Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-05-12, n. 201702217

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2017-05-12, n. 201702217
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201702217
Data del deposito : 12 maggio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/05/2017

N. 02217/2017REG.PROV.COLL.

N. 07607/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 7607 del 2016, proposto dal MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,

contro



KWIDZA PHARMA

GmbH e CHEFARO PHARMA S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentate e difese dagli avv.ti A M A, S S e F P, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, viale M.llo Pilsudski, 118,

per l’annullamento e/o la riforma,

previa sospensione dell’efficacia,

della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione Terza quater , nr. 7539/2016, depositata in Segreteria in data 25 giugno 2016 e notificata in data 3 agosto 2016, che ha accolto il ricorso proposto da Kwidza Pharma GmbH e Chefaro Pharma S.r.l. avverso la nota del Ministero della Salute del 15 settembre 2015 recante “ Rettifica autorizzazione ad effettuare la pubblicità sanitaria ‘Bronchodual Sedativo e Fluidificante’ ”.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Kwidza Pharma GmbH;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 2 marzo 2017, il Consigliere R G;

Uditi l’avv. Selletti per l’appellata e l’avv. dello Stato Maria Vittoria Lumetti per l’Amministrazione appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il Ministero della Salute ha appellato, chiedendone la riforma previa sospensiva, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha accolto il ricorso proposto dalle società Kwidza Pharma GmbH e Chefaro Pharma S.r.l. avverso la nota del 15 settembre 2015 recante “ Rettifica autorizzazione ad effettuare la pubblicità sanitaria ‘Bronchodual Sedativo e Fluidificante’ ”.

L’impugnazione risulta affidata ai seguenti motivi di diritto:

1) erroneità della sentenza nel merito;
erronea applicazione della normativa in materia di pubblicità di medicinali di automedicazione (per aver il T.A.R. erroneamente sostenuto che il regime limitativo della pubblicità ai soli medicinali OTC, sancito dall’art. 8, comma 10, lettera c-bis ), della legge 24 dicembre 1993, nr. 537, sarebbe stato modificato dalla disciplina di cui al decreto legislativo 24 aprile 2006, nr. 219);

2) violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (in quanto il T.A.R. avrebbe omesso di prendere in considerazione, senza esplicitare l’eventuale mancanza di presupposti giuridici, la richiesta delle originarie ricorrenti di rinvio pregiudiziale ex art. 267 del TFUE);

3) erroneità della sentenza nel merito;
erronea applicazione della normativa inerente la classificazione di farmaci (per aver il T.A.R. erroneamente ritenuto che il quadro legislativo vigente non fornisse elementi distintivi tra i farmaci SOP non da banco e i farmaci SOP da banco - c.d. OTC - con riferimento alla pericolosità degli stessi).

Si sono costituite in giudizio Kwidza Pharma Gmbh e Chefaro Pharma S.r.l, le quali si sono opposte con diffuse argomentazioni all’accoglimento del gravame.

Alla camera di consiglio del 17 novembre 2016, fissata per l’esame della domanda incidentale di sospensiva, questo è stato differito sull’accordo delle parti, per essere abbinato alla trattazione del merito.

All’udienza del 2 marzo 2017, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. In data 9 luglio 2015 la società Chefaro Pharma S.r.l. ha presentato al Ministero della Salute un’istanza tesa ad ottenere il rilascio dell’autorizzazione ad effettuare la pubblicità del medicinale “Bronchodual Sedativo e Fluidificante”.

Il Ministero della Salute, dopo una prima determinazione positiva, con nota del 15 settembre 2015, nr. 43850, ha rettificato la precedente autorizzazione, precisando che “ il messaggio pubblicitario del prodotto Bronchodual Sedativo e Fluidificante non può essere autorizzato in quanto, trattandosi di medicinale senza obbligo di prescrizione non rientrante nella categoria di cui alla lettera c-bis del comma 10 dell’articolo 8 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, non ha accesso alla pubblicità al pubblico ”.

2. Kwidza Pharma GmbH e Chefaro Pharma s.r.l., in qualità rispettivamente di titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) e di concessionaria per la vendita in Italia delle specialità medicinali “Bronchodual Sedativo e Fluidificante” e “Bronchodual Tosse”, hanno impugnato dinanzi al T.A.R. del Lazio la nota del Ministero della Salute, lamentandone l’illegittimità sotto il profilo della violazione di legge e dell’eccesso di potere.

