Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-05-12, n. 202002977
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Pubblicato il 12/05/2020
N. 02977/2020REG.PROV.COLL.
N. 00296/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 296 del 2016, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati A B, M G, Michela Reggio D'Aci, V P, con domicilio eletto presso lo studio Michele Reggio D'Aci in Roma, via degli Scipioni, 288;
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la revocazione
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. IV n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente irrogazione sanzione della perdita del grado per rimozione
Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze - Comando Generale della Guardia di
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2020 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Giovanni Attilio De Martin, su delega di M G, e l'Avvocato dello Stato Daniela Canzoneri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.Con il ricorso in esame, il sig. -OMISSIS- chiede la revocazione della sentenza -OMISSIS-, con la quale questo Consiglio di Stato, sez. IV, ha rigettato l’appello da lui proposto avverso la sentenza del TAR Veneto, sez. I, -OMISSIS-, di rigetto del ricorso proposto avverso il provvedimento di irrogazione della sanzione di perdita del grado per rimozione.
Il ricorrente, maresciallo capo della Guardia di Finanza, come si legge nella sentenza impugnata, all’epoca dei fatti in servizio presso la tenenza di -OMISSIS-, “veniva indagato in quanto sospettato di intrattenere rapporti con esponenti di vertice di un mandamento mafioso e altresì di fungere da intermediatore per loro conto affinché effettuassero un investimento immobiliare in provincia di -OMISSIS-”.
Successivamente, le indagini si concludevano con decreto di archiviazione del GIP presso il Tribunale di Palermo.
Il provvedimento disciplinare, oggetto del giudizio conclusosi con la sentenza della quale si richiede la revocazione, veniva adottato in sede di riedizione del procedimento disciplinare, dopo che il TAR Veneto, con precedente sentenza n. -OMISSIS-, aveva rilevato un vizio nell’iter procedimentale.
Come si è detto, il ricorso proposto avverso tale provvedimento di rimozione era rigettato dal Tar Veneto, con sentenza n. -OMISSIS-, confermata da questo Consiglio di Stato con la sentenza n.-OMISSIS-, oggetto di gravame.
Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di revocazione:
Errore di fatto decisivo nella percezione degli atti e documenti processuali (art. 395, co. 1 n. 4 c.p.c., in combinato disposto con art. 106 Cpa);poiché “la sentenza de quo si fonda sul presupposto della “sussistenza del potere disciplinare in capo alla P.A. resistente, o segnatamente, del potere di rinnovare parzialmente il procedimento disciplinare avviato nel 2010”, circostanza “ icto oculi esclusa dai documenti di causa”. E ciò in quanto “al di fuori dell’arco temporale di 270 giorni previsti dal legislatore, il potere disciplinare è esercitato totalmente in assenza di una norma attributiva del potere stesso”.
Da ciò consegue che le affermazioni contenute in sentenza (quale è quella secondo cui “l’amministrazione militare ha giustificato, con adeguata motivazione, la determinazione di responsabilità assunta a carico del sottufficiale”), si fondano sulla “supposizione che al momento di rinnovazione parziale del procedimento disciplinare sussistesse il potere sanzionatorio disciplinare”.
Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Economia e finanze – Comando generale della Guardia di Finanza, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
In particolare, secondo l’amministrazione “risulta evidente, da una semplice lettura dei gravami di I e II grado, che l’odierno ricorrente con il presente atto di revocazione introduce per la prima volta specifici motivi di doglianza inerenti l’asserita violazione da parte dell’amministrazione dei termini concernenti la rinnovazione del procedimento disciplinare di stato”;violazione che comunque si nega essersi verificata.
Dopo il deposito di repliche, all’udienza pubblica di trattazione la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
2.Il ricorso è inammissibile.
2.1. Si ricorda che l’orientamento costante di questo Consiglio di Stato (sez. IV, 25 novembre 2016 n. 4983;24 gennaio 2011 n. 503), è nel senso che la "svista" che autorizza e legittima la proposizione del rimedio della revocazione, tendenzialmente eccezionale anche nei casi di c.d. revocazione ordinaria (cfr. Cass., n. 1957/1983), è rappresentata o dalla mancata esatta percezione di atti di causa, ovvero dall'omessa statuizione su una censura o su una eccezione ritualmente introdotta nel dibattito processuale.
