Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-03-02, n. 202001522
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Pubblicato il 02/03/2020
N. 01522/2020REG.PROV.COLL.
N. 00851/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 851 del 2020, proposto da
G B, S B, R C, Elisabetta D'Aprano, G G, D I, R L, S L B, R R M, F M, C M, E M, R M, S P, N P, R R, S A S, B M S, U S, C V, V Z, G Z e P Z, rappresentati e difesi dall'avvocato G M, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Antonio Salandra, n. 18;
contro
Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliato
ex lege
;
Cimea – Centro di Informazione sulla Mobilità e le Equivalenze Accademiche, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Roma (Sezione Terza) n. 10503/2019, resa tra le parti, concernente il riconoscimento di percorsi formativi svolti all’estero.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 febbraio 2020 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti l’avvocato G M e l’avvocato dello Stato Davide Di Giorgio;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con l’odierno appello i sig.ri G B, S B, R C, Elisabetta D'Aprano, G G, D I, R L, S L B, R R M, F M, C M, E M, R M, S P, N P, R R, S A S, B M S, U S, C V, V Z, G Z e P Z, hanno impugnato la sentenza 12/8/2019, n. 10503, con cui il T.A.R. Lazio – Roma ha respinto l’originario gravame dai medesimi proposto avverso il provvedimento del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, n. 5636 del 2 aprile 2019, con il quale l'Amministrazione (tramite il suo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione – Direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione) ha comunicato che i titoli denominati “ Programului de studii psihopedagogice, Nivelul I e Nivelul II ” conseguiti da cittadini italiani in Romania non soddisfano i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica professionale di docente ai sensi della Direttiva 2005/36/CE e successive modifiche, e che pertanto le istanze di riconoscimento presentate sulla base dei suddetti titoli erano da considerarsi rigettate.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante richiama i motivi originari di ricorso censurando i diversi passaggi argomentativi della sentenza di prime cure.
Per resistere al ricorso si è costituito in giudizio l’appellato Ministero.
Alla pubblica udienza del 27 febbraio 2020 la causa è passata in decisione.
La questione che forma oggetto del contendere è già stata decisa con da questa Sezione con recente sentenza che il Collegio condivide (Cons. Stato, Sez. VI, 17/2/2020, n. 1198).
Non resta pertanto che riprenderne le motivazioni.
<< 1. La controversia decisa dalla sentenza appellata, riproposta nella presente sede, ha ad oggetto la domanda di annullamento del provvedimento di portata generale del MIUR, con il quale veniva rigettata la richiesta di riconoscimento dell’abilitazione acquisita in Romania, nonché il conseguente diniego, attuativo dell’atto generale e specificamente destinato all’odierno appellante, del riconoscimento dei titoli abilitativi conseguiti in Romania ed al conseguente esercizio dell’insegnamento in Italia negli Istituti di istruzione media-superiore delle discipline indicate nella istanza del 17 novembre 2017.
2. Dall’analisi degli atti prodotti risulta che l’odierno appellante aveva proposto istanza diretta a ottenere il riconoscimento in Italia del titolo di abilitazione conseguito in Romania.
L’Amministrazione esprimeva un diniego particolare, indirizzato a ogni singolo ricorrente, sulla scorta del richiamo al precedente e generale provvedimento predetto.
In particolare, l’Amministrazione precisava che l’articolo 13, commi 1 e 3, della direttiva 2013/55/Ue disciplina l’accesso alla professione regolamentata. La tipologia di formazione professionale in oggetto viene considerata dall’autorità competente rumena condizione necessaria ma non sufficiente al rilascio dell’attestazione di conformità da parte dell’autorità competente del medesimo Stato membro. I provvedimenti individuali rinviano, quindi, alla nota n. 5636 del 2 aprile 2019 pubblicata sul sito istituzionale, nella quale si precisa, tra l’altro, che: per la professione di docente non si applica il regime del riconoscimento automatico, ma il sistema generale che prevede la valutazione dei percorsi di formazione attraverso l’analisi comparata dei percorsi formativi previsti nei due Stati Membri coinvolti;con nota del Ministero rumeno dell’educazione del novembre 2018, a seguito di interlocuzione ministeriale, è stato chiarito che il possesso del certificato di conseguimento della formazione psicopedagogica costituisce condizione necessaria, ma non sufficiente al fine di ottenere la qualifica professionale di docente in Romania e che l’attestato di conformità degli studi con le disposizioni della Direttiva 2005/36/Ce sul riconoscimento delle qualifiche professionali per i cittadini che hanno studiato in Romania, al fine di svolgere attività didattiche all’estero, si rilascia al richiedente, solo nel caso in cui quest’ultimo abbia completato in Romania sia studi di istruzione superiore post secondaria sia studi universitari;la formazione svolta dai cittadini italiani non è riconosciuta dalla competente autorità rumena ai fini della direttiva in questione.