In particolare, le originarie ricorrenti hanno dedotto:

1) eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, sviamento;
violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi;
violazione dei principi generali in materia di autotutela della P.A.;
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21- quinquies e 21- nonies della legge 7 agosto 1990, nr. 241;
violazione del principio del contrarius actus di cui agli artt. 5, 6, 7, 8, 10 e 10- bis della stessa legge nr. 241/1990;

2) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 70, 71, 72 e 88 della direttiva 2001/83/CE;
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 87 e 96 del decreto legislativo 24 aprile 2006, nr. 219;
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 della legge 24 dicembre 1993, nr. 537;
eccesso di potere per perplessità e contraddittorietà in relazione agli artt. 115 e ss. del d.lgs. nr. 219/2006 e all’art. 112- quater del d.lgs. nr. 219/2006.

In subordine – nell’ipotesi in cui il T.A.R. avesse ritenuto esistente, sulla base della normativa italiana, il divieto di pubblicità dei medicinali non soggetti a prescrizione medica ma non da banco – le interessate hanno chiesto il rinvio della questione alla Corte di giustizia dell’Unione Europea per possibile violazione della direttiva 2001/83/CE.

3. Il Tribunale di primo grado, con la sentenza in epigrafe, ha accolto il ricorso, ritenendo fondato il secondo motivo di doglianza e assorbite le restanti censure.

In particolare, il giudice di prime cure ha individuato l’ ubi consistam della controversia nell’accertamento della sussistenza o meno, nell’ordinamento italiano, del divieto di pubblicità presso il pubblico di medicinali non soggetti a prescrizione medica non appartenenti alla categoria dei medicinali di automedicazione o da banco.

Ai fini della risoluzione di tale questione, il T.A.R. ha ripercorso la normativa sul punto e ha specificamente richiamato l’art. 3 del d.lgs. nr. 539/1992, l’art. 8, comma 10, del d.lgs. nr. 537/1993 e le disposizioni di cui al d.lgs. nr. 219/2006.

Con riferimento alla prima disposizione, il Tribunale di prime cure ha chiarito che il suindicato art. 3, pur individuando nell’ambito della categoria dei farmaci non soggetti a prescrizione medica (SOP) la subcategoria dei farmaci da banco o di automedicazione (OTC), non prevedeva alcuna differenza, ai fini della pubblicità presso il pubblico, tra le suddette subcategorie.

L’art. 8, comma 10, del d.lgs. nr. 537/1993, invece – ha rilevato il T.A.R. – nel prevedere le due subcategorie nell’ambito della categoria dei farmaci non soggetti a prescrizione medica, ha limitato l’accesso alla pubblicità al pubblico solamente ai farmaci da banco e ha dunque introdotto un regime penalizzante per i restanti farmaci non soggetti a prescrizione medica.

La disciplina di cui al d.lgs. nr. 219/2006 (contenuta negli articoli 96 e 115), in linea con quanto disposto dalla direttiva 2001/83/CE, ha infine superato, secondo il giudice di prime cure, la preclusione introdotta dall’art. 8 del d.lgs. nr. 537/1993: difatti, ha evidenziato il T.A.R., l’art. 96 di tale decreto si limita a prevedere genericamente che i farmaci non soggetti a prescrizione medica “ possono essere oggetto di pubblicità presso il pubblico se hanno i requisiti stabiliti dalle norme vigenti in materia e purché siano rispettati i limiti e le condizioni previsti dalle stesse norme ” e il successivo art. 115, nell’individuare rigorosamente le categorie dei farmaci per i quali è preclusa la pubblicità (commi 2 e 4), non include i farmaci non soggetti a prescrizione medica non da banco.

Da ultimo, il Tribunale di prime cure, ha precisato che dal quadro normativo vigente emerge che i farmaci OTC e gli altri farmaci SOP sono considerati dal legislatore sullo stesso piano sotto il profilo della tutela della salute pubblica.

4. Avverso la predetta pronuncia ha proposto ricorso in appello il Ministero della Salute, il quale ha dedotto l’erroneità della sentenza sotto diversi profili.

4.1. In primo luogo, l’Amministrazione statale rileva che il T.A.R. avrebbe erroneamente applicato la normativa in materia di pubblicità di medicinali di automedicazione, ritenendo superato, dalla disciplina di cui al d.lgs. nr. 219/2006, il regime limitativo della pubblicità ai soli medicinali OTC, sancito dall’art. 8, comma 10, lettera c-bis ), della legga nr. 537/1993.

