Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-03-12, n. 201501298

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-03-12, n. 201501298
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201501298
Data del deposito : 12 marzo 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09174/2010 REG.RIC.

N. 01298/2015REG.PROV.COLL.

N. 09174/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 9174 del 2010, proposto dalla signora E D B A, in proprio e quale legale rappresentante della ALTE S.a.s. di E d B A &
C., e riassunto dal signor A T, quale erede della ricorrente, rappresentato e difeso dagli avv.ti G M, L D F, S C M, P S R e R S, con domicilio eletto presso il prof. Avv. S R in Roma, viale G. Mazzini, 11,

contro

LA

TRAVE

2 COSTRUZIONI S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Osvaldo Prosperi, Stefano Gattamelata e Marina D’Orsogna, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via di Monte Fiore, 22,

nei confronti di

COMUNE DI MONTESILVANO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marina De Martiis e Marco S, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via Pompeo Magno, 2/B,

per l’annullamento e/o la riforma

della sentenza del T.A.R. dell’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, nr. 613 del 2010, depositata in data 9 giugno 2010 e notificata il 29 giugno 2010, con la quale il Collegio giudicante ha: 1) respinto il ricorso nr. 61/09 proposto dalle odierne appellanti per l’annullamento della pratica di d.i.a. edilizia presentata dalla Trave 2 Costruzioni S.r.l. nonché degli atti e dei provvedimenti ad essa connessi;
2) accolto il riunito ricorso nr. 538/09, proposto dalla Trave 2 Costruzioni S.r.l. per l’annullamento dell’atto di autotutela con cui il Comune di Montesilvano aveva, alla luce del ricorso nr. 61/09, annullato il titolo edilizio conseguito dalla Trave 2 Costruzioni S.r.l. dopo la presentazione della d.i.a., nonché per l’annullamento dell’ordinanza di demolizione emanata dall’amministrazione comunale dopo l’autoannullamento del titolo edilizio e di tutti gli atti ed i provvedimenti connessi, e infine per il risarcimento del danno.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Montesilvano e della società La Trave 2 Costruzioni S.r.l., nonché l’appello incidentale proposto da quest’ultima;

Viste le memorie proposte dalla parte appellante (in date 27 gennaio 2011, 19 e 29 dicembre 2014) e dalla società appellata (in date 20 e 30 dicembre 2014) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 20 gennaio 2015, il Consigliere R G;

Uditi l’avv. S R per l’appellante, gli avv.ti D’Orsogna e Gattamelata per la società appellata e l’avv. S per il Comune di Montesilvano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La signora E D B A, anche nella qualità di legale rappresentate della società Alte S.a.s., ha impugnato la sentenza con la quale il T.A.R. dell’Abruzzo ha:

- respinto il ricorso dalla stessa proposto per l’annullamento della d.i.a. presentata dalla società Trave 2 Costruzioni S.r.l., nonché degli atti e provvedimenti ad essa connessi;

- accolto il riunito ricorso proposto dalla medesima società Trave 2 Costruzioni S.r.l., e quindi annullato l’atto di autotutela con cui il Comune di Montesilvano aveva annullato il titolo edilizio conseguito dalla stessa dopo la presentazione della predetta d.i.a., nonché la successiva ordinanza di demolizione di quanto edificato;

- respinto la domanda di risarcimento del danno formulata da Trave 2 S.r.l. in una a quella di annullamento.

A sostegno dell’appello, l’istante – cui è subentrato in corso di causa quale erede il figlio, signor A T - ha dedotto l’erroneità della sentenza del T.A.R.:

1) nella parte in cui ha ritenuto immune da vizi il titolo edilizio conseguito dalla società Trave 2 S.r.l. all’esito della d.i.a.;

2) laddove il T.A.R. ha ritenuto illegittimo il procedimento di autoannullamento del titolo edilizio e conseguentemente, per illegittimità derivata, anche l’ordinanza di demolizione.

Si è costituita la società Trave 2 Costruzioni S.r.l., la quale, oltre ad opporsi all’accoglimento del gravame, ha presentato appello incidentale con cui:

I) ha riproposto l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado (respinta dal T.A.R.), stante la mancanza di un atto amministrativo da impugnare, in virtù della ritenuta natura privatistica della d.i.a.;

II) ha dedotto l’errore della pronuncia del giudice di prime cure per non aver adeguatamente valutato la pienezza della prova prodotta in ordine alla richiesta risarcitoria.

