Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-12-20, n. 202108434

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-12-20, n. 202108434
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202108434
Data del deposito : 20 dicembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/12/2021

N. 08434/2021REG.PROV.COLL.

N. 04915/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4915 del 2021, proposto dal
Comune di Corato, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A L e M P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, presso lo studio dell’avv. Loiodice, in via Ombrone 12 b;

contro

Società D'Introno Domenico S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A M, D T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini n.30;

per la revocazione della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. II n. 1801/2021, resa tra le parti, concernente l’impugnazione della sentenza del T.A,R, Puglia, Bari n. 1408 del 2012 relativa a diniego di agibilità.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della società D'Introno Domenico S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2021 il Cons. Cecilia Altavista e udito per la parte privata l’avvocato A M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il presente ricorso per revocazione il Comune di Corato ha impugnato la sentenza di questa sezione n. 1801 del 3 marzo 2021, pronunciata a seguito dell’udienza pubblica del 26 gennaio 2021, che, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’appello e, quindi, il ricorso di primo grado proposto dalla società D’Introno avverso il provvedimento comunale di diniego della agibilità di due capannoni richiesta dalla società il 27 febbraio 2009.

Nel ricorso per revocazione il Comune espone che nel giudizio di appello era costituito l’avvocato A L, al quale non è stata comunicata la fissazione dell’udienza pubblica, in quanto l’avviso di fissazione è stato notificato all’avvocato Isabella Loiodice, che non era in mandato;
pertanto il Comune non aveva potuto presentare idonee difese, quali memorie e documenti per l’udienza pubblica;
deduce, quindi, che si sarebbe verificato un errore di fatto revocatorio, rappresentato dall’errore sulla regolare costituzione del contraddittorio e conclude per la revocazione della sentenza;
ai fini della fase rescissoria sono stati poi specificamente contestati i motivi d’appello proposti dalla società D’Introno nella impugnazione della sentenza del T.A.R. Puglia n. 1408 del 2012.

Si è costituita in giudizio la società D’Introno Domenico s.r.l. che, nella memoria depositata il 20 agosto 2021, ha dedotto l’infondatezza delle argomentazioni del Comune in ordine al giudizio rescissorio.

Il Comune ha presentato memoria di replica, eccependo la tardività della memoria della società D’Introno, in quanto il rispetto del termine di trenta giorni previsto dall’art. 73 c.p.a. avrebbe comportato il deposito prima del periodo di sospensione feriale;
ha comunque contestato la fondatezza delle argomentazioni contenute nella memoria difensiva. La difesa comunale ha poi chiesto il passaggio in decisione senza discussione orale.

All’udienza pubblica del 21 settembre 2021 il giudizio è stato trattenuto in decisione.

La revocazione è ammissibile, per la parte rescindente.

Ciò in base al consolidato orientamento giurisprudenziale di questo Consiglio, e anche della Corte di Cassazione, per cui l'omesso rilievo, da parte del giudice, della non integrità del contraddittorio integra un errore di fatto, rilevante ai sensi dell’art. 395, n.4, c.p.c. (Cons. Stato, Sez. V, 12 giugno 2012, n. 3439;
Sez. IV, 3 agosto 2011, n. 4660). In particolare, la sussistenza di un errore di fatto revocatorio è stata affermata con specifico riguardo alla mancata comunicazione al difensore costituito della data dell'udienza stabilita per la trattazione del ricorso, poiché l'omissione dell'adempimento induce in errore il giudice circa la regolare costituzione ed effettività del contraddittorio (Consiglio di Stato, Sez. IV, 19 gennaio 2012, n. 227;
Sezione V 19 settembre 2011, n. 5284;
id. 13 settembre 2010, n.6560;
Cass. SS.UU, 30 dicembre 2004, n. 24170).

Nel caso di specie, risulta dagli atti di causa che il Comune di Corato nel giudizio di appello si era costituito in giudizio, con atto depositato il 16 ottobre 2013, tramite il patrocinio del solo avvocato A L, a cui era stato conferito il mandato a margine dell’atto di costituzione, il quale aveva anche espressamente indicato per le comunicazioni la PEC loiodicealdo@avvocatibari.legalmail.it;
era stato però eletto domicilio in Roma, via Ombrone 12 “presso lo studio legale associato avvocato prof. A L- prof. Isabella Loiodice &partners”.

