “ Violazione del diritto di difesa nella scelta di utilizzare le risultanze di c.t.u. resa in un giudizio tra privati, per la determinazione del valore delle aree, nel contesto di una procedura di divisione ereditaria – Difetto di motivazione e manifesta sproporzione nella quantificazione delle somme ”. Si ripropone, nella sostanza, la medesima censura già dedotta dall’A.T.E.R.P., alla cui esposizione (ai punti 4.4. e 4.5. che precedono) si rinvia per esigenze di sinteticità processuale. Si mette in luce, inoltre, il vero valore venale del bene (che ammonterebbe a suo dire alla ben minore somma di euro 26/mq) a cagione della natura puramente agricola dei fondi, edificabili solo ai fini della realizzazione di opere di pubblica utilità e non per edilizia privata.
10. Anche in questo giudizio si sono costituiti i signori F T e D A, chiedendo il rigetto del gravame per le medesime ragioni, in sostanza, già rappresentate nel giudizio n. 1843/2017.
11. Si è costituita pure l’A.T.E.R.P. insistendo, invece, sulle difese sostenute nel proprio appello n. 1843/2017.
12. All’udienza pubblica del 14 dicembre 2017 la causa è stata discussa e trattenuta dal Collegio in decisione.
13. Va preliminarmente disposta la riunione del procedimento n. 2521/2017 a quello, previamente instaurato, n. 1843/2017, ai sensi dell’art. 96, comma 1, c.p.a., trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza.
14. In ordine logico-giuridico vanno di seguito affrontate le eccezioni di difetto di legittimazione passiva, variamente articolate - nei rispettivi contenuti - dalla difesa del comune e dell’A.T.E.R.P..
14.1. In particolare, il comune di Reggio Calabria insiste (in via principale) per la declaratoria del difetto della propria legittimazione passiva, tanto rispetto all’edificio scolastico quanto in relazione alle case popolari. Solo in via del tutto subordinata, invece, il comune insta per la conferma della responsabilità solidale con l’A.T.E.R.P..
14.2. L’A.T.E.R.P., invece, conclude per il proprio difetto di legittimazione passiva solo in riferimento all’edificio scolastico, concordando invece con quanto statuito in sentenza circa la responsabilità solidale col comune in relazione agli alloggi popolari.
14.3. Ciò premesso, con riguardo all’edificazione del complesso scolastico, va affermata l’esclusiva responsabilità del comune di Reggio Calabria, sia rispetto all’A.T.E.R.P. (che non ha competenze né attribuzioni relative all’edilizia scolastica), sia rispetto al Ministero dei lavori pubblici (oggi Ministero delle infrastrutture e dei trasporti).
Malgrado, infatti, il comune sostenga la responsabilità esclusiva (o, quantomeno, concorrente di quest’ultimo), sono in atti le prove che unico beneficiario e utilizzatore dell’anzidetta opera pubblica, fin dall’anno del collaudo (1974), è stato il solo comune.
Pertanto, se è vero che con decreto del Provveditore alle opere pubbliche di Catanzaro del 6 febbraio 1969 è stata dichiarata la pubblica utilità delle aree e imposto il vincolo preordinato all’esproprio, è tuttavia decisivo che con decreto del Prefetto n. 9574 del 6 agosto 1970 i terreni distinti al foglio 104, particelle 183 (mq 6.448,04) e 192 (mq 110) per la realizzazione della scuola media S. Giorgio Extra (oggi scuola media Bevacqua) sono stati occupati temporaneamente e in via d’urgenza per la durata di due anni e in favore del comune di Reggio Calabria.
Del resto, è lo stesso comune ad avere confermato, pure nell’odierno atto di appello (pagg. 8-11), di essere stato l’unico utilizzatore del bene e l’unico ad averlo posseduto ininterrottamente fin dall’ultimazione dei lavori (collaudati il 5 novembre 1974), tanto da rivendicarne l’intervenuto acquisto a titolo di usucapione.
