Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2010-02-10, n. 201000683
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Testo completo
N. 00683/2010 REG.DEC.
N. 09849/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 9849 del 2008, proposto da:
G N, rappresentato e difeso dagli avv. G C e L G, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via P. Da Palestrina, 63;
contro
Ministero dell'interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;
per la riforma
della sentenza del TAR PIEMONTE - TORINO - Sezione II n. 02754/2008, resa tra le parti, concernente DINIEGO RILASCIO CARTA DI SOGGIORNO.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2009 il consigliere. G D M e uditi per le parti gli avvocati l'avv. dello Stato Borgo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con atto di appello notificato il 27.11.2008 si impugna la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte n. 2754/08 del 4.11.2008 (che non risulta notificata), con la quale veniva respinto il ricorso del sig. G N avverso il diniego di rilascio della carta di soggiorno, diniego emesso con decreto del Questore di Alessandria n. prot. 39/A12/08/Imm del 2.4.2008 e giustificato da una sentenza di condanna del 18.4.2002, emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a carico dello straniero interessato, per il reato di cui all’art. 3, n. 8 della legge 20.2.1958, n. 75, per avere favorito la prostituzione di una cittadina albanese minorenne.
Nella sentenza appellata, emessa dal giudice amministrativo in forma semplificata, ex art. 9 L. n. 205/2000, si rilevava la sufficienza della predetta condanna quale causa ostativa del rinnovo di cui trattasi, a norma dell’art. 5, comma 5 del D.Lgs. n. 286/98, senza necessità di valutazione della pericolosità sociale del diretto interessato . Avverso la pronuncia del giudice amministrativo, nonché avverso il contestato diniego, nell’atto di appello viene sostanzialmente prospettata la violazione della normativa di riferimento, tenuto conto della risalenza nel tempo dei fatti sanzionati penalmente, verificatisi nel 1998, nonché delle regolari condizioni sia di vita che di lavoro e delle esigenze familiari dello straniero, a seguito dell’intervenuto ricongiungimento con la moglie e della nascita in Italia di un figlio nel 2006, con attuale insussistenza di qualsiasi pericolosità sociale del soggetto in questione.
L’Amministrazione appellata, costituitasi in giudizio, resisteva formalmente all’accoglimento del gravame.
DIRITTO
La questione sottoposta all’esame del Collegio è quella della avvenuta emanazione, o meno, dell’atto impugnato in primo grado in conformità alla disciplina vigente, con riferimento all’art. 5, comma 5 del D.Lgs. 25.7.1998, n. 286 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione), in base al quale “il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato…sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili”.
Tra le circostanze che precludono il rilascio del permesso di soggiorno (e quindi, in base alla norma sopra riportata, anche il rinnovo del medesimo) l’art. 4, comma 3 del medesimo D.Lgs. – nel testo introdotto dall’art. 4, comma 1, della legge 30.7.2002, n. 189 – pone espressamente il caso in cui lo straniero “risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’art. 380, commi 1 e 2 del codice di procedura penale, ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dall’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati, o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite”.
Nella situazione in esame non è contestato che la condanna riportata dall’appellante configuri una delle ipotesi ostative al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, a norma del citato art. 380 c.p.p., ma si sottolinea come la condotta sanzionata (inerente la prostituzione di una minorenne) debba essere bilanciata con la valutazione di circostanze sopravvenute, nei termini riconosciuti dalla stessa normativa di riferimento.
Sulla base di tali circostanze in effetti – valutata la documentazione in atti – il Collegio ritiene fondata ed assorbente la censura di violazione dell’art. 5, comma 5 del D.Lgs. n. 286/1998: se in via generale, infatti, la norma sopra riportata non lascia margini di discrezionalità, circa l’entità della pena, l’abitualità o la segnalata occasionalità della condotta sanzionata, nonchè circa la valutazione della personalità complessiva dell’imputato, non manca tuttavia la previsione di una possibile deroga, in via eccezionale, ove si ravvisi la “sopravvenienza di nuovi elementi”, evidentemente da valutare caso per caso, in rapporto ai dati di fatto emergenti (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. VI, 20.4.2006, n. 2199;17.5.2006, n. 2866, 27.6.2006, n. 4108;17.5.2006, n. 2866);nel testo aggiunto alla norma in questione dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 2 del D.Lgs. 8.1.2007, n. 5, inoltre, si specifica che – “nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno”, quando lo straniero abbia esercitato il diritto di ricongiungimento familiare – debba tenersi conto anche “della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato”, ovvero dell’esistenza di “legami familiari e sociali nel Paese di origine” e della durata del soggiorno dello straniero stesso sul territorio nazionale.
