Consiglio di Stato, sez. II, parere definitivo 2017-07-04, n. 201701578

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, parere definitivo 2017-07-04, n. 201701578
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201701578
Data del deposito : 4 luglio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00767/2017 AFFARE

Numero 01578/2017 e data 04/07/2017 Spedizione

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 7 giugno 2017




NUMERO AFFARE

00767/2017

OGGETTO:

Ministero dello Sviluppo Economico - Direzione Generale per il Mercato, la Concorrenza, il Consumatore, la Vigilanza e la Normativa Tecnica.


Quesito concernente il d.P.R. 23 luglio 2004, nr. 247 - Regolamento di semplificazione del procedimento relativo alla cancellazione di imprese e società non più operative dal registro delle imprese. Sanzioni.

LA SEZIONE

Vista la relazione nr. 153098 del 20 aprile 2017 con la quale il Ministero dello Sviluppo Economico - Direzione Generale per il Mercato, la Concorrenza, il Consumatore, la Vigilanza e la Normativa Tecnica ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore, Consigliere Raffaele Greco;


Premesso:

1. Con relazione pervenuta presso questo Consiglio di Stato in data 26 aprile 2017, il Ministero dello Sviluppo Economico - Direzione Generale per il Mercato, la Concorrenza, il Consumatore, la Vigilanza e la Normativa Tecnica ha posto un quesito in ordine alla interpretazione della normativa relativa al procedimento di cancellazione di imprese e società non più operative dal registro delle imprese.

2. In particolare l’Amministrazione, premesso di avere competenza, ai sensi dell’art. 28, comma 1, del decreto legislativo 30 luglio 1999, nr. 300, in materia di vigilanza sulle procedure di istituzione e gestione del registro delle imprese previsto dall’art. 2188 cod. civ., del quale si occupano le Camere di commercio a norma dell’art. 2, comma 2, lettera a ), della legge 29 dicembre 1993, nr. 580, ha rappresentato:

- che, con specifico riguardo alla fase della cancellazione dal detto registro dei soggetti che hanno cessato la propria attività, la normativa vigente in materia di pubblicità, obblighi di comunicazione e relative sanzioni presenta aspetti di disomogeneità;

- che, segnatamente, per quanto concerne le imprese individuali l’art. 2196, comma 2, cod. civ. prevede l’obbligo per l’imprenditore di “ chiedere l’iscrizione delle modificazioni e della cessazione dell’impresa, entro trenta giorni da quello in cui le modificazioni e la cessazione si verificano ”;

- che, del pari, per le società di capitali soccorre l’art. 2484 cod. civ. il quale, nell’elencare le cause di scioglimento delle stesse, stabilisce che la cessazione “ ha effetto dalla data di iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese ” (con ciò implicitamente rendendo obbligatorio tale adempimento);

- che, invece, con riguardo alle società di persone, l’art. 2300, comma 1, cod. civ. si limita a stabilire che: “ …Gli amministratori devono richiedere nel termine di trenta giorni all’ufficio del registro delle imprese l’iscrizione delle modificazioni dell’atto costitutivo e degli altri fatti relativi alla società, dei quali è obbligatoria l’iscrizione ”;

- che, tuttavia, nelle altre norme del codice civile afferenti allo scioglimento delle società di persone (artt. 2272, 2300, 2308 e 2309) non si trova enunciato espressamente l’obbligo di iscrizione della cessazione dell’attività;

- che peraltro il legislatore, considerando imprescindibile la “pulizia” del registro dalle iscrizioni relative a soggetti non più attivi, ha introdotto nel sistema le procedure di cancellazione d’ufficio a cura della competente Camera di commercio, disciplinate dall’art. 2490 cod. civ. per le società di capitali e dal d.P.R. 23 luglio 2004, nr. 247, per le imprese individuali e le società di persone;

- che, quanto a queste ultime, il predetto d.P.R. oltre a stabilire le procedure e modalità per la cancellazione d’ufficio disciplina anche gli aspetti sanzionatori connessi agli inadempimenti dei soggetti interessati, soltanto però limitatamente al mancato versamento delle somme dovute a titolo di diritto annuale, diritti di segreteria ed eventuali sanzioni, ai sensi dell’art. 18 della legge nr. 580 del 1993;

- che, invece, per le società di capitali la cancellazione è ricollegata al mancato versamento del bilancio per tre anni consecutivi, e l’art. 2630 cod. civ. prevede una specifica sanzione per tale condotta omissiva;

- che, pertanto, per le sole società di persone non appare previsto un compiuto impianto sanzionatorio per la mancata comunicazione della cessazione dell’attività da parte delle società di persone, ciò che comporta un’incoerenza del sistema rispetto alla ratio di corretta tenuta dei registri e di costante aggiornamento delle informazioni in essi contenute.

