Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-07-08, n. 202205746

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-07-08, n. 202205746
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202205746
Data del deposito : 8 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/07/2022

N. 05746/2022REG.PROV.COLL.

N. 00297/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 297 del 2016, proposto da
ANTONELLA MUZI, ITALO CIANCARELLA, rappresentati e difesi dall’avvocato C V, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato S I in Roma, via degli Appennini, n. 46;

contro

COMUNE DELL’AQUILA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato D D N, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A P in Roma, via Tremiti, n. 10;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo (Sezione Prima) n. 426 del 2015;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di L’Aquila;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 30 maggio 2022 il Cons. Dario Simeoli;

Nessuno è comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.– I fatti principali, utili ai fini del decidere, possono essere così riassunti:

- la signora Antonella Muzi – proprietaria di alcuni terreni siti in località Cirella di Sassa (Comune dell’Aquila) e riportati al catasto al foglio 2 particelle 1434, 1435 e 117 – presentava, in data 27 dicembre 2011, un progetto volto ad ottenere il permesso a costruire per la «demolizione e ricostruzione» di un manufatto in legno, con richiesta di ampliamento ai sensi della legge della Regione Abruzzo n. 16 del 2009;

- la predetta istanza veniva rigettata dal Comune, con provvedimento n. 198 del 2011, adducendo la contrarietà dell’intervento proposto con l’art. 6 della menzionata legge della Regione Abruzzo n. 16 del 2009, per esubero di superficie utile consentita, nonché la violazione dell’art. 2, comma 2, della stessa legge della Regione Abruzzo n. 16 del 2009, trattandosi di intervento già realizzato in assenza di titolo;

- con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, la signora M A, trasponendo dinnanzi Tribunale Amministrativo Regionale, il ricorso straordinario al Capo dello Stato, impugnava tale diniego lamentando, in estrema sintesi: i) la carenza di motivazione del provvedimento impugnato, non avendo il Comune tenuto conto della circostanza che il manufatto realizzato era la fedele ricostruzione di quello precedentemente costruito anteriormente al 1967, ristrutturato per esigenze abitative verificatesi dopo il terremoto del 2009, e che l’esigenza di iniziare i lavori di demolizione e ricostruzione contestualmente alla presentazione dell’istanza di permesso di costruire e prima della definizione della relativa pratica era stata determinata dal ritardo con cui aveva provveduto il Comune stesso;
ii) la violazione della legge statale n. 106 del 2011, non ancora recepita dalla Regione Abruzzo, che ammette un aumento di superficie utile del 30%;

- con separato ricorso (anch’esso derivante dalla trasposizione in sede giurisdizionale di ricorso straordinario al Capo dello Stato), l’interessata impugnava anche l’ordinanza di demolizione n. 23 del 2013 avente ad oggetto le medesime opere, deducendo che: 1) il manufatto era stato costruito anteriormente al 1967;
2) non si era tenuto conto del fatto che la ricorrente non aveva chiesto la sanatoria ma una semplice richiesta di ristrutturazione di un immobile già esistente per esigenze abitative verificatesi dopo il terremoto del 2009;
3) l’ordinanza era illegittima perché tardivamente adottata;
4) l’esigenza di iniziare i lavori di demolizione e ricostruzione prima del permesso di costruire era stata determinata dal ritardo del Comune, il quale aveva assunto il provvedimento di diniego dopo la formazione del silenzio-assenso;
5) non erano state rispettate le garanzie partecipative;

- il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, riuniti i due ricorsi, con sentenza n. 426 del 2015, li rigettava entrambi.

2.– Avverso la predetta sentenza di primo grado hanno proposto appello i signori M A e C I, riproponendo nella sostanza i motivi di impugnazione di primo grado, sia pure adattati all’impianto motivazionale della sentenza gravata.

In particolare, secondo l’appellante:

a) sussisterebbe il difetto di procura speciale del Comune dell’Aquila, in quanto non risulterebbe agli atti la data di rilascio del mandato e alcun dato da cui possa desumersi che la procura rilasciata sia riferita alla presente controversia;

b) sempre in via preliminare, sussisterebbe il difetto di rappresentanza del Comune dell’Aquila, in quanto la Giunta Comunale non avrebbe assunto alcuna deliberazione circa la costituzione in giudizio del Comune, così come, invece, prevedrebbe l’art. 31 dello Statuto Comune dell’Aquila ed il Regolamento per l’avvocatura di cui alla delibera della Giunta Comunale dell’Aquila n. 43 del 14 febbraio 2014;