L’avviso dell’udienza del 21 settembre 2021 risulta inviato e consegnato il 9 ottobre 2021 all’indirizzo PEC loiodice.isabella@avvocatibari.legalmail.it..

Il Comune di Corato non risulta avere presentato per l’udienza del 26 gennaio 2021 alcun atto difensivo.

Come è noto, all’art. 25 c.p.a. – che, al momento della costituzione nel giudizio di appello del Comune di Corato, prevedeva, per i giudizi davanti al Consiglio di Stato, l’onere per i difensori della elezione di domicilio in Roma (e, in mancanza, la domiciliazione ex lege presso la Segreteria del Consiglio di Stato) – con il d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197, sono stati aggiunti il comma 1 bis, per cui al processo amministrativo telematico si applica, in quanto compatibile, l'articolo 16-sexies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 ”, e il comma 1 ter , per cui “ a decorrere dal 1° gennaio 2018 il comma 1 non si applica per i ricorsi soggetti alla disciplina del processo amministrativo telematico ”. L’art. 16- sexies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 dispone che “ salvo quanto previsto dall'articolo 366 del codice di procedura civile, quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l'indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all'articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia ”;
in base all’art. 366 c.p.c, nel testo modificato con la legge 12 novembre 2011, n. 183, con effetto dal 1 febbraio 2012 “ se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma, ovvero non ha indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione ”.

Sulla base di tale quadro normativo, questa Sezione, con insegnamento da cui il Collegio non intende discostarsi nel caso di specie, ha già ritenuto che per effetto della disciplina del processo telematico, comunque applicabile anche al presente giudizio a partire dal 1 gennaio 2018, siano venute meno le disposizioni dell’art. 25, comma 1, relative all’onere della elezione di domicilio in Roma, e che, dovendo tutte le comunicazioni essere effettuate presso gli indirizzi di posta elettronica dei difensori, tali comunicazioni debbano necessariamente essere effettuate presso gli indirizzi di posta dei difensori costituti, essendo divenuti del tutto irrilevanti eventuali indirizzi di posta dei domiciliatari (cfr. ordinanza Sezione II, 16 novembre 2020, n. 7070).

Pertanto, anche ammesso che, sotto la disciplina previgente, nel caso di specie si fosse potuta configurare l’elezione di domicilio effettuata presso lo studio associato come riferita anche all’avvocato Isabella Loiodice, in ogni caso, tale elezione di domicilio e i suoi effetti sono venuti meno con l’entrata in vigore del processo telematico anche per tutti i giudizi pendenti a partire dal 1 gennaio 2018, con la conseguenza che l’unico difensore costituito, a cui effettuare la comunicazione dell’avviso dell’udienza era l’avvocato A L al suo indirizzo PEC.

In mancanza di partecipazione alla fase di trattazione del giudizio del difensore del Comune, si è perciò verificato un difetto del contraddittorio idoneo a integrare un errore di fatto revocatorio, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c, richiamato dall’art. 106 c.p.a..

La sentenza n. 1801 del 2021 deve essere dunque revocata.

Conseguentemente, in sede rescissoria deve procedersi alla rinnovazione del giudizio di appello nel contraddittorio con la difesa comunale.

In tale ambito, deve essere in via preliminare esaminata la questione della tardività della memoria presentata dalla società D’Introno il 20 agosto 2021;
la quale non ha preso posizione sulla fondatezza del giudizio rescindente, ma solo sulla fondatezza degli originari motivi di appello.

Trattandosi di giorni espressamente definiti “ liberi ” dall’art. 73 c.p.a. e che devono essere computati “a ritroso”, i relativi termini erano sospesi nel periodo feriale da 1 al 31 agosto 2021, con la conseguenza che la memoria avrebbe dovuto essere depositata entro il 21 luglio 2021.

La memoria depositata dalla società D’Introno deve dunque essere considerata tardiva e non può essere utilizzata nel giudizio.

Prima di esaminare il merito del giudizio rescissorio è opportuno procedere alla ricostruzione dei fatti di causa.

Nel 1995 la società D’Introno aveva chiesto il rilascio di una concessione edilizia per l’ampliamento della propria attività commerciale, in particolare per la realizzazione di due capannoni a destinazione commerciale.

Poiché per il rilascio della concessione occorreva una variante urbanistica, l’approvazione del progetto è stata sottoposta al Consiglio comunale, che, con la delibera n. 41 del 15 marzo 1997, disponeva la variante al piano regolatore generale (PRG) e poneva alcune condizioni per il rilascio della concessione. In particolare, tra le prescrizioni a carico della società, alla lett. f) era prevista la seguente: “ che venga realizzata a propria cura e spese la strada indicata in progetto di collegamento fra la complanare e nuova strada di PRG, considerato il carico urbanistico che si va a determinare con l’ampliamento commerciale e che la stessa, anche se privata, sia di uso pubblico ”.

Il 27 ottobre 1998, è stata, dunque, rilasciata la concessione edilizia n. 237, condizionata al rispetto di alcune prescrizioni, tra cui alla lettera e) quella indicata alla lettera f) della delibera del consiglio comunale, ovvero “ realizzazione della strada indicata in progetto di collegamento fra la complanare e la nuova strada di PRG ”. Mentre le prescrizioni indicate dalle lettera a) a d) erano indicate come da realizzarsi prima del rilascio del certificato di agibilità, tale riferimento mancava alla lettera e).

Seguivano poi alcune varianti edilizie con indicazioni relative a ulteriori prescrizioni.

La società non realizzava la prescrizione indicata nella lett. f) della delibera n. 41/1997, per la quale erano state formulate varie proposte alternative, non accettate dal Comune che, con nota del 28 settembre 2007, aveva formulato una propria proposta alternativa (realizzazione di altra bretella di collegamento e monetizzazione degli standards relativi alla realizzazione della strada individuata nella delibera n. 41 del 1997) non condivisa dalla società, che, il 23 marzo 2008, presentava il progetto, per cui è stato rilasciato il permesso di costruire n. 163 del 29 luglio 2008, che assentiva la realizzazione della strada di collegamento tra la complanare S.P. 231 e via Santa Faustina “ a condizione che nella fase esecutiva siano rispettati i principi fondamentali delle Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle intersezioni stradali - Ministero delle Infrastrutture- Ispettorato Generale per la Circolazione e la sicurezza stradale ”.

Successivamente, la società D’Introno, sulla base della impossibilità di costruire la strada, come assentita nel permesso di costruire rilasciato il 29 luglio 2008, nel rispetto delle norme per la costruzione delle infrastrutture stradali, in quanto: “ per la situazione dei luoghi, l’angolazione tra la complanare e la bretella proposta in progetto era pari a 45° gradi e quindi non rispettava l’angolazione minima sulle intersezioni di 70° gradi prevista dalla legge per motivi di sicurezza”…“la bretella andava ad inserirsi nel mezzo di due altre intersezioni esistenti che sboccano sulla medesima complanare, così violando anche la distanza minima di 500 m. tra viabilità consecutive previste dalla vigente normativa tecnica” , presentava il 19 febbraio 2009 al Dirigente del settore edilizia privata del Comune, e per conoscenza al Consiglio comunale, richiesta di riesame della prescrizione posta con la delibera n. 41/1997, lett. f), anche concordando soluzioni progettuali alternative, anche in ordine alla localizzazione della strada, ovvero instava per essere autorizzata a realizzare la strada in deroga agli standards di sicurezza, accollandosi l’Ente le responsabilità rinvenienti da eventuali sinistri stradali (trattandosi di viabilità ad uso pubblico).

Il 27 febbraio 2009, inoltre, la società richiedeva il rilascio del certificato di agibilità per i due capannoni, corredata dalla documentazione di legge, nonché di quelle prescritte come condizione per il rilascio dalla concessione edilizia 237 del 1998.

Con nota dirigenziale prot. n. 11498 in data 20 aprile 2009, l’Amministrazione comunale manifestava di non poter procedere al rilascio del certificato di agibilità per difetto di adempimento della prescrizione di cui alla citata lett. f) della delibera n. 41/1997 e, nella stessa data, con la nota dirigenziale prot. n. 11601, respingeva la richiesta di riesame, in quanto la realizzazione della strada non contrastava con quanto previsto in sede di rilascio del titolo edilizio 163 del 2008, né con le disposizioni ministeriali in tema di sicurezza stradale, e avrebbe comunque realizzato l’interesse pubblico posto a base della prescrizione inserita dal Consiglio comunale.

Avverso la nota prot. 11498 è stato proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sede di Bari (n.rg. 959/2009), chiedendo anche l’accertamento della formazione del silenzio assenso sulla istanza di agibilità ex art. 25 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380;
con i motivi aggiunti è stato impugnato il verbale prot. n. 13054 del 27 aprile 2011, con cui, accertato lo svolgimento di attività commerciale in assenza di certificato di agibilità, veniva irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria, ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. n. 380/2001;
la nota del 4 maggio 2011 di comunicazione dell’avvio di procedimento di sospensione dell’attività commerciale e il provvedimento prot. n. 7787, del 16 marzo 2011, di diniego di rilascio del numero di matricola degli impianti ascensori installati negli immobili per mancanza del certificato di agibilità;
con ulteriori motivi aggiunti veniva impugnata l’ordinanza n. 30, del 18 maggio 2011, recante ingiunzione di immediata sospensione dell’attività commerciale. Con il ricorso n.r.g. 1092/2009, la società ha impugnato la nota dirigenziale prot. n. 11601 del 20 aprile 2009, di diniego di riesame della richiamata prescrizione di cui al punto f) della delibera consiliare n. 41/1997.

Il Tribunale amministrativo regionale, riuniti i ricorsi e dopo aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio e un ulteriore supplemento, ha accolto solo la censura proposta con i motivi aggiunti nel giudizio R.G. n. 959/2009 avverso il verbale di accertamento del 27 aprile 2011 e ha respinto tutti gli ulteriori motivi. In particolare, con riferimento alla nota con cui si negava il riesame della prescrizione imposta con la delibera n. 47 del 1997, è stata assorbita la eccezione di inammissibilità per la natura meramente confermativa sollevata dalla difesa comunale;
è stata respinta la censura di incompetenza, ritenendosi non necessaria una nuova delibera comunale, non venendo in considerazione il riesame della variante urbanistica per cui era stato necessario l’intervento consiliare;
il giudice di primo grado poi riteneva, sulla base delle istruttorie effettuate e delle risultanze della CTU, che il primo progetto rilevante presentato fosse quello allegato all’istanza, per cui era stato rilasciato il permesso di costruire n. 163/2008, quindi successivo alla entrata in vigore dei decreti del Ministro delle infrastrutture 5 novembre 2001 e 19 aprile, la cui disciplina era quindi applicabile al progetto approvato, con la conseguenza della impossibilità di realizzare la strada che prevedeva una intersezione a 45°, rispetto all’angolazione di 70° tra le intersezioni prevista dal D.M. del 2006;
non ha però condiviso la tesi difensiva di parte ricorrente nel senso della impossibilità sopravvenuta della obbligazione di realizzare la strada contenuta nella prescrizione di cui alla lett. f) del. 41/1997, potendo, invece, in base alle risultanze della CTU, la stessa essere realizzata “ modificando lievemente il tracciato della strada;
rendendola, invece che rettilinea, leggermente arcuata in tutta la sua lunghezza, in modo tale da consentire un’intersezione a norma
”;
inoltre, secondo il giudice di primo grado, non sarebbe applicabile la disposizione dei citati D.M., che stabilisce la distanza minima di 500 metri tra viabilità consecutive, in quanto tale norma si riferirebbe solo alle strade extraurbane e non alla strada in questione rientrante nel centro urbano. Con riferimento al diniego del certificato di agibilità, è stato respinto il motivo relativo alla tardività del diniego, ritenendo applicabile il termine di sessanta giorni, piuttosto che il ridotto termine di 30 giorni previsto per il caso in cui all’istanza sia allegato il parere dell’ASL;
infatti il giudice di primo grado ha ritenuto irrilevanti i pareri indicati dalla difesa ricorrente (dell’Ufficio Igiene Pubblica n. prot. 1497 del 1995 e prot. 1832 del 1999), in quanto di molto precedenti all’ultimazione dei lavori inerenti i capannoni in questione che, presuntivamente, non possono che essere stati ultimati nel 2009 (anno di presentazione dell’istanza per l’agibilità) e quindi inidonei ad attestarne la concreta idoneità igienico- sanitaria.

Con riferimento alla legittimità del diniego di agibilità il giudice di primo grado ha dato atto di aderire all’orientamento giurisprudenziale che richiede il rispetto delle prescrizioni edilizie per ottenere il certificato di agibilità e ha quindi respinto anche tale censura.

Avverso tale pronuncia è stato proposto l’appello deciso dalla sentenza n. 1801 del 2021 per i seguenti motivi:

- “ violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 34 c.p.a.;
eccesso di potere giurisdizionale e violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c.;
violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 21 octies della l. n. 241/1990;
motivazione insufficiente ed erronea, travisamento dei presupposti, omessa pronuncia
”, in quanto il T.A.R., pur avendo riconosciuto la carenza della motivazione del diniego di riesame della prescrizione di cui alla lett. f) della delibera consiliare n. 41/1997, invece di annullare tale provvedimento “ quantomeno per erroneità dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione” ha respinto le doglianze della società sostanzialmente convertendo la domanda di annullamento in domanda di accertamento, evidenziando che la società avrebbe potuto realizzare la strada di cui è questione variandone il tracciato rispetto a quello approvato per renderlo conforme alla sopravvenuta normativa stradale;
erroneamente il primo giudice avrebbe richiamato l’art. 21- octies della l. n. 241/1990, data la discrezionalità delle valutazioni che venivano chieste al Consiglio comunale con l’istanza di riesame della suddetta prescrizione;

- “ violazione e falsa applicazione del d.m. 5.11.2001;
travisamento dei presupposti, motivazione insufficiente ed erronea, omessa pronuncia sulle documentate eccezioni di parte ricorrente
”, in quanto le affermazioni del giudice di primo grado in ordine alla sussistenza solo di una maggiore onerosità della realizzazione della strada, superabile con l’ordinaria diligenza dell’obbligato, ma non di impossibilità sopravvenuta della sua costruzione, non avrebbero comunque consentito di superare i vizi di travisamento dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione dell’atto di diniego di riesame della prescrizione di cui alla lett. f) della delibera consiliare n. 41/1997;
sarebbe erroneo l’assunto del T.A.R. circa l’inapplicabilità ai centri urbani della disposizione del D.M. che stabilisce la distanza minima di 500 metri tra viabilità consecutive in quanto la strada in questione, di collegamento di diversi territori comunali in parallelo ad un’arteria stradale di grande comunicazione, dovrebbe essere considerata extraurbana, in conformità al DM, che dispone che le strade locali devono ritenersi extraurbane, quando hanno funzione di collegamento del territorio interlocale e comunale in ambito extraurbano, e interne al quartiere in ambito urbano;
la soluzione di un percorso alternativo prospettata dal Tribunale, proprio in quanto maggiormente onerosa rispetto alle prescrizioni della lett. f) della delibera n. 41/1997 sarebbe anche illegittima e inammissibile, in quanto non avrebbe potuto essere imposta unilateralmente alla società, cui non avrebbero potuto imputarsi le conseguenze della sopravvenuta modificazione della normativa sulla sicurezza stradale;

- “ violazione e falsa applicazione degli artt. 21-nonies della l. n. 241/1990 e 107 del TUEL;
violazione e falsa applicazione dell'art. 7 delle NTA del PRG del Comune di Corato;
travisamento dei presupposti, motivazione insufficiente ed erronea
”, riproponendo l’eccezione di incompetenza del dirigente all’atto di diniego del riesame delle prescrizioni della delibera n. 41/1997, che avrebbe dovuto essere adottato dal Consiglio comunale e non dal dirigente del Settore urbanistico, considerato che le NTA attribuiscono direttamente al Consiglio comunale la possibilità di introdurre varianti urbanistiche e di apporre prescrizioni;
tanto più che lo stesso Tribunale avrebbe riconosciuto che il percorso alternativo individuato costituiva una variazione rispetto al tracciato della delibera del consiglio comunale che, perciò, avrebbe presupposto un intervento di esclusiva competenza del Consiglio comunale;

- “ violazione e falsa applicazione della delibera di c.c. n. 41/1997;
omessa dovuta considerazione di circostanze rilevanti ai fini del decidere, motivazione insufficiente ed erronea, omessa pronuncia su tutte le censure denunciate in ricorso
”, in quanto erroneamente il T.A.R. avrebbe ritenuto che il certificato di agibilità non poteva essere rilasciato per mancato adempimento della prescrizione di cui alla lett. f) della delibera n. 41/1997, poiché tale certificato potrebbe essere negato solo per ragioni igienico sanitarie;
in ogni caso, gli interventi edilizi effettuati sarebbero stati conformi ai titoli, dato che la delibera consiliare di approvazione della variante al PRG non subordinava il rilascio del certificato di agibilità alla realizzazione della strada, a differenza di quanto previsto per altre prescrizioni stabilite dalla stessa delibera;

-conseguentemente alla fondatezza dei motivi sopra esposti, dovrebbero ritenersi illegittimi i provvedimenti di sospensione dell’attività commerciale e di diniego dei numeri di matricola degli ascensori adottati in relazione alla mancanza del certificato di agibilità.

Nella parte rescissoria del ricorso per revocazione il Comune di Corato ha sostenuto l’infondatezza dei motivi di appello, deducendo, con riferimento al primo motivo di appello, che la motivazione del diniego di riesame della delibera fosse già completa, contenendo la precisa indicazione della conformità della strada al permesso di costruire rilasciato nel 2008 e alle prescrizioni ministeriali in materia di sicurezza, e che la mancata realizzazione della strada sarebbe dovuta alla volontà della società di non realizzarla per utilizzare la relativa area a parcheggio, mentre il TAR tramite la CTU aveva accertato che la realizzazione della strada era ancora possibile;
quindi se anche la motivazione fosse stata ritenuta incompleta il giudice di primo grado avrebbe fatto corretto riferimento all’art. 21 octies , non potendo comunque il Comune adottare un provvedimento diverso.

Con riguardo al secondo motivo di appello ha insistito per la sua infondatezza, in quanto effettivamente la strada da realizzare non può che ritenersi urbana e quindi non soggetta alla distanza di 500 metri tra intersezioni contigue previste solo le strade extraurbane.

Ha poi sostenuto l’infondatezza del terzo motivo d’appello relativo alla incompetenza del dirigente a decidere sulla istanza di riesame, in quanto la richiesta riguardava la prescrizione imposta al permesso di costruire e non la variante urbanistica.

Con riferimento poi al motivo di appello, riguardante il rilascio del certificato di agibilità, ne è stata sostenuta la infondatezza deducendo che il permesso di costruire conteneva espressamente la prescrizione relativa alla realizzazione della strada e che il certificato di agibilità presuppone la conformità edilizia dell’immobile;
ha poi sostenuto la legittimità degli atti conseguenti.

Anche alla luce delle deduzioni difensive del Comune l’appello proposto dalla società D’Introno è comunque fondato, nei sensi e limiti di cui infra , e deve conseguentemente essere accolto.

I motivi di appello avverso la nota dirigenziale del 20 aprile 2009, che ha respinto la richiesta di riesame possono essere esaminati congiuntamente.

In primo luogo, la società D’Introno sostiene l’erroneità della sentenza, in quanto avrebbe fatto riferimento a un difetto di motivazione del diniego di riesame, ma poi non ne avrebbe tratto le dovute conseguenze in termini di illegittimità del provvedimento, sostituendo praticamente il proprio giudizio a una valutazione di legittimità del provvedimento.

Il motivo è fondato.

Il diniego di riesame è carente di motivazione e, soprattutto, non esamina la questione posta dalla società con la istanza di riesame del 2009, ovvero la non conformità del progetto approvato alle norme tecniche in materia di sicurezza stradale.

Infatti, la richiesta di riesame è stata respinta in quanto la realizzazione della strada non contrastava con quanto previsto in sede di permesso di costruire, né con le disposizioni ministeriali in tema di sicurezza stradale, e avrebbe comunque realizzato l’interesse pubblico, ma non ha affrontato la questione della effettiva conformità del progetto alle norme del D.M. 5 novembre 2001 e in particolare del D.M. del 19 aprile 2006, in ordine all’angolazione minima delle intersezioni.

Il giudice di primo grado poi, pur dando atto delle risultanze della CTU, che aveva affermato l’applicabilità al progetto presentato nel 2008 della nuova disciplina e accertato che il progetto approvato non era conforme a essa, ha ritenuto che la società debba comunque procedere alla realizzazione della strada, senza però affermare alcun obbligo di riesame della questione a carico del Comune.

Tale argomentazione del giudice di primo grado è erronea e va riformata, in quanto, nella sostanza, presuppone che la società D’Introno possa procedere a realizzare la strada adattandola alle norme di sicurezza autonomamente, senza il rilascio di un ulteriore titolo edilizio da parte del Comune.

L’assunto non può essere condiviso.

Infatti, se non può ritenersi venuto meno l’obbligo affermato nella delibera n. 47 del 1997 – né tale affermazione è contenuta negli atti della società D’Introno, la quale ha chiesto il riesame appunto per evitare il permanere di tale obbligo – è evidente che, al momento della presentazione della richiesta di riesame, il 19 febbraio 2009, il titolo edilizio per realizzare la strada fosse costituito dal permesso di costruire rilasciato il 29 luglio 2008 e dal progetto allegato ad essa, per cui una eventuale realizzazione in difformità da questo, necessaria per assicurare il rispetto dei parametri normativi, avrebbe comunque comportato la esecuzione di una opera in difformità dal relativo titolo edilizio ed esposto la società a sanzioni edilizie.

Essendo stato accertato, nel corso del giudizio di primo grado, che la strada non avrebbe potuto essere realizzata secondo quanto previsto dal titolo edilizio e in conformità al rispetto delle norme tecniche, in quanto il D.M. 19 aprile 2006 – applicabile alle intersezioni in corso di realizzazione ed a quelle per le quali, al momento della sua entrata in vigore, non sia già stato redatto il progetto definitivo – aveva previsto per le intersezioni a raso “ l'angolazione tra gli assi delle strade non inferiore ad un angolo di valore pari a 70° ”, il dirigente comunale avrebbe dovuto espressamente considerare l’ipotesi di una modifica tecnica del progetto e eventualmente del tracciato, per consentire il rispetto della normativa tecnica, o la deroga al rispetto delle norme sulla sicurezza stradale, espressamente richiamate nel permesso di costruire n. 163 del 2008.

La possibilità di deroga in determinate circostanze è, infatti, espressamente prevista sia dall’art. 13 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, norma che attribuisce al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il potere normativo in materia di costruzione delle strade (art. 13 comma 1) esercitato con i decreti ministeriali in questione, sia dall’art. 3 del D.M. 5 novembre 2001, nonché dall’art. 2 del D.M. 19 aprile 2006 che riguarda specificamente le norme tecniche relative alle intersezioni stradali.

Ai sensi del comma 2 dell’art. 13 del codice della strada, infatti, “ la deroga alle norme di cui al comma 1 è consentita solo per specifiche situazioni allorquando particolari condizioni locali, ambientali, paesaggistiche, archeologiche ed economiche non ne consentono il rispetto, sempre che sia assicurata la sicurezza stradale e siano comunque evitati inquinamenti, dei relativi impianti e servizi” .

In base all’art. 3 del D.M. 5 novembre 2001, “ nel caso in cui, per le strade di nuova costruzione, come previsto dal suddetto comma 2 dell'art. 13 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, particolari condizioni locali, ambientali, paesaggistiche, archeologiche ed economiche non consentano il pieno rispetto delle presenti norme, possono essere adottate soluzioni progettuali diverse a condizione che le stesse siano supportate da specifiche analisi di sicurezza e previo parere favorevole del Consiglio superiore dei lavori pubblici per le autostrade, le strade extraurbane principali e le strade urbane di scorrimento, e del provveditorato regionale alle opere pubbliche per le altre strade”.

L’art. 2 del D.M. 19 aprile 2006 prevede: “ le norme approvate con il presente decreto si applicano alla costruzione di nuove intersezioni sulle strade ad uso pubblico, fatta salva la deroga di cui all'art. 13, comma 2 del decreto legislativo n. 285/1992 . La deroga di cui al comma 1, supportata da specifiche analisi di sicurezza, è ammessa previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, per le intersezioni che interessano le autostrade, le strade extraurbane principali e le strade urbane di scorrimento, e del S.I.I.T - Settore infrastrutture territorialmente competente - per le altre strade.

La deroga, nel caso di specie, era anche stata espressamente richiesta con la istanza presentata dalla società D’Introno.

Sotto tale profilo non può, invece, accogliersi il motivo relativo all’incompetenza in quanto la parte della istanza di riesame relativa alla deroga o alla eventuale modifica del tracciato o del progetto assentito e la valutazione tecnica di un nuovo progetto rientrava nelle competenze del dirigente comunale, avendo inoltre accertato il CTU nel giudizio di primo grado che il progetto allegato al delibera del consiglio comunale costituiva la mera indicazione di un tracciato, tanto da non ritenerla neppure idonea ad integrare un progetto definitivo, ai fini di escludere le norme sopravvenute in materia di costruzioni delle strade ovvero l’applicazione del D.M. 5 novembre 2001 e del D.M 19 aprile 2006.

A una differente conclusione deve, invece, giungersi per quanto riguarda la prescrizione relativa alla realizzazione della strada, posta come condizione del rilascio della concessione edilizia e della variante urbanistica, nella delibera del Consiglio comunale n. 47 del 1997. Infatti, tale prescrizione, unitamente alle altre prescrizioni, era stata inserita dal Consiglio comunale nell’ambito della variante urbanistica, in relazione al carico urbanistico derivante dall’ampliamento degli edifici commerciali, altrimenti non consentito, come risulta espressamente dal riferimento al “carico urbanistico” nel testo della prescrizione indicata alla lettera f).

Pertanto, effettivamente, su tale aspetto ovvero su una eventuale revoca della prescrizione, non avrebbe potuto che pronunciarsi il Consiglio comunale;
ciò, peraltro, sempre che la proposta fosse stata valutata idonea dagli uffici comunali, considerato che il consiglio comunale si era già espresso per la realizzazione della strada e che non vi erano circostanze sopravvenute in relazione alla situazione urbanistica tale da giustificare un ripensamento. Ne deriva che, sotto tale profilo, si deve ritenere congruo il riferimento motivazionale contenuto, nella nota dirigenziale, alla sussistenza esistenza dell’interesse pubblico soddisfatto con la prescrizione.

Quanto alla questione della distanza di 500 metri tra le intersezioni, il D.M. 19 aprile 2006 prevede tale distanza minima “ in campo extraurbano ”, per cui è determinante la collocazione della strada nell’ambito urbano, mentre alcuna rilevanza può avere la deduzione della società in ordine alla circostanza che la strada andrebbe a congiungere più territori comunali e quindi sarebbe extraurbana né il rilievo della posizione parallela ad una strada di grande comunicazione.

Infatti, per la classificazione della strada non può che farsi riferimento alle definizioni dell’art. 3 del Codice della Strada, per cui la strada urbana è la “ strada interna ad un centro abitato ”;
la strada extraurbana è la “ strada esterna ai centri abitati”; il centro abitato è l’ “insieme di edifici, delimitato lungo le vie di accesso dagli appositi segnali di inizio e fine. Per insieme di edifici si intende un raggruppamento continuo, ancorché intervallato da strade, piazze, giardini o simili, costituito da non meno di venticinque fabbricati e da aree di uso pubblico con accessi veicolari o pedonali sulla strada”. In base all’art. 4, “Ai fini dell'attuazione della disciplina della circolazione stradale, il comune, …provvede con deliberazione della Giunta alla delimitazione del centro abitato”.

Non essendo contestata in giudizio, sotto tale profilo, l’appartenenza dell’area dove deve essere realizzata la strada al centro abitato, la censura non può che ritenersi infondata.

Venendo al motivo di appello relativo al rilascio del certificato di agibilità, si deve rilevare che nella concessione edilizia n. 237 del 1998 erano indicate espressamente come prescrizioni rilevanti al fine del rilascio del certificato di agibilità (solo) quelle indicate alle lettere da a) a d), relative in particolare, al parere Enel sulla distanza dall’elettrodotto, al nulla osta dei Vigili del Fuoco, alla cessione dell’area a parcheggio e delle ulteriori aree risultanti a seguito della demolizione di manufatti preesistenti;
mentre il riferimento al certificato di agibilità non era contenuto nella prescrizione di cui alla lettera e), relativa alla realizzazione della strada. Di fronte, pertanto, a tale chiara ed inequivoca volontà del Comune, espressa nel titolo edilizio, di distinguere l’onere della realizzazione della strada dalle ulteriori prescrizioni della concessione edilizia non si può che ritenere illegittimo il provvedimento comunale di diniego del certificato di agibilità basato sulla mancata realizzazione della strada, a cui il provvedimento comunale espressamente non riconnetteva alcuna efficacia condizionante rispetto al rilascio del certificato di agibilità.

E’ quindi evidente la illegittimità anche della nota del 20 aprile 2009 relativa al diniego del certificato di agibilità, essendo in contrasto con i precedenti atti dell’Amministrazione comunale.

All’accoglimento di tale censura consegue l’illegittimità derivata anche degli atti conseguenti, provvedimento del 18 maggio 2011 di sospensione dell’attività commerciale e diniego di matricola degli ascensori del 16 marzo 2011.

Nel giudizio rescissorio, l’appello deve, quindi, ritenersi fondato nei sensi indicati e deve essere accolto con riforma della sentenza di primo grado e accoglimento, nei predetti limiti, del ricorso di primo grado.

Le spese del doppio grado di giudizio – tale dovendo essere l’ambito della relativa statuizione, riformandosi la sentenza di primo grado – sono liquidate in complessivi euro 6000,00 (seimila,00) oltre s.g. e accessori di legge, oltre al rimborso del contributo unificato, secondo soccombenza e perciò poste a carico del Comune di Corato.

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