Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-12-23, n. 201908715

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-12-23, n. 201908715
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201908715
Data del deposito : 23 dicembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/12/2019

N. 08715/2019REG.PROV.COLL.

N. 10587/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 10587 del 2010, proposto da
Comune di Cesena, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati C C, B G, con domicilio eletto presso lo studio C C in Roma, via della Camilluccia 785.

contro

S A, B G, P G, in qualità di eredi di A G, rappresentati e difesi dall'avvocato M M, con domicilio eletto presso lo studio Renato Caruso in Roma, via Cristoforo Colombo, 436.

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Seconda) n. 01907/2009.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di S A, di B G e di P G;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2019 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati Chiola, e Vaccaro per delega di Caruso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna ha accolto il ricorso proposto da A G, concessionario del servizio di illuminazione votiva di cimiteri rurali nel Comune di Cesena, per l’annullamento della deliberazione della Giunta comunale n. 1689/95, di decadenza dalla concessione per inadempimenti del concessionario ritenuti gravi dal Comune, consistiti nella unilaterale maggiorazione del canone di utenza e nella esecuzione di lavori di adeguamento degli impianti senza la direzione di un professionista abilitato, in violazione dell’art. 1 del capitolato speciale in atti.

1.1. La società ricorrente aveva dedotto, tra l’altro, la violazione delle modalità procedimentali previste dall’art. 11 del capitolato per la fattispecie della “anticipata rescissione della concessione”.

1.2. Il Tribunale amministrativo regionale ha ritenuto fondata la censura, osservando che:

<< - quanto alla maggiorazione del canone, sono state richieste giustificazioni, ma non è stato assegnato termine per eliminare l’inadempimento mediante restituzione dei maggiori importi riscossi (mentre il concessionario ha provveduto spontaneamente al solo ripristino dei canoni concordati);

-quanto alla direzione lavori non abilitata, pur essendo dubbia la concreta esperibilità della diffida ad una regolarizzazione mediante assunzione di responsabilità “ex post” da parte di un professionista abilitato, nulla esimeva il Comune dal richiedere prima le giustificazioni, anziché pronunciare direttamente la decadenza, come avvenuto. >>.

1.3. Il ricorso è stato quindi accolto e, per l’effetto, il provvedimento di decadenza è stato annullato, mentre è stata dichiarata inammissibile “ per mancanza di censure ad essa riferite ” l’impugnazione della deliberazione consiliare di aggiudicazione a terzi del servizio già in concessione al ricorrente.

Le spese di lite sono state compensate “ anche in considerazione della natura meramente procedimentale della censura accolta ”.

2. Per la riforma della sentenza il Comune di Cesena formula tre motivi di appello.

I signori P G, B G e S A, in qualità di eredi di A G, resistono al gravame e ripropongono i motivi di ricorso assorbiti dalla decisione di accoglimento in primo grado.

Le parti hanno depositato memorie difensive.

Alla pubblica udienza del 29 ottobre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

3. Preliminarmente va dato atto dell’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, per l’asserita appartenenza della stessa al giudice ordinario, sollevata dalla difesa comunale soltanto con la memoria depositata ai sensi dell’art. 73 Cod. proc. amm.

3.1. L’eccezione è inammissibile e il difetto di giurisdizione non è più rilevabile, ai sensi dell’art. 9 Cod. proc. amm., applicabile al presente appello in quanto proposto con ricorso notificato l’8/10 dicembre 2010, quindi dopo l’entrata in vigore del codice.

3.2. Nell’atto di appello il Comune non ha dedotto alcuno “specifico motivo” concernente la giurisdizione avverso la pronuncia impugnata che, sia pure “in modo implicito”, ha statuito sulla giurisdizione.

3.3. La questione di giurisdizione del giudice amministrativo è perciò preclusa dalla formazione del giudicato interno ai sensi della norma anzidetta.

4. Nel merito, dirimente è l’esame del secondo motivo ( violazione della l. n. 46/90 e del DPR 447/91. Illogicità e contraddittorietà ), col quale il Comune appellante espone che: le norme di legge e regolamentari indicate in rubrica prescrivevano che la progettazione, l’adeguamento e la direzione dei lavori relativi ad impianti elettrici dovevano fare capo ad un professionista iscritto ad apposito albo;
tali prescrizioni, già contenute in norme imperative, poste a tutela della salute e incolumità di persone e cose, furono riportate nell’art. 1 del contratto di concessione, quale clausola essenziale;
vennero effettuati nei cimiteri i lavori di messa a norma degli impianti di illuminazione votiva come da obbligo assunto dalla ditta Gazzoni col contratto di concessione;
tuttavia, poiché al Comune non furono consegnate le attestazioni del tecnico abilitato, vennero chiesti chiarimenti al concessionario Gazzoni, il quale ammise di aver eseguito personalmente gli adeguamenti e di non essere in possesso della relativa abilitazione.