c) nel merito, il permesso di costruire sarebbe stato rilasciato in forma tacita, a seguito del mancato e tempestivo rigetto della richiesta da parte del Comune e da ciò deriverebbe anche l’illegittimità dell’ordine di demolizione;

d) diversamente da quanto stabilito dal primo giudice, l’intervento edilizio in questione non sarebbe stato realizzato prima che il Comune resistente rilasciasse il permesso di costruire;

e) non sussisterebbero i vincoli ambientali, paesaggistici, o culturali, dai quali il giudice di prime cure ha fatto discendere l’inapplicabilità delle norme sulla formazione tacita dell’atto abilitativo;

f) il primo giudice avrebbe, inoltre, erroneamente ritenuto violato l’art. 6 della legge regionale n. 16 del 2009, atteso che l’incremento di superficie utile eccederebbe il 20% dell’esistente, come risulta dalla nota del Corpo Forestale dello Stato n. 39528 del 2012 e dalla nota del Comune del 28 agosto 2012: tale ultima nota non risulterebbe infatti depositata in atti e, così come la nota del Corpo Forestale dello Stato, sarebbe comunque estranea sia al provvedimento di rigetto del permesso di costruire sia alla richiesta di sanatoria.

3.– Si è costituito in giudizio il Comune dell’Aquila, eccependo l’inammissibilità del gravame (in quanto proposto, unitamente alla ricorrente di primo grado, anche dal signor I C, non presente nel giudizio di primo grado) e comunque la sua infondatezza.

4.– Nel corso dell’odierna udienza del 30 maggio, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.

5.– Il “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale, consente di derogare all’ordine logico di esame delle questioni ‒ e quindi di tralasciare ogni valutazione pregiudiziale sulle eccezioni di rito sollevate da entrambe le parti ‒ e di risolvere la lite nel merito.

6.– Ritiene il Collego che la sentenza di primo grado va confermata.

7.– L’Amministrazione comunale ha legittimamente rigettato l’istanza di permesso di costruire presentata dall’odierna appellante.

7.1.– È dirimente considerare che l’intervento edilizio richiesto (di demolizione e ricostruzione di un manufatto in legno, insistente sul terreno sito in località Cirella di Sassa) è stato realizzato senza che il Comune lo avesse previamente assentito: l’istanza di permesso di costruire è stata infatti presentata in data 27 dicembre 2011, mentre – come emerge dalla relazione del Corpo forestale dello Stato n. 39528 del 2012 e dagli stralci cartografici allegati dal Comune – risulta che, sin dal 13 agosto 2011, l’immobile era già esistente, come confermato anche. Peraltro, come dedotto dalla difesa comunale, la sentenza del Tribunale dell’Aquila, sezione penale, n. 564 del 2014, passata in giudicato, nel dichiarare prescritta la contravvenzione di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, afferma che l’epoca di realizzazione del manufatto in questione era da collocare «quanto meno» al 27 dicembre 2010.

7.2.– La realizzazione di un intervento edilizio prima del rilascio del titolo edilizio prescritto dalla legge, ne comporta irrimediabilmente l’abusività (c.d. formale), alla quale può ovviarsi con il diverso procedimento di accertamento di compatibilità urbanistica, di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, sempreché ne ricorrano i presupposti (della c.d. doppia conformità sostanziale).

Tale assunto – del tutto pacifico alla luce della legislazione statale – è confermato anche dall’art. 2, comma 2, della legge della Regione Abruzzo n. 16 del 2009.

8.– Come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, nel caso di specie neppure può invocarsi, in ragione del ritardo con cui il Comune ha rigettato l’istanza, l’istituto del silenzio-assenso previsto dall’art. 20, comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui: «Decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso […]».

Sul punto è opportuna una breve digressione.

8.1.– Il dispositivo tecnico denominato ‘silenzio-assenso’ risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia ‘equivale’ a provvedimento di accoglimento (tale ricostruzione teorica si lascia preferire rispetto alla tesi ‘attizia’ del silenzio, che appare una fictio non necessaria). Tale equivalenza non significa altro che gli effetti promananti dalla fattispecie sono sottoposti al medesimo regime dell’atto amministrativo. Con il corollario che, ove sussistono i requisiti di formazione del silenzio-assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge.

Reputare, invece, che la fattispecie sia produttiva di effetti soltanto ove corrispondente alla disciplina sostanziale, significherebbe sottrarre i titoli così formatisi alla disciplina della annullabilità: tale trattamento differenziato, per l’altro, neppure discenderebbe da una scelta legislativa oggettiva, aprioristicamente legata al tipo di materia o di procedimento, bensì opererebbe (in modo del tutto eventuale) in dipendenza del comportamento attivo o inerte della p.a.