Ora, in disparte la fondatezza, nel merito, di quest’ultima eccezione che verrà esaminata nel prosieguo, è indiscutibile – per quanto qui di interesse – che il comune non possa, ad un tempo, assumere difese e posizioni contrastanti a seconda del fine processuale che ci si propone di raggiungere, concretando – tale condotta – finanche un’ipotesi di abuso degli strumenti processuali. Sicché, è all’oggettività degli accadimenti che va fatto riferimento per stabilire quale sia il soggetto astrattamente titolare della situazione sostanziale che lo legittima, dal lato attivo o passivo, alla lite: tale soggetto va ravvisato nel comune, l’unico ad essere stato nel possesso esclusivo del bene e l’unico ad avere rivendicato, in mancanza di un formale decreto di esproprio, la proprietà del bene per compiuta usucapione (per il caso, invece, diverso da quello qui esaminato, in cui il Ministero sia divenuto proprietario del bene, cfr. Cassazione civile sez. I 28 marzo 1990 n. 2532) .
14.4. In relazione, invece, agli alloggi popolari, è dimostrato dai documenti versati agli atti di causa che:
a) l’A.T.E.R.P. è stata legittimata ad occupare in via d’urgenza i fondi, per la durata di cinque anni dalla data di immissione in possesso, in nome e per conto del comune di Reggio Calabria, sia in occasione dell’adozione del decreto del Presidente della giunta regionale n. 2770 del 24 novembre 1978 (particelle 183 e 184 per mq 3.070 per la costruzione di n. 40 alloggi popolari e relative opere di sistemazione esterna delle aree di pertinenza), sia in quella relativa all’adozione del decreto del Presidente della giunta regionale n. 13 del 10 gennaio 1978 (particella 183 per mq 6.952 per l’edificazione di n. 56 alloggi popolari e relative opere di pertinenza);
b) le opere principali (gli alloggi) sono state portate a compimento soltanto il 13 luglio 1990, mentre le aree di pertinenza il successivo 9 luglio 1994.
Le suddette circostanze inducono a ravvisare la corresponsabilità di entrambi gli enti per il danno patito in conseguenza della privazione dei beni per tutto il periodo di illegittima occupazione e dell’irreversibile trasformazione dei fondi.
Del resto, la stessa giurisprudenza civile - ferma nell’escludere l’esonero da (cor)responsabilità in capo al soggetto delegato all’esecuzione dei lavori pur quando il medesimo realizzi l’intera opera nel circoscritto periodo di tempo dell’occupazione legittima (Cassazione civile sez. I 26 maggio 2006 n. 12626 e Cassazione civile sez. I 26 maggio 1997 n. 4659) – a maggior ragione osta all’esclusione della responsabilità in capo ad un soggetto che, come nel caso all’esame, ha materialmente tenuto la condotta lesiva (di esecuzione dei lavori) oltre il limite temporale della legittima occupazione.
L’A.T.E.R.P., infatti, ha materialmente compiuto la condotta di sottrazione della disponibilità dei fondi e la loro irreversibile trasformazione, mentre il comune ha omesso l’adozione del rituale decreto di esproprio.
14.5. Pertanto, la sentenza di prime cure va riformata sul punto e va affermata la responsabilità esclusiva del comune in relazione all’edificazione del complesso scolastico e quella solidale del comune e dell’A.T.E.R.P. in relazione alla costruzione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica.
15. Ancora in ordine logico, va scrutinata l’eccezione di usucapione sollevata da entrambe le parti appellanti.
15.1. L’eccezione non ha fondamento.
15.2. Secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, quantomeno a far data dal fondamentale pronunciamento reso in sede di Adunanza plenaria n. 2/2016, “ La condotta illecita tenuta dell'Amministrazione pubblica con l'occupazione abusiva di terreno altrui, quale che sia stata la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), non può comportare l'acquisizione del bene medesimo giacché essa configura un illecito permanente ex art. 2043 cod. civ.;d'altro canto la cessazione dell'illecito da essa commesso si verifica soltanto nelle ipotesi di: a) restituzione del fondo;b) accordo transattivo;c) rinunzia abdicativa da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo;d) compiuta usucapione, nei ristretti limiti individuati dal Consiglio di Stato;e) provvedimento emanato ex art. 42 bis, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327” . Negli stessi termini anche Consiglio di Stato, sez. IV 30 agosto 2017 n. 4106.