4.1. Ciò premesso, il Comune censura la sentenza di primo grado che ha ritenuto che anche in questo caso il Comune avrebbe dovuto procedere con diffida anziché pronunciare la decadenza, osservando che:

- non si è di fronte ad una condotta omissiva, che avrebbe potuto formare oggetto di successivo adempimento, ma di una condotta gravemente inadempiente del concessionario, che si è esaurita e ha prodotto tutti i suoi effetti e non può più essere sanata;

- lo stesso giudice di primo grado ha rilevato tale situazione, affermando che “ è dubbia la concreta esperibilità della diffida ad una regolarizzazione mediante assunzione di responsabilità ex post da parte di un professionista abilitato ”;

- infatti, nessun professionista abilitato avrebbe potuto attestare di aver diretto i lavori, se non dichiarando il falso;

- l’insanabilità dell’inadempimento ha quindi reso del tutto superflua la diffida;

- mancando il requisito richiesto dalla legge (conformità attestata dei lavori e degli impianti), il Gazzoni non avrebbe potuto esercitare l’attività e proseguire nel rapporto concessorio.

5. Va precisato che in punto di fatto non è contestato, né dall’originario ricorrente, né dagli attuali appellati, suoi eredi, che il concessionario -come esposto nella deliberazione di decadenza- abbia realizzato i lavori di adeguamento degli impianti elettrici dei cimiteri senza la progettazione e la direzione dei lavori da parte di professionista iscritto all’albo.

5.1. Gli appellati obiettano piuttosto che, ai sensi dell’art. 11, commi 2 e 3, del capitolato, nonché dell’art. 1454 cod. civ., l’atto di diffida e di messa in mora, con fissazione di un termine di trenta giorni per produrre giustificazioni, non sarebbe una mera intimazione ad adempiere, bensì “ un presupposto fondamentale affinché la revoca possa dirsi perfezionata ”;
ciò, perché l’amministrazione, avendo sottoscritto la convenzione di servizio n. 36351 del 13 marzo 1993, avrebbe dovuto portare a compimento gli obblighi assunti, rispettando i canoni di buona fede e correttezza ed i vincoli ivi imposti.

5.2. Con specifico riferimento al secondo motivo di appello, aggiungono che, in merito al “ presunto inadempimento ” concernente la direzione dei lavori non abilitata, il Comune non ha inviato formale diffida né ha richiesto le giustificazioni prima di procedere con la pronuncia di decadenza, sicché questa sarebbe illegittima.

6. Il secondo motivo di appello è fondato, non essendo condivisibili le obiezioni opposte dagli appellati né la motivazione contenuta nella sentenza appellata, poiché la mancata osservanza da parte dell’amministrazione degli obblighi procedimentali convenuti nel capitolato speciale, nel caso di specie non avrebbe potuto impedire, sussistendone i presupposti sostanziali, la risoluzione della concessione per inadempimento del concessionario ad un obbligo imposto sia dalla normativa richiamata dal Comune appellante che dalla convenzione accessiva alla concessione.

6.1. In primo luogo, va rilevato che, sebbene si possa convenire con gli appellati che, di norma, in applicazione dell’art. 1454 cod. civ., le parti possono convenire che l’ente concedente debba inviare previa diffida ad adempiere come condizione per la risoluzione di diritto o per la “revoca” in autotutela della concessione (cfr. Cons. Giust. Amm. Sicilia, 14 aprile 2003, n. 153, citata in memoria) e sebbene la relativa prescrizione del capitolato, di cui all’art. 11, comma 2, nel caso di specie, ben potesse essere applicata rispetto all’inadempimento concretatosi nell’indebita maggiorazione del canone (sia pure a fini restitutori, come detto in sentenza), tuttavia in riferimento alla seconda delle contestazioni mosse al concessionario, l’amministrazione non avrebbe potuto fare altro che constatare la compiuta violazione, non solo della convenzione, ma anche della normativa di riferimento.