3. Tutto ciò premesso, l’Amministrazione ha ipotizzato – sulla scorta di un suggerimento formulato dalla Camera di commercio di Treviso – che, per quanto concerne la posizione degli amministratori e liquidatori delle società di persone, la fonte normativa cui ricollegare l’applicazione della sanzione possa individuarsi nella stessa procedura regolata dal citato d.P.R. nr. 247 del 2004.

In particolare, l’art. 3, comma 2, di tale decreto così dispone: “ …L’ufficio del registro delle imprese che rileva una delle circostanze indicate al comma 1, anche a seguito di segnalazione da parte di altro pubblico ufficio, avvia il procedimento invitando gli amministratori, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento inviata all’indirizzo della sede che risulta iscritta nel registro e alla residenza anagrafica di ciascuno degli amministratori risultante nel registro, a comunicare l’avvenuto scioglimento della società stessa ovvero a fornire elementi idonei a dimostrare la persistenza dell’attività sociale della società ”.

Secondo l’interpretazione qui proposta, l’invito dell’ufficio del registro farebbe sorgere in capo agli amministratori un obbligo di adempiere, comunicando o l’avvenuta cessazione dell’attività o la costanza della stessa;
il mancato riscontro farebbe sorgere una presunzione dell’avvenuto scioglimento della società.

Pertanto, tenuto conto anche della funzione deterrente che la sanzione amministrativa deve esercitare rispetto all’inosservanza degli obblighi di comunicazione, si propone di rinvenire nella mancata risposta all’invito di cui al citato art. 3, comma 2, del d.P.R. nr. 247 del 2004 la fonte dell’obbligo la cui inosservanza sarebbe suscettibile di sanzione ai sensi del precitato art. 2630 cod. civ.

4. Nel chiedere a questo Consiglio di Stato di esprimere parere in ordine alla detta interpretazione delle norme indicate, l’Amministrazione evidenzia altresì che il punto debole di essa è costituito dal fatto che a mente del citato art. 2630 cod. civ. la sanzione si applica a chi omette le comunicazioni “ essendovi tenuto per legge ” (analoga specificazione è contenuta nell’art. 2194 cod. civ., che sanziona analoghe condotte ove tenute da soggetti che non rivestono cariche sociali), mentre nella specie la fonte dell’ipotizzato obbligo di comunicazione sarebbe individuata in un atto amministrativo, ossia l’invito trasmesso dall’ufficio del registro.

Tuttavia, si ritiene che la difficoltà sia superabile se si tiene conto che tale invito è comunque formulato nell’esercizio di un potere previsto dalla legge (il d.P.R. nr. 247 del 2004 è un regolamento di delegificazione), di modo che l’azione amministrativa costituirebbe la mediazione tra la disposizione de qua e il sorgere dell’obbligo stesso.

Considerato:

5. La Sezione non ritiene che l’interpretazione suggerita dall’Amministrazione possa essere condivisa.

6. Ed invero, il problema posto dal quesito in esame può riassumersi nell’esigenza di rinvenire nel vigente impianto normativo un precetto, tale da far sorgere in capo agli amministratori e liquidatori delle società di persone un obbligo di comunicazione dell’eventuale cessazione dell’attività sociale all’ufficio del registro delle imprese, la cui inosservanza possa legittimare l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 2630 cod. civ. (nonché dall’art. 2194 cod. civ.).

Non v’è chi non veda la delicatezza di siffatta operazione ermeneutica, che deve necessariamente assicurare il rispetto del fondamentale principio di tassatività delle sanzioni amministrative stabilito dall’art. 1, comma 2, della legge 24 novembre 1981, nr. 689 (“ Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati ”), in modo da suggerire estrema cautela nella costruzione per via indiretta di un precetto, prima facie non rinvenibile nel sistema normativo, cui ricondurre l’applicazione di sanzioni originariamente pensate per altre condotte di soggetti diversi.

