Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-04-27, n. 201202471
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N. 02471/2012REG.PROV.COLL.
N. 06409/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 6409 del 2007, proposto dal COMUNE DI SAN M B A, in persona del Sindaco
pro tempore,
rappresentato e difeso dagli avv.ti E F e L P Mgili, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via G.B. Vico, 1,
contro
la IMMOBILIARE FENIL NUOVO S.n.c., in persona del legale rappresentante
pro tempore,
rappresentata e difesa dall’avv. F T, con domicilio eletto presso l’avv. Patrizia Barlettelli in Roma, via della Bufalotta, 174,
per l’annullamento e/o la riforma,
previa sospensione dell’esecuzione,
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, Sezione Seconda, in data 8 marzo 2007, depositata il 26 marzo 2007, nr. 939/07, notificata il 31 maggio – 1 giugno 2007.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione della appellata Immobiliare Fenil Nuovo S.n.c. e l’appello incidentale dalla stessa proposto;
Viste le memorie prodotte dal Comune appellante in date 10 ottobre 2007 e 23 febbraio 2012 a sostegno delle proprie difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’ordinanza di questa Sezione nr. 5152 del 9 ottobre 2007, con la quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 27 marzo 2012, il Consigliere Raffaele Greco;
Udito l’avv. Prosperi Mangili per il Comune appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Comune di San Martino Buon Albergo ha impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale il T.A.R. del Veneto, accogliendo il ricorso proposto dalla Immobiliare Fenil Nuovo S.n.c., ha accertato l’illegittima applicazione e quantificazione delle somme dalla stessa dovute a titolo di contributi per la concessione edilizia nr. 20/03 dell’11 marzo 2003.
A sostegno dell’appello, l’Amministrazione comunale ha dedotto:
1) erroneità, illogicità e comunque assenza e/o comunque insufficienza della motivazione;erroneità sostanziale della decisione;eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti (stante l’omessa considerazione delle deduzioni e dei documenti con cui il Comune aveva esplicitato i criteri di calcolo nella specie applicati, e in ogni caso essendo giustificato tale calcolo sulla base del mutamento di destinazione d’uso introdotto con la nuova richiesta di concessione edilizia);
2) erroneità, illogicità, incongruità e comunque assenza e/o comunque insufficienza della motivazione (stante l’omessa decisione sui residui motivi di ricorso spiegati dalla parte privata).
La società Immobiliare Fenil Nuovo S.n.c., nel costituirsi, oltre a replicare analiticamente alle doglianze di parte appellante, ha a sua volta proposto appello incidentale avverso la medesima sentenza nella parte in cui non si è pronunciata sulla ulteriore domanda di condanna del Comune alla restituzione delle somme indebitamente percepite.
All’esito della camera di consiglio del 9 ottobre 2007, questa Sezione ha accolto l’istanza cautelare formulata contestualmente alla proposizione dell’appello.
All’udienza del 27 marzo 2012, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La società Immobiliare Fenil Nuovo S.n.c. ha ottenuto in data 2 giugno 1998 concessione edilizia per la realizzazione di lavori in variante e sanatoria rispetto a precedente titolo abilitativo risalente al 1995 su di un immobile in sua proprietà sito in territorio del Comune di San Martino Buon Albergo.
I predetti lavori non sono stati però completati nel termine di tre anni di efficacia della concessione, essendo stata sostanzialmente ultimata la sola struttura esterna dell’edificio;per questo, la società ha in seguito chiesto il rilascio di nuova concessione per l’esecuzione dei lavori di completamento, effettivamente rilasciata in data 11 marzo 2003.
Il contenzioso insorto fra l’istante e il Comune riguarda gli oneri concessori dovuti per tale ultimo provvedimento, avendone la prima contestato la quantificazione sul rilievo che l’Amministrazione intendesse gravare per due volte gli stessi lavori (è in fatto incontestato che, in occasione del rilascio della precedente concessione, l’istante avesse corrisposto tutti gli oneri richiesti);il Comune, per converso, nega una siffatta duplicazione, assumendo di aver detratto dagli oneri richiesti quanto già versato dalla società richiedente.
Il T.A.R. del Veneto, accogliendo il ricorso della società, ha dichiarato illegittima la quantificazione operata dal Comune, rilevando che nella specie non risultavano esplicitati i criteri di calcolo seguiti e ribadendo che da quanto richiesto avrebbero dovuto essere in ogni caso detratti gli oneri già versati per la concessione originaria.
Dell’erroneità di tale sentenza si duole il Comune con l’appello oggi all’esame della Sezione.
2. Tanto premesso, l’appello è fondato e pertanto meritevole di accoglimento.
3. Innanzi tutto, è opportuno sottolineare come la questione dell’adeguatezza o meno della motivazione con cui il Comune ha esplicitato i criteri di calcolo applicati è destinata a restare recessiva rispetto a quella della correttezza o meno di tali criteri: al riguardo, infatti, va richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui la determinazione degli oneri di urbanizzazione si correla a una precisa disciplina normativa, di modo che i provvedimenti applicativi di essa non richiedono di per sé alcuna puntuale motivazione allorché le scelte dell’Amministrazione si conformino a detti criteri (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 febbraio 2001, nr. 584).
Nel caso che qui occupa, non è dubbio che il Comune odierno appellante abbia fin dal primo grado depositato documentazione illustrativa dei criteri applicati per la commisurazione degli oneri richiesti per la concessione edilizia rilasciata nel 2003;di modo che, a prescindere da ogni approfondimento circa la conoscenza o conoscibilità di tali criteri da parte della società destinataria, l’eventuale correttezza degli stessi rileverebbe nel senso dell’irrilevanza del vizio ex art. 21 octies della legge 7 agosto 1990, nr. 241, in considerazione della natura vincolata dell’atto.
4. Di conseguenza, la questione centrale del presente giudizio attiene alle modalità con cui deve avvenire il calcolo degli oneri di urbanizzazione in sede di rilascio di un nuovo permesso di costruire dopo che quello originario è decaduto ai sensi dell’art. 15, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380 (e, prima, dell’art. 4 della legge 28 gennaio 1977, nr. 10).
Più specificamente, l’ipotesi che qui interessa è quella in cui una parte del manufatto assentito col primo titolo concessorio sia stato effettivamente realizzato, e gli oneri relativi siano stati integralmente pagati, di modo che il nuovo provvedimento abilitativo ha a oggetto solo il completamento dell’opera.
In un caso del genere, sembra pacifico (e sul punto le parti convengono) che non possa addivenirsi ad alcuna duplicazione, non essendo possibile accollare all’istante per due volte gli oneri relativi alle medesime opere.
Al di là di ciò, alla Sezione non paiono altrettanto scontati gli ulteriori due assunti su cui si regge la prospettazione del ricorso introduttivo (condivisa dal primo giudice): e cioè che, in occasione del rilascio del secondo permesso, non sia possibile calcolare gli oneri dovuti in base alla disciplina eventualmente innovativa che sia sopravvenuta dopo il rilascio del primo titolo ad aedificandum, e che in ogni caso detti oneri debbano sempre essere limitati a quelli inerenti la parte di opere non realizzata nei termini e oggetto del secondo permesso, escluso ogni “ricalcolo” degli oneri già corrisposti.
Quanto al primo profilo, il Collegio reputa del tutto ragionevole – anche in applicazione del principio tempus regit actum – che per ciascun titolo concessorio gli oneri dovuti siano calcolati applicando la normativa e i parametri vigenti al momento in cui esso è rilasciato, esclusa quindi ogni ultrattività della disciplina in vigore all’epoca del rilascio del titolo originario (poi decaduto).
Per quanto concerne il secondo aspetto, una rigorosa accettazione della tesi dell’odierna appellata porterebbe, nella specie, a un sostanziale azzeramento degli oneri dovuti, dal momento che – come già accennato – la nuova concessione edilizia rilasciata nel 2003 concerne unicamente opere interne e di finitura, essendo stato già illo tempore l’immobile interamente realizzato nella sua struttura.
La tesi del Comune, che invece ha operato un ricalcolo degli oneri già corrisposti per la prima concessione applicando anche ad essi la nuova disciplina (fermo restando, come è ovvio, lo scomputo delle somme già corrisposte), trova un aggancio nella pregressa giurisprudenza in materia, secondo cui un tale ricalcolo è legittimo nella sola ipotesi in cui le opere assentite col secondo permesso comportino un mutamento di destinazione d’uso ovvero una variazione essenziale del manufatto con passaggio da una categoria urbanistica ad altra funzionalmente autonoma, in tale caso giustificandosi col maggior carico urbanistico conseguente il ricalcolo degli oneri dovuto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 aprile 2004, nr. 2611;Cons. Stato, sez. V, 25 maggio 2004, nr. 6289;id., 23 gennaio 2004, nr. 174;id., 29 gennaio 2004, nr. 295;id., 24 settembre 2001, nr. 1427).
Orbene, non risulta specificamente contestato dalla parte privata l’assunto dell’Amministrazione appellante secondo cui la nuova richiesta di permesso di costruire comportava, oltre che la realizzazione di opere interne, anche un rilevante mutamento di destinazione d’uso dell’immobile rispetto al progetto originario (tale essendo, nella prospettazione del Comune, la ragione del ricalcolo degli oneri dovuti);e, anzi, la circostanza trova conferma nella stessa documentazione depositata in primo grado, dalla quale è dato evincere che effettivamente la diversa distribuzione degli spazi interni comportava anche una diversa ripartizione tra i locali a destinazione residenziale e quelli a destinazione direzionale, con conseguente variazione del carico urbanistico rispetto a quello originario.
Dal che consegue l’infondatezza delle censure articolate nel ricorso introduttivo, con riguardo sia all’indebita duplicazione degli oneri percepiti sia all’assenza di ogni giustificazione a sostegno del ricalcolo delle somme già corrisposte (fermo restando che esula dalla presente sede la verifica della correttezza del calcolo in concreto compiuto dall’Amministrazione, non risultando formulata alcuna specifica censura sul punto).
5. La fondatezza dell’appello del Comune, per le ragioni che si sono esposte, comporta l’inammissibilità dell’appello incidentale col quale l’originaria ricorrente aveva reiterato la propria domanda di condanna dell’Amministrazione alla restituzione delle somme – in ipotesi – indebitamente percepite.
6. In considerazione della relativa novità delle questioni esaminate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.