6.1.1. Infatti, poiché l’inadempimento si è concretizzato in una condotta commissiva –realizzazione dei lavori di rifacimento degli impianti elettrici da parte dello stesso Gazzoni, privo dei necessari titoli abilitativi- non si sarebbe potuto procedere con diffida all’adempimento, ai sensi dell’art. 11, comma 2, del capitolato speciale: la violazione consistita nella totale assenza di tecnico abilitato, nella fase della progettazione, direzione ed esecuzione dei lavori, non avrebbe di certo potuto essere sanata ex post , dopo il loro completamento.

6.2. Quanto al termine per le giustificazioni, di cui all’art. 11, comma 3, del capitolato speciale, la relativa concessione è da intendersi prevista in funzione delle garanzie difensive del concessionario, per consentire la regolare instaurazione del contraddittorio sulle contestazioni dell’ente concedente, ma non si configura né come requisito di perfezionamento né come condizione di efficacia della fattispecie risolutiva.

6.2.1. Quest’ultima, come previsto dallo stesso art. 11, è conseguente all’inadempimento del concessionario all’obbligo predetto.

Le giustificazioni del concessionario, in riferimento ad un’ipotesi di inadempimento oramai realizzato, e non emendabile, rilevano al solo fine di consentire la valutazione della gravità dell’inadempimento.

Nel caso di specie, tali giustificazioni sono state fornite dal concessionario, provocando le conseguenze di cui si dirà trattando dei motivi di ricorso riproposti in appello.

6.3. Il vizio formale della mancanza di previa richiesta di giustificazioni ed, a maggior ragione, della mancanza di una previa diffida ad adempiere non invalida di per sé il provvedimento di decadenza pronunciato dall’amministrazione comunale nel presupposto dell’inadempimento grave del concessionario.

Il secondo motivo di appello va accolto.

7. L’accoglimento di tale motivo comporta l’assorbimento dei motivi restanti, e precisamente:

- del primo motivo, concernente il capo di sentenza che ha accolto il ricorso relativamente alla mancata previa diffida a restituire i canoni percepiti in eccesso: sebbene tale capo di sentenza debba ritenersi immune dalla censura prospettata dall’appellante, il provvedimento di decadenza resterebbe comunque sorretto dalla contestazione del secondo degli inadempimenti ascritti al concessionario;

- del terzo motivo, concernente l’asserita improcedibilità sopravvenuta del ricorso originario per carenza di interesse a seguito della dichiarazione di inammissibilità dell’impugnativa della deliberazione consiliare di ri-affidamento del servizio: si può prescindere dalla valutazione della persistenza dell’interesse all’impugnazione ai sensi dell’art. 34, comma 3, Cod. proc. amm., in ragione appunto della ritenuta legittimità del provvedimento, con accoglimento del secondo motivo di appello e, come si dirà, con rigetto degli originari restanti motivi di ricorso.

8. Restano infatti da delibare tali motivi, riproposti dagli appellati, ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm., applicabile al presente appello argomentando a contrario da quanto disposto dall’art. 3 disp. trans. Cod. proc. amm. (che esclude l’applicazione della disposizione soltanto per gli appelli depositati prima dell’entrata in vigore del codice).

8.1. Gli appellati hanno riproposto i seguenti motivi:

- 1) difetto di competenza della giunta comunale, per essere competente il consiglio comunale ai sensi dell’art. 32 della legge n. 142 del 1990;

- 2) difetto di motivazione della decisione assunta, con particolare riferimento alla valutazione dell’interesse pubblico, e violazione delle norme vigenti in materia di procedimento amministrativo;

- 3) infondatezza della motivazione concernente la gravità degli inadempimenti del concessionario, sia perché non si tratterebbe di inadempimenti contrattuali sia perché, comunque, essi non potrebbero essere qualificati come gravi e ad essi sarebbe stato posto rimedio, con conseguente “ trasformazione delle inadempienze da gravi a lievi ”;

- 4) illegittimità dell’adozione di atto autoritativo;

- 5) mancata acquisizione del parere preventivo del responsabile di ragioneria e del responsabile del servizio interessato, in violazione dell’art. 53 della legge n. 142 del 1990;

- 6) violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 per mancata indicazione, nel provvedimento di decadenza, dell’autorità cui rivolgersi e del termine per agire in contestazione delle determinazioni assunte.

8.2. Nessuno dei motivi riproposti è meritevole di accoglimento, atteso che:

- 1) l’art. 32 della legge 8 giugno 1990, n. 142, applicabile ratione temporis , effettivamente riservava al consiglio comunale la competenza in materia di concessione di pubblici servizi (comma 2, lett. f), ma la disposizione è da intendersi riferita alle deliberazioni concernenti le modalità di affidamento del pubblico servizio, con esclusione pertanto della fase esecutiva (per come fatto palese, peraltro, dalla successiva lettera m), riservata alla competenza residuale della giunta municipale;
per di più, nel caso di specie, il consiglio comunale ha sostanzialmente ratificato l’operato della giunta quando, con la successiva delibera n. 364 del 25 ottobre 1995 ha deliberato di riaffidare il servizio;

- 2) la delibera di decadenza è adeguatamente motivata con riferimento agli inadempimenti ascritti al concessionario e, non trattandosi di revoca per motivi di pubblico interesse, non avrebbe dovuto contenere alcuna specifica motivazione al riguardo, né era richiesta l’osservanza di norme del procedimento amministrativo (peraltro nemmeno specificate dagli appellati), in quanto si è trattato dell’esercizio di facoltà riconosciuta all’amministrazione dagli accordi accessivi alla concessione;

- 3) la gravità dell’inadempimento concernente la realizzazione dei lavori di rifacimento degli impianti di illuminazione risulta per tabulas oltre che dall’inosservanza della convenzione accessiva alla concessione, dalla violazione, da parte del concessionario, della legge 5 marzo 1990, n. 46 ( Norme per la sicurezza degli impianti ) e del suo regolamento di attuazione, di cui al d.P.R. 6 dicembre 1991, n. 447, specificamente quanto agli artt. 2, 4 e 6 della legge ed all’art. 4 del regolamento, applicabili ratione temporis , concernenti la progettazione e l’installazione degli impianti elettrici, vale a dire l’esecuzione dei lavori di adeguamento per la quale il concessionario si era specificamente obbligato. Sebbene l’obbligazione del concessionario riguardasse esplicitamente soltanto il compimento dei lavori, non vi è dubbio che essa presupponesse la loro esecuzione a regola d’arte, sicché non può sostenersi, come fanno gli appellati, addirittura l’inesistenza dell’inadempimento –trattandosi all’evidenza quanto meno di un inesatto adempimento- né si tratta di un “ modesto inconveniente ”, dato che il concessionario violato norme di legge e di regolamento a portata imperativa e finalizzate alla tutela della sicurezza degli interventi e degli utenti. Per tale ragione va escluso che l’inesatto adempimento sia qualificabile come “ lieve inadempienza ”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 10 del capitolato speciale;
né tale può essere qualificato solo perché vi è stato posto rimedio ex post mediante collaudo sia pure con oneri a carico del concessionario: si è dovuto porre in essere un apposito intervento di collaudo da parte del tecnico all’uopo incaricato dal Comune, che non sarebbe stato necessario, con le modalità seguite, ove il concessionario avesse regolarmente dato corso agli obblighi normativi e contrattuali;

- 4) della procedura seguita per l’adozione della delibera di decadenza si è detto trattando dei motivi di appello, fermo restando che la sussistenza e la gravità dell’inadempimento, giudizialmente verificate, sorreggono adeguatamente la decisione di risoluzione del rapporto concessorio;

- 5) in ragione di quanto appena detto, non erano necessari ulteriori pareri, oltre quello, regolarmente acquisito, del dirigente del settore patrimonio, espropri e contratti del Comune;

- 6) la mancata indicazione nel provvedimento dell’autorità e del termine per ricorrere non costituisce un vizio di illegittimità dell’atto e, nel caso di specie, è rimasta priva di conseguenze, per la tempestiva impugnazione proposta dal concessionario.

9. In conclusione, in accoglimento del secondo motivo di appello ed in riforma della sentenza di primo grado, assorbiti i restanti motivi di appello e rigettati i motivi di ricorso riproposti dagli appellati ai sensi dell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm., va respinto il ricorso proposto da A G contro la delibera della Giunta municipale del Comune di Cesena n. 1689 dell’11 settembre 1995.

9.1. Sussistono giusti motivi per compensare le spese di entrambi i gradi, considerate la qualità delle parti e le ragioni della decisione.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi