Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-02-12, n. 201300798

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-02-12, n. 201300798
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201300798
Data del deposito : 12 febbraio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00488/2009 REG.RIC.

N. 00798/2013REG.PROV.COLL.

N. 00488/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 488 del 2009, proposto da:
Comune di San Benedetto del Tronto, rappresentato e difeso dall'avv. A G, con domicilio eletto presso l’avv. A G in Roma, via Salaria, 95;

contro

IBI Idroimpianti S.p.A., rappresentato e difeso dagli avv. R F e G S, con domicilio eletto presso l’avv. R F in Roma, via G.B. De Rossi, 30;
Impec S.p.A.;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. MARCHE - ANCONA: SEZIONE I n. 01302/2008, resa tra le parti, concernente risarcimento danni relativo esclusione da gara per realizzazione impianto depurazione.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2012 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti gli avvocati Giuliano Berruti, su delega dell'avv. A G e R F (entrambi nella fase preliminare);


FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, Sez. I, con la sentenza n. 1302 del 19 settembre 2008, ha accolto in il ricorso proposto dall’attuale appellata, riconoscendo il diritto delle imprese ricorrenti ad essere risarcite dei danni patrimoniali subiti per effetto dell’avvenuta illegittima loro esclusione dal procedimento di scelta del contraente indetto dall’Amministrazione comunale di San Benedetto del Tronto per l’affidamento dei lavori di potenziamento dell’impianto di depurazione comunale, lotto 2, sito in zona Sentina, condannando il predetto Comune, in favore delle ricorrenti imprese s.p.a. IBI Idroimpianti di Napoli e s.p.a. INPEC di Pozzuoli, di una somma di denaro a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali pari al 5 per cento dell’ammontare della base d’asta dei lavori suddetti (€. 2.540.911,13), ribassata di una percentuale corrispondente all’offerta presentata dal raggruppamento di imprese ricorrente (11,25%), ulteriormente ridotta di una percentuale del 25% a titolo di concorso di colpa dell’ATI ricorrente nella causazione del danno risarcito;
il tutto maggiorato di rivalutazione monetaria e di interessi legali come per legge, dalla data di pubblicazione della decisione al soddisfo.

Il TAR ha, invece, respinto la residua domanda di risarcimento diretta ad ottenere una separato ristoro a titolo di danno emergente per le spese asserite sostenute per la partecipazione alla gara, nonché la residua domanda risarcitoria preordinata ad ottenere il ristoro del danno da perdita di qualificazione dipendente dalla mancata avvenuta esecuzione dei lavori, per assenza di prova sull’effettivo mancato impiego delle maestranze e dei mezzi delle imprese associate per la realizzazione di lavori alternativi.

Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che l’operato degli organi del Comune intimato, dal quale viene fatto dipendere il danno oggetto di accertamento, era da qualificare sicuramente negligente e frutto di una superficiale valutazione dei fatti addotti a sua giustificazione e, quindi, di una errata applicazione del quadro normativo di riferimento, poiché non era consentito di procedere alla esclusione dalla gara del raggruppamento di imprese ricorrente in primo grado per il solo fatto del mancato rispetto del termine assegnato per la presentazione della documentazione integrativa richiesta, tanto più che il raggruppamento di imprese non era rimasto inadempiente, avendo provveduto a spedire nei termini gli atti richiesti dalla stazione appaltante i quali, seppure tardivamente (in data 26 ottobre 2000, ore 9,03), erano comunque stati acquisiti dal dirigente responsabile del procedimento prima dell’approvazione dell’operato della commissione di gara e, quindi, dell’aggiudicazione definitiva della licitazione, formalizzata con provvedimento n. 1299 del 27 ottobre 2000 del Dirigente del Settore Lavori Pubblici.

L’appellante contestava la sentenza del TAR e, con l’appello in esame, chiedeva il rigetto del ricorso di primo grado.

Si costituiva l’intimata chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo appello incidentale.

All’udienza pubblica del 23 ottobre 2012 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Ritiene il Collegio che l’appello principale sia infondato.

