Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-07-23, n. 202406609

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-07-23, n. 202406609
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202406609
Data del deposito : 23 luglio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/07/2024

N. 06609/2024REG.PROV.COLL.

N. 02371/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2371 del 2024, proposto dalla signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato S M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

l’INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A P, L C, G G e S Pen, domiciliataria ex lege in Roma, via Cesare Beccaria, 29,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma (Sezione Quinta), -OMISSIS-, resa tra le parti, con cui è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto d’interesse il ricorso per l’ottemperanza del giudicato civile, di cui alla sentenza -OMISSIS- resa dal Tribunale di Roma, in funzione del giudice del lavoro, in composizione monocratica, pubblicata il -OMISSIS- 2020, che ha dichiarato il diritto della ricorrente ai benefici di cui all’articolo 3 e seguenti della legge n. 206/2004.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’INPS;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2024, il Cons. Enzo Bernardini e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il giudice del lavoro di Roma, in composizione monocratica, con sentenza -OMISSIS-, ha accolto il gravame prodotto dall’odierna ricorrente per la ricostituzione della sua posizione pensionistica, dichiarando il diritto della stessa ai benefici di cui all’articolo 3 e seguenti della legge n. 206/2004.

2. Con successivo ricorso, la ricorrente ha adito il Tar per il Lazio, sede di Roma (Sezione Quinta), per l’ottemperanza del giudicato civile.

Il Tribunale Amministrativo, con sentenza -OMISSIS-, ha dichiarato il ricorso improcedibile, ai sensi dell’1294e9bf17a::LRC2AD7664A62B35D03CB1::2010-07-07" href="/norms/codes/itatexti9fkbifolgczza/articles/itaart7xhfyslrjp6094?version=57caaebe-e509-5495-93cf-d1294e9bf17a::LRC2AD7664A62B35D03CB1::2010-07-07">art. 84, comma 4, c.p.a., per sopravvenuto difetto d’interesse, avendo rilevato che “ l’amministrazione resistente ha depositato in data -OMISSIS- 2023 la relazione e la documentazione comprovante l’intervenuta ottemperanza alla sentenza -OMISSIS- del Tribunale di Roma Sezione Lavoro e Previdenza, in esecuzione dell’ordinanza istruttoria -OMISSIS- 2023 adottata da questa Sezione ”.

3. Avverso tale decisione insorge l’appellante, che lamenta come nonostante il passaggio in giudicato della sentenza del giudice del lavoro l’Istituto Previdenziale si è “ limitato a corrispondere la somma indicata nel provvedimento giurisdizionale, senza invece provvedere alla effettiva ricostituzione del trattamento pensionistico ” e, quindi, non concedendo le provvidenze ed i benefici correlati al riconoscimento in favore del -OMISSIS- dello status di “ vittima del dovere ”.

In sintesi, la ricorrente con l’atto d’appello chiede l’annullamento e/o la riforma della sentenza e, per l’effetto, previe le comunicazioni prescritte dalla normativa vigente in materia di giudizio di ottemperanza, di “ dichiarare l’obbligo dell’INPS, in persona del Direttore legale rapp.te p.t. di conformarsi alla sentenza -OMISSIS- resa dal Tribunale di Roma Sezione Lavoro e Previdenza, passata in giudicato, che così ha provveduto: “accoglie la domanda;
per l’effetto dichiara il diritto della ricorrente ai benefici ex artt. 3 ss. L. 206/2004” alla regolarizzazione della relativa posizione previdenziale conseguente all’incremento figurativo decennale di versamenti contributivi ed in caso di inadempienza procedere alla nomina di un commissario ad acta che agisca in sua vece
”.