6.1. Sotto tale profilo, al di là delle considerazioni formali dell’Amministrazione che si sono riportate in premessa in ordine alla natura non direttamente “ di legge ” dell’obbligo di comunicazione la cui violazione, nella prospettiva di cui al quesito, comporterebbe l’irrogazione delle sanzioni di cui agli artt. 2630 e 2194 cod. civ. (considerazioni che pure evidenziano una criticità dell’approccio ermeneutico de quo ), altri e più pregnanti sono i motivi che inducono la Sezione a esprimere perplessità sulla soluzione proposta.

Innanzi tutto, l’obbligo di risposta all’invito di cui all’ufficio del registro di cui all’art. 3, comma 2, del d.P.R. nr. 247 del 2004 ha una chiara natura procedimentale, essendo finalizzato innanzi tutto a consentire all’ufficio di acquisire elementi di conoscenza in ordine alla posizione di un soggetto sulla cui perdurante operatività siano sorti dubbi: da quell’invito potrà invero scaturire la comunicazione della cessazione dell’attività (ed è questa l’ipotesi più semplice, atteso che in tal caso si procederà de plano a cancellazione d’ufficio), ma anche la rappresentazione di “ elementi idonei a dimostrare la persistenza dell’attività sociale ”, formulazione suscettibile di essere intesa – ma è questione che non rileva nella presente sede – anche nel senso della possibilità di avvio di un ulteriore iter istruttorio inteso a verificare se gli “ elementi ” prodotti trovino effettiva rispondenza nella realtà.

Inoltre, sia l’art. 2630 che l’art. 2194 cod. civ. ricollegano l’applicazione della sanzione all’inosservanza dei “ termini ” stabiliti dalla legge per l’iscrizione della cessazione, mentre nel meccanismo procedimentale di cui all’art. 3, comma 2, del d.P.R. nr. 247 del 2004 non sono previsti termini per il riscontro all’invito dell’ufficio del registro (i termini stabiliti dal successivo comma 3 attengono alla scansione delle ulteriori fasi procedimentali in caso di mancata risposta o irreperibilità del destinatario).

Pertanto, si renderebbe necessario anche integrare il precetto in via di elaborazione con la previsione che nell’invito trasmesso dall’ufficio del registro debba essere sempre indicato un termine per la risposta, termine che però potrebbe variare da caso a caso, con conseguente disuniformità applicativa.

6.2. Ma, ciò che è dirimente nel senso della conclusione qui raggiunta, è la stessa disciplina regolamentare del caso – nella pratica verosimilmente tutt’altro che infrequente – di mancata risposta all’invito di cui all’art. 3, comma 3, a non prestarsi all’applicazione della sanzione.

Infatti, se è vero che la norma ha costruito il mancato riscontro all’invito (al netto degli adempimenti imposti in caso di irreperibilità del destinatario) come una sorta di fictio juris, equiparando il silenzio alla comunicazione di cessazione dell’attività, tuttavia non è consentito perciò solo all’ufficio del registro di procedere alla cancellazione della società, essendo prevista una successiva fase giurisdizionale che può risolversi alternativamente o nella messa in liquidazione della società o nell’ordine di immediata cancellazione dal registro.

E, a ben vedere, il fatto stesso che la mancata risposta all’invito possa portare a più esiti diversi, oltre tutto dinanzi a soggetto diverso dallo stesso ufficio del registro che ha avviato il procedimento, è sufficiente a consentire di escludere che l’omissione possa sic et simpliciter qualificarsi quale inosservanza di un obbligo giuridico suscettibile di essere sanzionata a norma delle evocate disposizioni del codice civile.

7. In definitiva, l’aporia del sistema normativo correttamente evidenziata dall’Amministrazione richiedente non si presta a essere superata attraverso l’interpretazione qui proposta, potendo al più auspicarsi – ove si condividano le considerazioni contenute nel quesito in ordine alla rilevanza degli obblighi di pubblicità e di corretta tenuta del registro delle imprese – che il legislatore possa porvi rimedio con un proprio intervento.

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