In argomento si segnala pure Consiglio di Stato sez. IV 1 agosto 2017 n. 3838, secondo cui “ L'occupazione di un fondo sine titulo da parte della Pubblica amministrazione e conseguente trasformazione da parte della stessa di un bene privato, integrando un illecito permanente, non è utile ai fini dell'usucapione atteso che diversamente si rischierebbe di reintrodurre nell'ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata, tenendo anche presente che l'apprensione materiale del bene da parte della Pubblica amministrazione, al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante, non può essere qualificata idonea ad integrare il requisito del possesso utile ai fini de quibus”.
Ad opinare diversamente – del resto - si rischierebbe di versare in una nuova ipotesi di violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale della CEDU.
Pertanto, va riconfermato che le (sole) condizioni per potere procedere all’espropriazione di beni privati per ragioni di pubblica utilità, secondo “debita forma”, sono: la condotta non violenta;l’esatta individuazione del momento della interversio possesionis ;la decorrenza della prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del testo unico dell'espropriazione (30 giugno 2003), perché solo l'art. 43 del medesimo t.u. 8 giugno 2001, n. 327 ha sancito il superamento dell'istituto dell'occupazione acquisitiva, e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato, ex art. 2935 c.c., il «....giorno in cui il diritto può essere fatto valere» (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria n. 2/2016).
15.3. La sentenza gravata va, pertanto, confermata sul punto.
16. In ordine all’asserita violazione dell’art. 3 della legge n. 458 del 1988.
16.1. La norma prevede, al suo primo comma, che “ Il proprietario del terreno utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata, ha diritto al risarcimento del danno causato da provvedimento espropriativo dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato, con esclusione della retrocessione del bene ”.
16.2. La Corte Costituzionale, con sentenza 27 dicembre 1991, n. 486, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo, nella (sola) parte in cui non prevede che al proprietario del terreno utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica senza che sia stato emesso alcun provvedimento di esproprio possa applicarsi la disciplina da detta norma prevista per l'ipotesi in cui - nella medesima situazione - il provvedimento espropriativo sia stato dichiarato illegittimo.
16.3. La norma è stata definitivamente abrogata dall’art. 57 del d.P.R. n. 327/2001, che nel definire l’ambito di applicazione della normativa sui procedimenti in corso, ha precisato che “ Le disposizioni del presente testo unico non si applicano ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza. In tal caso continuano ad applicarsi tutte le normative vigenti a tale data ”.
16.4. Nel caso all’esame la dichiarazione di pubblica utilità risale all’adozione del decreto del Provveditore alle opere pubbliche di Catanzaro del 6 febbraio 1969.
16.5. Al lume dell’insegnamento espresso dal Consiglio di Stato con il già menzionato pronunciamento n. 2 del 2016, un’interpretazione di tal fatta dell’art. 3 della legge n. 458 del 1988 (che esclude la retrocessione del bene, con diritto al solo risarcimento del danno) consentirebbe la reintroduzione ( rectius , il mantenimento, all’interno del nostro ordinamento) di una fattispecie di espropriazione larvata o indiretta, conseguente al mero fatto dell’irreversibile trasformazione dell'area a seguito del compimento dell’opera pubblica, con correlativo acquisto della proprietà del fono da parte chi ha realizzato le opere.
La disposizione, sebbene non abbia un carattere generale ma sia limitata all’utilizzazione dei suoli per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata, va tuttavia sottoposta ad un’opera di interpretazione giuridica che tenga conto degli approdi – oramai stabili e consolidati – raggiunti dalle Corti interne alla luce dei fondamentali pronunciamenti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Come ravvisato anche dalla Corte di Cassazione (sez. un. 19 gennaio 2015, n. 735), tale disposizione è stata ritenuta, sinora, il punto di emersione a livello normativo del fenomeno dell'occupazione acquisitiva, del quale il legislatore avrebbe preso atto, estendendone il campo di applicazione.
