Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2009-12-04, n. 200907616

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2009-12-04, n. 200907616
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 200907616
Data del deposito : 4 dicembre 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05024/2007 REG.RIC.

N. 07616/2009 REG.DEC.

N. 05024/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 5024 del 2007, proposto dall’ Universita' degli Studi di Roma "Roma Tre", rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato e presso gli uffici della medesima domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;

contro

L’ing. G P, rappresentato e difeso dall'avv. G L, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Cassiodoro 6;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, sez. III, n. 12141/06 del 9.11. 2006, avente ad oggetto conferimento di incarico professionale


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 luglio 2009 il dott. G D M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

Torna all’esame del Collegio – dopo una pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (n. 16214/07 del 17.6.2008), che ha affermato in materia la giurisdizione del Giudice Amministrativo – l’appello notificato il 26.5.2007, con cui l’Università degli Studi di Roma “Roma Tre” contestava l’accoglimento – con sentenza del TAR del Lazio, sez. III, n. 12141/06 del 9.11. 2006 (che non risulta notificata) – del ricorso proposto dall’ing. Paolo G, per il pagamento di compensi ritenuti corrispondenti a prestazioni professionali. Il medesimo TAR, in un primo tempo, aveva negato la propria giurisdizione e si era pronunciato nel merito solo dopo l’annullamento con rinvio della sentenza, al riguardo emessa, da parte del Consiglio di Stato, con decisione n. 2851/06. Nel rinnovato giudizio di primo grado, la domanda del citato ing. G veniva accolta, con conseguente annullamento del diniego di liquidazione dei predetti compensi, riferiti ad un incarico di Direttore Lavori attribuito al ricorrente – in costanza di pubblico impiego presso l’Università, con inquadramento nella VIII qualifica funzionale – al di fuori delle mansioni ordinarie allo stesso affidate e quindi, in base alla pronuncia appellata, a titolo di incarico professionale, ex art. 62 R.D. 2537/1925. In sede di appello, la citata Università eccepiva nuovamente il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo e prospettava, nel merito, censure riferite a violazione dei principi in materia di compensi per incarichi professionali dei pubblici dipendenti, in correlazione alla onnicomprensività della retribuzione dei medesimi.

In pendenza di giudizio, l’interessato chiedeva il pagamento delle somme che riteneva dovute anche con decreto ingiuntivo, ma il Tribunale civile accoglieva l’opposizione dell’Università, tramite sentenza confermata dalla Corte di Appello di Roma con pronuncia in data 20.2.2006.

L’ing. G sollevava quindi conflitto positivo di giurisdizione fra quest’ultima sentenza e quella del TAR del Lazio, oggetto di giudizio nella presente sede di appello. Al tempo stesso l’Università impugnava per motivi di giurisdizione la pronuncia del Consiglio di Stato n. 2851/06 (con cui si annullava la prima sentenza del TAR del Lazio, che aveva negato la giurisdizione). In tale situazione il medesimo Consiglio di Stato, con ordinanza n. 482/08 del 12.2.2008, sospendeva il giudizio, fino alla definizione dei ricorsi pendenti innanzi alle Sezioni Unite della Cassazione.

In conformità alla citata pronuncia di queste ultime n. 16214/07 deve comunque ritenersi, ormai, positivamente affermata la cognizione del Giudice Amministrativo per la vicenda di cui trattasi, vicenda caratterizzata non da formale stipulazione di un contratto d’opera professionale, ma da conferimento di incarico con atto unilaterale del Rettore dell’Ateneo interessato, nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente, che rendeva possibile l’esecuzione di opere pubbliche sotto la direzione di tecnici della stessa Amministrazione (artt. 1 – 4 R.D. 25.5.1985, n. 350, richiamati nel preambolo del decreto del Rettore in data 2.7.1993, attributivo dell’incarico in questione). Non è contestato, inoltre, che l’ing. G abbia svolto l’incarico affidatogli durante il normale orario di lavoro, usufruendo anche del compenso aggiuntivo, previsto per i dipendenti, a titolo di remunerazione delle ore di servizio eccedenti l’orario stesso;
a conferma del carattere di lavoro subordinato della prestazione richiesta, peraltro, il citato decreto rettorale del 2.7.1993 prevedeva espressamente la possibilità di sostituire, in corso d’opera, il direttore dei lavori nominato.

Tenuto conto di quanto sopra il Collegio ritiene non ravvisabile, nel caso di specie, la sussistenza dei presupposti applicativi dell’art. 62 R.D. n. 2537/1925 (regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto), la cui ratio ispiratrice è quella di consentire l’esercizio della libera professione agli iscritti al relativo albo, che siano anche pubblici dipendenti, purchè non sussistano ragioni di incompatibilità con i compiti di istituto e sempre che sia stata rilasciata espressa autorizzazione al riguardo dai superiori gerarchici: solo entro ben precisi limiti e in via eccezionale, poi, l’ordinamento riservava alle singole Amministrazioni la facoltà di liquidare ai propri funzionari i corrispettivi per le prestazioni compiute per enti pubblici o aventi finalità di pubblico interesse, sulla base delle tariffe dei liberi professionisti: con un coefficiente di riduzione o meno (ove la prestazione fosse stata compiuta insieme ad altri liberi professionisti), ma sempre nell’ambito di un incarico professionale autonomamente assunto (art. 62 cit., commi 4 e 5, prima dell’abrogazione dei medesimi ex art. 18 L. 11.2.1994, n. 109;
cfr. anche Cons. St., sez. III, parere n. 595 in data 1.6.1982;
Cass. Civ. sez. II, 20.1.2003, n. 738, 8.10.2004, n. 20039 e 14.10.2004, n. 20296). Solo successivamente è stata istituzionalizzata la possibilità che una quota parte del costo preventivato di un’opera o di un lavoro, commissionati da un ente pubblico, fosse destinata alla costituzione di un fondo interno, da ripartire tra il personale dell’ufficio tecnico dell’Amministrazione aggiudicatrice, che avesse redatto direttamente il progetto esecutivo della medesima opera o lavoro, ex art. 18, comma 1, L. n. 109/1994 cit., successivamente modificata ed integrata, con disposizioni applicative contenute nell’art. 6 del D.L. 3.4.1995, n. 101, convertito in legge 2.6.1995, n. 216;
il medesimo art. 18 L. n. 109/94, nel testo introdotto dall’art. 13 L. 17.5.1999, n. 144, fa poi rinvio per la concreta operatività delle nuove disposizioni alle “modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata ed assunti in un regolamento adottato dall’Amministrazione”, ai fini della ripartizione del fondo costituito fra responsabile unico del procedimento e incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori e del collaudo;
quanto sopra, in un contesto di incentivi per il personale tecnico, con ogni evidenza non ancora definito alla data di conferimento dell’incarico di cui trattasi (2.7.1993). Alla luce del quadro normativo di riferimento, il Collegio ritiene condivisibili le argomentazioni difensive prospettate dall’appellante. Dalla documentazione prodotta nel presente giudizio non è dato evincere, infatti, un chiaro percorso di affidamento all’ing. G di funzioni, non rientranti fra quelle di responsabile dell’Ufficio Tecnico dell’Ente di appartenenza, con conseguente applicabilità dell’orientamento giurisprudenziale che esclude – tenuto conto del principio di onnicomprensività della retribuzione dei dipendenti pubblici – compensi aggiuntivi per i compiti istituzionali degli impiegati della p.a., risultando in ogni caso necessario che eventuali corrispettivi rapportati alle tariffe professionali, per prestazioni non rientranti fra tali compiti, siano riconducibili a specifici incarichi, autonomamente acquisiti o anche assegnati dall’Ente datore di lavoro, ma comunque da quest’ultimo esplicitamente autorizzati come incarichi professionali (con procedure, peraltro, ancora sfornite di adeguato supporto normativo, per gli incarichi interni alla struttura di appartenenza, all’epoca dei fatti di cui si discute;
cfr. anche Cons. St., sez. V, 9.9.1999, n. 1027, ;
Cons. St., sez. IV, 12.5.2006, n. 2692;
Cass. Civ., sez. lav., 19.7.2004, n. 13384;
Cass. Civ., sez. II, 14.10.2004, n. 20296).

Una volta riconosciuto, d’altra parte, che l’Amministrazione appellante non aveva (nè poteva avere) configurato la direzione lavori di cui trattasi come incarico libero-professionale, non appare idonea ad incidere su tali conclusioni la prospettata riconducibilità dell’incarico stesso ad una qualifica superiore a quella di inquadramento del dipendente in questione;
quest’ultima circostanza avrebbe potuto, infatti, soltanto configurare la situazione dedotta in giudizio come una fattispecie di assegnazioni di funzioni superiori, rispetto alla qualifica rivestita, con tutte le note problematiche, per riconoscere la correlativa superiore retribuzione. Sarebbe stato contrastante con principi basilari di equità retributiva, direttamente riconducibili all’art. 36 della Costituzione, invece, che le stesse funzioni fossero retribuite col normale trattamento stipendiale per i funzionari di IX livello e si trasformassero automaticamente in incarichi, retribuiti in base alle tariffe previste per i liberi professionisti, se assegnate ad un funzionario di qualifica inferiore. L’unica pretesa logicamente configurabile – ma nella fattispecie non espressamente prospettata dall’interessato – sarebbe stata, pertanto, quella di una equiparazione al trattamento economico del IX livello. Non sembra tuttavia inutile ricordare, a quest’ultimo riguardo, l’indirizzo giurisprudenziale largamente prevalente, all’epoca dei fatti di cui si discute, secondo cui non avrebbe potuto attribuirsi all’assegnazione di mansioni superiori alla qualifica alcuna rilevanza non solo giuridica, ma anche economica, essendo il trattamento economico dei dipendenti in questione correlato ad una capacità di diritto pubblico e non di diritto comune dell’Ente datore di lavoro, con conseguente inderogabilità del medesimo, di modo che il pagamento spettante a titolo di retribuzione poteva avvenire solo nei modi e con l’entità previsti dalla legge, tenuto conto degli atti di inquadramento nelle qualifiche (cfr. in tal senso Cons. St., sez. IV, 29.1.93, n. 119, 22.2.93, n. 203, 14.5.93, n. 536, 30.6.93, nn. 646, 647 e 648;
13.6.94, nn. 492 e 493;
sez. V, 23.11.94, n. 1362, 18.1.95, n. 89, 22.3.95, n. 452, 30.4.97, n. 429, 17.5. 97, n. 515, nonché Ad. Plen. 18.11.99, n. 22;
Cons. St., sez. V, 9.4.94, n. 272;
18.1.95, n. 89 e 17.5.97, n.515;
TAR Toscana, sez. III, 27.9.97, n. 204);
a non diverse conclusioni si dovrebbe pervenire con riferimento all’eventuale applicazione dell’art. 57 del D.Lgs. n. 29/93, che pur ammettendo il pagamento delle funzioni superiori svolte ribadisce in modo anche più puntuale i principi sopra esposti, con esplicito richiamo alla “responsabilità patrimoniale e disciplinare del dirigente”, che non attivi le procedure previste nei modi dovuti per il passaggio del personale a qualifiche superiori;
il citato art. 57 D.lgs. n. 29, comunque, sarebbe risultato inapplicabile al caso di specie, essendone stata inizialmente prevista l’entrata in vigore per ciascuna amministrazione “a decorrere dalla data di emanazione dei provvedimenti di ridefinizione degli uffici e delle piante organiche…e comunque a decorrere dal 31.12.1996”, decorrenza più volte prorogata finchè la norma è stata abrogata;
successivamente, la materia è stata disciplinata dall’art. 56 del predetto D.Lgs, nel testo sostituito dall’art. 25 del D.Lgs 31.301998, n. 80 e modificato dall’art. 15 del D.Lgs 29.10.1998, n. 387, con la conseguenza che il riconoscimento in via generale del diritto alle differenze retributive in questione aveva effetto solo a decorrere dall’entrata in vigore del D.Lgs. da ultimo citato (poi a sua volta abrogato dall’art. 72 del D.Lgs. 30.3.2001, n. 165) e non rileva, quindi, in questa sede.

Premesso quanto sopra, il Collegio non ritiene di dover approfondire ulteriormente le argomentazioni difensive, riferite alla corrispondenza o meno della direzione dei lavori, a suo tempo affidata all’ing. G, all’VIII qualifica di inquadramento o alla superiore IX qualifica, in base al D.P.C.M. del 24.9.1981, ovvero alla non ancora avvenuta istituzione, all’epoca dei fatti di cui si discute, della I qualifica funzionale ex art. 12 L. 29.1.1986, n. 23 (Norme sul personale tecnico e amministrativo delle Università): non potrebbe scaturire da tale accertamento infatti, per le ragioni già ampiamente illustrate, la trasformazione in incarico professionale di una funzione, che risulta comunque affidata nell’ambito del rapporto di impiego esistente, senza che siano state avanzate nella fattispecie domande risarcitorie o di arricchimento senza causa nei confronti dell’Amministrazione, per avere quest’ultima usufruito di una prestazione di livello superiore rispetto alle funzioni ordinariamente assegnate – e retribuite – al dipendente interessato.

In base alle argomentazioni esposte, in conclusione, il Collegio stesso ritiene che l’appello debba essere accolto, con conseguente annullamento della sentenza gravata;
quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione, data la complessità della disciplina giuridica di riferimento, in relazione alla vicenda dedotta in giudizio.

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