Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-05-16, n. 202203808

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-05-16, n. 202203808
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202203808
Data del deposito : 16 maggio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/05/2022

N. 03808/2022REG.PROV.COLL.

N. 04753/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4753 del 2021, proposto da
A D P, rappresentato e difeso dagli avvocati prof. G M e prof. A P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Università degli Studi di Roma La Sapienza, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Pghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) n. 04736/2021, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 marzo 2022 il Cons. Francesco De Luca e uditi per la parte appellante gli avvocati A P e G M;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con decreto n. 1512/2020 del 10 giugno 2020 il Rettore dell’Università La Sapienza di Roma ha disposto che il Prof. Di P, professore ordinario di Diritto romano presso il Dipartimento di scienze giuridiche della Facoltà di Giurisprudenza del medesimo Ateneo, sarebbe stato collocato a riposo per limiti di età a decorrere dal 01.11.2020.

Il Prof. Di P, con istanza del 12 ottobre 2020, ha presentato al Rettore e al Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo di appartenenza richiesta di autorizzazione al trattenimento in servizio per la durata di tre anni, ai sensi dell’art. 1, comma 257, L. 28 dicembre 2015, n. 208, come modificata dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205 (per brevità, anche art. 1, comma 257, cit.), rappresentando l’intento di “ assicurare continuità al progetto scientifico e didattico in atto tra Sapienza-Università di Roma e la Zhongnan University of Economics and Law di Wuhan, innovativo e di riconosciuta rilevanza, finalizzato a promuovere reciprocamente la cultura giuridica dei (e nei) due Paesi ”.

La Giunta della Facoltà di Giurisprudenza, nella seduta del 16 ottobre 2020, chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione presentata dal Prof. Di P, ha espresso parere favorevole all’accoglimento dell’istanza, sottolineando la rilevanza e l’innovativa del peculiare contributo fornito dal Prof. Di P nell’ambito del progetto internazionale di collaborazione scientifico –didattica tra l’Ateneo romano e l’Università di Wuhan, corrispondendo pienamente il trattenimento in servizio del docente, per la durata di tre anni, a far data dal 1° novembre 2020 - in considerazione del peculiare contributo fornito dallo stesso Prof. Di P alla continuità del progetto internazionale - alle finalità del disposto di cui all’art. 1, comma 257, L. n. 208/15 cit.

Il Rettore dell’Ateneo, con provvedimento n. 2020-URM1SAM-0073982 del 19 ottobre 2020, ha rigettato l’autorizzazione al trattenimento in servizio del Prof. Di P, rilevando che, pur nell’apprezzamento delle considerazioni espresse dalla Giunta, volte a favorire lo sviluppo scientifico dell’Ateneo, l’istanza di trattenimento in servizio per la durata di anni tre oltre il limite ordinamentale di collocamento a riposo non poteva essere accolta, in ragione della sua manifesta inammissibilità.

L’Università, infatti, richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 133 del 2016, incentrata sulla portata generale dell’abrogazione dell’istituto del trattenimento in servizio, ha ritenuto che ogni disposizione volta ad autorizzare il trattenimento in servizio in relazione a determinate categorie di pubblici dipendenti non potesse che essere interpretata secondo il suo significato letterale e non fosse suscettibile di applicazione analogica.

2. Il Prof. Di P ha impugnato il provvedimento n. 73982 del 19 ottobre 2020 (e gli atti connessi), deducendo la “ Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 257, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, come modificato dalla legge 27 dicembre 2017, n. 205. Eccesso di potere per difetto di motivazione. Eccesso di potere per contraddittorietà con altri atti della medesima Amministrazione. Irragionevolezza, illogicità ed ingiustizia manifesta ”.

In particolare, con il motivo di doglianza il ricorrente, ricostruita l’evoluzione normativa registratasi in materia di trattenimento in servizio del personale alle dipendenze dell’Amministrazione pubblica e richiamate le pertinenti pronunce del giudice costituzionale intervenute al riguardo, ha ritenuto applicabile al caso controverso il disposto di cui all’art. 1, comma 257, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, come modificato dalla legge 27 dicembre 2017, n. 205, pervenendo a tale risultato esegetico sulla base di un’interpretazione letterale, sistematica e teleologica, oltre che costituzionalmente orientata.

Diversamente argomentando, il ricorrente, in via gradata, ove ritenuto impossibile accedere ad un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1, comma 257, cit., ha eccepito l’incostituzionalità della disposizione, in quanto violativa del principio costituzionale di ragionevolezza dell’esercizio della discrezionalità del legislatore in relazione alle previsioni di cui agli artt. 3, 33, 97, 98, co.1, Cost.

In particolare, non vi sarebbero state ragioni per riservare un trattamento deteriore ai docenti universitari che avessero in corso di svolgimento accordi con Università straniere di identica natura (salvo il loro possibile maggior pregio), in quanto ciò si sarebbe posto irrimediabilmente in manifesta violazione del fondamentale canone dell’uguaglianza e della parità di trattamento.

3. L’Università degli Studi di Roma La Sapienza si è costituita in giudizio, resistendo all’impugnazione.

4. Il Tar ha rigettato il ricorso, da un lato, ritenendo la disposizione invocata a fondamento del ricorso inapplicabile al caso di specie, dall’altro, escludendo i dubbi di legittimità costituzionale prospettati dal ricorrente.

A giudizio del Tar, infatti, si farebbe questione di una previsione derogatoria rispetto al divieto generale del trattenimento in servizio, con la conseguenza che il riferimento testuale al “ personale della scuola ” ed ai provvedimenti in materia che possono essere assunti soltanto “ dal dirigente scolastico e dal direttore generale dell'ufficio scolastico regionale ”, non autorizzerebbe una interpretazione estensiva o una applicazione analogia della norma alla categoria dei docenti universitari. Si tratterebbe di scelta normativa non inficiata da elementi di palese irragionevolezza;
ciò anche alla luce di quanto emergente dalla relazione tecnica alla Legge di Stabilità 2016.

Il Tar ha pure evidenziato come non potesse riscontrarsi alcuna violazione:

- dell’art. 3 Cost., presupponendo la norma che vi sia identità delle fattispecie poste a raffronto, mentre il personale della scuola non sarebbe sovrapponibile a quello universitario;

- dell’art. 97 Cost., in quanto, come evidenziato anche dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 133/2016, il provvedimento garantirebbe il ricambio generazionale ed il risparmio di spesa ed il prolungarsi del servizio oltre i limiti non potrebbe essere ritenuto indice di accrescimento dell’efficienza organizzativa.

5. Il Prof. Di P ha appellato la sentenza di primo grado, formulando due motivi di impugnazione, riferiti alla corretta interpretazione dell’art. 1, comma 257, cit., da intendere come applicabile al caso di specie;
nonché, in subordine, all’incostituzionalità della disciplina in parola, ove ritenuta riferibile al solo personale scolastico con esclusione del personale docente universitario.

6. L’Ateneo intimato si è costituito in giudizio, resistendo all’appello e svolgendo argomentazioni controdeduttive con memoria del 10 luglio 2021.

7. Con ordinanza n. 3905 del 16 luglio 2012, la Sezione ha accolto l’istanza cautelare formulata in appello ai soli fini della sollecita definizione del giudizio, rilevando che “ le questioni poste con l’atto di appello devono essere decise nel merito in quanto presuppongono una valutazione di conformità della norma attributiva del potere alla Costituzione ”.

A tali fini è stata fissata l’udienza pubblica per il giorno 11 novembre 2021.

8. L’appellante, con memoria dell’11 ottobre 2021, ha ulteriormente illustrato le argomentazioni a sostegno del proprio ricorso in appello, chiedendo l’integrale riforma dell’impugnata sentenza “ previa occorrendo la proposizione dell’incidente di costituzionalità dell’art. 1, comma 257 della legge n. 208/2015, per contrasto con gli artt. 2, 3, 33 e 97 Cost. nei termini sopra illustrati e previa sospensione della sentenza impugnata e degli effetti del provvedimento impugnato, assicurando così al ricorrente il trattenimento triennale in servizio già deliberato dalla Giunta della Facoltà di Giurisprudenza della Sapienza, sino all’udienza o alla camera di consiglio immediatamente successiva all’emananda sentenza della Corte costituzionale ”.

9. L’Ateneo ha replicato alle avverse deduzioni con memoria del 21 ottobre 2021.

10. Con ordinanza n. 7704 del 18 novembre 2021 la Sezione, richiamato il progetto scientifico e didattico in atto tra Sapienza-Università di Roma e la Zhongnan University of Economics and Law di Wuhan, ha disposto istruttoria ritenendo necessario che “ l’Università resistente depositi una relazione di chiarimenti, con allegata la prescritta documentazione, finalizzati a descrivere nel dettaglio: i) la natura del suddetto progetto;
le modalità del riconoscimento;
l’inizio, la durata e la conclusione;
la valenza innovativa (indicando i profili di innovatività);
ii) lo specifico ruolo svolto dall’appellante nell’ambito di tale progetto
”.

Non essendo stato disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte Costituzionale, il Collegio ha inoltre ritenuto non necessario pronunciarsi sulla domanda cautelare.

11. L’Ateneo ha depositato in data 14 dicembre 2021 la relazione di chiarimenti richiesta dal Collegio unitamente alla documentazione ivi richiamata.

12. Le parti, in vista dell’udienza di discussione, hanno depositato memoria conclusionale, insistendo nelle rispettive conclusioni, anche sulla base di quanto emergente dall’istruttoria espletata nell’odierno grado di giudizio.

13. L’appellante ha depositato, altresì, memoria di replica in data 3 marzo 2022.

14. L’Ateneo, con note di udienza del 22 marzo 2022, ha chiesto la decisione della controversia.

15. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza pubblica del 24 marzo 2022.