Inoltre, l’impostazione di “convertire” i requisiti di validità della fattispecie ‘silenziosa’ in altrettanti elementi costitutivi necessari al suo perfezionamento, vanificherebbe in radice le finalità di semplificazione dell’istituto: nessun vantaggio, infatti, avrebbe l’operatore se l’amministrazione potesse, senza oneri e vincoli procedimentali, in qualunque tempo disconoscere gli effetti della domanda.

L’obiettivo di semplificazione perseguito dal legislatore – rendere più spediti i rapporti tra amministrazione e cittadini, senza sottrarre l’attività al controllo dell’amministrazione – viene realizzato stabilendo che il potere (primario) di provvedere viene meno con il decorso del termine procedimentale, residuando successivamente la solo possibilità di intervenire in autotutela sull’assetto di interessi formatosi ‘silenziosamente’.

L’ammissibilità di un provvedimento di diniego tardivo si porrebbe in contrasto con il principio di «collaborazione e buona fede» (e, quindi, di tutela del legittimo affidamento) cui sono informate le relazioni tra i cittadini e l’Amministrazione (ai sensi dell’art. 1, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990).

Resta fermo che il silenzio-assenso non costituisce una modalità ‘ordinaria’ di svolgimento dell’azione amministrativa, bensì costituisce uno specifico ‘rimedio’ messo a disposizione dei privati a fronte della inerzia dell’amministrazione, come confermato dall’art. 2, comma 9, della legge n. 241 del 1990, secondo cui «[l]a mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente». Nello stesso senso depone anche l’obbligo di provvedere (sia pure redatto in forma semplificata) rispetto alle domande manifestamente irricevibili, inammissibili, improcedibili o infondate, sancito dell’art. 2, comma 1, della legge n. 241 del 1990.

8.2.– Che il silenzio-assenso si formi anche quando l'attività oggetto del provvedimento di cui si chiede l’adozione non sia conforme alle norme – oltre che desumibile dalle considerazioni sistematiche sopra svolte – è confermato da puntuali ed univoci indici normativi con il quali il legislatore ha inteso chiaramente sconfessare la tesi secondo cui la possibilità di conseguire il silenzio-assenso sarebbe legato, non solo al decorso del termine, ma anche alla ricorrenza di tutti gli elementi richiesti dalla legge per il rilascio del titolo abilitativo.

Segnatamente, deve tenersi conto delle seguenti disposizioni:

i) l’espressa previsione della annullabilità d’ufficio anche nel caso in cui il «provvedimento si sia formato ai sensi dell’art. 20», presuppone evidentemente che la violazione di legge non incide sul perfezionamento della fattispecie, bensì rileva (secondo i canoni generali) in termini di illegittimità dell’atto;

ii) l’art. 2, comma 8- bis , della legge n. 241 del 1990 (introdotto dal decreto-legge n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020) – nella parte in cui afferma che «Le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli articoli 14-bis, comma 2, lettera c), 17-bis, commi 1 e 3, 20, comma 1, […] sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall'articolo 21-nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni» – conferma che, decorso il termine, all’Amministrazione residua soltanto il potere di autotutela;

iii) l’art. 2, comma 2-bis – prevedendo che «Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento ai sensi del comma 1, fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso, l’amministrazione è tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell’intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo […]» (analoga, ma non identica, disposizione è contenuta all’ultimo periodo dell’art. 20, comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001) – stabilisce, al fine di ovviare alle perduranti incertezze circa il regime di formazione del silenzio-assenso, che il privato ha diritto ad un’attestazione che deve dare unicamente conto dell’inutile decorso dei termini del procedimento (in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie rimaste inevase e di provvedimenti di diniego tempestivamente intervenuti);

iv) l’abrogazione dell’art. 21, comma 2, della legge n. 241 del 1990 che assoggettava a sanzione coloro che avessero dato corso all’attività secondo il modulo del silenzio-assenso, «in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente»;

v) l’art. 21, comma 1, della legge n. 241 del 1990 – secondo cui: «Con la segnalazione o con la domanda di cui agli articoli 19 e 20 l’interessato deve dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti. In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista dagli articoli medesimi […] –, da cui si desume che, in caso di dichiarazioni non false, ma semplicemente incomplete, il silenzio-assenso si perfeziona comunque (al riguardo, sussiste una antinomia, che non rileva sciogliere in questa sede, con l’art. 21-nonies, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990, il quale riconduce all’autotutela anche l’ipotesi di «provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato», salva la possibilità di auto-annullamento anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi).