3. L’appello è prima facie fondato, in relazione alle peculiarità della fattispecie.
3.1 In linea di fatto non appare contestato che l’odierno appellante sia in possesso, per un verso, del titolo di studio della laurea conseguito in Italia e, per un altro verso, dell’abilitazione all’insegnamento conseguita in Romania.
Il richiesto riconoscimento dell’operatività di quest’ultimo in Italia viene negato dal Ministero odierno appellato sulla scorta della valutazione delle autorità rumene, le quali escludono il riconoscimento delle qualifiche professionali per coloro che non hanno conseguito il titolo di studio in Romania.
3.2 Invero, l’argomento posto a base del contestato diniego si pone in contrasto con i principi e le norme di origine sovranazionale, i quali impongono di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che "la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno" (cfr. ad es. Cge n. 675 del 2018).
Una volta acquisita la documentazione che attesta il possesso del certificato conseguito in Romania, non può negarsi il riconoscimento dell’operatività in Italia, altro paese Ue, per il mancato riconoscimento del titolo di studio – laurea – conseguito in Italia.
L’eventuale errore delle autorità rumene sul punto non può costituire ragione e vincolo per la decisione amministrativa italiana;ciò, in particolare, nel caso di specie, laddove il titolo di studio reputato insufficiente dalle Autorità di altro Stato membro è la laurea conseguita presso una università italiana.
3.3 Piuttosto, le Autorità nazionali sono chiamate a valutare la congruità delle formazioni conseguite all’estero, nei termini chiariti dalla giurisprudenza europea e sopra richiamati.
A fronte della chiarezza dei principi e delle norme europee rilevanti in materia, non occorre sottoporre la questione alla Corte di giustizia in termini di rinvio pregiudiziale.
3.4 In proposito, va ricordato il principio a mente del quale l’articolo 45 TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso osta a che la p.a., quando esamina una domanda di partecipazione proposta da un cittadino di tale Stato membro, subordini tale partecipazione al possesso dei diplomi richiesti dalla normativa di detto Stato membro o al riconoscimento dell'equipollenza accademica di un diploma di master rilasciato dall'università di un altro Stato membro, senza prendere in considerazione l'insieme dei diplomi, certificati e altri titoli nonché l'esperienza professionale pertinente dell'interessato, effettuando un confronto tra le qualifiche professionali attestate da questi ultimi e quelle richieste da detta normativa (cfr. ad es. Corte giustizia UE sez. II, 06/10/2015, n.298).
In tale ottica, le norme della direttiva 2005/36/CE , relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, devono essere interpretate nel senso che impongono ad uno Stato membro di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione previsti da tale direttiva e rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che "la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. più di recente Corte giustizia UE, sez. III, 06/12/2018, n. 675).
In dettaglio, per ciò che rileva nel caso di specie, va altresì richiamato l’art. 13 della direttiva 2013/55/Ue, che ha modificato la predetta direttiva 2005/36, rubricato condizioni di riconoscimento: “1. Se, in uno Stato membro ospitante, l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro permette l’accesso alla professione e ne consente l’esercizio, alle stesse condizioni previste per i suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’articolo 11, prescritto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio. Gli attestati di competenza o i titoli di formazione sono rilasciati da un’autorità competente di uno Stato membro, designata nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di detto Stato membro”. A propria volta il successivo comma 3 statuisce: “3. Lo Stato membro ospitante accetta il livello attestato ai sensi dell’articolo 11 dallo Stato membro di origine nonché il certificato mediante il quale lo Stato membro di origine attesta che la formazione e l’istruzione regolamentata o la formazione professionale con una struttura particolare di cui all’articolo 11, lettera c), punto ii), è di livello equivalente a quello previsto all’articolo 11, lettera c), punto i).”
3.5 Pertanto, a fronte della sussistenza in capo all’odierno appellante sia del titolo di studio richiesto, la laurea conseguita in Italia (ex sé rilevante, senza necessità di mutuo riconoscimento reciproco), sia della qualificazione abilitante all’insegnamento, conseguita presso un paese europeo, non sussistono i presupposti per il contestato diniego.
A quest’ultimo proposito, lungi dal poter valorizzare l’erronea interpretazione delle autorità rumene, la p.a. odierna appellata è chiamata unicamente alla valutazione indicata dalla giurisprudenza appena richiamata, cioè alla verifica che, per il rilascio del titolo di formazione ottenuto in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno >>.
Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va accolto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Sussistono eccezionali ragioni per disporre l’integrale compensazione di spese e onorari del doppio grado di giudizio.