DIRITTO

1. Il ricorso in appello è articolato in due motivi di impugnazione suscettibili di trattazione congiunta per ragioni di connessione.

1.1 Con il primo motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha negato la possibilità di applicare, a definizione dell’odierna controversia, il disposto di cui all’art. 1, comma 257, L. n. 208/15 cit.

Ragioni di ordine letterale, sistematico e teleologico imporrebbero, secondo la prospettazione attorea, di accogliere l’opposto indirizzo esegetico, intendendo l’art. 1, comma 257, L. n. 208/15 cit. come applicabile anche al personale docente universitario. Si tratterebbe, peraltro, di un’interpretazione costituzionalmente orientata, suscettibile di imporsi all’interprete nella ricostruzione del significato precettivo della disposizione esaminata.

In particolare, secondo quanto dedotto dall’appellante:

- l’art. 1, comma 257, L. n. 208/15, letto alla luce dell’evoluzione normativa registratasi in materia (trattasi di disposizione introdotta subito dopo e nonostante l’abrogazione dell’istituto generale del trattenimento in servizio), tenderebbe a temperare il generale divieto di trattenimento in servizio, considerando particolarmente importanti (e pressanti) le esigenze di promozione e conservazione di rilevanti e innovativi progetti didattici internazionali, nonché preoccupandosi di disciplinare il trattenimento in servizio del docenti come mezzo al fine di garanzia del buon andamento del progetto internazionale e delle relazioni con gli altri Paesi;
ciò tenuto conto anche dell’estensione del periodo massimo di trattenimento in servizio disposto con la L. n. 205/2017 (transitato da due a tre anni);

- la norma tenderebbe a tutelare la continuità delle attività previste dagli accordi sottoscritti con scuole o università dei Paesi stranieri, con conseguente emersione di interessi pubblici certamente ravvisabili anche in relazione al personale docente universitario, il cui trattenimento in servizio, lungi dal costituire una minaccia al ricambio generazionale, sarebbe funzionale a garantire nel tempo la continuità dei rapporti in ambito accademico;
sul piano economico, peraltro, il trattenimento di un docente universitario, al fine di assicurare la continuità dei progetti di ricerca, non costituirebbe un aggravio economico per la finanza pubblica, così come la mancata applicazione dell’istituto non consentirebbe alcun risparmio di spesa, ferma restando la necessaria prosecuzione delle attività didattiche;
dovrebbe, anzi, ritenersi che la brusca interruzione del servizio di un docente sia idonea a pregiudicare i risultati fino a quel momento raggiunti, evitando un successivo ed ulteriore impiego di risorse previamente investite;

- la norma, inoltre, sul piano letterale, troverebbe applicazione ad accordi con università dei Paesi stranieri, con la conseguenza che non potrebbero escludersi, come parte nazionale contraente con le università dei Paesi stranieri, le università italiane, tenuto conto che i più rilevanti e innovativi progetti internazionali sarebbero proprio quelli concordati tra Università;

- l’interpretazione proposta sarebbe l’unica in grado di assicurare la conformità della norma a Costituzione, tenuto conto che “ Ove il testo della norma venisse interpretato letteralmente come limitato al trattenimento in servizio dei soli docenti del comparto scuola impegnati nell’esecuzione di questi accordi con università straniere e non anche dei docenti universitari nella stessa situazione, si avrebbe l’effetto del tutto illogico di offrire maggiore tutela agli accordi tra scuole superiori italiane e università straniere (ammesso che ne esistano in numero significativo) rispetto agli accordi tra università italiane e università straniere (casistica ben più diffusa e rilevante). È evidente l’irragionevolezza di un’interpretazione che, pretendendo di rispettare la lettera della disposizione, finisce per tradire l’obiettivo che lo stesso comma 257 fissa a chiare lettere ” (pagg. 12/13 ricorso in appello);

- non potrebbe argomentarsi diversamente sulla base della menzione, nell’ambito della disposizione normativa, della sola amministrazione scolastica, essendosi in presenza di un errore redazionale probabilmente dovuto all’urgenza della conclusione dell’iter approvativo della legge di stabilità di cui la norma in questione fa parte;

- in definitiva, si farebbe questione di una norma pensata per tutto il personale docente che, anche nella sua lettera, fa espresso richiamo degli accordi fra le Università, con conseguente sua diretta applicabilità anche al personale docente universitario.

1.2 Con il secondo motivo di appello, articolato in via subordinata, per l’ipotesi in cui si ritenesse impossibile accogliere un’interpretazione dell’art. 1, comma 257, cit. tale da includere nel relativo ambito di applicazione anche il personale docente universitario, l’appellante ha chiesto di sollevare questione di legittimità costituzionale, ravvisando un contrasto con il principio di ragionevolezza dell’esercizio della discrezionalità del legislatore in relazione agli artt. 3, 33, 97, 98, comma 1, Cost.

In particolare, secondo quanto dedotto dal Prof. Di P, risulterebbe irragionevole una norma che contempli, come parte nazionale contraente con le Università dei Paesi stranieri, le sole Scuole (elementari, medie inferiori e superiori), escludendovi le Università, che dei più rilevanti e innovativi progetti internazionali sono proprio le protagoniste.

Non potrebbero trarsi argomentazioni contrarie dalla sentenza della Corte costituzionale n. 133/2016, trattandosi di pronuncia che non ha affrontato il tema della disparità di trattamento di cui all’art. 1, comma 257, cit.: potrebbe, anzi, desumersi da tale pronuncia un opposto principio ostativo a discriminazioni tra comparto scuola e comparto università.

La sentenza n. 83/13 della Corte costituzionale esprimerebbe, invece, un principio conferente al caso di specie, escludendo la legittimità di un regime diverso tra docenti universitari e altri dipendenti pubblici e, dunque, impedendo quella discriminazione tra personale docente universitario e personale scolastico generata illegittimamente dalla norma per cui è causa.

1.3 L’appellante, con le memorie difensive depositate nel corso del giudizio, ha insistito sulla necessità di procedere ad un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione invocata a fondamento del ricorso e, in subordine, sulla sua illegittimità costituzionale.

In particolare, il ricorrente ha valorizzato il riferimento testuale all’università, operato dall’art. 1, comma 257 cit., da intendere come comprensivo delle università italiane e, dunque, di accordi tra università italiane e università dei Paesi stranieri: si farebbe questione di accordi, implicanti una manifestazione tipica dell’autonomia universitaria ex art. 33 Cost., funzionali al soddisfacimento di interessi pubblici più intensi rispetto a quelli che potrebbero conseguire ad ipotetici accordi tra istituzioni della scuola primaria o secondaria e università straniere, difficilmente configurabili sul piano ordinamentale e inesistenti sul piano pratico.

Per l’effetto, l’ “ Agreement on Cooperative Postgraduate Education Program in European Union Private Law between Zhongnan University of Econimics and Law (Wuhan, China) and Sapienza University of Rome ” del 5 luglio 2018, tuttora in essere, dovrebbe rientrare nella portata applicativa della norma in parola;
la valutazione sulla sussistenza dei presupposti per il trattenimento in servizio dei docenti universitari rientrerebbe, peraltro, nell’ambito dell’autonomia universitaria, essendo rimessa all’apprezzamento dell’Ateneo.

L’interpretazione avversata con il ricorso in appello e accolta dal primo giudice, invece, determinerebbe una discriminazione alla rovescia di diritto interno, emergendo, rispetto al personale della scuola, un trattamento deteriore delle istituzioni universitarie, che, da un lato, violerebbe l’autonomia universitaria (suscettibile di esplicarsi anche con la cooperazione internazionale nell’ambito della ricerca e della didattica, come precisato dallo Statuto de La Sapienza), dall’altro, non terrebbe conto che per i professori universitari la differenziazione rispetto ai dipendenti civili dello Stato, come pure riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 88/13, si presenta in modo più marcato avuto riguardo ai criteri ed alle peculiarità dell’insegnamento universitario.

Tali considerazioni troverebbero conferma nell’istruttoria svolta in appello, da cui emergerebbe la rispondenza del trattenimento in servizio triennale del ricorrente al fine di “ assicurare continuità ” all’accordo internazionale con la ZUEL: il ricorrente risulterebbe, infatti, l’ideatore e il promotore di tale accordo, ragion per cui sarebbe ipotizzabile che, per assicurare la continuità di esso, le istituzioni contraenti abbiano confidato sulla possibilità della sua permanenza in servizio per un triennio dopo il termine per il suo pensionamento “ordinario” al 31 ottobre 2020.

2. Al fine di risolvere l’odierna controversia, occorre, dapprima, ricostruire il significato precettivo dell’art. 1, comma 257, L. n. 208/15 alla base delle pretese attoree, verificando se si sia in presenza di una disposizione direttamente applicabile anche al personale docente universitario;
all’esito, ove dovesse fornirsi un riscontro negativo a tale preliminare quesito, sarà necessario soffermarsi sulla compatibilità della relativa norma rispetto ai parametri costituzionali delineati dal ricorrente, tenuto conto che, a fronte di un dubbio di legittimità costituzionale, il Collegio sarebbe obbligato a rimettere alla Corte costituzionale la soluzione della relativa questione di legittimità.

3. Iniziando l’analisi dall’interpretazione della disposizione recata dall’art. 1, comma 257, L. n. 208/15, si osserva che il legislatore ha inteso assicurare la “ continuità alle attività previste negli accordi sottoscritti con scuole o università dei Paesi stranieri ”, dettando una disciplina, derogatoria rispetto al divieto generale di trattenimento in servizio, riferita al “ personale della scuola impegnato in innovativi e riconosciuti progetti didattici internazionali svolti in lingua straniera ”.