Nel caso di specie la condanna riportata dall’attuale appellante – soggiornante di lungo periodo, dal 1995 – rientra fra quelle ostative, ex se, del rilascio o del successivo rinnovo del permesso di soggiorno, ma sono stati evidenziati dall’interessato – come riscontrabile dalla documentazione prodotta – “nuovi elementi” che, in base alla citata normativa, avrebbero potuto consentire, in via eccezionale, il rinnovo stesso: la condotta penalmente sanzionata, infatti, risulta risalente nel tempo (1998, pur essendo intervenuta condanna solo nel 2005), con successiva stabilizzazione di una regolare condizione familiare e lavorativa (documentato rapporto di lavoro, in corso dal 2004 con la ditta Roby Color s.r.l., trasferimento ad Alessandria, ricongiungimento familiare con il coniuge e nascita di un figlio in Italia nel gennaio del 2006): una condizione di vita, quella appena indicata, tale da giustificare una rinnovata e specifica valutazione, relativa all’inserimento dello straniero di cui trattasi nel tessuto sociale italiano, sotto i profili di vita personale e di lavoro in precedenza indicati, tenuto conto anche della sussistenza, o meno, di vincoli con il Paese di origine e con finale giudizio complessivo sull’attuale pericolosità sociale del medesimo soggetto.
In tale situazione, pertanto, il diniego impugnato non poteva ritenersi atto vincolato, sussistendo la possibilità di una valutazione di merito, ragionevolmente indirizzata ad una diversa conclusione della procedura di rinnovo di cui trattasi.
Non viene posta in dubbio, dunque, la discrezionalità del legislatore nel valutare le esigenze di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini, in rapporto a fenomeni di vasta portata che, in un determinato momento storico, possono porre problematiche eccezionali: l’ampiezza del fenomeno immigratorio, la registrata crescita di condotte devianti (con conseguente allarme sociale) e l’oggettiva difficoltà di controllo capillare del territorio possono, infatti, porre su una base di ragionevolezza anche disposizioni molto rigide, che vedano preclusa la permanenza sul territorio nazionale di chi sia stato condannato per determinati reati, nella consapevolezza della impossibilità di compiere accertamenti approfonditi sulla pericolosità sociale dei singoli. Quando tuttavia, come nel caso di specie, sussistano elementi di fatto, tali da indurre ad una ragionevole prospettiva di positiva integrazione dello straniero nel tessuto sociale, per circostanze sopraggiunte e vincoli familiari, meritevoli di specifica attenzione, la normativa vigente rende possibile una valutazione “caso per caso”, che escluda ogni automatismo connesso anche a pregresse vicende penali.
Le norme di cui si discute, pertanto, appaiono frutto di bilanciamento di interessi, fra una “politica dell’accoglienza” (che privilegi il lato personale ed umano, ovvero l’indubbia possibilità di recupero sociale di chi sia incorso in vicende anche penalmente rilevanti, con ulteriore valutazione delle esigenze di familiari incolpevoli) ed una “politica del rigore”, che punti ad inserire nel tessuto sociale solo i numerosissimi lavoratori stranieri, che offrano le migliori garanzie di positivo apporto e migliore inserimento nella collettività, senza che l’una o l’altra di tali scelte trovino ostacolo nella Carta Costituzionale, non essendo imposta – anche nell’ottica della legislazione restrittiva, attualmente vigente – alcuna presunzione assoluta di pericolosità sociale del singolo, ma solo una esigenza di condotta irreprensibile per l’ingresso e la permanenza in Italia dello straniero: è la stessa logica sopra indicata, in ogni caso, ad imporre che sia possibile valutare (come appunto previsto dalla normativa in esame) sia nuove circostanze sopravvenute sia specifiche esigenze familiari che, come quelle ravvisabili nel caso di specie, siano tali da attenuare il disvalore riconducibile a singole condotte devianti, ovvero tali da giustificare, in via eccezionale, quell’inserimento dello straniero nel territorio nazionale, che appaia già positivamente in atto.
In base alle considerazioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato in primo grado di giudizio, ai fini del riesame della posizione dello straniero interessato;quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso ravvisa le ragioni di legge per la relativa compensazione, tenuto conto dell’evoluzione intervenuta nella normativa vigente.