Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-04-21, n. 202103250

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-04-21, n. 202103250
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202103250
Data del deposito : 21 aprile 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/04/2021

N. 03250/2021REG.PROV.COLL.

N. 01330/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1330 del 2015, proposto dal P M d M, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato D M, con domicilio eletto presso lo studio Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone n. 44;

contro

Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Maria D'Elia e M L, con domicilio eletto presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione Campania in Roma, via Poli, 29, e poi dall'avvocato R S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, (Sezione Settima), n. 03228/2014, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza del giorno 9 marzo 2021 il Cons. Raffaello Sestini e preso atto del deposito delle note d'udienza formulate da parte dell'avvocato Saturno, ai sensi dell'art. 25 D.L. n. 137/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 176/2020, e dell'art. 4 D.L. n. 28/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 70/2020;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 - Con Decreto del Ministero delle Corporazioni del 03.10.1932, il “P M d M” diveniva titolare di una concessione in perpetuo concernente l’utilizzo delle acque termo-minerali delle sorgenti site in località Bagni nel territorio del Comune di Casamicciola.

1.1 - A fronte dello stato di fatiscenza e degrado in cui versavano gli edifici del complesso termale, nonché delle aree sovrastanti e circostanti le sorgenti termominerali oggetto della concessione in parola, il “P M d M”, previa richiesta, veniva autorizzato con diversi decreti del Presidente della Giunta Regionale, ultimo dei quali adottato in data 04.05.1979, alla sospensione dell’attività in concessione ex art. 26 del Regio Decreto n. 1443/1927 – recante “Norme di carattere legislativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione delle miniere nel Regno”.

1.2 - In data 22.06.1984, il “P M d M” cedeva alla S.p.A. Nizzola i propri diritti di superficie relativi ai complessi immobiliari in esame, con la dichiarata finalità di ripristinare l’attività produttiva degli stessi previa loro ricostruzione o ristrutturazione.

1.3 – Anche a seguito dei rilievi del Comune di Ischia attestanti lo stato di degrado del sito, e constatata la persistente inattività del concessionario e la sopra indicata cessione, la Regione Campania, con deliberazione di Giunta Regionale n. 6294 del 12.11.1987, disponeva la decadenza dell’Ente “P M d M” dalla concessione di utilizzazione delle acque termo-minerali.

1.4 - Il provvedimento di decadenza veniva impugnato innanzi al TAR per la Campania, il quale, con la sentenza della sez. VII n. 3228 del 11.06.2014 fatta oggetto del presente appello, respingeva il ricorso statuendo la legittimità dell’intervento dell’Amministrazione Regionale.

1.5 - Il Giudice di Prime Cure, premesso che l’atto di ritiro era stato motivato su due profili concernenti l’inattività persistente e il degrado e la mancata manutenzione del sito, con la sentenza oggetto del presente giudizio considerava che l’oggettivo degrado in cui versava il complesso termale, che aveva anche motivato la non autorizzata cessione, attestava “la prova acquisita della persistenza di un’inaccettabile inattività, contraria all’utilizzo ottimale della fonte”;
che aveva già giustificato il riscontro negativo dato all’ultima istanza di sospensione dell’attività in concessione, alla luce della necessità di non perpetuare una illegittima precarietà della situazione complessiva, che manifestava l’impossibilità di attuare gli scopi per i quali la concessione stessa era stata rilasciata.

2 – Con l’appello in epigrafe, il “P M d M” premetteva che il sito termale si trova nel Comune di Casamicciola ed insiste all’interno di un complesso di proprietà dell’ente morale vincolato quale bene di pregio storico architettonico, e che nell’edificio monumentale di proprietà dell’appellante possono e devono essere ospitati esclusivamente gli indigenti beneficiari delle cure termali, di modo che il proprietario dell’edificio sarebbe l’unico soggetto che possa in concreto utilizzare le acque termali, in conformità alla propria finalità istitutiva di beneficienza ed assistenza agli indigenti. Riferiva poi di aver inoltrato alla Regione Campania domanda di sospensione delle attività di sfruttamento delle sorgenti, essendo indispensabile una riqualificazione del complesso termale, attività da porre in essere con il concorso di risorse private perché l’ente morale non aveva capitali sufficienti.

2.1 – L’Amministrazione aveva quindi accolto l’istanza di sospensione dello sfruttamento della sorgente con provvedimento, più volte reiterato nel tempo, condividendo la necessità di ristrutturare l’intero bene. Nel 1987 l’Amministrazione appellata, pur non essendosi pronunciata sulla nuova istanza di proroga della sospensione, avviava però il procedimento di decadenza dalla concessione, che si concludeva con il ritiro della concessione perpetua ed il contestuale incameramento del complesso termale.