Relativamente a tale categoria di personale, alla stregua di quanto emergente dall’originaria formulazione della disposizione, era prevista la possibilità, al raggiungimento dei requisiti per la quiescenza, di “ chiedere di essere autorizzato al trattenimento in servizio retribuito per non più di due anni ”;
con l’art. 1, comma 630, L. 27 dicembre 2017, n. 205, il limite temporale è stato esteso al triennio.

Il legislatore ha, infine, previsto che “ il trattenimento in servizio è autorizzato, con provvedimento motivato, dal dirigente scolastico e dal direttore generale dell'ufficio scolastico regionale ”, nonché che dall’attuazione della relativa disciplina non sarebbero potuti derivare “ nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica ”.

4. Ai sensi di quanto previsto dall’art. 12, comma primo, disp. prel. c.c., “ Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore ”.

Tale disposizione richiama due criteri interpretativi da osservare nell’attività ermeneutica, valorizzando l’importanza sia del dato letterale e, dunque, delle parole componenti l’enunciato linguistico da interpretare, sia dell’intenzione del legislatore, intesa prevalentemente, più che come intento del legislatore storico (da ritenere, comunque, ove concretamente ricostruibile, utilmente valorizzabile ai fini interpretativi quale elemento del contesto storico in cui ha avuto origine la disposizione interpretanda), quale ratio del sistema in cui la disposizione da analizzare si inserisce e alla luce del quale deve essere intesa.

4.1 Al riguardo, la giurisprudenza ha talvolta inteso ordinare i criteri interpretativi di cui all’art. 12 disp. prel. c.c. secondo una specifica gerarchia, individuando un criterio principale ed uno sussidiario, utilizzabile soltanto qualora l’applicazione del primo permetta di risolvere il dubbio ermeneutico concretamente rilevante.

In particolare, questo Consiglio ha evidenziato che l'art. 12 delle preleggi, laddove stabilisce che nell'applicare la legge non si può attribuire alla stessa altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dall'intenzione del legislatore, non privilegia il criterio interpretativo letterale poiché evidenzia, con il riferimento “all'intenzione del legislatore”, un essenziale riferimento alla coerenza della norma e del sistema: di conseguenza, “ il dualismo, presente nell'art. 12, tra lettera ("significato proprio delle parole secondo la connessione di esse") e spirito o ratio ("intenzione del legislatore") va risolto con la svalutazione del primo criterio, rilevandosi inadeguata la stessa idea di interpretazione puramente letterale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 dicembre 2012, n. 6392;
Id., 7 ottobre 2013, n. 4920;
Id., sez. IV, 11 febbraio 2016, n. 606;
Cass. civ., sez. lav., 11 febbraio 2014, n. 3036;
Id., sez. III, 20 marzo 2014, n. 6514)" (C.d.S., Sez. IV, 30 giugno 2017, n. 3233)
” (Consiglio di Stato, Sez. II, 5 maggio 2021, n. 3524).

Tale gerarchia, che attribuisce prevalenza allo spirito e alla ratio della norma, non sembra tuttavia condivisa da altra parte della giurisprudenza, che fa leva (di contro) sulla preminenza del criterio letterale, ritenuto idoneo, in talune ipotesi, ad esaurire l’attività dell’interprete nella ricerca del significato precettivo dell’enunciato linguistico esaminato.

In particolare, è stato evidenziato che, nell'ipotesi in cui l'interpretazione letterale di una norma di legge o regolamentare sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il significato e la connessa portata precettiva, l'interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca -mercé l'esame complessivo del testo- della “ mens legis ”, specie se, attraverso siffatto procedimento, possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma sì come inequivocabilmente espressa dal legislatore: difatti, “ soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l'elemento letterale e l'intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, si che il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all'equivocità del testo da interpretare, potendo, infine, assumere rilievo prevalente rispetto all'interpretazione letterale soltanto nel caso, eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo, non essendo consentito all'interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che la compongono nell'ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma stessa è intesa ” (tra gli altri, Cass. civ. Sez. lavoro, 3 novembre 2021, n. 31470).

Tale impostazione - che valorizza il significato letterale delle parole componenti la disposizione normativa interpretanda, precludendo il ricorso a ulteriori criteri ermeneutici, suscettibili di essere impiegati soltanto in via sussidiaria, nel caso in cui il dato letterale non consenta di pervenire a una interpretazione univoca della disposizione normativa - è stata talvolta accolta anche da parte di questo Consiglio di Stato (cfr. sez. VI, 1 dicembre 2021, n. 8011).

4.2 In assenza di una graduazione dei criteri interpretativi operata ex lege , considerato pure il contrasto di indirizzi sostenuti dalla giurisprudenza, espressivo dell’assenza di un orientamento dominante formatosi in materia, il Collegio esclude la possibilità di dare prevalenza in via aprioristica all’uno o all’altro criterio interpretativo, risultando ciascuno di essi di utilità nella ricostruzione del precetto normativo da applicare a soluzione del caso concreto: difatti, di regola, è difficile che il significato percettivo di una disposizione possa essere desunto sulla base di un unico criterio interpretativo, risultando piuttosto il risultato di un’applicazione combinata dei vari criteri elaborati dalla scienza giuridica e dalla giurisprudenza formatasi in materia (cfr. criterio letterale, sistematico, teleologico o evolutivo).

4.3 In particolare, non sembra potersi svalutare la rilevanza del criterio letterale, che non soltanto è utile a orientare l’attività ermeneutica, ma funge pure da suo limite, evitando che l’interpretazione, mutando la propria natura giuridica (dichiarativa), conduca, anziché all’enunciazione del precetto posto dal legislatore - attraverso l’assegnazione alla disposizione interpretata di un significato già in essa contenuto alla stregua del suo significato letterale - alla creazione di una nuova norma, mediante la selezione di un significato precettivo non riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario.

Il criterio letterale, peraltro, di regola, consente di assegnare alla disposizione un significato immediatamente percepibile dai consociati tenuti all’osservanza della legge, richiamando il senso proprio delle parole impiegate a fini comunicativi nell’ambito di una data comunità territoriale, senza richiedere approfondite conoscenze giuridiche, sociologiche, economiche o storiche, che potrebbero pure non essere nella diretta disponibilità dei destinatari del precetto normativo: per l’effetto, non potrebbe assegnarsi alla disposizione un significato che non sia in essa contenuto, in quanto non riconoscibile dai destinatari come una delle possibili letture del testo originario.

Il criterio letterale, in definitiva, impone di rispettare il tenore testuale della disposizione interpretata, permettendo di selezionare le varie interpretazioni possibili, corrispondenti alle varianti di senso compatibili con il tenore letterale del testo interpretato, in tale modo evitando che in via interpretativa si provveda all’integrazione del precetto della disposizione preesistente aggiungendone uno nuovo e allargandone l’ambito di applicazione a fattispecie esulanti da quello originario (diverso è il caso dell’applicazione analogica della legge per la regolazione di casi non disciplinati, tematica imposta dal principio di completezza dell’ordinamento, che come si osserverà infra , tuttavia, non rileva nell’odierno giudizio).

4.4 Come osservato, il mero criterio letterale, di regola, non può ritenersi sufficiente ad esaurire l’attività interpretativa. Per l’effetto, l’interprete è chiamato ad un’applicazione combinata dei vari criteri ermeneutici, tenendo conto, tra l’altro:

- del contesto storico in cui è originata la disposizione da esaminare (come ricostruibile, altresì, sulla base di elementi non soltanto eminentemente giuridici, ma anche economici o sociali) e degli obiettivi di tutela alla base della sua introduzione nell’ordinamento;

- del contesto attuale in cui la disposizione è destinata a trovare applicazione, come evolutosi nel tempo, avendo riguardo, dunque, anche alle nuove esigenze di tutela che la disposizione è chiamata a soddisfare (ben potendo tale processo di attualizzazione della disposizione influire sul significato precettivo alla stessa associabile, mutando gli esiti originari del procedimento ermeneutico);

- del sistema normativo in cui la disposizione è inserita, risultando il collegamento tra le disposizioni che compongono l’ordinamento idoneo ad incidere sull’attività ermeneutica, stante la necessità di interpretare ciascuna disposizione per mezzo delle altre.

4.5 Del resto, la necessità di un’applicazione combinata dei criteri ermeneutici per l’estrazione dalla disposizione del precetto da applicare a regolazione del caso concreto, costituisce un’esigenza avvertita anche in ambito unionale, avendo la Corte di Giustizia ripetutamente affermato la necessità di intendere la disposizione, tenuto conto “ non soltanto del tenore letterale della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte ” (tra gli altri, Corte di Giustizia, 21 dicembre 2021, in causa C-124/20, punto 43;
Id., 2 dicembre 2021, in causa C-484/20, punto 19 e l’ulteriore giurisprudenza ivi citata).

4.6 Alla luce di tali considerazioni, è possibile soffermarsi sul caso di specie.

5. La disposizione rilevante per la soluzione dell’odierna controversia (art. 1, comma 257, cit.), come osservato, è espressamente rivolta al “ personale della scuola ”, che sia “ impegnato in innovativi e riconosciuti progetti didattici internazionali svolti in lingua straniera ”, nonché è tesa ad assicurare la “ continuità alle attività previste negli accordi sottoscritti con scuole o università dei Paesi stranieri ”.

Ne deriva che:

- il presupposto di applicazione della disposizione in esame è dato dall’esistenza di accordi conclusi con istituzioni scolastiche e universitarie appartenenti ad ordinamenti stranieri;

- i destinatari della disposizione de qua sono individuati nei lavoratori alle dipendenze della scuola italiana, che siano impegnati in progetti didattici riconosciuti e innovativi, aventi carattere internazionale, definiti nell’ambito di accordi con istituzioni universitarie e scolastiche di Paesi stranieri, la cui continuità costituisce l’obiettivo di tutela perseguito dal legislatore.