Pertanto, nel momento in cui deve essere verificata la possibilità di risolvere in via interpretativa il contrasto tra l'istituto dell'occupazione acquisitiva e i principi dettati dall'art. 1, del protocollo addizionale alla Convenzione EDU, non si può non rilevare che la lettera della disposizione (abrogata dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 58, a decorrere dall'entrata in vigore dello stesso D.P.R. e, per questo, ancora applicabile alle espropriazioni la cui dichiarazione di pubblica utilità è anteriore, come nel caso all’esame, al 30 giugno 2003), nel fare riferimento al mero aspetto (procedimentale) della mancata retrocessione come mera conseguenza del fatto (sostanziale) dell’appropriazione, si presta ad una (doverosa) lettura di adeguamento interpretativo alla luce dell'art. 42 Costituzione.
Sicché, escluso il presupposto sostanziale a monte (il potere di acquisizione indiretta) cade, necessariamente, l’effetto meramente procedimentale a valle (il potere di non retrocedere il bene), così riconvertendo anche quest’ultima residuale ipotesi di occupazione appropriativa nel solco ormai consolidato secondo cui “ Quale che sia la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), la condotta illecita dell'amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l'acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c. — con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dalla proposizione della domanda basata sull'occupazione contra ius , ovvero, dalle singole annualità per quella basata sul mancato godimento del bene — che viene a cessare solo in conseguenza della restituzione del fondo;di un accordo transattivo;della rinunzia abdicativa (e non traslativa) da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo;di una compiuta usucapione, ma solo in ristretti limiti individuati ” (Adunanza Plenaria n. 2/2016).
16.6. La previsione, così esattamente reinterpretata alla luce dei principi europei, costituzionali e giurisprudenziali delle Corti interne, nemmeno pone un dubbio di rilevanza, nel caso in esame, di una questione di legittimità costituzionale della Legge n. 458 del 1988, art. 3, comma 1, in relazione al disposto dell'art. 117 Cost., comma 1.
16.7. La sentenza di primo grado va, pertanto, in relazione a tale capo, confermata.
17. Meritano conferma, altresì, le statuizioni del primo giudice in ordine all’adozione del provvedimento di acquisizione ai sensi dell’art. 42- bis del d.P.R. n. 327/2001.
17.1. Dalla piana lettura della pronuncia si evince che il T.a.r. non ha affatto condannato (non potrebbe, ai sensi dell’art. 34, comma 2, primo periodo, del c.p.a.) l’amministrazione ad un facere specifico, in relazione a un potere ancora da esercitare, consistente nell’adozione di un formale provvedimento di acquisizione che rappresenta esercizio di un potere autonomo e diverso da quello previamente posto in essere dall’Amministrazione, che solo impropriamente può essere definito di acquisizione sanante (Corte Costituzionale n. /2015).
17.2. Il primo giudice, invece, ha statuito esclusivamente (in via principale) in ordine all’obbligo di restituzione del bene e, solo in via di precisazione, ha ribadito due principi consolidati nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, e segnatamente:
a) il principio secondo cui l’amministrazione rimane nella facoltà, nell’esercizio della sua discrezionalità, di esercitare nel termine assegnato il potere conferito dall’art. 42 bis citato;
b) oltre detto termine, la possibilità di attribuire tale facoltà al Commissario ad acta , in via alternativa e sostitutiva rispetto all’amministrazione comunale rimasta inerte, configurandosi – l’esecuzione delle pronunce giurisdizionali, anche laddove non ancora passate in cosa giudicata formale – il normale e fisiologico esito processuale del decisum . Peraltro, anche di recente, il Consiglio di Stato ha confermato la titolarità di tale potere in capo al Commissario ad acta (Adunanza plenaria n. 2/2016).