2.2 - Con il ricorso di primo grado erano state quindi dedotte quattro censure.

Con il primo motivo di ricorso, si era contestato l’eccesso di potere per difetto di motivazione e contraddittorietà, in ragione del descritto cambio di atteggiamento della P.A. Con il secondo motivo di ricorso, si era contestato il difetto di istruttoria, non essendo stato valutato lo scopo di beneficenza dell’appellante. Con il terzo motivo di ricorso, si era contestato il travisamento nei presupposti di fatto, non potendo la sorgente essere sfruttata da un soggetto diverso dal titolare dello stabilimento termale. L’omessa considerazione di questi dati di fatto avrebbe viziato il provvedimento di decadenza anche per sviamento. Il potere utilizzato dalla Regione, infatti, non avrebbe garantito uno sfruttamento migliore delle acque, impossibile senza la traslazione del complesso che ospita le terme, che implicava, a differenza delle pertinenze delle miniere, anche un’impropria valenza espropriativa del complesso di proprietà del Pio Monte in favore della Regione. Infine, con l’ultimo motivo di ricorso si è contestata la violazione dell’art. 41 del R.D. n. 1443/1927 perché era stata omessa l’acquisizione del parere del Consiglio Superiore delle Miniere, obbligatoria ratione temporis .

2.3 – Al riguardo la sentenza impugnata avrebbe compiuto “una considerazione eufemisticamente sintetica delle originarie doglianze”. In particolare, deduceva l’appellante, il primo motivo di ricorso era stato respinto in quanto il complesso non era da tempo utilizzato, fraintendendo la circostanza che proprio la Regione aveva autorizzato la sospensione delle attività. Il secondo motivo di ricorso non era stato accolto, in quanto le finalità di beneficenza non erano state ritenute ostative all’adozione di un atto di decadenza a fronte del mancato uso del sito termale. Il terzo motivo di ricorso era stato respinto perché si era giudicato che i problemi relativi all’uso della sorgente potessero e dovessero essere affrontati solo nel momento dell’individuazione di un nuovo affidatario. Il provvedimento era stato poi ritenuto in linea con la finalità del potere attribuito alla P.A. di migliore sfruttamento delle acque, senza affrontare i problemi posti dalla valenza espropriativa della decadenza sul complesso al cui interno si trovano le sorgenti. Quanto alla reiezione del quarto motivo di censura, il TAR avrebbe riconosciuto che non era stato acquisito il prescritto parere del Consiglio Superiore delle Miniere, tuttavia aveva ritenuto che tale omissione potesse essere superata perché il degrado dei luoghi rendeva del tutto superflua un’istruttoria tecnica, risultando la richiesta del parere un inutile aggravamento dell’attività amministrativa, anche con – indebito - riferimento all’abrogazione sopravvenuta nel 1994 dell’obbligo di richiedere il parere, in violazione del principio tempus regit actum .

3 – Le parti argomentavano e ribadivano le rispettive difese con scambio di memorie.

4 – Ai fini della decisione, considera il Collegio che l’appello è basato su quattro censure.

4.1 - Con la prima, si contesta il fatto che il TAR abbia integrato il contenuto dispositivo del provvedimento oggetto di ricorso in primo grado sulla base di un’impropria ricostruzione dei fatti.

In particolare, lo stato di mancato sfruttamento del sito era coerente con le sospensioni accordate dalla stessa P.A. appellata, che aveva condiviso la necessità di un restauro del complesso termale per garantire un migliore sfruttamento del sito, ed era poi rimasta inerte sulla richiesta di proroga della sospensione, non avendo, in una tale fattispecie, il silenzio valore provvedimentale ma costituendo una mera inerzia, che per essere superata avrebbe imposto un provvedimento espresso.

4.2 - Con la seconda doglianza, si evidenzia come nel provvedimento impugnato sia mancata del tutto la considerazione delle finalità istituzionali del Pio Monte, invece in grado di garantire uno sfruttamento della fonte maggiormente in linea con il pubblico interesse.

4.3 - Con la terza censura, si contesta la parte della sentenza appellata in cui le conseguenze dello stato dei luoghi, che rendono possibile solo al Pio Monte lo sfruttamento delle acque, sono state individuate come elementi di rilievo esclusivamente per un nuovo affidamento, trascurando l’esame dell’uso improprio del potere attribuito alla Regione, teso non al razionale sfruttamento delle acque, ma ad un fine impropriamente espropriativo, essendosi disposta, con la decadenza, anche la devoluzione all’Ente regionale dell’immobile di proprietà del Pio Monte, mentre, si deduce, la riconsegna delle pertinenze può avvenire per le miniere e non per le sorgenti.