5.1 Nell’odierno giudizio, all’esito dell’istruttoria svolta dalla Sezione, è chiaro che il progetto didattico in cui è impegnato il Prof. Di P è caratterizzato dall’elevata innovatività, ha ricevuto importanti riconoscimenti in ambito nazionale e internazionale, nonché costituisce una rilevante forma di collaborazione tra istituzioni appartenenti ad ordinamenti differenti, cinese e italiano, concretizzatasi in numerosi accordi, di natura programmatica ed applicativa.

Ne costituiscono una evidente dimostrazione:

- la sottoscrizione dell’accordo quadro dell’11 aprile 2016 e del relativo protocollo esecutivo del 24 maggio 2016 tra la Sapienza Università di Roma e la Zhongnan University of Economics and Law (ZEUL) di Wuhan (Cina), riguardante la cooperazione in campo giuridico;

- la sottoscrizione di apposita convenzione tra le due istituzioni universitarie del 13 gennaio 2017 per la costituzione del “Centro di Studi Giuridici Italo-Cinese”, in Roma, alla presenza del Presidente della Repubblica;

- l’inaugurazione in data 10 marzo 2017, a Roma, della Biblioteca Giuridico Italo-Cinese dello stesso Centro Studi alla presenza del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica, dotata allo stato di circa 6.000 titoli e beneficiaria di apposito contributo ministeriale;

- la sottoscrizione in data 27 giugno 2018 da parte dei Rettori delle due Università della Convenzione per l’istituzione della sede “Sapienza” presso ZEUL e l’attivazione del Corso di Laurea magistrale in European Studies, curriculum in Comparative and European Law ;

- l’inaugurazione nei giorni 26-29 aprile 2019, a Wuhan, dell’istituto Italo-Cinese e del corso di laurea magistrale in European Studies , in relazione a cui il Presidente del Consiglio ha inviato un messaggio di auguri;

- la finalizzazione del progetto alla formazione di giovani giuristi cinesi in chiave civilistica-romanistica, di impronta europea-continentale e allo scambio di esperienze, nonché alla collaborazione in campo giuridico tra gli Atenei dei due Paesi.

5.2 L’istruttoria espletata ha evidenziato, altresì, la centralità del ruolo svolto dal Prof. Di P nella promozione e nello sviluppo del progetto didattico e, più in generale, delle forme di collaborazione tra i due Atenei, segno dell’eccezionale valore scientifico e professionale del docente, apprezzato e riconosciuto in ambito nazionale e internazionale.

Ciò è dimostrato:

- dalla lunga esperienza di collaborazione scientifica e didattica del Prof. Di P, avviata oltre 25 anni fa, sulla codificazione e sulla formazione del giurista in Cina, contrassegnata dalla partecipazione, come relatore, al I Congresso Internazionale su “ Diritto romano. Diritto cinese. Codificazione del diritto civile ”, svoltosi a Pechino nel 1994;
dalla partecipazione, come docente, ai “ Corsi di formazione per Procuratori del Popolo e Magistrati della RPC ” tenutisi a Roma nel 1999 e nel 2002, nonché al “ Corso di Alta Formazione in Diritto romano per docenti della RPC ”, tenutosi a Roma nel 2007;
dalla costituzione dell’Osservatorio sulla Codificazione e sulla Formazione del Giurista in Cina nel quadro del Sistema Giuridico Romanistico dal 2008;
dalla partecipazione alla Sessione su “ Il dialogo nelle professioni ” nell’ambito del Convegno Internazionale presso l’Accademia Nazionale dei Lincei su “ Un tempo dei giuristi. Studio del diritto e formazione del giurista. Migrazione di concetti e principi ”, in occasione del 40° anniversario delle relazioni diplomatiche tra Italia e RPC svoltosi a Roma nel dicembre 2010;
dalla partecipazione, in qualità di relatore, al Congresso Internazionale su “ Cina e Codificazione nel XXI secolo. La parte generale del Diritto civile in vigore dal 1° ottobre 2017 ” svoltosi a Roma nell’ottobre 2017;
nonché dalla partecipazione, con intervento di apertura, al convegno internazionale su “ Verso il nuovo codice civile cinese. La giurisprudenza romana e le codificazioni civilistiche moderne ” organizzato dalla Sapienza-Università di Roma e dalla Zhongnan University of Economics and Law di Wuhan e svoltosi a Roma nel febbraio 2018;

- dallo svolgimento della professione legale, risultando il Prof. Di P, secondo quanto relazionato dall’Amministrazione, “ l’unico tra i docenti di diritto romano della Sapienza che, oltre ad insegnare le Istituzioni di diritto privato, esercita anche la professione legale ”;
circostanza rilevante ai fini dell’esecuzione del progetto didattico, tenuto conto che, proprio nella veste di avvocato, sulla base di una convenzione stipulata nel febbraio 2018 tra lo studio Di P e la Zhongnan University of Economics and Law di Wuhan, l’odierno ricorrente ha svolto attività di formazione presso il proprio studio in favore di giovani laureati cinesi;

- dal conferimento al Prof. Di P, per tali specifiche competenze (romanistica-civilistica, sulla codificazione e sulla formazione del giurista in Cina, di avvocato), dell’insegnamento di Legal Practice nell’ambito del progetto didattico in esame.

Tali circostanze, emergenti dall’istruttoria svolta, confermano l’importanza della partecipazione del Prof. Di P (l’Ateneo discorre di infungibilità) per l’esecuzione del progetto didattico, permettendo di declinare le competenze teoriche in una chiave di applicazione pratica forense;
il che risulta particolarmente rilevante nell’ambito di un corso che prevede l’abbinamento di lezioni di didattica frontale costruite su casi giurisprudenziali ad esperienza di clinica legale, con la partecipazione di gruppi di studenti ad attività legali svolte dallo studio Di P.

5.3 L’istruttoria ha, dunque, dimostrato che nella specie si fa questione di un progetto didattico internazionale (recante elementi di collegamento con un ordinamento straniero), oggetto di prestigiosi riconoscimenti ai più alti livelli istituzionali, certamente innovativo, risultando, alla luce di quanto relazionato dall’Amministrazione, l’unico esperimento in Italia di un corso di laurea magistrale, in inglese, erogato in Cina.

Trattasi, inoltre, di progetto previsto nell’ambito di accordi con un’università cinese, in relazione al quale emerge l’importanza del profilo scientifico e didattico del Prof. Di P, effettivamente impiegato nell’ambito dell’attività di docenza, anche quale professionista forense, pure in ragione dell’accordo concluso dal proprio studio professionale con l’università di Wuhan, intervenuto nell’ambito della complessiva cooperazione instaurata tra gli Atenei dei due Paesi.

6. Avuto riguardo agli elementi costitutivi della fattispecie dall’art. 1, comma 257 cit., è pertanto integrato l’elemento del progetto didattico internazionale, innovativo e riconosciuto, svolto in lingua straniera.

Occorre verificare se la presenza di accordi internazionali tra gli Atenei di due Paesi e l’effettivo impegno dell’odierno ricorrente, docente universitario, nell’ambito del relativo progetto didattico, permettano di integrare gli ulteriori elementi necessari per l’applicazione della disposizione in esame e, dunque, per autorizzare il trattenimento in servizio, nei limiti del triennio, dell’odierno ricorrente.

In particolare, è necessario verificare se l’art. 1, comma 257, nel riferirsi a progetti didattici internazionali in lingua straniera, riconosciuti e innovativi, trovi applicazione anche a progetti definiti nell’ambito di accordi intervenuti tra Università (italiana e straniera), che prevedano l’impegno del personale docente universitario.

7. Al riguardo, è necessario partire dal dato letterale, la cui importanza, come sopra osservato, non sembra potersi svalutare nella ricostruzione del significato precettivo di ogni disposizione normativa.

7.1 Secondo la prospettazione attorea, tra i destinatari dell’art. 1, comma 257, dovrebbero annoverarsi anche i docenti universitari, non potendo ritenersi dirimente il riferimento al personale della scuola operato dal legislatore e, comunque, valorizzando lo stesso dato letterale gli accordi in cui sia parte l’Università, con conseguente riferibilità del relativo precetto normativo anche agli accordi in cui sia parte un Ateneo italiano e, dunque, agli accordi che prevedano l’impiego del personale docente dell’Università nazionale contraente.

7.2 Una tale interpretazione non risulta compatibile con il tenore testuale dell’art. 1, comma 257.

7.3 Il legislatore ha sì richiamato gli “ accordi sottoscritti con scuole o università dei Paesi stranieri ”, ma ha pure precisato che il personale che può chiedere di essere autorizzato al trattenimento in servizio è soltanto “ il personale della scuola ”.

In particolare:

- con la prima locuzione, riferita alle scuole o università dei Paesi stranieri, il legislatore ha individuato soltanto l’interlocutore istituzionale della parte nazionale, in tale modo selezionando la tipologia di accordi internazionali rispetto ai quali si manifesta un’esigenza di continuità dell’attività didattica, da soddisfare ricorrendo all’istituto del trattenimento in servizio del personale dipendente;

- con la seconda espressione, riguardante il personale scolastico, il legislatore ha individuato il destinatario della norma, abilitato a presentare l’istanza di trattenimento in servizio una volta raggiunti i requisiti per la quiescenza.

Perché possa autorizzarsi il trattenimento in servizio, dunque, occorre che l’istante sia dipendente della scuola -e, dunque, dell’Amministrazione scolastica-, impegnato in progetti didattici (aventi i predetti requisiti di internazionalità, riconoscimento e innovatività) nell’ambito di una cooperazione internazionale, istituita dalla propria parte datoriale con “ scuole o università dei Paesi stranieri ”.