Evidenzia infatti il Ministero della Salute che se il legislatore avesse voluto superare il principio fissato nella lettera c-bis ) del comma 10 dell’art. 8, avrebbe dovuto abrogare tale disposizione e non riconoscerle validità e vigenza, citandola espressamente nel d.lgs. nr. 219/2006.

Inoltre, sostiene l’appellante, l’art. 115 del d.lgs. nr. 219/2006, nel disporre quale categoria di medicinali può essere oggetto di pubblicità presso il pubblico, richiama specificamente la definizione assegnata ai medicinali da banco (OTC) dall’art. 3 del d.lgs. nr. 539/1992;
di conseguenza, secondo il Ministero, nonostante la normativa vigente non utilizzi espressamente la terminologia “ medicinali da banco ” o “ automedicazione ”, la facoltà di effettuare pubblicità resterebbe limitata esclusivamente a quest’ultima tipologia di farmaci.

Infine l’Amministrazione evidenzia che la direttiva 2001/83/CE, in particolare l’art. 88, si limita a sancire il divieto di pubblicità presso il pubblico dei medicinali che possono essere forniti soltanto dietro presentazione di ricetta medica, ma non afferma affatto che gli Stati membri debbano sempre consentire la pubblicità dei farmaci non soggetti a prescrizione medica.

4.2. Con la seconda censura poi l’appellante deduce la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto il T.A.R. avrebbe omesso di prendere in considerazione, senza esplicitare l’eventuale mancanza di presupposti giuridici, la richiesta delle originarie ricorrenti di rinvio pregiudiziale ex art. 267 del TFUE.

4.3. Da ultimo, l’Amministrazione statale lamenta l’erronea applicazione, da parte del giudice di prime cure, della normativa inerente la classificazione dei farmaci, in quanto il T.A.R. avrebbe erroneamente ritenuto assenti, nel quadro legislativo vigente, gli elementi distintivi tra i farmaci SOP non da banco e i farmaci OTC, con riferimento alla pericolosità degli stessi.

5. Tutto ciò premesso, l’appello è infondato e va conseguentemente respinto.

5.1. Con riferimento alla prima censura, concernente l’asseritamente erronea applicazione della normativa in materia di pubblicità dei farmaci, è necessario anzi tutto precisare che il testo normativo di riferimento è attualmente costituito dal d.lgs. nr. 219/2006 di attuazione della direttiva comunitaria 2001/83/CE, cui occorre richiamarsi per quanto concerne sia la classificazione dei farmaci, sulla base dell’assoggettabilità o meno a prescrizione medica, sia la possibilità di accesso alla pubblicità degli stessi.

5.1.1. In relazione al primo aspetto, l’art. 96 del decreto in questione fornisce una nozione “residuale” dei medicinali non soggetti a prescrizione medica, individuandoli in tutti “ quelli che non rispondono ai criteri di cui agli articoli da 88 a 94 ” (comma 1);
tali norme disciplinano le varie categorie di farmaci soggetti a prescrizione medica, assoggettate a differenziati regimi.

Per quanto concerne il secondo aspetto, il comma 2 dello stesso art. 96 dispone che i farmaci di cui al comma 1 “ possono essere oggetto di pubblicità presso il pubblico se hanno i requisiti stabiliti dalle norme vigenti in materia e purché siano rispettati i limiti e le condizioni previsti dalle stesse norme ” e il successivo art. 115 consente la pubblicità dei “ medicinali che, per la loro composizione e il loro obiettivo terapeutico, sono concepiti e realizzati per essere utilizzati senza intervento di un medico per la diagnosi, la prescrizione o la sorveglianza nel corso del trattamento e, se necessario, con il consiglio del farmacista ” (comma 1).

Il comma 2 di quest’ultima disposizione introduce poi alcuni divieti espressi di pubblicità per specifiche tipologie di farmaci.

In tale quadro, mentre il precedente d.lgs. nr. 539/1992 risulta pressoché integralmente abrogato dallo stesso d.lgs. nr. 219/2006 (art. 158), effettivamente sopravvive l’art. 8, comma 10, della legge nr. 537/1993, il quale aveva introdotto una distinzione, all’interno della categoria dei farmaci non soggetti a prescrizione medica (SOP), tra quelli da banco o da automedicazione (OTC) (lettera c-bis ) e i restanti medicinali.

