Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-04-07, n. 201501768
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Testo completo
N. 01768/2015REG.PROV.COLL.
N. 03533/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3533 del 2014, proposto da:
Soc. Autostrade Meridionali S.p.A., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Abbamonte, con domicilio eletto presso Studio Titomanlio in Roma, Via Terenzio, 7;
contro
RI ST, rappresentata e difesa dagli avv. Nicola Mainelli, Enrico Lubrano, Filippo Lubrano, con domicilio eletto presso Studio Legale Lubrano & Associati in Roma, Via Flaminia, 79; NI IN, rappresentato e difeso dagli avv. Nicola Mainelli, Filippo Lubrano, Enrico Lubrano, con domicilio eletto presso Studio Legale Lubrano & Associati in Roma, Via Flaminia, 79;
nei confronti di
AS Spa, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata per legge;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della CAMPANIA – Sede di NAPOLI - SEZIONE V n. 01088/2014, resa tra le parti, concernente del decreto di espropriazione della Prefettura di Napoli.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di RI ST e di NI IN e di AS Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 marzo 2015 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Angelo Clarizia su delega dell'avvocato Giuseppe Abbamonte, Enrico Lubrano e l'Avvocato dello Stato Amedeo Elefante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Campania – sede di Napoli – ha accolto il ricorso di primo grado proposto dall’ odierna parte appellata RI ST e NI IN volto ad ottenere l’annullamento del decreto di espropriazione della prefettura di Napoli n.41755/2003.
L’odierna parte appellata, nel premettere di essere proprietaria di terreni situati in Portici, rispettivamente al foglio 8, particelle 160, 933, 934, 935 e foglio 8, particella 159, aveva adito il Tribunale chiedendo condannarsi le “Autostrade Meridionali S.p.A.” alla restituzione, previo ripristino dello stato dei luoghi, dei suddetti terreni e manufatti abusivamente ablati e trasformati a seguito di illecito comportamento della concessionaria convenuta.
In punto di fatto, essi avevano esposto che in seguito all’avvio della procedura espropriativa preordinata alla realizzazione dell’ampliamento dell’asse autostradale Napoli – Salerno e del nuovo svincolo autostradale Portici –Ercolano, la Prefettura della Provincia di Napoli aveva loro notificato il Decreto di occupazione di urgenza n.41755 del 3 giugno del 2003.
Il provvedimento di occupazione era stato adottato in virtù di un’originaria efficacia biennale decorrente dalla data di immissione in possesso, successivamente prorogata per un altro biennio, ossia fino al luglio del 2007, ed era preordinato all’ablazione parziale di un’area di mq.590, comprensiva dei fabbricati a destinazione industriale e del piazzale pertinenziale insistente sulla proprietà ST, nonché all’ablazione parziale di una superficie di mq. 240 dell’area cortilizia dell’opificio, ubicata lungo il confine ovest dello stesso, insistente sulla proprietà IN.
Benché successivamente all’immissione in possesso gli originarii ricorrenti avessero sottoscritto due verbali di accordo amichevole ai fini della cessione volontaria delle porzioni di suolo e di manufatti, con contestuale definizione delle indennità di espropriazione stimate, a distanza di sei anni dalla sottoscrizione del predetto accordo, le Amministrazioni esproprianti avevano omesso di procedere alla definizione di questi accordi, e comunque di adottare il decreto definitivo di espropriazione e/o alcuna valida proroga dell’occupazione di urgenza, la cui efficacia era inesorabilmente decaduta fin dal 19 marzo del 2008.
Secondo parte odierna appellata, ciò aveva prodotto l’effetto di inverare un’irreversibile ed arbitraria occupazione e trasformazione degli stessi suoli di proprietà ST-IN, che aveva determinato l’ineludibile conseguenza della caducazione dell’efficacia dei richiamati atti di accordo amichevole e che li abilitava a formulare le conseguenti richieste di risarcimento in forma specifica.
Parte appellata aveva pertanto chiesto che venisse affermato il loro diritto ad ottenere la restituzione dei suoli in oggetto, o, in subordine, il risarcimento per equivalente.
Il primo giudice ha preventivamente scrutinato, respingendola, l’eccezione d’inammissibilità/pregiudizialità del mezzo formulata dalla odierna parte appellante (fondata sull’attuale pendenza, presso la Corte d’Appello di Napoli, di un giudizio di opposizione alla stima determinata nel corso del medesimo procedimento oggetto del ricorso di primo grado).
Ad avviso del Tar, infatti, non v’era rapporto di pregiudizialità tra le due impugnazioni pendenti, ed il rischio del conflitto di giudicati poteva essere eluso riconoscendo priorità logica al giudizio incoato in sede di giurisdizione amministrativa esclusiva (deputato al vaglio della legittimità della intera procedura espropriativa).
