Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-23, n. 202301853
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Testo completo
Pubblicato il 23/02/2023
N. 01853/2023REG.PROV.COLL.
N. 02589/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2589 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato F C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Terenzio n. 10, e dall'avvocato G L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio di F C in Roma, via G. Ferrari, 4;
-OMISSIS- e-OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato F C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Terenzio, n. 10;
contro
Comune di Napoli in persona del Sindaco pro tempore, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Andreottola, Fabio Maria Ferrari e Giacomo Pizza, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio di Luca Leone in Roma, via Appennini, n. 46;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quarta) n.-OMISSIS-/2017.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2023 il Cons. Giovanni Gallone e uditi per le parti gli avvocati G L;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. -OMISSIS-, -OMISSIS- e-OMISSIS-, nella qualità di proprietari del fabbricato sito in Napoli, via -OMISSIS-, loro pervenuto giusta successione testamentaria del 3 ottobre 2003 in morte di -OMISSIS-, hanno impugnato dinanzi al T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, la disposizione dirigenziale del Comune di Napoli, prot. n.173/C, del 25 giugno 2014, di reiezione delle tre domande di condono ai sensi della legge n.724 del 1994 (pratica n.766/4/86) per la realizzazione di un piano interrato, del piano terra, interno 2, e del piano terra, interno 1, del prefetto fabbricato e ne ha ordinato la demolizione con conferma della acquisizione al patrimonio comunale già disposta con ordinanza n.609 del 12 febbraio 1997, nonché ogni altro atto presupposto e consequenziale o comunque connesso.
1.1 A sostegno del ricorso di primo grado, gli odierni appellanti hanno dedotto l’illegittimità del suddetto provvedimento, nella parte in cui ha disposto la reiezione delle istanze di condono edilizio, per eccesso di potere, violazione della normativa in materia di condono edilizio (mancato rispetto dell’ordine cronologico e omessa formulazione della proposta da parte del responsabile del procedimento), per mancata acquisizione del parere della C.E.I., nonché per difetto di istruttoria e di motivazione.
Avverso la misura acquisitoria hanno, invece, denunziato la violazione delle norme sul giusto procedimento, la pendenza di domande di condono nonché un difetto di motivazione per non essere stato individuato l’iter logico alla base del provvedimento né l’interesse pubblico alla demolizione del manufatto.
2. Ad esito del giudizio di primo grado, con la sentenza in epigrafe, il T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, ha respinto il ricorso proposto da -OMISSIS-, -OMISSIS- e-OMISSIS-.
3. Con ricorso notificato il 27 febbraio 2018 e depositato il 29 marzo 2018 -OMISSIS- ha proposto appello avverso la suddetta sentenza.
3.1 A sostegno dell’impugnazione ha dedotto le censure così rubricate:
1) nullità della sentenza impugnata perché affetta da error in procedendo, in quanto la motivazione sarebbe pressoché identica a quella della sentenza n.4083/2017, emessa dal medesimo T.A.R. Campania, Sezione IV, lo stesso giorno di quella oggetto della presente impugnazione;
2) erroneità e ingiustizia della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il ricorso introduttivo, non ritenendo sussistente, nel caso di specie, la denunziata violazione dell’art.20, comma 2, del D.P.R. n.380 del 2001, nonché dell’art.1 della L.R. n.19 del 2001 e della legge n.241 del 1990;
3) erroneità e ingiustizia della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il ricorso introduttivo, non ritenendo sussistente, nel caso 9 di specie, la denunziata violazione dell’art.3 del D.p.r. n.380 del 2001, come modificato dall’art.17, 1° comma, lett. a) del D.L. n.133 del 2014. Violazione e falsa applicazione dell’art.23-ter del T.U.E, erroneità dei presupposti, eccesso di potere e difetto di istruttoria
4) erroneità e ingiustizia della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il ricorso introduttivo, non ritenendo sussistente, nel caso di specie, la denunziata violazione della legge n.47 del 1985 e del D.P.R. n.380 del 2001 in merito alla mancata preventiva acquisizione del prescritto parere della Commissione Edilizia, eccesso di potere e difetto di istruttoria;
5) omessa pronuncia del giudice di prime cure sul quinto motivo del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado concernente la violazione e falsa applicazione della legge n.47 del 1985 nonché del D.P.R. n.380 del 2001 e dell’art.3 della legge n.241 del 1990, eccesso di potere e difetto assoluto di motivazione;
6) erroneità e ingiustizia della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il ricorso introduttivo, non ritenendo sussistente, nel caso di specie, la denunziata violazione delle regole del giusto procedimento 21 e dell’art.31 del D.p.r. n.380 del 2001, eccesso di potere, difetto di istruttoria;
7) erroneità e ingiustizia della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il ricorso introduttivo, non ritenendo sussistente, nel caso di specie, la denunziata violazione dell’art.7 della legge n.241 del 1990, eccesso di potere, difetto di istruttoria e di motivazione.
4. In data 12 aprile 2018 si è costituito in giudizio il Comune di Napoli.
5. Il 12 gennaio 2023 gli appellanti hanno depositato memorie difensive insistendo per l’accoglimento dell’appello.
5. Il 16 gennaio 2023 il Comune di Napoli ha depositato memorie difensive chiedendo il rigetto dell’appello.
6. All’udienza pubblica del 16 febbraio 2023 la causa è stata introitata per la decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato e deve essere respinto.
2. Con il primo motivo di appello si denuncia la nullità della sentenza impugnata in quanto affetta da error in procedendo atteso che che la motivazione della stessa sarebbe sostanzialmente identica a quella adottata dal medesimo T.A.R. per la Campania., sede in Napoli, nella sentenza n. 4083 del 2017, emessa lo stesso giorno.
2.1 La doglianza non coglie nel segno.
Non integra, infatti, all’evidenza, error in procedendo né, tantomeno, costituisce causa di nullità della sentenza la circostanza che, come nel caso che occupa, la stessa condivida, in tutto o in parte, l’apparato motivazionale di altra decisione intervenuta tra le medesime parti in relazione ad analoga controversia (avente ad oggetto ricorsi connessi relativi alla medesima vicenda amministrativa).
Ciò che rileva è, infatti, oltre alla correttezza dell’iter logico seguito, la sua effettiva aderenza, in disparte dalla ricorrenza di eventuali refusi redazionali (come l’errata indicazione dell’anno di presentazione dell’istanza di condono), rispetto alla fattispecie concreta oggetto di giudizio (aderenza non seriamente contestata, anche con riguardo alle sue ricadute giuridiche, dagli odierni appellanti).
3. Con il secondo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto infondate le censure prospettate in primo grado concernenti la violazione dell’art. 20 del D.P.R. n.380 del 2001 e dell’art.1 della L.R. Campania n.19 del 2001 in ragione del mancato rispetto dell’ordine cronologico di presentazione nell’esame delle domande di condono e dell’omessa formulazione di una proposta motivata da parte del responsabile del procedimento all’organo comunale competente all’emanazione del provvedimento conclusivo.
3.1 Le censure in parola appaiono mal calibrate.
Come correttamente ritenuto dal giudice di prime cure la norma che prevede che le domande di condono debbano essere esaminate secondo il proprio ordine cronologico di presentazione ha rilevanza meramente organizzativa sicché la sua violazione non è in grado di inficiare la legittimità del provvedimento finale, stante anche la natura vincolata del diniego di condono (ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2341 del 2019 con riguardo all’ipotesi, che qui ricorre, di illeciti edilizi insistenti su aree vincolate). Del resto, gli odierni appellanti, oltre ad aver mancato di indicare quale sarebbe stato l’ordine di esame corretto, non hanno dedotto alcuna concreta lesione derivante dalla sua inosservanza omettendo di dimostrare concretamente se ciò abbia determinato o meno l’applicazione in proprio danno di una normativa meno favorevole.
3.2 La natura vincolata dell’impugnato diniego di condono esclude, del pari, ex art. 21-octies comma 2 della L. n. 241 del 1990, in assenza di specifiche deduzioni in ordine alla sua incidenza sul contenuto dispositivo del provvedimento finale, la rilevanza della lamentata violazione della norma sul procedimento dell’art. 20 del D.P.R. n.380 del 2001 (violazione invero insussistente in fatto atteso che la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza prot. n. 602643 del 29 luglio 2013 già recava in sé la proposta motivata da parte del responsabile del procedimento).
4. Con il terzo motivo di appello si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art.3 del D.P.R. n. 380 del 2001 nella parte in cui la stessa ha escluso che gli interventi realizzati costituiscano interventi di manutenzione straordinaria.
Diversamente da quanto rilevato dal Comune di Napoli le opere realizzate dagli appellanti non avrebbero inciso sulle volumetrie e sulle superfici complesse, consistendo in interventi di mero adeguamento degli immobili, già oggetto di condono, alle intervenute esigenze degli appellanti medesimi. Inoltre, si sostiene che, alla luce dell’intervenuta modifica del T.U.E., il frazionamento di un immobile oggetto di preesistente e ancora non definita domanda di condono, essendo qualificabile quale intervento di manutenzione straordinaria, potrebbe essere effettuato senza comportare pregiudizio all’istanza di sanatoria non ancora evasa. In particolare, osservano gli appellanti che il terzo comma dell’art.23-ter del T.U.E. come modificato dalla legge n.96/2017, oggi precisa che, salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito ed il frazionamento di unità immobiliari deve, quindi, essere ricompreso tra gli interventi di manutenzione straordinaria. Si aggiunge, poi, che il D.L. 11 settembre 2014, n.133, convertito dalla legge 11 novembre 2014, n.164, all’art.17 ha stabilito che “Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’uso”.
4.1 La doglianza è priva di pregio.
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dell’art. 3 del D.P.R. n.380 del 2001 nel ritenere che gli interventi de quibus non integrino una manutenzione straordinaria.
E, infatti, come pure emerge dai rilievi effettuati in data17 aprile 2014 dalla P G. della Procura della Repubblica di Napoli e dalla Polizia Locale, le opere, valutate nel loro complesso e non singulatim, hanno avuto il risultato finale di determinare non un mero frazionamento ma veri e propri ampliamenti planovolumetrici accompagnati da variazioni prospettiche e da un mutamento della destinazione d’uso, così ictu oculi esulando dalla nozione normativa, ancorché allargata, di manutenzione straordinaria. Più nel dettaglio, il piano terra - ex seminterrato – inizialmente previsto come deposito e successivamente adibito a panificio con annessi forni ed uffici, risulta passato da una superficie iniziale di circa mq 300 a circa mq 700;il primo piano – ex piano terra - inizialmente formato da due unità abitative, è giunto a vantare quattro unità abitative;la pregressa cassa scala è stata demolita e la relativa superficie utile è stata inglobata negli appartamenti successivamente costruiti;anche il secondo piano ha subito analoghe modifiche.
La posizione assunta nella sentenza impugnata dal giudice di primo grado rispecchia, del resto, i consolidati insegnamenti della giurisprudenza del Consiglio di Stato ad avviso della quale “ristrutturazione edilizia si configura laddove, attraverso il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, si realizzi un'alterazione dell'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, incompatibile con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo che presuppongono, invece, la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie” (così Consiglio di Stato, sez. II, n. 1726 del 2021).
4.2 Ne può obliterarsi, come pure messo correttamente in evidenza dal T.A.R., che, nel caso di specie, gli interventi de quibus sono stati eseguiti su un immobile già oggetto di istanza di condono edilizio, determinando la “diversità oggettiva del bene da condonare”, che rappresenta un “fattore di per sé ostativo alla delibazione della pregressa domanda”.
In termini analoghi si è espressa la giurisprudenza amministrativa (da ultimo, Consiglio di Stato , sez. VI , n. 1858 del 2021) secondo cui, in ogni caso, “Gli interventi edilizi ulteriori su manufatti abusivi che non siano sanati né condonati, sia pure riconducibili nella loro oggettività alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o del risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche, deve ritenersi che ripetano le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, non potendo ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, senza l'intervento di alcuna sanatoria, devono ritenersi comunque abusive”.
5. Con il quarto motivo di appello si deduce che il giudice di prime cure avrebbe errato nel ritenere infondate le censure prospettate in primo grado in merito all’omessa preventiva acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale. Ciò in quanto, ad avviso di parte appellante, la concessione edilizia in sanatoria in ordine ad un manufatto realizzato su area sottoposta a vincolo ambientale–paesaggistico presupporrebbe, a mente dell’art. 32 della Legge n. 47 del 28 febbraio 1985, il parere dell’organo preposto alla tutela del vincolo.
5.1 Il motivo è privo di giuridico fondamento.
Come chiarito da consolidata giurisprudenza (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4063 2021), “la specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all’ordinaria procedura di rilascio della concessione ad edificare e l’assenza di una specifica previsione in ordine alla sua necessità rendono, per il rilascio della concessione in sanatoria “straordinaria” (o condono), il parere della Commissione edilizia non obbligatorio ma, facoltativo, al fine di acquisire eventuali informazioni e valutazioni con riguardo a particolari e sporadici casi incerti e complessi, in assenza dei quali il rilascio della concessione in sanatoria è subordinato alla semplice verifica dei numerosi presupposti e condizioni espressamente e chiaramente fissati dal legislatore (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 5336/2016, sez. VI, n. 6042/2014). La specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all’ordinario procedimento di rilascio della concessione ad edificare e l’assenza di una specifica previsione in ordine alla sua necessità rendono, per il rilascio della concessione in sanatoria, il parere della Commissione edilizia non obbligatorio, ma al più facoltativo (Cons. Stato, sez. IV, sentenza 12 febbraio 2010, n. 772);in caso di domanda di condono non è sempre necessario il previo parere della commissione edilizia comunale: nei casi di violazione di vincoli assoluti di inedificabilità e infatti, il mero accertamento tecnico degli appositi uffici è da solo sufficiente a legittimare il diniego del provvedimento richiesto (così, Cons. Stato, sez. V, n. 5725/2006)”.
6. Con il quinto motivo di appello l'appellante lamenta il mancato scrutinio del quinto motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale si era lamentata l’illegittimità del diniego di condono oggetto di impugnazione in quanto sorretto da motivazione solo apparente o, comunque, scarna.
6.1 Anche detto motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha, infatti, dato espressamente atto della motivazione (invero esauriente ed esaustiva) a sostegno del diniego di condono di che trattarsi osservando che il Comune di Napoli ha denegato lo stesso in ragione della “insanabilità delle opere in questione perché «eseguite su aree soggette a vincolo paesaggistico di cui al Decreto Legislativo n.42 del 22.01.2004, ex l. 1497/39» e in quanto “«non conformi alle disposizioni del vigente Piano Regolatore Generale in quanto ricadenti in zona E/4 in cui, ai sensi dell’art.50 delle norme di attuazione, non sono consentite nuove edificazioni»” .
7. Con il sesto motivo di appello si censura la decisione oggetto di gravame nella parte in cui il T.A.R. per la Campania ha ritenuto infondata la censura mediante la quale gli odierni appellanti avevano dedotto l’illegittimità dell’ordine di acquisizione in quanto il Comune di Napoli aveva confermato l’avvenuta acquisizione del bene al proprio patrimonio senza essersi previamente pronunciato sulle domande di condono pendente.
7.1 Con il settimo motivo di appello si censura, invece, la decisione oggetto di gravame nella parte in cui il T.A.R. per la Campania ha ritenuto infondata la censura con cui gli odierni appellanti avevano denunciato l’illegittimità dell’ordine di acquisizione per violazione dell’art.7 della legge n.241 del 1990.
8. I suddetti motivi, che possono essere esaminati congiuntamente stante l’intima connessione tra loro esistente, non meritano positivo apprezzamento.
Anzitutto, occorre evidenziare che la disposizione dirigenziale del Comune di Napoli, prot. n.173/C, del 25 giugno 2014 si è limitata alla presa d’atto della definitiva acquisizione del bene al patrimonio comunale già disposta con il provvedimento n. 609 del 12 febbraio 1997, atto quest’ultimo oggetto di impugnazione innanzi al T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, che con la sentenza n. 6388 del 2005, divenuta definitiva, ha respinto il ricorso.
Ne discende che l’effetto di acquisizione al patrimonio comunale si era già consolidato al momento dell’emissione della disposizione dirigenziale oggetto di impugnazione in primo grado.
Ciò, in disparte dal rilievo che potrebbe assumere in ordine alla procedibilità del ricorso qui in scrutinio (profilo in rito invero non sollevato dalle parti del presente giudizio), porta ad escludere la necessità dell’apertura di nuovo procedimento preceduto da formale comunicazione di avvio ex art. 7 della L. n. 241 del 1990 (la cui violazione non sarebbe, per incidens, comunque predicabile in virtù della natura vincolata dell’ordine di acquisizione).
8.1 Deve, in ultimo aggiungersi che, come correttamente rilevato della sentenza di primo grado, fermo restando il dovere dell’amministrazione comunale di esaminare con priorità logica la domanda di condono, va certamente ammessa, anche in un’ottica del buon andamento e celerità dell’azione amministrativa, la possibilità di provvedere unico actu, con un atto formalmente unitario, al suo diniego ed alla contestuale presa d’atto della definitiva acquisizione del bene al patrimonio comunale. Del resto, nel caso di specie, dalla parte motiva del provvedimento impugnato emerge con chiarezza che la constatazione dell’effetto ablativo ha rappresentato un posterius (ed il precipitato logico) della ritenuta inaccoglibilità dell’istanza ex legge n. 724 del 1994.
9. Per le ragioni sopra succintamente esposte l’appello è infondato e deve essere respinto.
10. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono ex artt. 26 c.p.a. e 91 c.p.c. la soccombenza e sono da porre integralmente a carico degli appellanti.