In altri termini, riferendosi agli accordi sottoscritti con scuole o università appartenenti ad ordinamenti stranieri, il legislatore, anziché regolare gli accordi tra università italiane e straniere, si è limitato ad individuare l’interlocutore istituzionale della parte nazionale. Quest’ultima, pure non espressamente contemplata dal dato positivo, è individuata attraverso il riferimento - quale destinatario della disposizione - al personale della scuola, corrispondendo, dunque, all’ente di appartenenza del dipendente beneficiario del trattenimento in servizio e, pertanto, all’Amministrazione scolastica titolare del relativo rapporto di lavoro.

In definitiva, sul piano letterale, la disposizione in esame regola accordi conclusi tra l’Amministrazione scolastica nazionale e le istituzioni scolastiche o universitarie straniere, nonché legittima la richiesta di autorizzazione del trattenimento in servizio del solo personale scolastico impegnato, nell’ambito di tali accordi, in progetti didattici riconosciuti, innovativi e internazionali (in lingua straniera), escludendo il personale appartenente ad altri enti, quali sono le università italiane.

Nel linguaggio comune, la scuola e l’università delineano, infatti, differenti istituzioni, competenti ad erogare un diverso servizio di istruzione (scolastico e universitario), con la conseguenza che il personale della scuola deve essere inteso come personale alle dipendenze delle istituzioni scolastiche, distinto rispetto al personale dipendente delle Università.

7.4 Tale interpretazione, del resto, è confermata dalle ulteriori previsioni recate dall’art. 1, comma 257, in commento, regolanti l’iter autorizzatorio da osservare per consentire la permanenza in servizio del dipendente.

A tali fini, il legislatore ha richiesto l’adozione di un provvedimento del dirigente scolastico e del direttore generale dell'ufficio scolastico regionale, confermando in tale modo che la parte nazionale chiamata ad autorizzare il trattenimento in servizio è soltanto l’Amministrazione scolastica, titolare del relativo rapporto di lavoro.

Si conferma, dunque, la necessità di individuare nel solo personale scolastico il novero dei dipendenti pubblici beneficiari della norma sul trattenimento in servizio in esame.

7.5 Non potrebbe diversamente argomentarsi, rilevando che gli accordi tra scuole italiane, da un lato, e scuole o università di Paesi stranieri, dall’altro, siano di difficile configurazione o di impossibile attuazione, con la conseguente necessità di intendere la disposizione come regolante propriamente gli accordi tra università italiane e straniere e, dunque, come abilitante il trattenimento in servizio del personale docente universitario impiegato nell’ambito dei relativi accordi.

Difatti:

- in primo luogo, non sussiste un limite normativo ostativo alla capacità di un’istituzione scolastica nazionale di intrattenere rapporti convenzionali non soltanto con le scuole straniere (e, dunque, con soggetti appartenenti ad un analogo sistema di educazione e di istruzione), ma anche con università straniere, specie in vista dell’accesso degli studenti scolastici al livello superiore di istruzione universitaria;

- in secondo luogo, dal sistema normativo sono desumibili opposti indici normativi, volti a favorire la conclusione di accordi tra istituzioni scolastiche e istituzioni universitarie, anche in ambito internazionale.

Sotto tale ultimo profilo, sebbene non risulti effettivamente frequente la conclusione di siffatti accordi (alla luce di quanto infra verrà precisato), appare utile richiamare:

- l’art. 2, comma 4, D. Lgs. n. 226/05, che valorizza, nell’àmbito dei percorsi liceali, le intese concluse tra le istituzioni scolastiche e le università, al fine di stabilire, con riferimento all'ultimo anno del percorso di studi, specifiche modalità per l'approfondimento delle conoscenze e delle abilità richieste per l'accesso ai corsi di studio universitari, rispetto ai quali i percorsi dei licei sono propedeutici, nonché per l'approfondimento delle conoscenze e delle abilità necessarie per l'inserimento nel mondo del lavoro;

- l’art. 1, comma 8, del medesimo decreto legislativo, che prevede la possibilità di riconoscere, da parte delle istituzioni scolastiche, le esercitazioni pratiche, le esperienze formative, i tirocini di cui all'articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196 e gli stage realizzati anche all'estero;
il che, di regola, implica una previa regolazione in via convenzionale delle relative attività.

Si conferma, dunque, la possibilità per le istituzioni scolastiche di concludere accordi anche con università, pure ove appartenenti a Paesi stranieri, ai fini della regolazione di attività di interesse comune, correlate al processo di istruzione e formazione degli studenti scolastici in vista dell’accesso al mondo universitario;
il che costituisce l’effettivo ambito di applicazione dell’art. 1, comma 257, cit., come fatto palese dal dato letterale e, dunque, dagli enunciati linguistici che lo compongono.

8. Tale interpretazione risulta confermata dall’elemento sistematico e dalle esigenze alla base della relativa disciplina.

9. In particolare, soffermandosi sull’elemento sistematico, si osserva che l’art. 1, comma 257, si inserisce nell’ambito di un sistema normativo nazionale in cui non soltanto è predicata una generale differenziazione tra scuola e università, ma è anche affermato un diverso statuto giuridico dei relativi dipendenti (con la conseguente impossibilità di ricondurre all’espressione “personale della scuola” anche il personale docente universitario).

9.1 Sotto il primo profilo, la disciplina costituzionale e primaria distingue chiaramente le funzioni della scuola e dell’Università.

La Carta costituzionale, nell’art. 33 Cost., differenzia l’istruzione scolastica da quella universitaria, dettando una diversa disciplina per le “ scuole statali per tutti gli ordini e gradi ” e per le “ istituzioni di alta cultura, università ed accademie ” (art. 33 Cost.).

Anche sul piano della disciplina primaria, ai sensi dell’art. 2 L. n. 53/03, il sistema educativo di istruzione e di formazione nazionale si articola nella scuola dell'infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema dell'istruzione e della formazione professionale;
il che conferma l’autonoma valenza semantica dell’espressione “scuola”, volta a contraddistinguere uno specifico sistema educativo di istruzione e di formazione all’uopo normato, non confondibile con il sistema universitario.

Perfino, l’art. 1, comma 257, nell’individuare l’obiettivo di tutela sotteso alla sua previsione, ha valorizzato l’esigenza di assicurare “ continuità alle attività previste negli accordi sottoscritti con scuole o università dei Paesi stranieri ”, in tale modo richiamando distintamente le istituzioni scolastiche e universitarie, a conferma della loro distinzione sul piano soggettivo.

Per l’effetto, nel consentire il trattenimento in servizio del personale della scuola, il legislatore non poteva che riferirsi al solo personale scolastico, con esclusione del personale dipendente di altri soggetti giuridici, quali le istituzioni universitarie.

9.2 La differenziazione tra scuola e università, peraltro, è apprezzabile non solo sul piano delle funzioni svolte, ma anche in ragione dello statuto giuridico cui sono sottoposti i relativi dipendenti, non essendovi un’identità di disciplina tra personale scolastico e personale docente universitario.

Una tale differenza, per quanto più rileva nella presente sede, è apprezzabile anche in relazione ai requisiti per la quiescenza.

In particolare, per i professori ordinari universitari (categoria cui è riconducibile il ricorrente) il limite massimo di età per il collocamento a riposo è determinato al termine dell'anno accademico nel quale si è compiuto il settantesimo anno di età, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1, comma 17, Legge n. 230/2005 (cfr. anche art. 14 L. n. 311/1958, art. 19 DPR n. 382/1980, art. 1 L. n. 239/1990).

Un’analoga disciplina non è prevista per il personale scolastico, soggetto al regime generale stabilito per i dipendenti pubblici dall’art. 24 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

Peraltro, a conferma della differenziazione nel regime giuridico del personale docente universitario e del personale scolastico, si osserva che, ai sensi dell’art. 72, comma 11, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, come sostituito dall'articolo 1, comma 5, del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, è stata prevista la possibilità per le Amministrazioni pubbliche -con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l'accesso al pensionamento (come rideterminato a decorrere dal 1° gennaio 2012 dall'articolo 24, commi 10 e 12, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214)- di risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del raggiungimento di un'età anagrafica che possa dare luogo a riduzione percentuale ai sensi del citato comma 10 dell'articolo 24.

Una tale possibilità non è stata prevista in relazione (tra gli altri) ai professori universitari, a dimostrazione del diverso statuto del personale scolastico rispetto a quello docente universitario.

I professori universitari, a differenza del personale scolastico, inoltre, sono soggetti ad un regime di diritto pubblico, rientrando tra le categorie di lavoratori, previste dall’art. 3 D. Lgs. n. 165/01, su cui ha giurisdizione il giudice amministrativo;
a differenza del personale scolastico, in relazione al quale operano il regime contrattualizzato di cui all’art. 2, comma 2, D. Lgs. n. 165/01 e la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria di cui all’art. 63, comma 1, D. Lgs. n. 165/01.

9.3 Il dato sistematico dimostra, dunque, la differenziazione del regime giuridico applicabile al personale docente universitario e al personale scolastico, in tale modo confermando quanto già desumibile dal tenore letterale del testo normativo circa l’impossibilità di intendere la locuzione “ personale della scuola ”, impiegata dall’art. 1, comma 257 cit., come comprensiva del personale docente universitario.

10. Tale interpretazione risponde, altresì, alle esigenze di tutela alla base della disposizione in commento, come emergenti dalla stessa previsione normativa, oltre che dal contesto giuridico, economico e sociale di riferimento nel cui ambito la stessa ha avuto origine.

Trattasi, peraltro, di un contesto che non ha subito rilevanti modificazioni nel corso degli anni, tenuto conto dell’assenza di innovazioni significative apprezzabili sul piano delle riforme normative intervenute in materia o delle prassi sociali o economiche affermatesi nell’ambito della comunità territoriale di riferimento.

10.1 In particolare, l’art. 1, comma 257, ha avuto origine nell’ambito di un contesto connotato da una graduale evoluzione della disciplina in materia di trattenimento in servizio del personale dipendente.

Al riguardo, si è transitati da un diritto del lavoratore a permanere in servizio una volta raggiunti i requisiti per la quiescenza (entro limiti temporali all’uopo definiti), ad un interesse legittimo pretensivo del dipendente ad ottenere una decisione discrezionale dell’Amministrazione datoriale di autorizzazione alla permanenza in servizio, per giungere ad un divieto generale, ostativo alla prosecuzione dell’attività lavorativa una volta raggiunti i requisiti per la quiescenza.

Esigenze di ricambio generazionale e di contenimento della spesa pubblica rilevanti sul piano sociale ed economico hanno, infatti, condotto nel tempo ad un depotenziamento dell’istituto in analisi.

Tale evoluzione è stata tratteggiata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 133 del 2016, in cui si è rilevato che:

- originariamente, l’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992 riconosceva ai dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici un vero e proprio diritto potestativo a permanere in servizio per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti;

- con l’art. 72, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 135, l’istituto del trattenimento in servizio è stato completamente rimodellato e configurato come mero interesse da far valere mediante apposita istanza all’amministrazione, libera, “in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell'efficiente andamento dei servizi ”;

- con l’art. 9, comma 31, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, sono stati introdotti ulteriori limiti al trattenimento in servizio (salvo talune deroghe ivi regolate), circoscrivendo la possibilità di applicare il relativo istituto esclusivamente nell'ambito delle facoltà assunzionali consentite dalla legislazione vigente in base alle cessazioni del personale e con il rispetto delle relative procedure autorizzatorie;

- infine, con l’art. 1, comma 1, del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 2014, n. 114, il trattenimento in servizio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo è stato vietato in via generalizzata.

10.2 Si conferma che il trattenimento in servizio ha subito un graduale ridimensionamento, da istituto ad applicazione generalizzata ad istituto eccezionale rispetto alla regola del collocamento a riposo, ad istituto in via generalizzata vietato, anche in ragione delle esigenze di contenimento dei costi del personale e di ricambio generazionale nell’ambito dell’Amministrazione.

Trattasi di obiettivi ritenuti operanti anche in relazione all’insegnamento universitario.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 133/16, chiamata a pronunciare su apposita censura riferita alla legittimità dell’abrogazione dell’istituto del trattenimento in servizio anche per i docenti e i ricercatori universitari – motivata dal giudice a quo in ragione del mancato bilanciamento dell’esigenza di attuare il ricambio generazionale con quella, riconducibile al buon andamento dell’amministrazione, di mantenere in servizio, peraltro per un arco di tempo limitato, docenti in grado di dare un positivo contributo per la particolare esperienza acquisita, secondo le enunciazioni di principio della sentenza n. 83 del 2013 della stessa Corte costituzionale – ha infatti ritenuto non fondata la relativa questione, tenuto conto che, anche alla stregua delle propria pregressa giurisprudenza (cfr. ordinanza n. 195 del 2000):

- la disposizione, che prevedeva il trattenimento in servizio oltre l’età pensionabile (art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992), era di carattere eccezionale anche perché comportava il carico del trattamento di servizio attivo e degli oneri riflessi, in genere complessivamente maggiori rispetto a quelli connessi a nuove assunzioni;

- il buon andamento dell’amministrazione non può dipendere affatto dal mantenimento in servizio di personale che ha raggiunto i limiti di età, subordinato esclusivamente alla domanda del dipendente, come diritto potestativo assoluto, posto che il prolungarsi del servizio oltre i limiti non è sempre indice di accrescimento dell’efficienza organizzativa;

- l’eliminazione del trattenimento in servizio ha portato a compimento un percorso già avviato, per agevolare, nel tempo, il ricambio generazionale e consentire un risparmio di spesa, anche con riguardo all’amministrazione universitaria, in attuazione dei principi di buon andamento e efficienza dell’amministrazione, senza alcuna lesione dell’affidamento, in linea con l’evoluzione normativa e con la giurisprudenza della Corte di giustizia;

- non potrebbe diversamente argomentarsi sulla base della sentenza n. 83 del 2013, in cui la Corte aveva accolto la questione di costituzionalità proposta sotto il profilo della disparità di trattamento tra universitari e altri dipendenti pubblici e della lesione del buon andamento della pubblica amministrazione, tenuto conto che in quel caso si inibiva solo all’università ogni margine di autonomo apprezzamento delle esigenze organizzative e funzionali;
in relazione al divieto generalizzato del trattenimento in servizio, si è, invece, in presenza di una disciplina di carattere generale, che non discrimina tra amministrazioni pubbliche quanto alla normativa a regime e che elimina del tutto i margini di operatività, già angusti, del trattenimento in servizio.

10.3 Alla stregua delle considerazioni svolte, emerge che il contesto in cui è stata introdotta la disciplina in commento risultava caratterizzato da un generale sfavore per il trattenimento in servizio, facendosi questione di un istituto idoneo, da un lato, a ridurre il ricambio generazionale, dall’altro, a determinare, nel lungo periodo, maggiori costi economici a carico dell’Amministrazione.

Anche le peculiarità proprie dell’ordinamento universitario, in cui si ravvisa l’esigenza di garantire il mantenimento in servizio di docenti in grado di dare un positivo contributo per la particolare esperienza professionale acquisita in determinati o specifici settori ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi (così Corte costituzionale, 9 maggio 2013, n. 83), non risultavano tali da minare il fondamento del divieto del trattenimento in servizio, per come sopra ricostruito.

Ne deriva che la disposizione in commento, inserendosi in un contesto caratterizzato da un generale divieto di trattamento in servizio, permettendo per una categoria di personale la prosecuzione, su istanza di parte e previa autorizzazione dell’Amministrazione datoriale, dell’attività lavorativa entro il limite del triennio successivo al raggiungimento dei requisiti per la quiescenza, si atteggia per la natura eccezionale, derogando ad un divieto (di trattenimento in servizio) espressione di principii generali in materia di organizzazione amministrativa (buon andamento e efficienza dell’amministrazione, garantiti dalla riduzione dei costi e dal ricambio generazionale conseguibili con il divieto del trattenimento in servizio) e, dunque, riconducendo alla verificazione di un dato presupposto fattuale (raggiungimento dei requisiti per la quiescenza) effetti contrari rispetto a quelli previsti dalla disciplina positiva generalmente operante.

Per l’effetto, la disposizione in parola non può essere applicata in via analogica ai casi in essa non contemplati ex art. 14 disp. prel. c.c., difettando il presupposto per il ricorso all’analogia, dato dall’esistenza di una lacuna normativa all’uopo da colmare: tutti i casi non espressamente contemplati dalla norma eccezionale, infatti, ricadono nella portata della norma generale ad essi direttamente applicabile.

Potrebbe, invece, in ipotesi, procedersi ad un’interpretazione estensiva, non vietata a fronte di disposizioni derogatorie o eccezionali: a tali fini, tuttavia, l’attività interpretativa dovrebbe limitarsi ad individuare nel contenuto implicito di una eccezione già codificata altra fattispecie avente identità di ratio con quella espressamente contemplata, senza ridurre la portata della regola generale con l’introduzione di nuove eccezioni non previste dal dato positivo (cfr. Cass. civ. Sez. I, 01 settembre 1999, n. 9205).

Tali condizioni, idonee a legittimare un’interpretazione estensiva della disposizione eccezionale, non ricorrono nella specie.

L’estensione al personale docente universitario di un precetto dettato per il personale della scuola determinerebbe, infatti, la creazione in via ermeneutica di un’ulteriore eccezione non contemplata in via normativa, con conseguente inammissibile riduzione della portata di una regola generale operante in materia di pubblico impiego, data dal divieto del trattenimento in servizio al raggiungimento dei requisiti per la quiescenza.

Si conferma, dunque, anche in ragione della portata eccezionale della disposizione in analisi e del contesto in cui la stessa ha avuto origine, la necessità di intendere restrittivamente la locuzione “ personale della scuola ”, evitando di ricondurvi il personale che non dipende dall’Amministrazione scolastica, quale il personale docente universitario

10.4 Infine, l’applicazione dell’art. 1, comma 257, cit. ai professori universitari non potrebbe neppure ritenersi rispettosa della ratio alla base della disposizione in commento.

Proprio la natura eccezionale di tale previsione evidenzia come il legislatore abbia inteso fornire protezione a fattispecie altrettanto eccezionali, non ricorrenti nell’ordinaria azione amministrativa, tali da imporre la deroga ad un divieto (di trattenimento in servizio) generalmente operante per tutti i dipendenti pubblici, a prescindere dal regime (contrattualizzato o di diritto pubblico) cui gli stessi siano assoggettati.

Per il personale della scuola, seppure non precluso e anzi incentivato dall’ordinamento (alla luce di quanto sopra osservato), la conclusione di accordi internazionali con scuole o università straniere non può ritenersi un’attività ordinaria, risultando statisticamente più frequenti accordi interni, conclusi tra istituzioni appartenenti all’ordinamento nazionale;
il che è dimostrato dalla relazione tecnica della Ragioneria prodotta sub doc. 7 della produzione dell’Ateneo in primo grado, in cui si dà atto che la norma potrebbe trovare applicazione “ in alcune molto limitate situazioni, quantificabili in base alle informazioni allo stato disponibili in circa venti unità ”.

Con riferimento all’ordinamento universitario, la conclusione di accordi internazionali costituisce, invece, un’evenienza molto più frequente e, soprattutto, ordinaria, caratterizzandosi la ricerca e l’insegnamento universitario per la circolazione delle competenze oltre i confini nazionali.

Il che è testimoniato, tra l’altro:

- in via generale, dall’art. 2, comma 2, lett. l), L. n. 240/10, che impone alle università statali di modificare i propri statuti in tema di articolazione interna, ai fini del “ rafforzamento dell'internazionalizzazione anche attraverso una maggiore mobilità dei docenti e degli studenti, programmi integrati di studio, iniziative di cooperazione interuniversitaria per attività di studio e di ricerca e l'attivazione, nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, di insegnamenti, di corsi di studio e di forme di selezione svolti in lingua straniera ”;
dall’art. 5, comma 5, L. n. 240/10, che condiziona i finanziamenti agli Atenei anche in ragione della percentuale dei professori e ricercatori in servizio responsabili scientifici di progetti di ricerca internazionali e comunitari, oltre che del grado di internazionalizzazione del corpo docente;
nonché dall’art. 13 L. n. 240/10, che detta misure per la qualità del sistema universitario facendo riferimento anche al numero e all'entità dei progetti di ricerca di rilievo nazionale ed internazionale assegnati all'ateneo;

- in relazione all’Università La Sapienza, dalla documentazione depositata dall’Ateneo in ottemperanza dell’ordine istruttorio impartito dalla Sezione;
tra i documenti prodotti dall’Amministrazione vi è infatti la convenzione per la costituzione di un centro di studi giuridici italo-cinese conclusa tra l’Università degli Studi di Roma La Sapienza e la Zhongnan Università di Economia e Giurisprudenza;
ai sensi di quanto previsto dall’art. 1 di tale convenzione, la Sapienza viene definita come un Ateneo avente quale sua missione istituzionale quella di “ contribuire allo sviluppo delle società della conoscenza attraverso la ricerca, la formazione di eccellenza e di qualità e la cooperazione internazionale ”.

Si conferma, dunque, come la cooperazione internazionale, suscettibile di manifestarsi anche mediante la conclusione di accordi internazionali, a differenza di quanto accade per l’ordinamento scolastico, costituisca per l’ordinamento universitario, anziché una circostanza eccezionale meritevole di tutela attraverso la previsione di una norma parimenti eccezionale, il proprium dell’attività di ricerca e di docenza, rientrante tra le normali funzioni svolte dall’Ateneo, di regola connotate dall’innovatività dei risultati prodotti e sempre più spesso caratterizzate dalla previsione di corsi di laurea in lingua straniera, organizzati anche su base convenzionale nell’ambito di rapporti di cooperazione internazionale (costituenti i medesimi elementi descritti dall’art. 1, comma 257, cit.).

Per l’effetto, anche avuto riguardo alla ratio sottesa all’art. 1, comma 257 cit., non potrebbe estendersi al personale docente universitario una previsione tesa a disciplinare circostanze eccezionali, circoscritte a limitati casi, riferite alle forme di cooperazione internazionale attuate dall’Amministrazione scolastica italiana.

La deroga ad un divieto generale si giustifica proprio per l’eccezionalità delle fattispecie regolate, suscettibili di porre esigenze di tutela non adeguatamente realizzabili attraverso il ricorso alla disciplina generalmente applicabile: l’art. 1, comma 257, cit. richiama accordi internazionali con istituzioni universitarie o scolastiche straniere, aventi ad oggetto riconosciuti e innovativi progetti didattici internazionali con insegnamento in lingua straniera, che rappresentano un’eccezione per la sola Amministrazione scolastica, risultando gli stessi invece riconducibili alla missione tipica istituzionale degli Atenei italiani.

In definitiva, solo per la cooperazione internazionale suscettibile di essere eccezionalmente attuata dall’Amministrazione scolastica si manifestano esigenze di tutela non fronteggiabili con l’ordinaria disciplina normativa, incentrata, altresì, sul divieto di trattenimento in servizio: soltanto per il personale scolastico emerge, dunque, l’esigenza di garantire la permanenza in servizio, una volta raggiunti i requisiti per la quiescenza, facendosi questione di casi assolutamente eccezionali, interessanti poche decine di unità di dipendenti, assoggettabili per tali ragioni ad una disciplina peculiare e derogatoria, non giustificabile per tutte le altre categorie di pubblici dipendenti, ivi compresi i professori universitari.

Del resto, come osservato, le peculiarità che caratterizzano l’ordinamento universitario, comprendenti anche l’ordinaria attivazione di forme di cooperazione internazionale, non sono state ritenute dalla Corte costituzionale idonee a giustificare una deroga al divieto generale di trattenimento in servizio (sentenza n. 133/16 cit.), il che conferma ulteriormente come per il personale docente universitario non si pongano quelle particolari esigenze di tutela alla base della disciplina (dettata dall’art. 1, comma 257 cit.) riferita al (solo) personale scolastico.

11. Alla luce delle considerazioni svolte, deve rigettarsi il primo motivo di appello, sussistendo ragioni letterali, sistematiche e teleologiche che, anche in ragione del contesto storico in cui ha avuto origine la disposizione in esame, impongono di circoscrivere la deroga al divieto generale di trattenimento in servizio al personale della scuola, intendendosi per tale il personale alle dipendenze dell’Amministrazione scolastica, con esclusione, dunque, dei dipendenti di altri enti pubblici, quali sono le Università.

Il Prof. Di P, sebbene svolgesse un ruolo di primaria importanza nella promozione e nello svolgimento del progetto didattico in cui risultava impegnato al momento del raggiungimento dei requisiti per la quiescenza, discendente dalla riconosciuta valenza nazionale e internazionale del suo profilo scientifico, non rientrava tra i destinatari dell’art. 1, comma 257 cit. e, pertanto, non avrebbe potuto ottenere il richiesto trattenimento in servizio oltre il termine dell'anno accademico di compimento del settantesimo anno di età.

12. Occorre, a questo punto, verificare se la disciplina positiva, per come interpretata, sollevi dubbi di legittimità costituzionale, alla stregua dei parametri normativi invocati nell’ambito del secondo motivo di appello.

13. Il Collegio ritiene che le questioni di legittimità costituzionali poste dal ricorrente siano manifestamente infondate.

14. In primo luogo, deve osservarsi che la parte ricorrente non tende ad ottenere una pronuncia caducatoria di una disposizione ritenuta incostituzionale, bensì mira ad estendere, attraverso un intervento additivo della Corte costituzionale, la portata eccezionale dell’art. 1, comma 257, cit. a fattispecie ulteriori rispetto a quelle contemplate dal legislatore, al fine ultimo di consentire la deroga al divieto di trattenimento in servizio anche in favore dei professori universitari.

Tuttavia, in subiecta materia , secondo quanto precisato dalla Corte costituzionale, “ non è possibile una pronuncia additiva tesa ad estendere una disposizione derogatoria ed eccezionale, a meno che non sussista piena identità di funzione tra le discipline poste a raffronto ” (Corte costituzionale, ordinanza, 6 luglio 2011, n. 202).

Come sopra osservato, nella specie si fa questione di una previsione avente la funzione di assicurare la continuità di accordi internazionali conclusi dall’Amministrazione scolastica, costituenti una fattispecie eccezionale rispetto all’ordinario svolgimento dell’attività amministrativa: tale eccezionalità non può essere riscontrata in relazione all’ordinamento universitario, in cui la cooperazione internazionale rientra nella missione tipica istituzionale perseguita dagli Atenei.

Per l’effetto, avendo l’art. 1, comma 257, cit. la funzione di tutelare fattispecie eccezionali per l’ordinamento scolastico, non potrebbe ritenersi che tale funzione possa analogamente svolgersi in relazione all’ordinamento universitario, dove la conclusione di accordi internazionali, in quanto costituente un’evenienza ordinaria, non necessita della previsione di strumenti di tutela derogatori rispetto alle garanzie generalmente offerte dalla disciplina all’uopo applicabile.

Tale rilievo risulta dirimente al fine di escludere la possibilità di un intervento additivo della Corte costituzionale, venendo in rilievo discipline in raffronto connotate da una diversa funzione.

15. In ogni caso, si osserva che non può ravvisarsi alcun dubbio di legittimità costituzionale in relazione ai parametri posti a base del secondo motivo di appello.

16. Con riferimento all’art. 3 Cost., non risulta riscontrabile alcuna irragionevolezza della disciplina in esame, né alcuna irragionevole discriminazione tra fattispecie identiche.

16.1 Sotto il primo profilo, secondo quanto precisato dalla Core costituzionale, “ questa Corte ha desunto dall'art. 3 Cost. un canone di "razionalità" della legge svincolato da una normativa di raffronto, rintracciato nell'esigenza di conformità dell'ordinamento a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica (sentenza n. 87 del 2012). Il principio di ragionevolezza è dunque leso quando si accerti l'esistenza di una irrazionalità intra legem, intesa come "contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la disposizione espressa dalla norma censurata" (sentenza n. 416 del 2000). Tuttavia, "non ogni incoerenza o imprecisione di una normativa può venire in questione ai fini dello scrutinio di costituzionalità" (sentenza n. 434 del 2002), consistendo il giudizio di ragionevolezza in un "apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la "causa" normativa che la deve assistere" (sentenze n. 89 del 1996 e n. 245 del 2007) che, "quando è disgiunto dal riferimento ad un tertium comparationis, può trovare ingresso solo se l'irrazionalità o iniquità delle conseguenze della norma sia manifesta e irrefutabile" (sentenza n. 46 del 1993) ” (Corte costituzionale, 13 aprile 2017, n. 86).

Avuto riguardo al caso di specie, non è irragionevole la perdurante applicazione del divieto del trattenimento in servizio al personale docente universitario, anche una volta introdotta una deroga, limitata a casi eccezionali, per il personale della scuola.

La Corte costituzionale, come osservato, ha evidenziato nella sentenza n. 133/16, da un lato, l’eccezionalità della disciplina che prevedeva il trattenimento in servizio oltre l’età pensionabile (art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992), anche perché comportante il carico del trattamento di servizio attivo e degli oneri riflessi, in genere complessivamente maggiori rispetto a quelli connessi a nuove assunzioni;
dall’altro, l’impossibilità di fare dipendere il buon andamento dell’amministrazione dal mantenimento in servizio di personale che ha raggiunto i limiti di età, subordinato esclusivamente alla domanda del dipendente, come diritto potestativo assoluto, posto che il prolungarsi del servizio oltre i limiti non è sempre indice di accrescimento dell’efficienza organizzativa.

L’eliminazione del trattenimento in servizio è stato reputato, dunque, legittimo e coerente con le finalità perseguite dal legislatore, anche con riguardo all’amministrazione universitaria, attesa la prevalente esigenza di garantire il ricambio generazionale e di consentire un risparmio di spesa, in attuazione dei principi di buon andamento e efficienza dell’amministrazione.

Una tale conclusione non potrebbe mutare in ragione della sopravvenienza di una disciplina derogatoria, quale l’art. 1, comma 257 cit., riguardante fattispecie eccezionali riferibili al solo ordinamento scolastico: non essendo mutata la missione istituzionale dell’Università, né essendo sopravvenute specifiche esigenze di tutela proprie dell’attività di docenza universitaria non realizzabili attraverso la disciplina ordinariamente applicabile, non si ravvisano elementi per rimettere in dubbio quel giudizio, già reso nel 2016 dalla Corte costituzionale, in ordine alla non fondatezza della questione di legittimità posta in relazione al divieto di trattenimento in servizio (anche) dei docenti universitari.

16.2 La disciplina in analisi non potrebbe essere censurata neppure sotto il profilo dell’ingiustificata discriminazione dei docenti universitari rispetto ai docenti scolastici.

Le fattispecie in raffronto risultano eterogenee, il che preclude una valutazione comparativa ai sensi dell’art. 3, comma 1, Cost.

Nella specie si discorre di una previsione normativa regolante un istituto (trattenimento in servizio) relativo al trattamento giuridico del pubblico dipendente, con riferimento ad una categoria di dipendenti pubblici (il personale scolastico) non assimilabile ai docenti universitari, sia perché (come osservato) il personale della scuola è soggetto al regime contrattualizzato ex art. 2, comma 2, D. Lgs. n. 165/01 mentre i professori universitari sono sottoposti al regime di diritto pubblico ex art. 3 D. Lgs. n. 165/01, sia per le peculiarità proprie del comparto scolastico, che, secondo quanto rilevato dalla stessa Corte costituzionale, “ pur nella comune matrice negoziale della disciplina del rapporto, serba intatta la sua particolarità ” (Corte costituzionale, sentenza 23 luglio 2015, n. 178).

Peraltro, come anche in tale caso già osservato, la disposizione in esame mira a garantire la continuità di accordi internazionali con istituzioni scolastiche e universitarie straniere che, soltanto in relazione all’ordinamento scolastico, costituiscono una fattispecie eccezionale rispetto all’ordinario svolgimento dell’azione amministrativa - come confermato dal coinvolgimento in tali attività di poche decine di dipendenti (una ventina, per come rilevato dalla Ragioneria Generale dello Stato) - a fronte di una diversa consistenza e considerazione assunta dalla cooperazione internazionale in ambito universitario, dove la conclusione di accordi internazionali costituisce un fenomeno ordinario, rientrante nella missione degli Atenei, condizionante pure l’erogazione dei pubblici finanziamenti e la valutazione della qualità del sistema universitario (per come emergente dalle pertinenti disposizioni della L. n. 240/10 sopra richiamate).

Soltanto per l’ordinamento scolastico si presentano, dunque, bisogni di tutela peculiari, necessitanti di misure derogatorie rispetto alla disciplina generalmente applicabile sul piano dell’organizzazione dei pubblici uffici (comprendente la regolazione delle risorse umane impiegate nello svolgimento dell’attività istituzionale);
analoghe esigenze di tutela non si presentano, invece, in relazione all’ordinamento universitario, dove la generale disciplina applicabile (anche) ai rapporti di lavoro intrattenuti dall’Amministrazione con il proprio personale docente permette di garantire il conseguimento delle ordinarie finalità istituzionali, ivi compresa la continuità degli accordi internazionali in essere con istituzioni universitarie straniere.

Osta ad una comparazione anche il diverso regime operante per la quiescenza del personale scolastico rispetto a quello universitario, essendo previsto soltanto per quest’ultimo il collocamento obbligatorio a riposo al termine dell'anno accademico nel quale si è compiuto il settantesimo anno di età, senza possibilità di una risoluzione anticipata una volta maturati i requisiti di anzianità contributiva per l'accesso al pensionamento: ancora una volta emerge una differenziazione nel trattamento giuridico delle due categorie di dipendenti in raffronto, relativo proprio al collocamento a riposo (rilevante ai fini dell’applicazione dell’istituto del trattenimento in servizio per cui è causa), ostativa ad una valutazione comparativa ai sensi dell’art. 3, comma 1, Cost.

Non potrebbe diversamente argomentarsi neppure facendo leva sulla sentenza n. 83 del 2013 della Corte costituzionale, pure valorizzata dal ricorrente: da tale pronuncia si desume l’irragionevolezza della sottrazione di una categoria di dipendenti (nel caso esaminato dalla Corte, i professori universitari) al regime generale operante per tutti i dipendenti pubblici, incentrato (al tempo) sulla possibilità del trattenimento in servizio all’esito di una valutazione discrezionale dell’Amministrazione datoriale.

Nella specie, invece, l’accoglimento del ricorso in appello condurrebbe proprio a produrre una tale ingiustificata discriminazione, sottraendo i professori universitari (per effetto dell’estensione della deroga prevista per il solo personale della scuola) al regime generale operante per il pubblico impiego, fondato sul divieto del trattenimento in servizio;
il che sì solleverebbe un dubbio di legittimità costituzionale, una volta stabilito dalla stessa Corte costituzionale (con la successiva sentenza n. 133/2016) che le peculiarità dell’ordinamento universitario non ostano all’applicazione anche per i docenti universitari del divieto di trattenimento in servizio.

17. Non potrebbe dubitarsi della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 257 cit., neppure in relazione al parametro dell’autonomia universitaria, tenuto conto che la disposizione in esame, in quanto volta a fronteggiare esigenze di tutela correlate a fattispecie eccezionali proprie dell’ordinamento scolastico, ha lasciato inalterato il regime giuridico, in punto di divieto di trattenimento in servizio, applicabile al personale docente universitario, già ritenuto legittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 133/2016.

Per gli Atenei non è certamente precluso l’utilizzo di uno strumento giuridico (accordi internazionali per progetti didattici innovativi in lingua straniera) essenziale per il perseguimento della propria missione istituzionale, essendo soltanto necessario programmare l’azione amministrativa in vista del fisiologico ricambio generazionale tipico di ogni struttura organizzativa che si avvale dell’impiego del personale;
richiedente, per propria natura, il trasferimento di competenze tra i dipendenti di maggiore anzianità di ruolo e quelli di nuova assunzione, necessario per assicurare la continuità della pubblica funzione.

Il che, peraltro, sarebbe comunque necessario anche nelle ipotesi in cui trovasse applicazione l’istituto del trattenimento in servizio nei limiti del triennio (quale previsto dalla disposizione in commento), al termine del quale si porrebbe pur sempre l’esigenza di una sostituzione del dipendente da collocare a riposo.

Si aggiunge, inoltre, che nel caso di specie il trattenimento in servizio sarebbe stato funzionale alla prosecuzione di un accordo internazionale avente una durata, “ in prima applicazione, sino al 2028 ”, come relazionato dall’Ateneo resistente;
con la conseguenza che il trattenimento in servizio del Prof. Di P avrebbe potuto permettere, al più, una protrazione della sua attività lavorativa fino al 2023 (per un triennio ulteriore rispetto al raggiungimento dei requisiti per la quiescenza, avvenuto nella specie in data 1.11.2020, giorno in cui il ricorrente è stato collocato a riposo per limiti di età), in tale modo non permettendo comunque di portare a termine – avvalendosi dell’opera dello stesso docente – l’accordo internazionale all’uopo concluso dall’Università La Sapienza di Roma, stante la necessità di provvedere in ogni caso alla sostituzione del dipendente.

Non può, in definitiva, ritenersi che la fissazione di un limite di età per il collocamento a riposo, non altrimenti derogabile, costituisca un vulnus all’autonomia universitaria.

18. Non risultano violati neppure i principii di cui all’art. 97 Cost., tenuto conto che proprio il divieto di trattenimento in servizio, che continua ad essere previsto per la generalità dei dipendenti pubblici (ivi compresi i docenti universitari) anche all’esito dell’art. 1, comma 257 cit. (ad esclusione del solo personale della scuola al ricorrere delle situazioni eccezionali previste dalla relativa disposizione), garantisce il buon andamento amministrativo.

Come precisato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 133/16 cit.:

- “ il buon andamento dell’amministrazione non può dipendere affatto dal mantenimento in servizio di personale che ha raggiunto i limiti di età, subordinato esclusivamente alla domanda del dipendente, come diritto potestativo assoluto», posto che «il prolungarsi del servizio oltre i limiti non è sempre indice di accrescimento dell’efficienza organizzativa» (così ancora ordinanza n. 195 del 2000) ”;

- “ L’eliminazione del trattenimento in servizio ha portato a compimento un percorso già avviato, per agevolare, nel tempo, il ricambio generazionale e consentire un risparmio di spesa, anche con riguardo all’amministrazione universitaria, in attuazione dei principi di buon andamento e efficienza dell’amministrazione, senza alcuna lesione dell’affidamento, in linea con l’evoluzione normativa e con la giurisprudenza della Corte di giustizia (ex plurimis, sentenza 7 giugno 2005, in causa C-17/03, VEMW e altri

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