Nel merito, il Tar ha accolto la domanda risarcitoria alla stregua delle seguenti emergenze processuali.
Ha in proposito rammentato che, il 27 aprile del 2004, tra l’ente espropriante e parte odierna appellata era stato raggiunto un accordo finalizzato alla cessione volontaria delle aree oggetto di previsione. L’accordo prevedeva il pagamento ai cedenti di una somma di denaro, a titolo di indennizzo, omnicomprensiva di tutti i danni subiti o manifestatisi nel corso della procedura, ivi compreso il deprezzamento permanente delle aree residue e viciniori e la perdita dei manufatti ivi insistenti.
La procedura espropriativa, dopo l’intervenuta immissione sui fondi, non era stata tempestivamente portata a termine, posto che il decreto di esproprio non era stato tempestivamente emanato (il termine utile finale per l’emissione del decreto di esproprio era quello del 24 luglio 2007 ed era inutilmente spirato).
Appariva incontestabile che la protrazione del possesso dell’area, oltre tale termine, era certamente illegittima e dunque abilitava i richiedenti alla richiesta del risarcimento del danno, sussistendo i presupposti, in capo ai medesimi, del corrispondente diritto.
Non è apparsa persuasiva al Tar, in contrario senso, l’obiezione articolata dalla parte odierna appellante, fondata sull’avvenuto raggiungimento di un accordo tra le parti il 27 aprile del 2004, (accordo che non era stato mai possibile formalizzare per la pendenza di una procedura esecutiva sugli immobili, quindi per un fatto imputabile ai proprietari, originari ricorrenti).
La portata dell’eccezione era, infatti, duplice: da un canto essa era tesa a sostenere che l’effetto traslativo doveva farsi risalire a quel momento (e, dunque, il mancato sopraggiungere del decreto di esproprio non poteva avere rilievo giuridico alcuno su di un passaggio di proprietà che si era già verificato); per altro verso, imputava l’intempestività del decreto di esproprio a fatto ascrivibile agli espropriandi, chiedendo implicitamente, sulla base di questa argomentazione, il rigetto del ricorso.
Ad avviso del Tar, però, tali tesi non erano accoglibili.
La prospettazione secondo cui l’effetto traslativo si sarebbe verificato al momento della conclusione dell’accordo amichevole di cessione intervenuto tra proprietari e concessionario il 27 aprile del 2004 ( con conseguente inutilità/superfluità della successiva emanazione del decreto di esproprio) collideva con il dato per cui quell’accordo non era mai stato formalizzato in atto pubblico e, in virtù del disposto dell’art.1350 c.c., era da ritenersi, a cagione di tale carenza, inesistente.
Per altro verso, neppure poteva sostenersi che il mancato perfezionamento dell’accordo, essendo ascrivibile a fatto degli espropriandi (“responsabili” di non aver comunicato l’esistenza di una procedura esecutiva in corso sui beni immobili che impediva la stipula dell’atto), si era riverberato sulla lunghezza della procedura di esproprio, che sarebbe stata, in quest’ottica, esclusivamente imputabile agli appellati (e dunque questi ultimi non avrebbero potuto fruire di un fatto in realtà a loro “imputabile”).
L’autorità procedente, infatti, essendo un attore professionale, non avrebbe dovuto rimanere inerte in attesa della risoluzione del problema civilistico, ma avrebbe piuttosto dovuto adottare tutte le contromisure idonee ad evitare che il decorso del tempo pregiudicasse (anche) il profilo giuridico-amministrativo della procedura, che rappresentava pur sempre lo strumento giuridico alternativo per raggiungere lo scopo. A maggior ragione, le suddette precauzioni e misure avrebbero dovuto essere implementate, approssimandosi il tempo di scadenza della dichiarazione di pubblica utilità, via via che i problemi contrattuali si rivelavano più seri.
Era ben vero che ai cedenti (odierni appellati) doveva essere senz’altro imputato - sicuramente a titolo oggettivo, da un punto di vista colpevole non era dato saperlo – il ritardo nella conclusione del contratto. Tuttavia tale comportamento, non essendo stato introdotto nel processo in ampliamento del thema decidendum, come già detto, non poteva avere alcuna efficacia scriminante sul ritardo addebitabile alla P.A. procedente.
Poteva rilevare, a tutto volersi concedere, quale fattispecie di responsabilità precontrattuale, ma, ciò non era valutabile in carenza di domanda riconvenzionale ritualmente introdotta nel giudizio di primo grado.
In definitiva, lo stato giuridico di illegittima protrazione dell’occupazione dei fondi dei ricorrenti era imputabile, ad avviso del Tar, alla società concessionaria appellante, che, di conseguenza,