Tale distinzione però, a dispetto di quanto sostenuto dall’Amministrazione istante, era posta – e permane – non già ai fini della pubblicità dei farmaci, bensì ai diversi fini della rimborsabilità degli stessi da parte del S.S.N. (coerentemente con la finalità dell’intero art. 8, norma generale della legge finanziaria per il 1994 destinata alla sanità pubblica).

Tale limitata finalità della classificazione di cui all’art. 8, comma 10, della l. nr. 537/1993 non è peraltro affatto contraddetta dalla sopravvenuta normativa del 2006: difatti, se è vero che il d.lgs. nr. 219/2006 (in particolare l’art. 96, comma 3) richiama la lettera c-bis ) del citato art. 8, comma 10, è pur vero che lo fa esclusivamente per dettare specifiche disposizioni sulle diverse modalità di etichettatura dei farmaci e sull’immediata disponibilità in esposizione dei medicinali OTC, questioni che sono del tutto estranee al tema della pubblicità, cui è invece dedicato il comma 2 dello stesso art. 96, il quale – si ricorda – nell’ammettere la pubblicità fa un generico rinvio al comma 1 del medesimo articolo, e quindi a tutti i farmaci SOP, e non solo a una parte di essi (quelli OTC).

5.1.2. Parimenti, non convince l’ulteriore argomento speso dall’Amministrazione a sostegno della sua tesi, consistente nel fatto che il citato art. 115, comma 1, nel definire i medicinali per i quali è consentita la pubblicità, impiegherebbe la stessa formula testuale già impiegata dal previgente art. 3, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. nr. 539/1992 per definire i farmaci OTC.

Difatti, se il legislatore avesse davvero inteso operare tale distinguo tra i farmaci SOP ai fini della pubblicità, lo avrebbe fatto espressamente e non attraverso la riproduzione di formule contenute in leggi non più vigenti, comunque ambigue e non decisive a fini interpretativi (avrebbe, ad esempio, potuto richiamare proprio la lettera c-bis ) del comma 10 dell’art. 8 della legge nr. 537/1993).

In definitiva, la circostanza che la norma sopravvenuta utilizzi la stessa formula verbale un tempo impiegata, nell’ambito di una norma abrogata, per definire i (soli) farmaci di automedicazione non è di per sé sufficiente a inferirne che il legislatore abbia voluto operare una distinzione, all’interno della generale categoria dei farmaci non soggetti a prescrizione medica, per poi dettare regimi differenziati quanto alla possibilità di farne pubblicità.

5.1.3. Peraltro, conferma decisiva delle conclusioni qui raggiunte si ricava dall’analisi del retrostante dato normativo comunitario.

Al riguardo, il dato di riferimento è costituito dall’art. 88 della già citata direttiva 2001/83/CE, secondo cui gli Stati membri vietano la pubblicità dei medicinali “ che possono essere forniti soltanto dietro presentazione di ricetta medica ” e di quelli “ contenenti sostanze definite come psicotrope o stupefacenti ai sensi delle convenzioni internazionali ”: in questo secondo caso evidentemente la pubblicità è sempre vietata, indipendentemente dall’assoggettabilità del farmaco a prescrizione medica (la previsione è stata trasposta nel nostro ordinamento al comma 2 dell’art. 115, d.lgs. nr. 219/2006).

Secondo la tesi di parte appellante, l’articolo citato, se impone agli Stati membri di vietare sempre la pubblicità dei farmaci soggetti a prescrizione, non impedisce affatto agli stessi di operare differenziazioni all’interno dei medicinali SOP, vietando la pubblicità anche per alcuni di essi: cosa che sarebbe avvenuta in Italia, sulla scorta di una valutazione implicita di maggiore pericolosità dei farmaci non OTC.

Tale ricostruzione non può però essere condivisa, non apparendo coerente con il fondamento stesso della direttiva 2001/83/CE, la cui base giuridica – come ricavabile dalla premessa – è costituita dall’art. 95 del Trattato istitutivo della CEE ( in illo tempore vigente), norma destinata a porre le basi della “ armonizzazione ” delle normative degli Stati membri in determinate materie, fra cui anche la sanità pubblica;
in tali materie, come la stessa norma chiarisce, agli Stati membri era consentito introdurre limiti e restrizioni ove strettamente necessario per tutelare interessi prevalenti, quale quello della salute umana.