Secondo, infatti, il principio enunciato dall'Adunanza Plenaria (dec. 22 gennaio 1997, n. 3;in senso conf., Ad. plen. nn. 3 del 2001, 2 del 2010, 1 del 2013, 5 del 2014;,Cons. St., sez. IV, 8 giugno 2009, n. 3499;sez. IV, 23 settembre 2008, n. 4607;sez. IV, 19 ottobre 2006, n. 6218;Sez. IV, 16 maggio 2006, n. 2781;sez. VI, 23 febbraio 2011 n. 1145), non v'è dubbio che l'errore di fatto revocatorio debba cadere su atti o documenti processuali.
Tuttavia, non sussiste vizio revocatorio se la dedotta erronea percezione degli atti di causa - che si sostanzia nella supposizione dell'esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, ovvero nella supposizione dell'inesistenza di un fatto, la cui verità è positivamente stabilita - ha costituito un punto controverso e, comunque, ha formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, ossia è il frutto dell'apprezzamento, della valutazione e dell'interpretazione delle risultanze processuali da parte del giudice (cfr, Cons. St., sez. VI, 5 giugno 2006, n. 3343;Cass. Civ., Sez. II, 12 marzo 1999 n. 2214).
Ed infatti, in questi casi (cioè nei casi di presunto errore di fatto su un punto che ha costituito un punto controverso), ogni ipotizzabile errore non può che essere ricondotto ad un errore di valutazione del dato fattuale e non già di percezione del medesimo (dunque, un eventuale errore di diritto ma mai un errore sul fatto).
L'errore di fatto revocatorio si configura, quindi, come un abbaglio dei sensi, per effetto del quale si determina un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l'una emergente dalla sentenza e l'altra risultante dagli atti e documenti di causa;esso può essere apprezzato solo quando risulti da atti o documenti ritualmente acquisiti agli atti del giudizio, con esclusione, quindi, delle produzioni inammissibili.
È stato pertanto ritenuto inammissibile il rimedio della revocazione per un errore di percezione rispetto ad atti o documenti non prodotti ovvero per un errore di fatto la cui dimostrazione avviene mediante deposito di un documento prodotto per la prima volta in sede di revocazione (Cons. Stato, sez. V, 16 novembre 2010, n. 8061;sez. IV, 13 ottobre 2010, n. 7487).
Per contro, sono vizi logici e dunque errori di diritto quelli consistenti nell'erronea interpretazione e valutazione dei fatti o nel mancato approfondimento di una circostanza risolutiva ai fini della decisione (Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 2010, n. 7599).
Infine, l'errore di fatto deve essere elemento determinante della decisione, la quale "è l'effetto" del primo. Di conseguenza, l'errore revocatorio può ammissibilmente essere invocato solo quando vi sia un rapporto di causalità necessaria fra l'erronea od omessa percezione fattuale e documentale e la pronuncia in concreto adottata dal Giudice. Con l'ulteriore conseguenza della non rilevanza dell'errore quando la sentenza si fondi su fatti, seppur erronei, che non siano decisivi in se stessi ai fini del decidere, ma debbano essere valutati in un più ampio e complesso quadro probatorio (Cass. Civ., sez. III, 20 luglio 2011 n. 15882).
2.2. Dalla lettura della sentenza impugnata, si evince (v., in particolare, pagg. 4 e 5) ce il giudice di appello non ha affatto giudicato su un motivo di impugnazione con il quale si prospettava l’assenza del potere disciplinare per intervenuto decorso del termine di 270 giorni, con riferimento alla rinnovazione del procedimento disciplinare;né tale motivo di impugnazione risulta documentato dalla sentenza, che pure ha proceduto preliminarmente, ai fini della definizione del thema decidendum , alla indicazione dei motivi oggetto di giudizio.
Né un motivo di doglianza relativo al decorso del termine è stato oggetto di esame da parte della sentenza di I grado.
Orbene, appare evidente che – perché possa anche solo supporsi l’esistenza di un errore sul fatto fondante la revocazione - occorre che tale difetto di percezione abbia riguardato un motivo di doglianza oggetto dello scrutinio del giudice.
Ma, al contrario, laddove tale motivo non sia stato formulato, appare evidente come non possa nemmeno ipotizzarsi l’errore sul fatto;né, tantomeno, che lo stesso abbia riguardato un punto decisivo della controversia.
Né il ricorrente si duole dell’errore revocatorio sul fatto sub specie di omessa statuizione su una censura o su una eccezione ritualmente introdotta nel dibattito processuale.
Alla luce delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.