4. L’INPS appellata controdeduce ritenendo il gravame inammissibile, o comunque infondato, poiché nell’atto di appello non risulta enunciato con sufficiente puntualità il vizio addebitato alla sentenza di primo grado. Per quanto attiene alla lamentela della ricorrente che l’importo del rateo mensile così come liquidato dall’INPS (€ -OMISSIS-) è inferiore all’importo del trattamento minimo (€ -OMISSIS- per l’anno 2023), l’Istituto appellato sostiene che se tale deduzione è da intendere come motivo di appello, lo stesso sarebbe comunque infondato, perché “ come rilevato dal TAR, l’attività successiva all’accredito dei benefici previsti dall’art. 3 della legge n. 206/2004, e dunque l’attività di liquidazione della pensione sulla base della provvista contributiva comprensiva anche di quell’accredito, non è affatto vincolata dal giudicato della cui ottemperanza si tratta, sicché ogni eventuale questione relativa al quantum del trattamento non può che essere devoluta alla cognizione del Giudice ordinario…nel caso di specie non risulta allegato nel ricorso in appello né che l’integrazione sia stata richiesta né, tanto meno, che sussistano le condizioni reddituali per ottenerla. Non appare infine fondata neppure la rivendicazione con la quale controparte assume che la sua pensione dovrebbe essere pari ad 1,5 volte la misura dell’assegno sociale. La norma cui fa riferimento l’appellante pare essere l’art. 24, comma 7, del d.l. n. 201/2011 (c.d. Legge Fornero) ai sensi del quale si è previsto, per le sole pensioni di vecchiaia totalmente contributive (come fatto palese dal brano dell’articolo che destina tale previsione solo ai «lavoratori con riferimento ai quali il primo accredito contributivo decorre successivamente al 1° gennaio 1996», e dunque ai lavoratori che, ai sensi dell’art. 1, commi 6, 12 e 13 della legge n. 335/1995, sono destinatari del sistema contributivo), un ulteriore requisito di accesso a pensione, rappresentato appunto dal c.d. importo soglia… La pensione della ricorrente, dal canto suo, è invece totalmente retributiva, come si evince agevolmente sia dall’esame del modello di liquidazione depositato in primo grado, sia dalle stesse affermazioni con cui controparte, nel dichiarare di avere maturato il requisito contributivo di accesso a pensione sin da epoca anteriore all’entrata in vigore del d.l.gs. 30 dicembre 1992, n. 503 (si afferma infatti al riguardo la sussistenza dei presupposti per fruire delle cd. «deroghe Amato»), attesta con ciò la titolarità di contribuzione in epoca anteriore al 1° gennaio 1996, con consequenziale impossibilità di applicazione del sistema contributivo ”.

5. Alla pubblica udienza del 20 giugno 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

6. Nel giudizio introdotto in primo grado la ricorrente lamentava la totale inottemperanza dell’INPS al giudicato formatosi sulla sentenza -OMISSIS- del Tribunale di Roma in funzione del giudice del lavoro.

7. Essendo emerso in corso di causa che in realtà l’Amministrazione ha adottato dei provvedimenti in esecuzione del decisum giudiziale (liquidazione della somma e calcolo della pensione spettante alla ricorrente), il T.A.R. ha correttamente, ad avviso di questo Collegio, dichiarato il ricorso improcedibile.

8. In merito, infatti, si osserva che per lamentare l’inadeguatezza e/o la non satisfattività delle determinazioni adottate dall’INPS l’istante avrebbe dovuto proporre rituali motivi aggiunti, trattandosi all’evidenza di domanda nuova e diversa rispetto a quella originaria con cui era stata denunciata la semplice inerzia dell’Amministrazione. Non essendo stati proposti motivi aggiunti, e quindi non essendosi instaurato il contraddittorio sulle nuove doglianze di parte attrice (evidentemente incentrate sulla ritenuta erroneità del calcolo della pensione), non sussisteva per il primo giudice neanche la possibilità di delibare le questioni relative alla proponibilità o meno di tale doglianza nell’ambito del giudizio di ottemperanza nonché l’effettiva appartenenza di tale doglianza alla giurisdizione del giudice amministrativo, ovvero alla necessità che questa, proprio perché afferente al quantum dell’erogazione fosse sottoposta al giudice del lavoro (come evidenziato dal T.A.R., allorquando stigmatizza che “ tale attività successiva posta in essere dall’amministrazione [cioè la ricostruzione pensionistica] può essere oggetto di sindacato solo nell’ambito di un separato ed autonomo giudizio di cognizione dovendo rientrare negli ambiti lasciati liberi dal giudicato con attrazione alla cognizione del giudice ordinario in funzione del giudice del lavoro ”).

9. In conclusione, il Collegio ritiene di dover respingere l’appello, confermando la sentenza di primo grado anche alla luce delle considerazioni suesposte.

11. Sussistono comunque giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del presente grado.

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