Nel riavvicinamento delle legislazioni, la norma di cui all’art. 95 (oggi art. 114 TFUE) è intesa a perseguire gli obiettivi di cui all’art. 14 del medesimo Trattato (oggi art. 26 TFUE), espressamente richiamato, il quale pone l’obiettivo dell’instaurazione e del funzionamento del mercato comune e della libera circolazione delle merci;
solo in questa prospettiva si giustifica, ai sensi del principio delle competenze di cui all’art. 5 del medesimo Trattato, l’ingerenza della CEE nella materia del commercio e della pubblicità dei farmaci.

Se dunque la finalità ultima della disciplina comunitaria in subiecta materia è l’attuazione del mercato comune nel settore in questione, non può non discenderne un’interpretazione restrittiva di tutte le previsioni introduttive di limitazioni e divieti, di modo che, per tutto quanto non diversamente ed espressamente previsto, deve essere assicurata la libera esplicazione delle libertà comunitarie (e, per quel che qui rileva, della libertà di circolazione delle merci).

Di conseguenza, atteso che l’art. 88 della direttiva ha stabilito in generale il divieto di pubblicità per determinate categorie di farmaci, non può che desumersene, a contrario , che la pubblicità deve intendersi sempre consentita per le restanti: pertanto, una legislazione che introducesse in via generale, in assenza di specifiche necessità, divieti ulteriori, travalicando i limiti tracciati dal citato art. 88, si esporrebbe al serio rischio di incompatibilità comunitaria.

Una conferma indiretta di quanto detto si ricava d’altronde dalla premessa della direttiva stessa, laddove si chiarisce che l’esigenza di armonizzare la disciplina in parte qua nasce dal fatto che “ tutti gli Stati membri hanno altresì adottato misure specifiche per la pubblicità per i medicinali ” e tuttavia “ tali misure presentano disparità che incidono sul funzionamento del mercato interno in quanto la pubblicità diffusa in uno Stato membro potrebbe avere effetti in altri Stati membri ” (considerando 43), e che la strada scelta per porre rimedio a ciò consiste nel generalizzare, estendendolo a tutti i media , il divieto di pubblicità televisiva dei medicinali soggetti a prescrizione medica già contenuto nella direttiva 89/552/CEE (considerando 44).

5.2. Alla luce di quanto fin qui evidenziato, emerge anche l’infondatezza del terzo motivo di gravame, con il quale l’appellante rileva che la differenziazione tra farmaci OTC e altri farmaci SOP ai fini dell’accesso alla pubblicità sarebbe giustificata da un diverso grado di pericolosità per la salute degli stessi.

Difatti, un eventuale diverso grado di pericolosità tra tali farmaci non potrebbe in ogni caso giustificare l’estensione di un divieto generalizzato che non trova fondamento nella disciplina europea, potendo al più legittimare diverse cautele e prescrizioni in sede di autorizzazione alla pubblicità (certamente possibili alla stregua della vigente legislazione).

Di ciò vi è conferma nel considerando 45 della medesima direttiva 2001/83/CE, laddove si afferma che “ la pubblicità presso il pubblico di medicinali che possono essere venduti senza prescrizione medica potrebbe, se eccessiva e sconsiderata, incidere negativamente sulla salute pubblica;
tale pubblicità, se autorizzata, deve pertanto essere conforme ad alcuni criteri essenziali che occorre definire
” (e che sono definiti nei considerando successivi).

5.3. Va infine respinto anche il secondo motivo d’appello, con il quale l’Amministrazione lamenta la mancata rimessione alla Corte di giustizia dell’UE della questione pregiudiziale ex art. 267 del TFUE.

È pacifico, infatti, che l’obbligo di sollevare la questione pregiudiziale sussiste soltanto in presenza di un oggettivo dubbio di incompatibilità fra disciplina interna e norme comunitarie e non quando – come nel caso di specie – è possibile pervenire a un’interpretazione delle norme interne conforme al diritto europeo (cfr. ex plurimis Corte giust. UE, 19 gennaio 2010, C-555/07;
id., 23 aprile 2009, C-378/07;
id., 5 ottobre 2004, C-397/01).

6. In conclusione, sulla scorta dei superiori rilievi l’appello va respinto e la sentenza impugnata confermata nei termini di cui in motivazione.

7. In considerazione della novità della questione di diritto esaminata, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

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