17.3. Pertanto, anche nell’odierno grado va ribadita – attesa la conferma della statuizione concernente l’obbligo restitutorio dei fondi – la facoltà in capo all’amministrazione di competenza di adottare il provvedimento di cui all’art. 42 bis cit.. Per il caso di inottemperanza al decisum entro il termine di novanta giorni dalla notificazione o dalla comunicazione della presente sentenza, viene nominato sin d’ora Commissario ad acta il Prefetto della Regione Calabria (o funzionario da questi delegato), al quale viene rimessa la valutazione dell’alternativa di cui sopra (restituzione o adozione del provvedimento acquisitivo).
18. Non migliore sorte incontrano, altresì, le censure volte a contestare, in relazione all’esercizio del potere acquisitivo ai sensi del richiamato art. 42 bis cit., i profili concernenti la determinazione del valore venale dei beni e i limiti di estensione degli stessi.
18.1. Quanto al primo aspetto, si ritiene immune da censure sul piano logico-giuridico la decisione del primo giudice di ancorare la determinazione del valore venale dei fondi alla stima eseguita nell’ambito di un giudizio civile di divisione tra gli eredi del compendio immobiliare per cui è causa (pari ad euro 300/mq), anziché a quella (pari ad euro 209,17/mq) espletata nell’ambito di un giudizio civile svoltosi tra parti diverse e su bene diverso, ma localizzato nell’ambito della medesima area interessata dalla procedura ablativa per cui è causa.
Il criterio prescelto è, infatti, assolutamente da condividersi. Sul piano della ragionevolezza della soluzione adottata è maggiormente apprezzabile una soluzione fondata sulla stima del medesimo bene per il quale si controverte (sostanziandosi – il valore di mercato – in una valutazione positivamente riscontrabile in base a elementi oggettivi), rispetto – di converso – ad una stima basata sulla valutazione di un bene materialmente diverso, sebbene contiguo o, comunque, localizzato nella medesima area interessata dalla procedura ablativa de qua.
La mancanza di prova certa della assoluta omogeneità dei due beni oggetto di stima, sebbene localizzati nella medesima area, osta – infatti - ad un giudizio di uguaglianza o di equivalenza di valore tra i beni, con la conseguenza (logica, prima ancora che giuridica) che la migliore tecnica di valutazione resta ancorata al criterio di mercato del bene nell’ambito del giudizio di divisione.
In ogni caso, a tutto voler concedere, non si comprendono affatto - in mancanza di allegazione di elementi controfattuali certi e determinati – le ragioni per le quali sarebbe da porre in dubbio l’esattezza (per eccesso) della liquidazione di un valore di mercato solo perché eseguita nell’ambito di un giudizio civile di natura successoria, non ravvisandosi nesso di interferenza al riguardo.
Del tutto sganciata da elementi di valutazione oggettivi è, invece, la valutazione pretesa dal comune, a parere del quale il valore venale del bene ammonterebbe alla minore somma di euro 26/mq..
In materia di stima del valore di mercato, infatti, vige il principio - costantemente ribadito dalla giurisprudenza civile e amministrativa – di integralità del risarcimento o dell’indennizzo, sicché oggetto di stima deve essere la reale destinazione o classificazione del bene e la sua effettiva potenzialità edificatoria, ancorché ridotta (in argomento, ex multis , Cassazione civile sez. I, 19 ottobre 2016 n. 21186).
18.2. Quanto al profilo concernente l’estensione dei fondi, va confermata la ricomprensione, tra le aree destinate alla costruzione degli alloggi popolari, anche delle ulteriori aree di sedime purché poste a servizio e maggiore comodità degli alloggi residenziali.
19. Pertanto, e in sintesi, devono essere confermate tutte le statuizioni del giudice di prime cure, salvo quella concernente l’affermazione della responsabilità solidale tra gli enti, la quale va ravvisata come esclusiva in capo al comune in relazione all’edificazione del complesso scolastico e solidale, tra quest’ultimo e l’A.T.E.R.P., in relazione alla costruzione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica.
20. La liquidazione delle spese di lite del presente grado possono essere integralmente compensate tra le parti in ragione della sostanziale reciproca soccombenza.