4.4 - Con il quarto motivo di appello, si critica il provvedimento di prime cure perché ha ritenuto non solo possibile omettere la richiesta di parere (all’epoca necessario ex lege ), ma anche perché si è sostituito alla P.A. nel valutare i profili tecnici della decadenza, che avrebbero dovuto passare il vaglio del Consiglio Superiore delle Miniere.

4.5 - Con le successive memorie, si argomenta inoltre che la difesa regionale impropriamente equiparerebbe la disciplina delle miniere a quella delle concessioni ed integrerebbe ex post la motivazione della decadenza con il riferimento alle vicende relative al contratto risolto con Nizzola S.p.A., essendo invece mancata ogni motivazione sul ripensamento della P.A. circa la necessità e possibilità tecnica e giuridica di sostituire un altro operatore ai fini di un diverso e migliore uso delle acque e sul motivo per cui la devoluzione ha avuto ad oggetto anche l’edificio.

4.6 - Infine, in ordine alla necessaria acquisizione del parere del Consiglio Superiore delle Miniere, si cita la decisione del Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 411 del 14.07.2011, secondo la quale “Deve escludersi che l'art. 1 d.P.R. 14 gennaio 1972 n. 2, disponendo il trasferimento alle regioni a statuto ordinario delle funzioni statali concernenti la materia delle acque termali e minerali alla data del I aprile 1972, avrebbe importato, in difetto di necessaria cornice normativa e organizzativa a livello regionale, la immediata e definitiva inapplicabilità della vigente legislazione statale, riguardante le attribuzioni consultive di speciali collegi tecnici, con contestuale cessazione dell'esercizio delle attribuzioni stesse nell'ambito di procedimenti regionalizzati che ne stabiliscono il necessario intervento;
è pertanto illegittimo il provvedimento di decadenza (per inattività del titolare) della concessione mineraria per lo sfruttamento delle acque termali adottato da una regione a statuto ordinario senza il preventivo parere del consiglio supremo delle miniere previsto dall'art. 41 r.d. 29 luglio 1927 n. 1443, nel caso in cui le linee strutturali e funzionali del procedimento non risultano innovate alla data del provvedimento in forza di sopravvenute normative regionali”.

5 – La sentenza è esente dalle censure proposte, pertanto l’appello deve essere respinto.

5.1 – Infatti, la concessione pubblica si basa sull’ intuitus personae e, pertanto, la scelta di un soggetto concessionario da parte della Pubblica Amministrazione avviene a seguito di una valutazione circa l’idoneità del concessionario ad utilizzare i beni dell'Amministrazione sottratti in tal modo all’uso pubblico ed a svolgere adeguatamente i compiti e le funzioni oggetto della concessione.

5.2 - Nel predetto contesto normativo, l’impugnata dichiarazione di decadenza risulta puntualmente ed adeguatamente motivata dalla sussistenza di inadempimenti dell’Ente che, a giudizio dell’Amministrazione, hanno compromesso, con carattere di definitività, la valutazione di idoneità a suo tempo compiuta dall’Amministrazione e, quindi, lo stesso prosieguo del rapporto concessorio.

5.3 – Così come evidenziato dal giudice di prime cure, la decadenza del P M d M dalla concessione risulta pertanto conforme al combinato disposto dell’art. 26 del Regio decreto n. 1443/1927 (“il concessionario deve coltivare la miniera con mezzi tecnici ed economici adeguati alla importanza del giacimento, e risponde di fronte allo Stato della regolare manutenzione di essa anche durante i periodi di sospensione dei lavori”);
dell’art. 40 del Regio Decreto suddetto, per il quale “Il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato può pronunciare la decadenza del concessionario, quando questi: 1) non adempia agli obblighi imposti con l'atto di concessione;
2) non abbia osservato le disposizioni contenute negli artt. 25, 26 e 27”;
nonché dell’art. 1 della Legge n. 283 del 03.04.1961 (recante “Esercizio delle concessioni minerarie da parte degli Enti locali”), secondo cui “le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza, titolari di concessioni minerarie, possono provvedere alla relativa coltivazione con contratti di appalto o altre forme d’esercizio affidate a terzi per periodi non superiori a 20 anni. Fermi restando i controlli previsti dalla legge comunale e provinciale, i contratti di cui al precedente comma debbono essere approvati dal Ministero dell’industria e del commercio. L’approvazione deve essere richiesta entro il termine perentorio di un mese dalla data della deliberazione favorevole degli organi di controllo. Il Ministero provvede sulla richiesta di approvazione entro tre mesi dalla presentazione della domanda: trascorso detto termine senza che il Ministero stesso si sia espresso, l’approvazione si intende data. Nei casi di inadempienza previsti dall’art. 40 del R.D. n. 1443/1927, dovuta ad esclusiva responsabilità dell’esercente la miniera, il Ministero dell’industria e commercio può, con la misura prevista dal successivo art. 41, revocare l’approvazione del contratto, che è risoluto di diritto”;
ed infine delle disposizioni che hanno trasferito alle Regioni la competenza ministeriale (DPR n. 616/1977 e ss.).

5.4 – Quanto alle censure concernenti la affermata mancata valutazione, da parte del TAR, dei motivi di ricorso concernenti la contraddittorietà dell’azione amministrativa, l’impossibilità di utilizzo delle sorgenti termali per soggetti diversi dal proprietario del complesso monumentale termale, l’indebita estensione del provvedimento all’ablazione del complesso monumentale termale con conseguente sviamento di potere e la mancata acquisizione del prescritto parere del Consiglio Superiore delle Miniere, ritiene il Collegio che le stesse originino da una comune impropria percezione delle condizioni di fatto presupposte e possano trovare adeguata risposta alla luce di una loro complessiva ed integrata valutazione.

5.5 – In particolare, la risalente assimilazione normativa delle sorgenti termali alle miniere non può obnubilare le precipue caratteristiche morfologiche e quindi le differenti specifiche caratteristiche delle due fattispecie, laddove, mentre la miniera implica uno sfruttamento ottimale delle risorse minerarie rese disponibili dai lavori di scavo in condizioni di rispetto delle preminenti esigenze di tutela ambientale e sanitaria e di sicurezza dei lavoratori addetti (minatori), la sorgente termale implica lo sfruttamento, nel rispetto delle medesime esigenze di tutela, delle possibilità di consumo e d’impiego sanitario, fisioterapeutico e ludico offerte dalla risorgenza (più o meno indotta) di polle d’acqua munite di specifiche caratteristiche chimiche, mediante l’imbottigliamento ovvero, come nel caso di specie, mediante l’afflusso in situ degli utenti.

5.6 – In un tale contesto risulta essenziale, ai fini dello sfruttamento della risorsa pubblica costituita dalla sorgente termale in questione, la presenza di una infrastruttura, anche non monumentale ma anzi, in ipotesi, anche estremamente semplificata, che consenta l’accesso degli utenti alla risorsa idrica e il suo utilizzo in conformità alle prescritte condizioni di sicurezza e salubrità riferite alla condizione dei luoghi e alla composizione chimica e temperatura dell’acqua. Così come evidenziato dal giudice di primo grado, solo ove il concessionario abbia garantito tali precondizioni, si porrà dunque il tema dei modi e limiti di accesso degli utenti, e quindi delle eventuali clausole di utilizzo a fini di tutela di particolari fasce sociali e delle eventuali servitù fondiarie.

5.7 – Emerge dunque il nesso univoco fra le affermazioni della parte appellante (che acquistano una sorta di valore confessorio) circa la sua disponibilità in esclusiva dell’infrastruttura edilizia necessaria a consentire l’accesso alla fonte, ma anche circa la sua risalente e perdurante inidoneità a tal fine (che aveva anche motivato l’affidamento ad altro soggetto), da un lato, e la ragionevolezza e proporzionalità di un intervento pubblico volto ad acquisire la possibilità di pubblico utilizzo della fonte, da ormai troppo tempo negato, e – quindi - della pertinenza contenente la infrastruttura edilizia a tal fine necessaria;
non occorrendo alcuna espressa revoca dell’ennesimo provvedimento di proroga della sospensione di attività, in quanto ormai scaduto.

5.8 - L’esclusivo riferimento della vicenda in esame alla infrastruttura di superficie meramente strumentale all’uso della fonte termale, ampiamente motivato nei provvedimenti in esame, rendeva infine ragionevolmente non necessario, e comunque non decisivo, il non richiesto parere tecnico minerario, la cui mancata acquisizione sembra pertanto poter esser derubricata a mera irregolarità non incidente sulla legittimità dell’impugnato provvedimento.

Tra l’altro, l’art. 17 del d.P.R. 18 aprile 1994, n. 382 ha anche abrogato l’art. 26, comma 1, del r.d. n. 1443/1927 limitatamente alle parole “sentito il parere del Consiglio superiore delle miniere”.

6 – Alla stregua delle pregresse considerazioni l’appello deve essere respinto. Tuttavia la complessità e non univocità delle questioni controverse giustifica la compensazione fra le parti delle spese del giudizio.

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