Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-11-09, n. 202006866

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2020-11-09, n. 202006866
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202006866
Data del deposito : 9 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 09/11/2020

N. 06866/2020REG.PROV.COLL.

N. 09147/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9147 del 2015, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Pierluigi Dell'Anna, domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

contro

il Ministero della Giustizia, non costituito in giudizio;

per l’annullamento ovvero la riforma

della sentenza del TAR Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione II,-OMISSIS-, che ha respinto il ricorso n.-OMISSIS-R.G. proposto per la condanna dell’amministrazione al risarcimento in favore di -OMISSIS- per i danni da lui subiti a seguito di un’aggressione nell’espletamento del suo servizio di agente di Polizia penitenziaria;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2020 il Cons. Francesco Gambato Spisani e udito per la parte ricorrente appellante l’avvocato Demetrio Fennucciu su delega di Pierluigi Dell'Anna;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso depositato il giorno 17 dicembre 2012, il ricorrente appellante, all’epoca dei fatti assistente capo della Polizia penitenziaria in servizio presso la -OMISSIS-, ha convenuto avanti il TAR l’amministrazione di appartenenza per sentirla condannare al risarcimento del ritenuto danno ingiusto subito per un episodio occorso sul lavoro.

2. Il ricorrente appellante ha infatti esposto che il giorno 20 giugno 2000, mentre prestava servizio presso l’infermeria del carcere, era stato aggredito da un detenuto che si trovava lì ricoverato per problemi psichici, e che lo colpiva più volte al torace con un manico di scopa.

3. Il ricorrente appellante ha ancora esposto che in seguito all’aggressione era stato ricoverato al locale ospedale civile, con diagnosi di "-OMISSIS-”. Ha ancora esposto che successivamente non si era più ripreso appieno: aveva sviluppato una -OMISSIS-, tanto da essere giudicato, con verbale della competente Commissione medica, permanentemente inabile al servizio e quindi collocato a riposo il giorno 11 ottobre 2010, con diagnosi di “-OMISSIS-”.

4. Tutto ciò premesso, il ricorrente appellante ha chiesto la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno asseritamente subito, identificato con il danno alla salute, con il danno alla vita di relazione, perché a seguito della vicenda egli avrebbe divorziato dalla moglie, e con il danno alla carriera, cessata in anticipo. A sostegno, ha allegato la violazione da parte dell’amministrazione datrice di lavoro dell’obbligo previsto dall’art. 2087 c.c. di adottare tutte le misure idonee a proteggere l’integrità fisica e la personalità morale del datore di lavoro (fatti storici incontestati, si veda la sentenza impugnata).

5. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto la domanda, ritenendo in sintesi estrema che il ricorrente non avesse indicato alcuna specifica cautela che il datore di lavoro avrebbe potuto adottare, e invece omesso, per evitare il danno, e riconducendo l’accaduto ad un rischio professionale.

6. Contro questa sentenza, il ricorrente ha proposto impugnazione, con appello che contiene un unico motivo, di violazione dell’art. 2087 c.c., in cui sostiene che l’amministrazione avrebbe dovuto in particolare trasferire il detenuto infermo di mente in un idoneo istituto, in base a quanto previsto dal regolamento penitenziario, e che ciò era stato effettivamente proposto dopo l’incidente.

7. L’amministrazione non si è costituita.

8. All’udienza del 15 ottobre 2020, fissata come sopra, la Sezione ha quindi trattenuto il ricorso in decisione.

9. L’infondatezza del ricorso nel merito rende non necessario valutarne i profili processuali, ovvero la possibile inammissibilità dell’appello perché notificato alla sede distrettuale dell’Avvocatura dello Stato, e non all’Avvocatura generale, senza che questa si sia costituita.

10. Come si è detto, la domanda risarcitoria è infondata nel merito.

10.1 L’art. 2087 c.c. invocato dal ricorrente appellante prevede che “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, con norma che si applica in modo del tutto pacifico anche al datore di lavoro pubblico, in questo caso l’amministrazione penitenziaria. Costante giurisprudenza richiede però che il lavoratore, il quale richiede il risarcimento di un danno subito in asserita violazione di questa norma, debba dimostrare in generale la nocività dell’ambiente di lavoro, ovvero, in termini equivalenti, la violazione da parte del datore di obblighi concretamente individuabili: così per tutte C.d.S. sez. IV 24 maggio 2018 e sez. VI 24 febbraio 2011 n.1173. In questo senso va quindi condivisa l’affermazione del Giudice di I grado, secondo la quale il ricorrente appellante avrebbe dovuto indicare per lo meno “le specifiche misure esigibili dal datore di lavoro” che in ipotesi, ove adottate, avrebbero evitato il danno.

10.2 Ciò nella specie non è avvenuto. Il ricorrente appellante in I grado ha affermato che la specifica negligenza dell’amministrazione consisterebbe nell’avere ignorato la sua domanda di essere trasferito ad altro incarico, ma in proposito va condiviso anche qui quanto ha affermato la sentenza impugnata, ovvero che si tratta di una misura individuale, come tale non rilevante ai fini della generale sicurezza del luogo di lavoro.

10.3 In questa sede di appello, lo stesso ricorrente appellante ha poi invocato l’art. 2 del d. lgs. 22 giugno 1999 n.230, in materia di medicina penitenziaria, per cui spetta all’amministrazione di provvedere alla sicurezza di detenuti ed internati, nonché l’art. 11 comma 5 del D.P.R. 30 giugno 2000 n.230, regolamento penitenziario, per cui “Gli imputati e i condannati, ai quali nel corso della misura detentiva sopravviene una infermità psichica che non comporti, rispettivamente, l'applicazione provvisoria della misura di sicurezza o l'ordine di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o in casa di cura e custodia, sono assegnati a un istituto o sezione speciale per infermi e minorati psichici”. Afferma poi che solo dopo il fatto l’amministrazione dell’istituto avrebbe proposto il trasferimento del detenuto che lo aveva aggredito in una struttura per infermi psichici.

10.4 Nemmeno in questi termini, però, la responsabilità dell’amministrazione si può dire dimostrata. Il fatto che un detenuto, al manifestarsi di sintomi di squilibrio mentale, debba essere trasferito in una struttura idonea non significa infatti che, per tutto il periodo necessario a provvedere in tal senso, egli non debba rimanere presso l’istituto in cui si trova, con dovere conseguente del personale di continuare a sorvegliarlo e, se necessario, di contenerlo, anche in caso di episodi violenti, che per inciso possono provenire anche da detenuti sani di mente. Sotto questo profilo, è allora da condividere l’affermazione del Giudice di I grado, secondo la quale in proposito esiste un margine non eliminabile di rischio professionale.

10.5 In conclusione, quindi, l’appello va respinto.

11. Nulla per spese, non essendo l’amministrazione costituita.

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