Si è altresì costituito il Comune di Montesilvano per rilevare l’infondatezza della domanda risarcitoria dell’appellante incidentale, oltreché la tardività dello stesso appello incidentale ex art. 96, comma 4, cod. proc. amm.

Si sono poi succedute diverse memorie con le quali le parti hanno ribadito le rispettive ragioni;
in particolare, la appellante incidentale ha eccepito l’inammissibilità della documentazione prodotta dalla appellante principale in data 6 dicembre 2014.

All’udienza pubblica del 20 gennaio 2015, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il presente giudizio riguarda l’intervento edilizio avviato dalla società Trave 2 Costruzioni S.r.l. in virtù della dichiarazione di inizio attività presentata al Comune di Montesilvano in data 28 gennaio 2008.

2. Tale intervento edilizio è stato avviato sulla base di un “ progetto planivolumetrico ” e di una convenzione di cessione bonaria e gratuita di aree in favore del Comune, previa autorizzazione paesaggistica rilasciata dall’Amministrazione comunale con nulla osta del 15 gennaio 2008 e dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio in data 5 settembre 2008.

La vicenda amministrativa si è complicata nel suo incedere, e pertanto è utile farne una puntuale ricostruzione.

2.1. L’Ufficio Tecnico del Comune di Montesilvano, dopo aver valutato la conformità dell’intervento de quo alle prescrizioni di legge, ha vidimato e sottoscritto il progetto, la relazione tecnica e lo schema di convenzione di cessione restituendoli alla società richiedente.

La cessione, in particolare, aveva a oggetto aree situate in zona F4, ossia in una delle “ aree a trasferimento ” disciplinate dall’art. 63 delle norme tecniche di attuazione del vigente P.R.G., che assegnava ad esse un indice territoriale trasferibile, secondo un’espressa e manifesta finalità perequativa/comparativa, su altre aree - dette “ ricettrici ” - incluse nel Quadrante 4;
il citato articolo prevedeva inoltre che in tali aree ricettrici si potesse derogare alle prescrizioni in materia di altezze di quadrante “ fermo restando il rispetto di tutti gli altri elementi normativi ”.

In virtù della predetta disposizione, Trave 2 S.r.l. ha trasferito la capacità volumetrica sviluppata dalle aree cedute in zona F4 su un altro lotto di proprietà, collocato in zona B5, che racchiudeva aree sottoutilizzate ma predestinate ad una edificazione più intensa da realizzarsi proprio attraverso forme di incentivi volumetrici per la riqualificazione: il lotto in questione era idoneo a ricevere l’incremento volumetrico perché inserito nel Quadrante 4;
era inoltre collocato in una zona dotata di un adeguato apparato di opere di urbanizzazione.

A tale ultimo riguardo, con due deliberazioni consiliari, la nr. 4 del 25 gennaio 2002 e la nr. 45 del 5 luglio 2002, il Comune aveva verificato in via preventiva la sussistenza delle opere di urbanizzazione primaria nelle zone dove destinare le volumetrie eccedenti a seguito di convenzioni – equiparabili ai piani attuativi – tra cui in particolare quella dove si collocava l’intervento edilizio de quo .

2.2. Sono poi seguite due varianti al progetto originario, valutate positivamente anche sotto il profilo paesaggistico da parte sia del Comune, sia della competente Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio.

Nella sua versione finale, il progetto prevedeva un edificio composto da cinque piani con un’altezza di 11,40 mt.

2.3. L’area su cui l’intervento edilizio si svolgeva confinava con l’edificio (la cui altezza massima era di 7,50 mt., così come consentito dal vigente P.R.G.) di proprietà della signora E D B A, nel quale aveva sede la società Alte S.a.s., di cui la stessa era legale rappresentante.

Con atto di diffida del 4 febbraio 2009, la detta società ha diffidato l’Amministrazione comunale all’esercizio dei propri poteri inibitori, ritenendo non ammissibile la deroga alle altezze e agli standards stabiliti per l’area in cui era ubicato l’intervento;
a tale diffida il Comune ha dato riscontro dichiarando l’intera procedura seguita dalla società istante pienamente conforme al dettato normativo vigente, e quindi di non poter né dover emanare alcun provvedimento repressivo dell’attività edilizia, ormai in stato avanzato di completamento.

2.4. Con ricorso proposto dinanzi alla Sezione di Pescara del T.A.R. dell’Abruzzo, la signora D B ha impugnato la d.i.a. e il nulla osta paesaggistico, ed ha inoltre richiesto l’annullamento dell’art. 3 del Regolamento edilizio, dell’art. 63 delle N.T.A. e del progetto planivolumetrico presentato da Trave 2 S.r.l.

2.5. Nel contempo l’Amministrazione comunale, pur inizialmente costituitasi in giudizio per resistere al ricorso, ha annullato in autotutela il titolo edilizio oggetto del contendere, ordinando poi la demolizione delle opere realizzate.

Tali determinazioni sono state impugnate dalla società odierna appellata con proprio ricorso integrato da motivi aggiunti, con il quale è stata altresì formulata richiesta di risarcimento dei danni.

2.6. Il T.A.R. adito, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, ha accolto il ricorso della società Trave 2 S.r.l. ritenendo non corrette le motivazioni relative all’asserita illegittimità della d.i.a. e del piano planivolumetrico contenute nella determinazione assunta in autotutela del Comune;
è stato invece respinto il ricorso della signora D B.

La predetta sentenza è oggetto di appello da parte sia dell’originaria ricorrente (cui è subentrato, a seguito di riassunzione della causa in qualità di erede, il figlio signor A T), sia, con impugnazione incidentale, della società Trave 2 S.r.l.

3. Tutto ciò premesso, va prioritariamente esaminata l’eccezione – sollevata da Trave 2 S.r.l. - di inammissibilità della documentazione depositata dalla parte appellante principale in data 6 dicembre 2014, consistente in una perizia di parte (nr. 3 del foliario), nella relazione di C.T.U. resa in un distinto procedimento penale (nr. 4) corredata da documentazione fotografica (nr. 5) e nelle visure relative alle compravendite degli appartamenti dell’edificio per cui è causa (nr. 6).

L’eccezione va accolta, trattandosi di produzioni in violazione del divieto di nuove prove in appello di cui all’art. 104, comma 2, cod. proc. amm., a mente del quale non possono essere ammessi nuovi mezzi di prova e documenti, non già prodotti in primo grado, salvo che il giudice li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.

In particolare, è inammissibile la perizia di parte prodotta per la prima volta in grado di appello, trattandosi di documentazione che dalla parte avrebbe ben potuto essere acquisita e prodotta già nel primo grado di giudizio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 maggio 2014, nr. 2380;
id., sez. V, 31 ottobre 2013, nr. 5251;
id., sez. IV, 28 maggio 2012, nr. 3137).

4. Passando all’esame dell’appello principale, viene in rilievo la preliminare eccezione di inammissibilità dello stesso sollevata sotto plurimi profili dalla società appellata: più specificamente, si assume il difetto di legittimazione della appellante rispetto alla parte della sentenza concernente l’annullamento del provvedimento di autotutela adottato dal Comune, l’assoluta genericità dei motivi di appello e la preclusione riveniente dal giudicato parziale formatosi sulla sentenza in epigrafe.

4.1. Principiando dall’asserito difetto di legittimazione, l’eccezione è palesemente infondata, essendo evidente che l’odierna appellante principale era legittimata in primo grado a contestare l’intervento eseguito sulla base della d.i.a. presentata da Trave 2 S.r.l. in ragione della contiguità del suolo in sua proprietà rispetto all’area interessata dall’edificazione.

Infatti, è noto che in materia edilizia la mera vicinitas , ossia l’esistenza di uno stabile collegamento con il terreno interessato dall’intervento edilizio, è sufficiente a comprovare la sussistenza sia della legittimazione che dell’interesse a ricorrere senza che sia necessario provare uno specifico pregiudizio per effetto dell’attività edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 22 settembre 2014, nr. 4764;
id., sez. V, 16 giugno 2014, nr. 3094).

Ciò premesso, ed essendo certamente la ricorrente in primo grado soccombente per la parte in cui è stato respinto il suo ricorso avverso il titolo ad aedificandum , essa deve ritenersi legittimata a proporre appello, ai sensi dell’art. 102 cod. proc. amm., anche per la parte della sentenza con cui il T.A.R. ha annullato la determinazione comunale di annullamento in autotutela della d.i.a. medesima.

In altri termini, l’evidente connessione fra i due giudizi e l’identità dell’interesse sostanziale di cui era in essi portatrice l’odierna appellante (la contestazione dell’eseguibilità dell’intervento de quo ), la rende legittimata a opporsi anche alle statuizioni relative al rapporto, inerente al successivo provvedimento in autotutela, fra Amministrazione comunale e società dichiarante: non essendo condivisibile, pertanto, l’assunto di parte appellata secondo cui la sentenza in parte qua avrebbe potuto essere impugnata soltanto dal Comune.

4.2. Per quanto concerne la pretesa genericità dei motivi d’appello, anche tale eccezione va disattesa, emergendo con chiarezza dall’esame dell’appello principale che l’odierna appellante abbia preso piena cognizione delle motivazioni della sentenza di primo grado, esprimendo l’intento di criticarle.

Al riguardo, non è fuori luogo richiamare il recente indirizzo della Sezione secondo cui, se è vero che l’art. 101, comma 1, cod. proc. amm. impone alla parte appellante di formulare “ specifiche censure contro i capi della sentenza gravata ”, così sancendo l’inammissibilità di una mera riproduzione dei motivi di doglianza di primo grado (proprio perché, come più volte evidenziato dalla giurisprudenza, l’appello non è un iudicium novum , avendo a oggetto le critiche rivolte al decisum di primo grado: cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2010, n. 363;
id., sez. V, 29 dicembre 2009, n. 8966;
id., sez. IV, 8 giugno 2009, n. 3507), tuttavia il rispetto della detta prescrizione va commisurato alla specificità delle singole vicende processuali ed alla natura dei rilievi mossi dalla parte appellante alla pronuncia contro la quale insorge;
in particolare, allorché tali rilievi si traducano in un radicale dissenso rispetto al percorso motivazionale seguito dal primo giudice, al quale se ne contrappone uno totalmente alternativo, o, peggio, nell’affermazione del non avere il primo giudice dato realmente riscontro alle censure articolate in ricorso, è quasi naturale che l’atto di impugnazione, pur avendo a proprio oggetto la decisione di prime cure, finisca per sollecitare al giudice di appello un vero e proprio “riesame” dei motivi originariamente formulati (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 2015, nr. 835).

4.3. Quanto al terzo profilo di inammissibilità evidenziato da parte appellata, la Sezione è dell’avviso che effettivamente una preclusione da giudicato possa ravvisarsi nella specie, ma in un senso e con effetti ben diversi da quelli rappresentati dalla società che ha formulato l’eccezione.

Ed invero, una volta ribadito che non può condividersi l’assunto per cui soltanto il Comune sarebbe stato legittimato all’impugnazione, non può però sottacersi che l’originaria ricorrente ha esplicitamente appellato la sentenza di prime cure soltanto per la parte in cui è stato accolto il ricorso proposto da Trave 2 S.r.l. avverso l’annullamento della d.i.a. in autotutela, ma non anche per la parte in cui è stato respinta l’impugnativa della d.i.a. originaria: ciò che comporta il formarsi del giudicato sulle parti del primo ricorso che non risultino connesse con le censure articolate in relazione all’annullamento in autotutela (ad esempio, con riguardo alle censure originariamente formulate in relazione al nulla osta paesaggistico), e – come appresso si dirà – la parziale inammissibilità dell’appello incidentale nella parte in cui tende a rimettere in discussione questioni ormai coperte dal giudicato de quo .

5. Nel merito, l’appello principale è fondato e quindi meritevole di accoglimento.

6. In particolare, risulta fondato e assorbente il primo motivo di gravame, con il quale si assume l’illegittimità dell’art. 3 del Regolamento edilizio comunale e dell’art. 63 delle N.T.A., sostenendosi che l’intera operazione posta in essere con la d.i.a. per cui è causa si porrebbe in violazione dell’art. 22, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380.

Tale disposizione, come è noto, consente la realizzazione con d.i.a. di interventi di nuova edificazione che ordinariamente esigerebbero il permesso di costruire in alcune ipotesi specifiche ed eccezionali, fra le quali, per quanto qui interessa, quella di interventi “ disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano attuativo, che contengono precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal competente organo comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti ” (lettera b ) ovvero “ in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche ” (lettera c ).

A fronte di tale previsione, e con riguardo al caso di specie, il contestato art. 3 del Regolamento edilizio sanciva, a sua volta, l’utilizzabilità della d.i.a. nelle zone in cui fosse consentito l’intervento diretto ovvero convenzionato e ove esistessero opere di urbanizzazione primaria (ovvero l’interessato s’impegnasse, attraverso apposito atto d’obbligo, a realizzarle a propria cura e spese);
il retrostante art. 63 delle N.T.A. disciplinava il già richiamato peculiare meccanismo di perequazione, da attuare mediante la possibilità di trasferimento dell’indice edificatorio delle aree destinate a zona F4 su aree (c.d. “ ricettrici ”) situate nel Quadrante 4.

Così delineato il quadro normativo, deve certamente escludersi che la vicenda esaminata possa ricondursi alla previsione della lettera c ) del citato art. 22, comma 3, del d.P.R. nr. 380/2001: infatti, la prescrizione testé richiamata non conteneva affatto analitiche “ disposizioni plano-volumetriche ”, limitandosi a individuare il “regime” da osservare nelle aree F4.

Pertanto, la previsione a cui riferirsi è quella di cui alla lettera b ), rispetto alla quale la società odierna appellata ribadisce la propria tesi – condivisa dal primo giudice – secondo cui:

a ) la piena urbanizzazione delle aree “ ricettrici ” interessate era stata previamente accertata dal Comune con due delibere consiliari a carattere ricognitivo, nel 2002;

b ) il “ progetto plano-volumetrico ” presentato unitamente alla d.i.a., lungi dal costituire un anomalo e atipico strumento attuativo (come lamentato dalla ricorrente in primo grado), altro non sarebbe che la specificazione in dettaglio dell’intervento, potendo omettersi l’adozione di un vero e proprio piano attuativo proprio in ragione dell’accertato stato di completa urbanizzazione dell’area interessata.

In altri termini, il “combinato disposto” della d.i.a. e del progetto allegato, unitamente all’art. 3 delle N.T.A. nella parte in cui consente interventi di nuova edificazione con d.i.a. anche in assenza di piano attuativo, costituirebbe applicazione del noto indirizzo giurisprudenziale in tema di “lotto intercluso”, secondo cui, anche laddove lo strumento urbanistico generale impone la previa adozione di un piano attuativo, è possibile l’intervento diretto laddove sia provato che l’area interessata ricade in un contesto totalmente urbanizzato, tale da rendere di fatto inutile il passaggio del piano attuativo.

Tale ricostruzione, tuttavia, non persuade.

Infatti, la giurisprudenza testé richiamata fa riferimento alla possibilità di intervenire con permesso di costruire diretto, a fronte di una previsione del P.R.G. che invece richieda il previo piano attuativo, e ne è dunque molto discutibile l’estensione al caso in cui l’intervento diretto sia attuato con d.i.a. e l’obbligo del previo piano attuativo sia imposto da una norma primaria, quale è il citato art. 22, comma 3, lettera c ), del d.P.R. nr. 380/2001.

Così ragionando, si finisce per affidare a un accertamento tecnico fattuale di parte la sostanziale “disapplicazione” di una norma prescrittiva, la cui ratio è chiaramente quella di limitare al massimo le ipotesi di nuovi interventi di edificazione eseguiti con d.i.a., piuttosto che con permesso di costruire.

Da quanto fin qui rilevato discende, con assorbimento di ogni altra questione, l’illegittimità dell’art. 3 del Regolamento comunale, laddove estende a fattispecie non previste dalla legge il regime semplificato della d.i.a., e la conseguente legittimità dell’intervento in autotutela del Comune col quale, proprio sulla scorta di tale rilievo, è stato annullato il titolo edilizio scaturito dalla d.i.a. presentata da Trave 2 S.r.l.

7. Consegue, inoltre, l’accoglimento anche del secondo motivo dell’appello principale, venendo meno l’illegittimità derivata dell’ordine di demolizione emesso dal Comune a seguito del proprio intervento in autotutela.

8. Passando all’esame dell’appello incidentale, va innanzi tutto respinta l’eccezione di tardività dello stesso sollevata dal Comune.

Si assume che, trattandosi di appello tardivo ex art. 334 cod. proc. civ., esso dovrebbe seguire le sorti dell’appello principale, del quale la stessa parte che impugna in via incidentale ha eccepito l’inammissibilità: al riguardo, è richiamato il principio per cui l’impugnazione incidentale di cui all’art. 334 cod. proc .civ. - che è proponibile entro sessanta giorni dalla notificazione di altra impugnazione, anche se a tale data è decorso il termine breve decorrente dalla notificazione della sentenza o quello lungo decorrente dalla pubblicazione della sentenza - può essere proposta dalla parte in via subordinata all’accoglimento di quella principale o in via autonoma, ma è comunque condizionata all’esito di quella principale, nel senso che “ perde ogni efficacia ” se quella principale è dichiarata inammissibile;
in definitiva, la notificazione di altra impugnazione sortisce l’effetto di rimettere in termini la parte che era decaduta dal termine di impugnazione breve o lungo, ma ne condiziona anche la successiva sorte processuale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4 dicembre 2012, nr. 6210).

Tuttavia, nella specie non vi è luogo ad alcuna applicazione dei principi sopra richiamati, in quanto – al di là di ogni questione circa la natura tardiva (o meno) dell’appello incidentale di Trave 2 S.r.l. – le eccezioni di inammissibilità sollevate avverso l’appello principale non sono state ritenute meritevoli di favorevole delibazione.

9. Tanto premesso, va innanzi tutto dichiarato inammissibile il primo motivo dell’appello incidentale, con cui è reiterata l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado proposto dalla signora D B, in ragione della natura di atto privato, anziché pubblico, della d.i.a. e della conseguente impossibilità di un’azione di annullamento di essa.

Al riguardo, si è già osservato che, non avendo la appellante principale censurato il capo della sentenza del giudice di prime cure con cui è stata respinta l’impugnativa della d.i.a. originaria, sul punto si è formato il giudicato, e pertanto appare superfluo in questa sede approfondire la questione della natura giuridica della d.i.a., sottesa al motivo de quo .

10. Circa il secondo motivo dell’appello incidentale, col quale si ripropone la domanda risarcitoria respinta dal primo giudice, la Sezione ritiene che anche tale motivo vada respinto.

Ed invero, laddove viene chiesto il ristoro del pregiudizio riveniente dal dover la società rimuovere quanto edificato in conseguenza della d.i.a. annullata in autotutela, la domanda ha a oggetto danni non già prodotti e provati, ma futuri e destinati a prodursi in caso di accoglimento dell’appello;
siffatta previsione ipotetica si pone al di fuori di ogni nesso causale tra tali presunti danni e i provvedimenti amministrativi impugnati in prime cure, essendo evidente che il pregiudizio così paventato deriverebbe non già dall’illegittimità del provvedimento di autotutela, ma dalla sua acclarata legittimità, e pertanto sarebbe da ricondurre piuttosto all’affidamento ingenerato nella società istante dalla d.i.a. originaria: questione che, con tutta evidenza, esula dal perimetro del presente giudizio.

Quanto ai danni che effettivamente parte appellante incidentale assume di aver subito per effetto dell’annullamento in autotutela, questi vengono articolati in una serie di voci (costi di costruzione sostenuti, finanziamenti richiesti, perdite conseguenti alla irrealizzabilità della prospettata vendita degli appartamenti) che, come correttamente ritenuto dal primo giudice, risultano del tutto sfornite di supporto probatorio, e pertanto sostenute in modo sostanzialmente apodittico;
in particolare, non risultano mai prodotti i preliminari di vendita che si assume essere stati sottoscritti con terzi, né documentazione di altro tipo idonea a comprovare i costi sostenuti e le spese affrontate.

11. In conclusione, s’impone una decisione di accoglimento dell’appello principale e di reiezione dell’appello incidentale, con la conseguente riforma parziale della sentenza di primo grado nel senso della reiezione del ricorso proposto da Trave 2 S.r.l.

12. La peculiarità della vicenda esaminata, unitamente alla formale soccombenza reciproca, induce il Collegio a compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

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