Infatti, in primo luogo, la sentenza di annullamento del T.A.R., confermata dal Consiglio di Stato dà atto ampiamente delle ragioni che consentono di ritenere negligente l’operato della stazione appaltante nel disporre, in contrasto con la legge all’epoca vigente e con il proprio disciplinare di gara, l’esclusione dell’A.T.I. IBI.

Inoltre, sempre per quanto riguarda l’accoglimento della domanda risarcitoria del TAR, contestata in appello dal Comune, si deve rilevare che le obiezioni mosse dall’appellante, circa la genericità del ricorso, l’assenza di prova, con particolare riguardo all’elemento soggettivo, sono da considerarsi del tutto destituite di fondamento, atteso che, come ha ormai chiarito la giurisprudenza amministrativa, il privato che assume di essere stato danneggiato da un provvedimento illegittimo dell'Amministrazione non deve manifestare un particolare impegno per raggiungere la prova della colpa della stessa, potendo egli limitarsi ad allegare l'illegittimità dell'atto.

Infatti, può farsi applicazione, al fine della prova dell'elemento soggettivo, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all'art. 2727 c.c.;
di conseguenza, a quel punto, spetterà all'Amministrazione dimostrare, se del caso, che si è verificato un errore scusabile, il quale è configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, d'influenza determinante di comportamenti di altri soggetti o di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 12 giugno 2012, n. 3444;
cfr. anche C.d.S., IV, 12 febbraio 2010, n. 785;
V, 20 luglio 2009, n. 4527;
IV, 9 marzo 2007, n. 1114 e 9 giugno 2008 n. 2751).

Inoltre, costituisce giurisprudenza pacifica in materia di appalti, come è ormai notorio, quell’orientamento, inaugurato dalla Corte di Giustizia dell'U.E., secondo cui la direttiva 89-665 deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici, da parte di un'Amministrazione aggiudicatrice, al carattere colpevole di tale violazione. E questo anche nel caso in cui l'applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all'Amministrazione suddetta, nonché sull'impossibilità per quest'ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un ipotetico difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata (Corte giustizia CE, sez. III, 30 settembre 2010, C-314/09).

Nel caso in esame, l’illegittima nota 11.10.2000 con cui fu imposto un termine perentorio per la ricezione dei documenti a comprova (illegittimità ormai coperta da giudicato) risulta emanata in un contesto temporale in cui era pacifica in giurisprudenza l’interpretazione dell’art. 10, comma 1-quater, l. 109-94 e la stessa Autorità di Vigilanza (det. 30 marzo 2000, n. 15) aveva inequivocamente escluso che la verifica dei requisiti delle prime due graduate fosse soggetta a termine perentorio.

L’appello principale deve ritenersi, pertanto, infondato.

Per quanto riguarda l’appello incidentale deve preliminarmente considerarsi, che secondo il Collegio, la legittimazione della IBI a proporlo discende pacificamente dall’essere destinataria dell’appello principale.

Nel merito, in ordine alla decurtazione del 50% sui mancati utili, censurata nell’appello incidentale, il Collegio deve ribadire il proprio indirizzo secondo cui il criterio di liquidazione desunto da disposizioni in tema di lavori pubblici che riguardano, però, altri istituti, come appunto l'indennizzo dell'appaltatore nel caso di recesso dell'Amministrazione committente, o la determinazione del prezzo a base d'asta, quando impiegato come criterio risarcitorio residuale in una logica equitativa, conduce, almeno di regola, all'abnorme risultato che il risarcimento dei danni finisce per essere, per l'imprenditore, più favorevole dell'impiego del capitale: con il che si crea la distorsione per cui il ricorrente non ha più interesse a provare in modo puntuale il danno subito quanto al lucro cessante, perché presumibilmente otterrebbe meno di quanto la liquidazione forfetaria gli consentirebbe (CdS, V, n. 2967 del 2008;
VI, 21 maggio 2009, n. 3144).

La tecnica di quantificazione del danno in discorso, pur se inizialmente impiegata, è stata messa pertanto profondamente in discussione dalla più recente giurisprudenza di questo Consiglio (IV, n. 6485 del 2010;
V, n. 2967 del 2008;
VI, n. 3144 del 2009;
n. 8646 del 2010), osservandosi che il relativo criterio non può essere oggetto di applicazione automatica: viceversa, deve esigersi la prova rigorosa, a carico dell'impresa, della percentuale di utile effettivo che essa avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell'appalto (Cons. Stato, V, 6 aprile 2009, n. 2143;
17 ottobre 2008, n. 5098;
5 aprile 2005, n. 1563;
VI, 4 aprile 2003, n. 478).