8.3.– Tutto ciò premesso, occorre fare una ulteriore precisazione: dai requisiti di validità – il cui difetto, come abbiamo visto, non impedisce il perfezionarsi della fattispecie – va distinta l’ipotesi della radicale ‘inconfigurabilità’ giuridica dell’istanza: quest’ultima, cioè, per potere innescare il meccanismo di formazione silenziosa dell’atto, deve essere quantomeno aderente al ‘modello normativo astratto’ prefigurato dal legislatore.

Nel caso in esame, l’intervento di demolizione e ricostruzione di precedente manufatto, come detto più volte, risultava già realizzato al momento della presentazione dell’istanza di permesso di costruire, che quindi era priva del necessario presupposto logico-normativo, ossia che l’intervento non fosse ancora stato realizzato (il contesto fattuale consentiva soltanto la diversa istanza di accertamento di conformità).

Per tali ragioni, il decorso del tempo non potere rilevare ai fini della formazione del silenzio-assenso.

9.– È noto che nel caso in cui il provvedimento impugnato si fondi su una pluralità di ragioni autonome, il giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell’atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, in quanto la conservazione dell’atto implica la perdita di interesse del ricorrente all’esame delle altre doglianze.

9.1.– Cionondimeno, va rimarcato che appare fondata anche l’ulteriore ragione ostativa, su cui si fonda il diniego di permesso di costruire gravato, ovvero la violazione dell’art. 6 della legge regionale n. 16 del 2009, per esubero di superficie utile.

Come accertato dal giudice di prime cure, l’istante ha presentato istanza di permesso di costruire per la demolizione e la ricostruzione di un manufatto (già esistente sin dal 1960) con un incremento del 20% di superficie, in quanto rispetto ad una superficie di 100 mq e di un’altezza di 2,80 mt, il nuovo edificio avrebbe dovuto occupare una superficie di 118,30 mq (cfr. progetto dei lavori presentato al Comune in data 27 dicembre 2011). Sennonché, come risulta ancora una volta dalla nota del Corpo forestale dello Stato n. 39528 del 2012 e dalla nota del Comune del 28 agosto 2012, l’incremento di superficie utile eccedeva il 20% dell’esistente.

10.– Stante l’acclarata abusività del manufatto abusivo per cui è causa – come si è visto: l’intervento edilizio è stato realizzato sine titulo e, inoltre, il successivo rigetto della domanda di permesso di costruire è legittimo alla luce di quanto sopra argomentato – anche l’impugnativa avverso l’ordinanza di demolizione n. 23 del 2013 va respinta.

10.1.– Secondo la consolidata giurisprudenza, a fronte di immobili sforniti di titolo abilitativo, l’ordine di demolizione è atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione aggiuntiva rispetto all’indicazione dei presupposti di fatto e all’individuazione e qualificazione degli abusi edilizi.

10.2.– Essendo in contestazione un intervento di demolizione e ristrutturazione di preesistente manufatto, è del tutto inconferente l’obiezione secondo cui il fabbricato originario risalirebbe ad epoca precedente al 1967.

10.3.– Va pure respinto il motivo incentrato sulla violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, non solo perché risulta in atti la comunicazione di avvio del procedimento, ma soprattutto perché le censure relative al contraddittorio non possono comunque determinare l’annullamento dell’ordinanza impugnata, in quanto il dispositivo di quest’ultima «non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato», ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990.

10.4.– Quanto alla successiva presentazione dell’istanza di accertamento di conformità, va ricordato che la presentazione di una istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso e, quindi, non determina l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza d’interesse, dell’impugnazione proposta avverso l’ordinanza di demolizione, ma comporta soltanto un arresto temporaneo dell’efficacia della misura repressiva che riacquista la sua efficacia nel caso di rigetto della domanda di sanatoria (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato sez. VI, 16 febbraio 2021, n.1432). Nella specie, l’istanza è stata rigettata con atto n. 306 del 7 novembre 2014 (motivato mediante la descrizione del manufatto e l’enunciazione delle ragioni giuridiche ostative al rilascio del titolo in sanatoria).

11.– L’appello, per tutte le ragioni sopra esposte, è infondato.

11.1– Le spese di lite del secondo grado di giudizio vanno poste a carico della parte appellante, secondo la regola generale della soccombenza.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi