Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-10-07, n. 202106679

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-10-07, n. 202106679
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202106679
Data del deposito : 7 ottobre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/10/2021

N. 06679/2021REG.PROV.COLL.

N. 01215/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1215 del 2013, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato A S ed elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Antonio Pollaiolo, n. 5, presso lo studio dell’avvocato L R;

contro

- Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore;
- Stato Maggiore della Difesa, in persona del Capo di Stato Maggiore pro tempore;
- Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, in persona del Capo di Stato Maggiore pro tempore;
rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il -OMISSIS-(Sezione Prima-bis) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa, dello Stato Maggiore della Difesa e dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 settembre 2021 il Cons. R P;
udito per la parte ricorrente l’avvocato A S;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso N.R.G. -OMISSIS-, proposto innanzi al T.A.R. del -OMISSIS-, il signor -OMISSIS- ha chiesto il risarcimento dei danni – anche morali e biologici – subìti in conseguenza della sua partecipazione alle missioni internazionali di pace svoltesi, nei Balcani, sul finire degli anni ’90.

Costituitasi l’Amministrazione intimata, il Tribunale ha respinto il ricorso, con compensazione delle spese di lite.

2. Avverso tale pronuncia, il signor -OMISSIS- ha interposto appello, notificato il 4 febbraio 2013 e depositato il successivo 21 febbraio.

Con tale mezzo di tutela, la parte assume che la gravata sentenza sia viziata, sotto i seguenti profili:

2.1) Erroneità, contraddittorietà, carenza di motivazione in ordine all’applicazione dell'articolo 2087 c.c.

Diversamente rispetto a quanto affermato dal giudice di prime cure, sostiene l’appellante di aver svolto le proprie missioni durante conflitti bellici ed in zone (Albania e Bosnia) oggetto di bombardamento;
e soggiunge di aver disimpegnato attività di ricognizione e disarmo di caserme e siti sensibili, nonché di ricognizione e verifica degli effetti dei bombardamenti su siti industriali.

Per l’effetto, sarebbe comprovata l’esposizione ad agenti patogeni;
ulteriormente osservandosi che, pur in assenza di bombardamenti interessanti il suolo dell’Albania, nondimeno tali attività belliche, che hanno riguardato il Kosovo e la Bosnia, hanno prodotto – in ragione dell’impiego di munizionamento con uranio impoverito – una estesa diffusione nell’atmosfera di particelle nocive.

Evidenzia inoltre la parte che il contingente italiano ivi dispiegato non fosse munito di idonei dispositivi di protezione individuali.

Conseguentemente, la prolungata esposizione, durante le missioni effettuate in territorio balcanico, a particelle composte soprattutto da metalli pesanti e costituenti fonte di radiazioni correlate all’uso di uranio impoverito nella fabbricazione dei proiettili esplosi nel corso delle operazioni belliche svoltesi nel periodo precedente, si porrebbe quale antecedente causale della malattia dall’interessato contratta (linfoma di Hodgkin), come, del resto, confermato dalla C.M.O. di -OMISSIS-(e, successivamente, ribadito dalla Commissione di verifica per le cause di servizio, a fronte del ravvisato nesso eziologico tra l’infermità accertata e l’attività di servizio prestata dal sig. -OMISSIS-).

2.2) Erroneità, contraddittorietà, carenza di motivazione in ordine all’applicazione degli artt. 2697 e 2059 c.c. ed erroneità della pronuncia per travisamento dei fatti di causa e conseguente disapplicazione del diritto

Avrebbe, inoltre, errato il Tribunale nel non riconoscere il richiesto risarcimento del danno provocato dall’anzidetta esposizione ad agenti patogeni.

Conclude la parte per l’accoglimento dell’appello;
e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.

3. In data 26 febbraio 2013, l’Amministrazione appellata si è costituita in giudizio con memoria di mero stile.

4. Con ordinanza n. -OMISSIS-, questa Sezione ha rilevato l’esigenza, al fine di una compiuta delibazione della res controversa, di acquisire elementi conoscitivi in ordine:

- alle missioni internazionali di pace a cui ha partecipato l’appellante, sig. -OMISSIS-;

- alla relativa durata;

- all’ambito spaziale di svolgimento delle stesse;

- alle concrete mansioni disimpegnate dall’interessato;

- alla individuazione di zone interessate da bombardamenti effettuati dalle forze NATO in area balcanica, con indicazione di eventuale prossimità delle stesse, rispetto alle aree all’interno delle quali il predetto nominativo ha prestato servizio.

Ha, inoltre, chiesto che il Ministero della Difesa, onerato dell’incombente sopra descritto, provvedesse a trasmettere una dettagliata relazione, illustrante:

- l’adempimento, da parte dell’Amministrazione appellata, degli obblighi di legge a tutela della incolumità psico-fisica del militare, in occasione dello svolgimento del servizio all’estero;

- l’adozione di opportune misure (specifico addestramento relativo ai comportamenti da tenere in presenza di sostanze potenzialmente nocive;
effettuazione di somministrazioni vaccinali preventivamente all’invio in missione;
direttive impartite opera dei Comandanti dei reparti, precedentemente allo svolgimento di specifiche attività in teatri bellici potenzialmente esposti a rischio;
dotazione di adeguati mezzi di protezione individuale) atte a prevenire la possibile insorgenza di patologie derivanti dal contatto con sostanze tossiche.

5. Con successiva ordinanza n. -OMISSIS-, questa Sezione, preso atto che il Ministero della Difesa, onerato dell’espletamento dell’incombente, come sopra disposto, non aveva provveduto a fornire i richiesti chiarimenti, ha ribadito l’esigenza di acquisire, ai fini del decidere, gli elementi documentali sopra riportati;
ed ha rinnovato, nei confronti dell’appellata Amministrazione, l’ordine istruttorio di cui sopra, con differimento dell’ulteriore trattazione della controversia all’odierna pubblica udienza.

6. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 21 settembre 2021.

DIRITTO

1. Ad integrazione di quanto indicato in narrativa, giova precisare che l’appellante è stato impiegato nei seguenti teatri operativi:

- dal 22 aprile 1997 al 7 luglio 1997, presso il Comando FMP in Tirana (Albania), con l’incarico di addetto alla -OMISSIS-;

- dal 13 gennaio 1998 al 23 marzo 1998, presso il contingente SFOR in Bosnia-Herzegovina (operazione Costant Guard);

- dal 9 aprile 1999 al 10 giugno 1999 e dal 26 luglio 1999 al 30 settembre 1999, presso la Brigata multinazionale NORD in Bosnia-Herzegovina (operazione Costant Forge, con l’incarico di addetto al -OMISSIS-).

Al suddetto militare veniva, nel 2000, diagnosticato il Morbo di Hodgkin.

Con decreto del Ministero della Difesa – Direzione Generale per il personale militare, in data 5 dicembre 2003:

- premesso che con processo verbale n. 2113 in data 22 aprile 2002 il Centro di Medicina Legale dell’Ospedale Militare di -OMISSIS-aveva giudicato le infermità “Malattia di Hodgkin – persistente sindrome ansioso depressiva – azoospermia” ascrivibili alla Tabella A - Categoria 2 per anni quattro;

- e visto il parere del Comitato di verifica per le cause di servizio, reso nell’Adunanza n. 174/2003 del 30 ottobre 2003, con il quale le infermità sopra citate sono state riconosciute dipendenti da causa di servizio;

veniva acclarata l’ascrivibilità al servizio prestato delle patologie suindicate, con riconoscimento di una invalidità complessiva in misura pari al 30%, a fronte della quale è stata erogata la speciale elargizione, per un importo pari ad € 69.630,00.

L’appellante è stato dichiarato “equiparato alle vittime del dovere” con delibera n. 0182191 del 7 novembre 2011.

Il Dipartimento Militare di Medicina Legale -OMISSIS-, in data 18 agosto 2012, ha ritenuto che “per ciò che concerne il pregiudizio permanente, secondo l’ambito biologico il danno è quantificabile nella misura del 18%, secondo le tabelle di cui al D.M. 12 luglio 2000 e nella misura del 52%, quale valore migliore tra le percentuali del D.M. 5 febbraio 1992 e le tabelle di cui al D.P.R. 915 del 1978. Il danno morale è quantificabile nella misura dell’8%. L’invalidità complessiva è quantificabile nella misura del 60%”.

2. Parte appellante fonda l’esercitata pretesa al risarcimento dei danni subiti a fronte dell’affermata esposizione ad agenti patogeni (segnatamente, proiettili con uranio impoverito), sulla violazione, ad opera dell’Amministrazione di appartenenza, degli specifici obblighi di protezione nei confronti dei lavoratori: riconducibili, sulla base del disposto di cui all’art. 2087 c.c., alle previsioni dettate dal D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 (recante norme generali per l’igiene del lavoro), dal D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277 (in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici), nonché dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (modificato dal D.Lgs. 19 marzo 1996, n. 242 e dal D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 66).

In particolare, pur in presenza di condizioni di elevato rischio di esposizione dei militari impegnati nei suindicati teatri bellici a fattori nocivi per la salute (sotto il profilo della contaminazione biologica e radioattiva), sarebbe stata omessa la fornitura di dispositivi di protezione individuale.

3. La giurisprudenza di questo Consiglio si è ripetutamente occupata della vicenda relativa alla diffusione, fra i militari impegnati in missione nei Balcani, di patologie neoplastiche (fra le quali, appunto, il linfoma di Hodgkin).

Non ignora il Collegio, nel quadro degli orientamenti in proposito maturati, le recenti sentenze della Sezione IV, 30 novembre 2020, nn. 7578 e 7557.

3.1 Con tali pronunzie, è stato, invero, espresso un convincimento, essenzialmente fondato sulla individuazione di una responsabilità di posizione, in capo all’Amministrazione pubblica, per effetto dell’esposizione di militari ad agenti patogeni, suscettibili di ingenerare – come, appunto, nel caso in esame – l’insorgenza di gravi patologie.

Muove tale assunto dal rilievo, per cui, “allorché, su disposizione dei competenti Organi della Repubblica, invia uomini in missione all’estero, l’Amministrazione della Difesa è giuridicamente tenuta:

- ad informarsi preventivamente della concreta ed effettiva situazione (militare, politica, sociale, sanitaria, ambientale) del contesto operativo;

- ad accertarsi della piena idoneità psico-fisica dei militari, adottando tutte le opportune profilassi;

- a fornire al personale tutti gli strumenti di protezione individuale ragionevolmente utili al fine di prevenire i possibili rischi, ivi inclusi quelli connotati da una bassa probabilità statistica”.

In altri termini, “nell’ipotesi di missioni all’estero (cosiddette “missioni di pace”) l’Amministrazione della Difesa versa in una condizione di responsabilità lato sensu di posizione, cui fa eccezione il solo rischio oggettivamente imprevedibile – giuridicamente qualificabile alla stessa stregua del caso fortuito – ma in cui, viceversa, rientra il rischio da esposizione ad elementi che, benché non ancora scientificamente acclarati come sicuro fattore eziopatogenetico, ciononostante lo possano essere, secondo un giudizio di non implausibilità logico-razionale”.

Nel rilevare come, in tali evenienze, “la diligentia cui è tenuta l’Amministrazione si situa … ad un livello massimo”, è stato osservato come, se “ è incontestato il dovere giuridico del militare di esporsi al pericolo, ciò che, anzi, ne marca la differenza ontologica rispetto al dipendente civile dello Stato e ne giustifica, da un lato, la sottoposizione ad un rigido vincolo gerarchico, dall’altro, l’acquisizione di uno speciale status positivamente normato, tuttavia “l’estensione di tale condizione di agere debere deve essere circoscritta e precisata”, in quanto “il militare … ha il dovere giuridico di esporsi al pericolo:

- recato dalle forze nemiche o, comunque, da formazioni armate irregolari che intendano contrastare, anche con forme di guerra asimmetrica, le Forze Armate della Repubblica;

- riveniente dagli svariati rischi inevitabilmente connessi con l’uso, il maneggio e la conservazione del materiale bellico;

- intrinseco alle attività addestrative;

- conseguente all’ontologica insidia recata dalla permanenza fisica in contesti operativi instabili, in quanto, benché formalmente pacificati, siano ancora percorsi da forti elementi di frattura dell’ordinaria esistenza civile (ragion per cui vengono, appunto, inviati militari e non semplice personale civile)”.

Escluso che tale dovere possa “essere inteso come base per affermare che sul militare gravi ogni tipo di rischio comunque conseguente alla sua presenza fisica nel teatro di operazioni”, ad esso “si contrappone lo speculare dovere dell’Amministrazione di proteggere il cittadino-soldato da altre forme prevedibili e prevenibili di pericoli non strettamente dipendenti da azioni belliche, in primis apprestando i necessari presidi sanitari di prevenzione e cura e dotandolo di equipaggiamento adeguato o, quanto meno, non del tutto incongruo rispetto al contesto”.

Sicché, “nel caso delle missioni all’estero, il militare ha il dovere di esporsi al rischio bellico (sempre latente in tali contesti), ma l’Amministrazione ha il dovere di circoscrivere al massimo, in un’ottica di precauzione, i diversi ed ulteriori rischi concretamente prevedibili (in quanto non implausibili) ed oggettivamente prevenibili”.

In tale ambito di responsabilità, integra la presenza di un “onere (recte, dovere istituzionale) dell’Amministrazione, prima del materiale invio degli uomini in missione, accertarsi presso le parallele strutture della difesa degli Alleati della NATO, fra l’altro, circa il tipo di munizionamento utilizzato durante i pregressi eventi bellici, al fine di individuare l’equipaggiamento più opportuno e predisporre le migliori procedure per l’assolvimento della missione ordinata dalle massime Autorità dello Stato”.

Conseguentemente, “il carattere doveroso dell’invio di uomini in loco, stanti le imperative deliberazioni degli Organi costituzionali della Repubblica, non elideva il conseguente e parallelo dovere dell’Amministrazione di individuare le più opportune modalità tecnico-operative per svolgere il compito affidato, affinché il pieno assolvimento della missione (valore di carattere prioritario, quale precipitato non solo del principio di efficacia dell’azione amministrativa, ma, prima ancora, del carattere “sacro” della difesa della Patria) non vulnerasse il diritto dei cittadini-soldati a non essere sottoposti a rischi diversi ed ulteriori rispetto a quelli che sono ex lege tenuti ad affrontare”.

3.2 Sotto un profilo generale, le pronunzie in rassegna pongono in evidenza che “l’Amministrazione della difesa, quale Ente datoriale, è sottoposta agli obblighi di protezione stabiliti dall’art. 2087 c.c., che impone a quanti ricorrano, nell’esercizio di attività imprenditoriale, ad energie lavorative di terzi di adottare, nell’esercizio di tali attività, misure idonee, secondo un criterio di precauzione e di prevenzione, a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Tale disposizione, nello stabilire che “ l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro ”, enuclea un dovere di protezione che arricchisce ex lege (cfr. art. 1374 c.c.) il rapporto obbligatorio riveniente dal contratto di lavoro;
in essa dovendosi riconoscere “non … una portata solo settoriale ma, al contrario, … un principio generale di tutela del prestatore di lavoro che si proietta prismaticamente in tutto l’ordinamento: come tale, integra un referente normativo e valoriale di impatto sistemico e, pertanto, trova applicazione anche nel caso del rapporto di impiego o, comunque, di servizio fra il militare e l’Amministrazione della difesa”.

Giacché le “misure” che deve adottare il datore di lavoro militare, strutturalmente impegnato in “attività pericolose”, sono in funzione anche della “particolarità del lavoro”, ne consegue che, nel caso di invio di militari all’estero, l’Amministrazione è tenuta, prima di procedere all’esecuzione materiale della missione, ad una rigorosa analisi delle condizioni del contesto ambientale, ad una puntuale enucleazione dei possibili fattori di rischio e, quindi, ad una conseguente individuazione delle “misure” tecnico-operative concretamente disponibili, ragionevolmente implementabili e potenzialmente idonee ad eliminare o, comunque, ad attenuare il più possibile i rischi non stricto sensu bellici connessi all’impiego di militari nel teatro de quo .

4. È incontroverso che, durante le operazioni militari, caratterizzate dall’intervento di una forza multinazionale alla quale ha preso parte anche il nostro Paese, condotte nella ex Jugoslavia negli anni ‘90, siano occorse (non sporadiche) attività di bombardamento, con uso (anche) di munizionamento pesante, con conseguente presenza di un potenziale rischio chimico/radiologico da inalazione/ingestione umana di particelle finissime di metalli pesanti, rimaste sospese nell’aria a seguito di esplosioni di obiettivi attinti da proiettili a uranio impoverito (depleted uranium – DU).

È d’uopo, in proposito, osservare che all’odierno appellante è stata riconosciuta, ancorché non ai fini della liquidazione dell’equo indennizzo, la dipendenza da causa di servizio dell’infermità “Morbo di Hodgkin stadio IA sottoinfiammatorio”.

La Commissione Medica Ospedaliera, in particolare, ha rilevato che “l’infermità in giudizio, seppure riconosca una etiopatogenesi multifattoriale e sebbene insorta su un habitus endogenocostituzionale, può essere senz'altro favorita nel suo manifestarsi, come molteplici studi scientifici dimostrano, da fattori esogeni quali stimoli di natura neuropsichica che agendo in individui particolarmente predisposti sarebbero in grado di indurre un’abnorme risposta del sistema immunitario alterandone la reattività immunologica (sorveglianza immunologica antineoplastica), compromettendo i meccanismi di omeostasi alla base di un corretto equilibrio cellulare, promuovendo l'insorgenza di fenomeni in senso neoplastico"; ed ha concluso, affermando che “avuto riguardo della sua specificità qualitativa e quantitativa, il servizio prestato assurge a ruolo concausale valido, efficiente e preponderante nel determinismo dell'infermità in questione”.

Sul punto del nesso di derivazione causale della malattia di che trattasi, rispetto alla situazione presente nei territori balcanici interessati dagli eventi bellici anzidetti, le citate pronunzie della Sezione IV di questo Consiglio hanno rilevato che, in difetto di “spiegazioni eziologiche alternative della patologia tumorale de qua” e di “dati scientifici che consentano di escludere il rischio per la salute umana da esposizione, chimica o radiologica, a DU (e, in generale, a residui di esplosione di metalli pesanti utilizzati negli armamenti) … l’assenza di una piena dimostrazione scientifica circa la valenza oncogenetica dell’esposizione a DU (o, comunque, a residui di combustione di metalli pesanti) non osta … a riconoscere comunque integrato l’elemento eziologico dell’illecito civile … alla luce della peculiarità del contesto operativo, del carattere contrattuale della responsabilità dell’Amministrazione, dei valori primari in gioco, della mancata adozione degli accorgimenti pur apprestati dagli Alleati a beneficio del proprio personale”: sotto tali aspetti, gravando “sull’Amministrazione l’onere di fornire, a contrario, un principio di prova circa l’intervento di un fattore oncogenetico alternativo – e diverso – rispetto all’esposizione al DU ed ai metalli pesanti”.

Quale estrema considerazione di sistema, le pronunzie in rassegna hanno sostenuto che “il regime nazionale della responsabilità civile è volto ad allocare le conseguenze dannose dell’illecito in capo al soggetto normativamente “meritevole” di subirle, vuoi (criterio generale) perché ha operato con dolo o colpa (art. 2043 c.c.), vuoi (criteri sussidiari) perché versa in condizioni oggettive (articoli 2047, 2048, 2049, 2050, 2051, 2052, 2053 c.c.) che, comunque, rendono più congruo porre a suo carico l’evento di danno, salva, in talune ipotesi, la residuale facoltà probatoria di dimostrare, in sostanza, di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno e salva, in ogni caso, la non imputabilità del danno che si dimostri conseguito al caso fortuito”.

5. Quanto sopra premesso, e proprio al fine di appurare l’eventuale presenza di fattori di esposizione a rischio di contaminazione da uranio impoverito, suscettibili di atteggiarsi quale antecedente causale dell’insorgenza della patologia riscontrata a carico dell’odierno appellante, la Sezione, con la citata ordinanza -OMISSIS-, ha disposto l’acquisizione di elementi conoscitivi in ordine:

“- alle missioni internazionali di pace a cui ha partecipato l’appellante, sig. -OMISSIS-;

- alla relativa durata;

- all’ambito spaziale di svolgimento delle stesse;

- alle concrete mansioni disimpegnate dall’interessato;

- alla individuazione di zone interessate da bombardamenti effettuati dalle forze NATO in area balcanica, con indicazione di eventuale prossimità delle stesse, rispetto alle aree all’interno delle quali il predetto nominativo ha prestato servizio”.

Il Ministero della Difesa, onerato dell’espletamento dell’incombente istruttorio, è stato altresì invitato a precisare se l’Amministrazione:

- aveva adempiuto agli obblighi di legge a tutela della incolumità psico-fisica del militare, in occasione dello svolgimento del servizio all’estero;

- se erano state adottate opportune misure (specifico addestramento relativo ai comportamenti da tenere in presenza di sostanze potenzialmente nocive;
effettuazione di somministrazioni vaccinali preventivamente all’invio in missione;
direttive impartite opera dei Comandanti dei reparti, precedentemente allo svolgimento di specifiche attività in teatri bellici potenzialmente esposti a rischio;
dotazione di adeguati mezzi di protezione individuale) atte a prevenire la possibile insorgenza di patologie derivanti dal contatto con sostanze tossiche.

L’ordine istruttorio, rimasto inadempiuto alla data di svolgimento della pubblica udienza indicata per il prosieguo della trattazione della controversia (18 maggio 2021), è stato rinnovato con ordinanza -OMISSIS-.

6. In data 5 agosto 2021, l’Ispettorato Generale della Sanità Militare ha depositato in atti la richiesta relazione, esplicitante i punti di interesse, ai fini del decidere, dalla Sezione posti precedentemente in evidenza.

In primo luogo, è stato precisato che il sig. -OMISSIS- è stato impiegato:

- dal 22 aprile al 7 luglio 1997 in Albania (missione Alba) presso il Comando Forza Multinazionale di Protezione, con l’incarico di addetto alla -OMISSIS-;

- dal 13 gennaio al 23 marzo 1998 e dal 9 aprile al 10 giugno 1999 in Bosnia-Herzegovina (missioni Contant Guard e Constant Forge) presso la Brigata Multinazionale Nord, con l’incarico di -OMISSIS-.

Escluso l’impiego di uranio impoverito sul territorio albanese, il Ministero ha altresì sottolineato la mancata disponibilità, fino al 21 dicembre 2000, di informazioni relativo all’utilizzo di munizionamento bellico così caratterizzato nel territorio della Bosnia-Herzegovina.

Il Centro Interforze Studi Applicazioni Militari (C.I.S.A.M.), officiato dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, ha effettuato, fra l’altro, un sopralluogo presso l’area della sede del Comando Brigata (ex Ospedale pediatrico di -OMISSIS-, in località -OMISSIS-, dove era stato impiegato il sig. -OMISSIS-), non rilevando – a seguito di controlli radiologici – difformità rispetto ai limiti di esposizione previsti dalla vigente normativa.

Nell’illustrare i riferimenti scientifici che escluderebbero la presenza di un innalzamento dei casi di linfoma di Hodgkin in conseguenza dell’esposizione a radiazioni ionizzanti (e, comunque, un incremento del numero dei militari, impiegati in teatri bellici balcanici, interessati da tale patologia, rispetto a quelli non coinvolti nell’invio in missione all’estero e, in generale, rispetto alla popolazione generale italiana di riferimento;
laddove risulta documentata una bassa incidenza della diffusione dell’anzidetta patologia, con riferimento alla popolazione civile di Serbia e Bosnia-Herzegovina, pur in presenza di potenziale esposizione a fattori patogeni), la relazione come sopra depositata in atti dall’Amministrazione prosegue escludendo che sia dimostrata (o dimostrabile) l’esistenza di un nesso di derivazione causale fra l’insorgenza di patologie neoplastiche e l’esposizione a contaminazione di uranio impoverito.

7. Quanto sopra posto, giova rammentare come il giudice di prime cure abbia osservato che:

“- il -OMISSIS- non ha mai prestato servizio in territori oggetto di bombardamenti effettuati con munizionamenti caratterizzati (ché di questo, in buona sostanza, si tratterebbe) dalla presenza di uranio impoverito;

- in particolare, in Albania (dove egli ha servito: dall’aprile al luglio del ’97) non vi è mai stato alcun bombardamento aereo;

- gli stessi documenti depositati in giudizio dall’interessato dimostrano che la p.a. ha fornito, ai militari impiegati nel teatro operativo balcanico, i previsti dispositivi di protezione NBC (quali maschere, guanti e dosimetri);

- durante tutta la sua permanenza all’estero, il -OMISSIS- è sempre stato utilizzato in attività conformi alla sua “specialità” ed all’addestramento ricevuto per questa”.

Ritenuto che, “ ai sensi dell’art. 2059 c.c., il danno non patrimoniale (quale quello asseritamente subìto dal soggetto in questione) è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge” e che “i vari elementi di cui il danno consta in tanto hanno rilevanza in quanto costituiscano conseguenza diretta e immediata dell’inadempimento”, il T.A.R. ha escluso che “la prova della sussistenza di tale nesso, gravante – ex art. 2697 c.c. – sul (preteso) creditore, [sia] stata fornita”; conclusivamente rilevando come si possa “ben comprendere come le perplessità che il Collegio incontra nel valutare la congruità delle pretese avanzate dal -OMISSIS- siano destinate a trovare ulteriore alimento”.

8. Le conclusioni alle quali è pervenuto il T.A.R. meritano, sia pure attraverso diverso percorso motivazionale, conferma.

Ritiene il Collegio, al riguardo, di fissare taluni punti.

In primo luogo, è incontroverso l’impiego, nel bombardamenti effettuati in area balcanica, di proiettili contenenti uranio impoverito (anche se tali operazioni militari non hanno interessato il territorio albanese, corrispondente ad uno dei teatri bellici nei quali ha prestato servizio l’odierno appellante).

Secondariamente, il nostro Paese ha avuto conoscenza dell’utilizzo del suindicato munizionamento soltanto in epoca (dicembre 2000) largamente successiva all’impiego del sig. -OMISSIS-, come illustrato nella informativa al Parlamento resa dall’allora Ministro della Difesa;
di talché la portata – e la consistenza – dell’obbligo diligenziale incombente sull’Amministrazione, quanto alla dotazione di dispositivi individuali di protezione, va necessariamente commisurata alla effettiva consapevolezza, in capo a quest’ultima, della esposizione a rischio da radiazione, al momento dell’utilizzo delle truppe dispiegate nel teatro balcanico.

In terzo luogo, la riconducibilità causale dell’insorgenza di patologie neoplastiche all’esposizione ad uranio impoverito, ancorché accreditato da parte della letteratura scientifica, non si rivela, allo stato, asseverato da unanimi, quanto obiettivi riscontri medico-legali, dimostranti la diretta ed univoca derivazione etiopatogenentica di siffatte infermità (fra le quali, il linfoma di Hodgkin) dalle radiazioni di cui trattasi.

Da ultimo, neppure incontra documentabile riscontro l’individuazione della durata e/o intensità dell’esposizione al suindicato fattore, rispetto alla insorgenza/ingravescenza di patologie tumorali: elemento, questo, non sottovalutabile in presenza – quanto alla dedotta vicenda contenziosa – della ravvicinata evidenza diagnostica che ha interessato il sig. -OMISSIS-, rispetto alla conclusione delle missioni dallo stesso effettuate in territorio balcanico.

Sotto tale ultimo profilo, è opportuno sottolineare come non sia stato preso in considerazione, segnatamente dalla C.M.O. (che pure si è positivamente espressa in ordine alla riconducibilità all’attività di servizio della patologia contratta dall’odierno appellante), la variabile temporale riguardante l’insorgenza, in un arco temporale ridotto, della malattia rispetto alla ipotizzata esposizione a fattori patogeni: per l’effetto, risultando indimostrata, sia pure con riguardo a considerazioni statistico-probabilistiche, la riconducibilità del riscontrato linfoma a fattori nocivi, sotto il profilo etiopatogenetico, ancorché a fronte di una insorgenza morbosa accertata a breve distanza di tempo.

Secondo quanto indicato dallo stesso appellante nell’atto introduttivo del presente giudizio, infatti:

- se un primo riscontro della presenza di un linfonodo, da parte dell’Ospedale Militare di appartenenza, sarebbe intervenuta nel 1997 (prima, quindi, delle missioni dall’interessato svolte in territorio bosniaco),

- nel giugno 1999 (prima, quindi, dell’ultimo periodo di missione in Bosnia, iniziato nel settembre dello stesso anno) accertamenti istologici effettuati presso struttura sanitaria privata evidenziavano “la presenza di cellule atipiche nel contesto dei linfonodi esaminati”.

Soltanto nel mese di aprile 2000 (poco più di sei mesi dopo la cessazione delle missioni in Bosnia), veniva al sig. -OMISSIS- diagnosticato il linfoma di Hodgkin.

Se il profilo di indagine riguardante il decorso temporale dell’insorgenza della patologia di che trattasi non rivela convincenti – e documentati – elementi di riscontro, non può omettere il Collegio di rilevare come anche le considerazioni contenute nelle sentenze della Sezione IV di questo Consiglio non abbiano affrontato, sia pure nel quadro di una accurata esposizione della ritenuta potenzialità nociva dell’esposizione a fattori patogeni, l’essenziale elemento rappresentato dalla necessaria individuazione della efficienza causale dell’esposizione rispetto al manifestarsi della forma morbosa di che trattasi, la cui etiopatogenesi – come posto in luce dalla letteratura scientifica (oltre che, quanto al caso in esame, nello stesso referto della C.M.O.) – ben può trovare fondamento in una molteplicità fattoriale, anche di carattere endogeno-costituzionale.

9. Quanto sopra osservato, ritiene nondimeno il Collegio che l’accoglibilità della domanda risarcitoria presentata dal sig. -OMISSIS- incontri insuperabile ostacolo nella esclusa configurabilità dell’elemento soggettivo (in capo all’appellante Amministrazione) che, necessariamente, deve qualificare l’illecito affinché la condotta si possa rivelare presupposto della ristorabilità del pregiudizio ad essa ascrivibile.

In tal senso, giova rammentare quanto da questa Sezione recentemente affermato (sentenza 9 agosto 2021, n. 5816) con riferimento alla distinzione fra i presupposti:

- alla base della concessione della speciale elargizione (ovvero, dell’equo indennizzo)

- e, diversamente, a fondamento della domanda di risarcimento del danno, quand’anche in presenza di sovrapponibili fattori originativi (quali l’impiego in area contaminata con sostanze potenzialmente nocive) e di omogenee conseguenze di carattere patologico.

Nel riportare sovrapponibili considerazioni da questo Consiglio già rassegnate (cfr. Sez. IV, 24 maggio 2019, n. 3418), l’anzidetta pronunzia ha precisato che “il militare interessato a percepire la speciale elargizione di cui al richiamato art. 1079 D.P.R. n. 90 del 2010 non è tenuto a dimostrare l’esistenza di un nesso eziologico fra esposizione all’uranio impoverito (o ad altri metalli pesanti) e neoplasia”, siffatto accertamento “è necessario ove l’interessato svolga una domanda risarcitoria, ossia assuma la commissione, da parte dell’Amministrazione, di un illecito civile consistente nella colpevole esposizione del dipendente ad una comprovata fonte di rischio in assenza di adeguate forme di protezione, con conseguente contrazione di infermità”.

Ciò in quanto, in tale ipotesi, “grava sull’assunto danneggiato dimostrare, inter alia, l’effettiva ricorrenza del nesso eziologico (ossia la valenza patogenetica di siffatta esposizione), sia pure in base al criterio del più probabile che non. Laddove, invece, l'istanza tenda alla percezione della speciale elargizione, si verte in un ben diverso ambito indennitario”.

Infatti, “i presupposti del risarcimento del danno e della speciale elargizione sono del tutto diversi: nel primo caso l’integrazione di tutti gli elementi propri di un’ipotesi di responsabilità civile, tra cui pure la prova del nesso eziologico e dell'elemento soggettivo in capo al danneggiante;
nel secondo caso la mera dimostrazione di aver affrontato – senza che ciò integri “colpa” dell'Amministrazione – “particolari condizioni ambientali od operative”, connotate da un carattere “straordinario” rispetto alle forme di ordinaria prestazione del servizio, che siano la verosimile causa di un'infermità”.

Inoltre, “il risarcimento del danno compete a chiunque e dipende nel quantum dall'effettivo danno riportato, mentre la speciale elargizione spetta solo ai soggetti individuati dalla legge ed è quantificata a monte in misura predeterminata”.

La pronunzia in rassegna, resa su vicenda rivela significativi profili di omogeneità rispetto alla presente controversia, ha poi osservato che:

- se, “allo stato delle conoscenze scientifiche, non [è] acclarata l’effettiva valenza patogenetica dell'esposizione all'uranio impoverito”,

- ciò “non osta … al diritto alla percezione dell'indennità, che comunque spetta allorché l'istante abbia contratto un'infermità verosimilmente a causa di “particolari condizioni ambientali ed operative”, di cui “l’esposizione e l'utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico” costituiscono solo un possibile aspetto”.

Diversamente dalla speciale elargizione (riconosciuta nei confronti dell’odierno appellante;
ed i cui presupposti, si ribadisce, vanno individuati nell’espletamento, “per un arco temporale significativo, … di servizi … complessivamente straordinari e, come tali, oggettivamente idonei a porsi quale verosimile causa della successiva infermità e quindi tali da giustificare il riconoscimento all’interessato del beneficio invocato”: sì che “ il giudizio di verosimiglianza, lungi da configurarsi in termini causalistici stricto jure” ben può essere suffragato da referti medici, attestanti “la presenza metalli pesanti, in forma di micro e nanoparticelle, ed elementi chimici in quantità a volte esorbitanti e quindi non altrimenti spiegabili se non attraverso l’esposizione a sostanze inquinanti presumibilmente presenti nell’ambiente di lavoro”), la riconoscibilità del risarcimento per il pregiudizio risentito in conseguenza (e per effetto) di una condotta dell’Amministrazione, non può prescindere dalla individuazione di una connotazione soggettiva (in termini di inescusabile negligenza) che si ponga quale antecedente logico-causale rispetto al danno verificatosi.

Se il militare interessato a percepire la speciale elargizione di cui all’art. 1079 del D.P.R. n. 90 del non è tenuto a dimostrare l’esistenza, nel quadro del nesso eziologico fra esposizione all’uranio impoverito (o ad altri metalli pesanti) e neoplasia, di una condotta colposa dell’Amministrazione che si ponga quale antecedente logico della stessa, siffatto accertamento assume – diversamente – carattere di indefettibilità ove l’interessato proponga una domanda risarcitoria: ossia, assuma la consumazione, da parte dell’Amministrazione, di un illecito civile consistente nell’assoggettamento del dipendente ad una comprovata fonte di rischio in assenza di adeguate forme di protezione, con conseguente contrazione di infermità (in tale ipotesi, invero, gravando sul danneggiato dimostrare, l’effettiva ricorrenza del nesso eziologico – e, quindi, la valenza patogenetica di siffatta esposizione – sia pure in base al criterio del “più probabile che non”).

Laddove, invece, l’istanza tenda alla (sola) percezione della speciale elargizione, si verte in un ben diverso ambito indennitario.

I presupposti del risarcimento del danno e della speciale elargizione, in altri termini, sono affatto dissimili;
e sono rappresentati:

- nel primo caso, dalla dimostrata integrazione di tutti gli elementi propri di un’ipotesi di responsabilità civile, tra i quali anche la prova del nesso eziologico e dell’elemento soggettivo in capo al danneggiante;

- nel secondo caso, dalla mera dimostrazione di aver affrontato – senza che ciò integri “colpa” dell’Amministrazione – “particolari condizioni ambientali od operative”, connotate da un carattere “straordinario” rispetto alle forme di ordinaria prestazione del servizio, che siano la verosimile causa di un’infermità (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. IV, 24 maggio 2019, n. 3418).

Sotto il profilo soggettivo, se il risarcimento del danno compete a chiunque e dipende nel quantum dall’effettivo danno riportato, la speciale elargizione spetta solo ai soggetti individuati dalla legge ed è quantificata a monte in misura predeterminata.

Il fatto che, allo stato delle conoscenze scientifiche, non sia acclarata l’effettiva valenza patogenetica dell’esposizione all’uranio impoverito, non osta dunque al diritto alla percezione dell’indennità, che comunque spetta allorché l’istante abbia contratto un’infermità verosimilmente a causa di “particolari condizioni ambientali ed operative”, di cui “l'esposizione e l'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e la dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico” costituiscono solo un possibile aspetto.

La disposizione, in sostanza, non si incentra esclusivamente (né, a ben vedere, primariamente) sul profilo dell’esposizione ad uranio impoverito o ad altre nanoparticelle di metalli pesanti, ma intende concedere ad una platea ben delimitata di soggetti un beneficio monetario predeterminato in ragione della sottoposizione a gravose “ condizioni ambientali ed operative ” e della conseguente contrazione di infermità.

Ferma l’illustrata distinzione fra presupposti legittimanti la pretesa al riconoscimento della speciale elargizione (nella fattispecie, intervenuto nei confronti dell’odierno appellante) e le condizioni che devono assistere la proponibilità della richiesta di risarcimento del danno, esclude il Collegio che il sig. -OMISSIS- abbia adeguatamente comprovato – in una con la dimostrazione della lamentata conseguenza lesiva, nonché del nesso di derivazione eziopatogenetica di essa dal servizio presto nell’anzidetto teatro bellico – anche la sussistenza dell’elemento psicologico in capo alla Amministrazione pretesa danneggiante: ovvero di quella condotta, connotata da inescusabile negligenza, che avrebbe contribuito a propiziare una esposizione a fattori patogeni, potenzialmente efficiente ai fini dell’insorgenza della malattia.

10. Affinché possa riconoscersi il risarcimento del danno per la lesione della diritto alla salute, è infatti necessaria la prova che il danno biologico lamentato sia derivato dal fatto colposo o doloso del preteso danneggiante;
altrimenti rivelandosi i diversi istituti in questione (speciale elargizione;
risarcimento del danno) affatto sovrapponibili, quanto ai relativi presupposti legittimanti, laddove soltanto i presupposti rilevanti ai fini del riconoscimento della prima muovono dalla constatata presenza di “particolari condizioni ambientali od operative” (ex art. 1078 del D.P.R. n. 90 del 2010, intese come le “condizioni comunque implicanti l’esistenza o il sopravvenire di circostanze straordinarie o fatti di servizio che, anche per effetto di successivi riscontri, hanno esposto il personale militare e civile a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”).

Tale disposizione richiede, quindi, un quid pluris di disagio sofferto dal militare nel corso dell’espletamento del servizio (conseguente al carattere “straordinario” della prestazione del servizio, da cui sia conseguita la sottoposizione dell’istante “a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”): senza, ulteriormente, implicare alcuna indagine in ordine alla condotta (dell’Amministrazione) a fondamento di tali peculiari modalità di svolgimento del servizio.

Se, dunque, difetta nella riconoscibilità del beneficio di che trattasi alcuna profilo di rilevanza riguardante la qualificazione del comportamento datoriale (coi riveniente impretendibilità della dimostrazione della connotazione almeno colposa di esso), la prova del suddetto nesso di causalità (e, anche, della soggettiva ascrivibilità dell’evento dannoso) compete, in base alle regole sul riparto dell’onere della prova, in capo a chi esperisca in giudizio l’azione risarcitoria e domandi il risarcimento del pregiudizio sofferto.

E, affinché possa provarsi il suddetto nesso di derivazione causale, è necessario che il preteso antecedente causale e il supposto effetto siano correlati e giustificati, quanto alla derivazione deterministica del secondo dal primo, da una c.d. legge di copertura scientifica, che sia in grado di spiegare la correlazione che intercorre fra il primo evento (che si assume “causa”) e il secondo evento (che si pretende “effetto”).

11. Quanto alla vicenda in esame, va escluso che – sulla base delle evidenze acquisite al giudizio – sia configurabile, in capo all’appellata Amministrazione, l’elemento psicologico integrante, alla stregua di quanto precedentemente esposto, indefettibile presupposto per il riconoscimento di una responsabilità suscettibile di fondare la pretesa al risarcimento del danno.

Nel ribadire, preliminarmente, l’esclusa univocità delle evidenze scientifiche circa il carattere oncogenetico dell’esposizione umana a residui di combustione di metalli pesanti, quali l’uranio impoverito, va escluso che la prova del rischio causale ignoto gravi sull’Amministrazione, piuttosto che sul singolo militare.

Se, come pure illustrato, l’ascrivibilità soggettiva di particolari condizioni di lavoro – potenzialmente configuranti la presenza di un fattore causale o concausale originativo della patologia – esula dal campo di indagine rilevante ai fini del riconoscimento di altre tipologie di provvidenze (diversamente conseguenti alla mera obiettività dell’accadimento lesivo ed alla riconducibilità di esso alla prestazione lavorativa), in ambito risarcitorio va rimarcata l’assoggettabilità della pretesa alla positiva configurabilità delle generali coordinate di esperibilità della relativa azione: nel novero delle quali, l’elemento soggettivo/psicologico non può essere pretermesso.

Tali considerazioni consentono di confermare l’apparato motivazionale delle sentenza appellata, segnatamente per quanto concerne l’esclusa adduzione al giudizio, da parte dell’odierno appellante, di elementi dimostrativi in ordine all’inadempimento, da parte dell’Amministrazione, dell’obbligo di protezione nei confronti dei lavoratori, sulla medesima gravante quale soggetto datoriale.

Se le modalità di concreto svolgimento delle attività di servizio dal sig. -OMISSIS- svolte in ambito territoriale balcaninco non consentono di escludere (anzi, rendono affatto plausibili) ripetuti e frequenti contatti con particelle tossiche componenti polveri in sospensione, in precedenza depositatesi sulla superficie del suolo a seguito della esplosione di proiettili a uranio impoverito (di talché nei confronti del medesimo, come in precedenza sottolineato, è stata riconosciuta la speciale elargizione, a fronte delle riscontrate criticità dell’ambito operativo nel quale è stato impegnato), va invece escluso che – come condivisibilmente sostenuto dal giudice di prime cure – rilevi “… alcun elemento concreto che consenta di affermare (con la dovuta certezza) che, nella circostanza, la p.a. (non avendo adottato le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica di un proprio dipendente) abbia violato gli obblighi “datoriali” posti – a suo carico – dall’art. 2087 c.c.”.

12. La riscontrata infondatezza della pretesa risarcitoria dalla parte appellante fatta valere, secondo quanto in precedenza dal Collegio rilevato, impone la reiezione del proposto mezzo di tutela, con riveniente conferma della gravata sentenza del T.A.R. del -OMISSIS-.

La particolarità della controversia costituisce idoneo fondamento giustificativo per disporre la compensazione delle spese di lite, inerenti il presente grado, fra le parti costituite.

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