A conforto di tale nuovo approccio è recentemente giunta l'espressa previsione contenuta nell'art. 124 del Codice del processo amministrativo, a tenore del quale "se il giudice non dichiara l'inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente subito", a condizione, tuttavia, che lo stesso sia stato "provato".

Ebbene, nel caso di specie nessuna prova è stata fornita dall’appellante incidentale in merito ad un proprio verosimile utile eccedente quanto accordato dal TAR;
e tantomeno sono stati allegati indici fattuali circostanziati al punto di consentire, in ipotesi, il ricorso all'uopo a perizie contabili.

E’ doveroso ricordare, d'altra parte, che, sempre secondo la giurisprudenza di questo Consiglio (per tutte C.d.S, VI, n. 7004-10), il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell'aggiudicazione e di certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questi dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista dell'aggiudicazione.

In difetto di tale dimostrazione (che compete dunque al concorrente fornire: cfr. C.d.S., IV, n. 6485\2010), è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi: da qui la decurtazione del risarcimento di una misura a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum.

Non va dimenticato, infatti, che, ai sensi dell'art. 1227 c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno.

Nelle gare di appalto l'impresa non aggiudicataria, ancorché proponga un ricorso e possa ragionevolmente confidare di riuscire vittoriosa, non può mai nutrire la matematica certezza che le verrà aggiudicato il contratto, atteso che sono molteplici le possibili sopravvenienze ostative.

Pertanto, non costituisce normalmente condotta diligente quella di immobilizzare tutti i mezzi d'impresa nelle more del giudizio nell'attesa dell'aggiudicazione in proprio favore, essendo invece ben più razionale che l'impresa si attivi per svolgere nelle more altre attività, procurandosi prestazioni contrattuali alternative dalla quali trarre utili.

Da qui la piena ragionevolezza di una detrazione dal risarcimento del mancato utile, affermata dalla giurisprudenza (in particolare, nella misura del 50%), sia dell'aliunde perceptum, sia dell' aliunde percipiendum con l'originaria diligenza che questo Consiglio ritiene pienamente rispondente ai parametri di risarcimento comunitariamente compatibili, in quanto per il diritto comunitario non si vuole certamente che l’impresa abbia meno interesse a provare in modo puntuale il danno subito quanto al lucro cessante, perché presumibilmente otterrebbe meno di quanto la liquidazione forfetaria gli consentirebbe, con ovvi effetti distorsivi della concorrenza.

In ordine all’ulteriore decurtazione del risarcimento pari al 25%, per concorso di colpa del danneggiato, il Collegio, diversamente da quanto opina il TAR, ritiene che la lex specialis non avesse previsto in merito alcuna perentorietà del termine per l’inoltro della documentazione per la verifica dei requisiti tecnico-economici da parte delle prime due graduate;
pertanto, solo la nota 11 ottobre 2000, in contrasto con la legge e con il bando, aveva prescritto detta perentorietà.

A seguito dell’annullamento giurisdizionale della predetta nota comunale 11 ottobre 2000, l’inoltro asseritamente tardivo della documentazione da parte dell’ATI IBI-IMPEC non può configurarsi come comportamento colposo ex art. 1227 c.c., atteso che detto comportamento è certamente conforme a legge (art. 10 comma 1-quater, l. 109-94) e trova puntuale giustificazione nel disciplinare di gara.

Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello principale deve essere respinto e l’appello incidentale deve essere in parte accolto, con conseguente rideterminazione della misura del risarcimento del danno definita dal TAR, risarcimento cui non può essere applicata la riduzione equitativa del 25 per cento, ai sensi dell’art 1227 c.c.

Evidenziandosi un danno erariale sicuramente riferibile all’Amministrazione la presente sentenza deve essere trasmessa alla Procura regionale della Corte dei Conti per le valutazioni di competenza relative all’esercizio dell’azione per far valere il danno erariale medesimo.

Le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

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