Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-05-04, n. 201502212

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-05-04, n. 201502212
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201502212
Data del deposito : 4 maggio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03396/2013 REG.RIC.

N. 02212/2015REG.PROV.COLL.

N. 03396/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3396 del 2013, proposto da:
INPS - Istituto nazionale della previdenza sociale, rappresentato e difeso dall’avv. D M, con domicilio eletto presso la sede dell’ente in Roma, Via Cesare Beccaria, 29;

contro

B A, A B, V D G, F F, C L e F S, rappresentati e difesi dagli avv. R S e C S, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, corso Vittorio Emanuele II 326;
P R, non costituita in giudizio;

nei confronti di

Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione III ter, n. 09384/2012, resa tra le parti, concernente riliquidazione indennità di fine rapporto sull’intera anzianità di servizio calcolata sull’ultimo stipendio percepito nei ruoli dell’autorità all’atto del collocamento a riposo.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di B A, A B, V D G, F F, C L e di F S e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 14 ottobre 2014 il consigliereAndrea Pannone e uditi per le parti gli avvocati Marinuzzi, Sangermano per delega di Scognamiglio, e l’avvocato dello Stato Grasso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Gli odierni appellati, tutti già dipendenti del Ministero delle comunicazioni, sono stati immessi nei ruoli dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dopo aver superato la selezione riservata per colloquio indetta ai sensi dell’art. 1, comma 20, legge n. 249/1997, e di avere appreso, successivamente, di essere stati iscritti all’INPS con contestuale accantonamento delle quote di trattamento di fine rapporto (TFR) maturate in apposito fondo gestito dall’Agcom.

Per effetto di tale iscrizione si sono visti, pertanto, interrompere la posizione assicurativa-previdenziale già costituita presso l’INPDAP che, conseguentemente, ha provveduto ad erogare l’indennità di buonuscita relativa al periodo precedente al transito all’Agcom.

Attesa la sussistenza di dubbi relativamente alla legittimità di tale operazione, l’Agcom avviava nel 2002 una istruttoria con l’istituzione di un gruppo di lavoro per lo studio della fattispecie previdenziale, concluso con successive note dell’INPS che, nel 2003, sancivano come tutto il personale in ruolo presso le Autorità dovesse essere assoggettato al regime previdenziale dei dipendenti pubblici gestito dall’Inpdap e con la circolare della stessa Agcom n. 46 del 27 luglio 2004, confermativa di tale obbligo.

L’Inpdap, con nota del 18 aprile 2005 diretta all’Agcom, chiariva che, per il personale proveniente da amministrazioni pubbliche e transitato nei ruoli dell’Autorità, l’Istituto doveva procedere a quantificare e a versare l’importo lordo del trattamento di fine servizio (TFS) o del trattamento di fine rapporto (TFR) maturato all’atto del trasferimento e che, “ai fini della liquidazione del trattamento spettante all’atto della definitiva cessazione del servizio a carico dell’Autorità il personale interessato avrà diritto a far valere in aggiunta a quella maturata dopo il trasferimento, l’intera anzianità di servizio (effettiva, riscattata o convenzionalmente riconosciuta) già utile per l’ordinamento dell’ente di provenienza”.

Solo per il personale immesso in ruolo con decorrenza 1° giugno 2005 l’Autorità ha poi dato puntuale applicazione alle disposizioni INPDAP, conservando l’iscrizione di detto personale presso il medesimo Istituto, mentre nulla è stato disposto nei riguardi del personale che, pure proveniente da altre Amministrazioni dello Stato, è stato erroneamente iscritto all’INPS all’atto dell’immissione in ruolo.

Gli odierni appellati hanno pertanto adito il giudice amministrativo per ottenere l’accertamento del diritto a vedersi riconoscere la continuità della posizione previdenziale presso l’INPDAP, alla stregua di quanto prevede l’art. 1, lett. a) e b), d.lgs. 479/1994, con ogni effetto con riguardo al riconoscimento di una unica indennità di buonuscita, da erogarsi al termine della carriera sull’intera anzianità di servizio (effettiva, riscattata o convenzionalmente riconosciuta), calcolata sull’ultimo stipendio percepito all’atto del collocamento a riposo al netto di quanto erroneamente già liquidato in loro favore dall’INPDAP all’atto dell’inquadramento nei ruoli dell’Agcom.

2. La sentenza qui impugnata ha accolto il ricorso affermando l’obbligo per l’Agcom di provvedere all’iscrizione (ora per allora) dei ricorrenti all’Inpdap - ora Inps - con conseguente versamento al medesimo ente previdenziale del relativo contributo, limitatamente all’importo facente carico all’Autorità;
contestualmente, deve essere dichiarato l’obbligo per l’Inpdap - ora Inps, di procedere, nei confronti degli odierni ricorrenti, all’apertura di un’iscrizione con decorrenza dal momento in cui i medesimi sono transitati nei ruoli dell’Agcom, provvedendo, altresì, per ciascuno di essi, a predisporre un piano di riscossione a carico dell’intimata Agcom, al netto di quanto già versato a titolo di TFR, onde quantificare per ciascun ricorrente un’unica indennità di buonuscita sull’intera anzianità di servizio (effettiva, riscattata o convenzionalmente riconosciuta), ed alla successiva liquidazione in favore dei medesimi della stessa calcolata sull’ultimo stipendio percepito all’atto del collocamento a riposo, al netto di quanto già corrisposto a tale titolo all’atto del passaggio nei ruoli dell’Agcom.

3. Propone ricorso in appello l’INPS deducendo un unico complesso motivo così epigrafato: violazione e falsa applicazione del d.P.R. n. 1032 del 29 dicembre 1973, e segnatamente dell’art. 1 del medesimo;
violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del d.lgs. 30 giugno 1994, n. 479.

4. Il ricorso in appello può essere così sintetizzato.

L’ente ricorrente evidenzia innanzitutto che gli odierni appellati non rientrano nella definizione di “dipendenti statali”, così come delineata dall’art. 1 d.P.R. n. 1032 del 1973;
l’ente aggiunge che, tutte le volte che il legislatore, ha ritenuto di estendere la disciplina di cui al predetto d.P.R., lo ha esplicitamente previsto con norme specifiche, che, esemplificativamente, vengono indicate nell’art. 8 della legge n. 831/1961, nella legge n. 482/1988, nella legge n. 574/1980, nella legge n. 824/1973 che ha esteso la prestazione a favore degli ufficiali di complemento. L’ente quindi afferma che non sussiste alcun automatismo tra pubblico dipendente e diritto al trattamento previdenziale di fine servizio costituito dalla indennità di buonuscita ex d.P.R. n. 1032 del 1973.

L’ente appellante ritiene di non poter condividere l’affermazione contenuta in sentenza che, dalla premessa che il d.lgs. n 479 del 1994 ha stabilito la competenza della gestione ex INPDAP per quanto attiene alla previdenza della intera platea dei dipendenti pubblici, mentre all’INPS rimane riservata quella dei dipendenti privati, conclude nel senso che tutti i dipendenti pubblici, ivi compresi i dipendenti dell’Autorità debbano essere tout court iscritti all’INPDAP ed ottenere, dal punto di vista previdenziale, il trattamento di fine servizio costituito dalla c.d. indennità di buonuscita, ex d.P.R. n. 1032 del 1973.

L’ente appellante sostiene che l’art. 1 del d.lgs. 30 giungo 1994, n. 479 ha attribuito una competenza generale alla gestione ex INPDAP, relativamente ai dipendenti della pubblica amministrazione, limitatamente alla sola materia pensionistica, ma non già a quella c.d. previdenziale, id est relativa al trattamento di fine servizio (d.P.R. n. 1032/1973;
1egge n. 152/1968) e/o al trattamento di fine rapporto (art. 2120 c.c.).

L’ente appellante richiama ancora, a sostegno dell’impugnativa, l’articolo l’art. 2, comma 8, della legge n. 335/1995 e il d.P.C.M., (“ Trattamento di fine rapporto e istituzione dei fondi pensione dei pubblici dipendenti ”) 20 dicembre 1999, pubblicato nella Gazz. Uff. del 15 maggio 2000, n. 111, che ha innovato profondamente nella materia previdenziale dei pubblici dipendenti.

Dunque, in via riassuntiva, solamente per i lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo data del 1 gennaio 2001, e relativamente ai rapporti di lavoro a tempo determinato successivi alla data di entrata in vigore del decreto, ossia 30 maggio 2000, sono applicabili le nuove norme sul trattamento di fine rapporto.

Ebbene, tirando le fila della argomentazione sopra svolta, può evincersi che assolutamente arbitraria e smentita dal quadro normativo risulta la equiparazione posta dal Tar Lazio tra dipendente pubblico e diritto al trattamento previdenziale costituito dalla c.d. indennità di buonuscita.

5. Orbene, proprio partendo dall’ultima deduzione svolta dall’appellante, può trarsi la convinzione dell’infondatezza dell’impugnativa.

Sostiene l’appellante che la nuova disciplina si applica per i lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo la data del 1° gennaio 2001. Ma nel terzo capoverso dell’atto di appello l’ente affermava: “ Per una migliore comprensione della vicenda, va premesso che tutti gli attuali resistenti erano dipendenti statali, in particolare ex dipendenti del Ministero delle comunicazioni che, a seguito di un provvedimento dell’Autorità, amministrazione indipendente dall’apparato statale, in applicazione dell’art. 1, comma 20, della L. 249/1997, hanno avuto la possibilità, a seguito di selezione per colloquio, di essere immessi nei ruoli della medesima Autorità, a far data dal 1 gennaio 2000 ”.

Agli appellati, assunti alle dipendenze dell’Autorità, a decorrere dal 1° gennaio 2000, così come affermato dall’INPS appellante, non può applicarsi la disciplina recata dal d.P.C.M. 20 dicembre 1999 perché esso trova applicazione, per quanto sostenuto nell’atto di appello, dal 1°gennaio 2001.

6. Il Collegio, a parte il predetto profilo, deve osservare che il d.P.C.M. invocato ha una diversa finalità indicata proprio dal primo inciso dell’articolo 1: “L’esercizio dell’opzione di cui all’art. 59, comma 56, della legge n. 449 del 1997 avviene mediante sottoscrizione del modulo di adesione al fondo pensione e comporta l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 1 della legge 29 maggio 1982, n. 297”. A sua volta l’art. 59, comma 56, della legge n. 449 del 1997, disponeva: “Fermo restando quanto previsto dalla legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni, in materia di applicazione delle disposizioni relative al trattamento di fine rapporto ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, al fine di favorire il processo di attuazione per i predetti delle disposizioni in materia di previdenza complementare viene prevista la possibilità di richiedere la trasformazione dell’indennità di fine servizio in trattamento di fine rapporto. Per coloro che optano in tal senso una quota della vigente aliquota contributiva relativa all’indennità di fine servizio prevista dalle gestioni previdenziali di appartenenza, pari all’1,5 per cento, verrà destinata a previdenza complementare nei modi e con la gradualità da definirsi in sede di specifica trattativa con le organizzazioni sindacali dei lavoratori”.

La normativa richiamata dall’appellante riguarda la diversa vicenda dell’utilizzazione, a scelta del dipendente (scelta che nel caso di specie non è stata in alcun modo effettuata dagli appellati), di parte dell’aliquota contributiva per la formazione di una previdenza complementare (fondi pensione).

7. Risolutivo al riguardo è il parere del Consiglio di Stato, Sezione Prima, 8 novembre 2006, n. 4489, avente ad oggetto “ problematiche relative al trattamento di quiescenza [e] di previdenza del personale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ”, ed la quale questo Collegio ritiene di dover aderire.

Il parere contiene un’ampia disamina del potere regolamentare dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, per giungere alla conclusione che: “ L’ente di riferimento per i rapporti contributivi e previdenziali in argomento va dunque identificato nell’INPDAP. Dal che discende che anche per quanto riguarda il tema del trattamento di fine rapporto, il regime dovrà essere quello dei lavoratori iscritti a detto ente ”.

8. In ordine poi alla prima parte del motivo, con il quale si evidenzia l’assenza di una normativa, di rango legislativo, che indichi esplicitamente i dipendenti delle autorità indipendenti quali soggetti da iscrivere all’INPDAP, ai fini della previdenza, deve osservarsi che le norme sono tutte anteriori al più volta richiamato d.lgs. n 479 del 1994 e quindi non possono tenere conto del nuovo assetto complessivo della disciplina del trattamento di quiescenza e previdenza per i dipendenti pubblici.

In ogni caso deve osservarsi che tale mancanza non può costituire ostacolo per l’interprete atteso che la Corte di cassazione, 3 luglio 2003, n. 10551 ha riconosciuto che una categoria di personale (i c.d. “gettonati” dell’Università di Napoli) che non trovava corrispondenza in nessuna tipologia normativizzata, doveva essere iscritta all’INPDAP, ai fini di quiescenza (d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092), e di previdenza (d. P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032) perché prestava servizio presso un ente pubblico quale l’università.

Tale orientamento è stato recepito anche dal Consiglio di Stato con decisione n. 7962/2003.

9. Il Collegio ritiene di dover segnalare che, nella fattispecie in esame, nessun rilievo assume la deliberazione dell’Autorità n. 498/11/Cons, pure richiamata nella sentenza appellata, anche se il titolo può trarre in inganno “Regolamento concernente l’indennità di fine rapporto”, perché, nelle premesse, al visto n. 5 si fa riferimento al trattamento “integrativo”: quindi questa deliberazione riguarda altra indennità di fine rapporto, non l’indennità base.

10. Conclusivamente, a conforto del rigetto del ricorso in appello, deve evidenziarsi che l’ente appellante non ha fornito alcun esempio, concretamente esistente, di dipendenti pubblici iscritti all’INPDAP, ai fini del trattamento di quiescenza, che ricevano il trattamento di fine rapporto ai sensi dell’art. 2120 del codice civile.

11. Per quanto attiene alle conseguenze della sentenza appellata, il Collegio ritiene di dover esplicitare che, non essendo dovuti gli accantonamenti presso l’INPS, quest’ultimo dovrà restituire, ove effettivamente versate, le somme all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

Nel contempo la medesima Autorità è legittimata, per il periodo controverso, a riscuotere dagli appellati, i relativi contributi.

12. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

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