Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-06-13, n. 201903987

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-06-13, n. 201903987
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201903987
Data del deposito : 13 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/06/2019

N. 03987/2019REG.PROV.COLL.

N. 01903/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1903 del 2018, proposto da
A S D V, rappresentato e difeso dall'avvocato A P, con domicilio digitale pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gianluigi Pellegrino, in Roma, corso del Rinascimento, n. 11;

contro

Comune di Casoria, in persona del legale rappresentante pro tempore , non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – Napoli (Sezione Seconda) n. 04131/2017, resa tra le parti, concernente una richiesta di permesso di costruire e un’ordinanza di demolizione.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2019 il Cons. A M e udito per la parte l’avvocato Antonio Camarca in dichiarata sostituzione dell'avvocato A P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I sig.ri Antonio D V e Patrizia V hanno ottenuto dal Comune di Casoria il permesso di costruire in sanatoria n. 91/2008, rilasciato ai sensi della L. 28/2/1985, n. 47, per lavori abusivi eseguiti su un’area ubicata alla via Fabio Filzi n. 6 (all’epoca dei fatti indicata come “ I traversa Via Nazario Sauro dopo e/o adiacente al Parco Aurora, già via Casoria 101 ”).

I detti lavori, consistenti nella realizzazione di un locale abitativo nel piano terreno interno e di un locale commerciale al piano terra in adiacenza, erano già stati oggetto delle ordinanze di demolizione 23/6/1978 n. 127 e 26/5/1981, n. 942.

Con istanza 30/3/2012, n. 9872 i sig.ri D V e V hanno chiesto il rilascio del permesso di costruire per l’abbattimento e la ricostruzione del detto immobile e la realizzazione di annessi parcheggi pertinenziali sotterranei.

I medesimi richiedenti, con successiva istanza 12/4/20012 n. 11273, hanno poi confermato la richiesta di permesso di costruire avanzata il mese precedente chiedendo, in aggiunta, ai sensi dell’art. 5 della L.R. 28/12/2009, n. 19, di poter aumentare del 35 % la cubatura esistente mediante sopraelevazione sul solaio del piano terra.

In data 12/7/2012 il Comune di Casoria ha adottato il provvedimento prot. U/1476/PT col quale ha respinto la domanda di permesso di costruire inoltrata nel 2012 e ha annullato d’ufficio il permesso di costruire n. 91/2008.

Ritenendo tale atto illegittimo i sig.ri D V e V lo hanno impugnato con ricorso al T.A.R. Campania – Napoli.

Successivamente il Comune di Casoria ha adottato l’ordinanza 29/1/2013 n. 7 con la quale ha ingiunto la demolizione delle opere già a suo tempo assentite.

I sig.ri D V e V, a cui si è aggiunto il sig. A S D V (nel frattempo divenuto proprietario del cespite), hanno, quindi, gravato, con motivi aggiunti, la detta ordinanza.

Con sentenza 28/8/2017, n. 4131, l’adito Tribunale ha respinto ricorso e motivi aggiunti.

Avverso la sentenza ha proposto appello il sig. A S D V.

Alla pubblica udienza del 21/5/2019 la causa è passata in decisione.

Col primo motivo l’appellante denuncia, tra l’altro, l’errore commesso dall’amministrazione, prima, e dal Tribunale, poi, nell’aver ritenuto infedele la dichiarazione resa ai fini del rilascio del condono edilizio, con cui era stato attestato che le opere abusive oggetto della richiesta di sanatoria erano state ultimate anteriormente al giorno 1/10/1983.

La veridicità della dichiarazione al contrario emergerebbe chiaramente dalle ordinanze n. 127/1978 e n. 942/1981 con cui il Comune avrebbe ingiunto la demolizione delle opere poi sanate col suddetto permesso di costruire n. 91/2008.

Il giudice di prime cure avrebbe del resto errato a negare che i detti provvedimenti sanzionatori si riferissero ai medesimi manufatti condonati col permesso di costruire n. 91/2008, sul presupposto che ordinanze e titolo abilitativo contenessero riferimenti toponomastici differenti.

Infatti, per un verso il Comune non avrebbe contestato l’identità degli immobili considerati negli atti di cui sopra e comunque la circostanza che si tratterebbe della medesima via troverebbe conferma nella certificazione toponomastica prodotta nel presente giudizio.

La doglianza merita accoglimento.

Dalle ordinanze n. 127/1978 e n. 942/1981 si ricava che i beni condonati nel 2008 erano gli stessi per cui in precedenza era stata ingiunta la demolizione, di talché risulta comprovata la loro esistenza alla data del primo ottobre 1983.

Né può assumere rilevanza il fatto che nel permesso di costruire si faccia riferimento ad un immobile sito in via Fabio Filzi, mentre le ordinanze riguardano un manufatto ubicato in “ via Nazario Sauro adiacente Parco Aurora e precisamente alla I Traversa privata ” (ord. n. 127/1978), ovvero in “ Trav. via Nazario Sauro dopo Parco Aurora ” (ord. n. 942/1981), in quanto, nonostante le differenti denominazioni, la via è sempre la stessa come dimostrato sia dalla certificazione toponomastica depositata nel presente giudizio, sia dal fatto che sul punto il Comune non ha mosso contestazioni.

Una volta accertato che le opere di che trattasi erano già presenti alla data del 1/10/1983, perdono di rilevanza le aerofotogrammetrie del 1998 e del 2003 sulle quali l’amministrazione ha basato il convincimento dell’infedeltà della dichiarazione, circa l’epoca di realizzazione dell’intervento, resa dai sig.ri D V e V in sede di richiesta del condono edilizio.

Non è implausibile, infatti, che opere presenti ad una certa data, col passare del tempo possano aver assunto, per ragioni varie, una consistenza inferiore o diversa rispetto a quella originaria.

Da quanto sopra discende l’illegittimità del disposto annullamento d’ufficio del permesso di costruire n. 91/2008 e dell’ordinanza di demolizione che sul medesimo si basa.

Col secondo motivo si critica l’appellata sentenza nella parte concernente la reiezione delle doglianze rivolte contro il diniego di permesso di costruire domandato con le istanze del 2012.

Il Tribunale avrebbe, infatti, ritenuto che l’intervento proposto fosse in contrasto con la destinazione di zona senza considerare che il medesimo si sostanziava in lavori di manutenzione e conservazione del bene in relazione ai quali la destinazione dell’area non avrebbe alcun rilievo impeditivo.

Il medesimo giudice, inoltre, introducendo un elemento ostativo estraneo al provvedimento, avrebbe escluso l’ammissibilità dell’intervento in ragione delle modifiche volumetriche e di sagoma derivanti dai lavori, ignorando che gli artt. 2 e 5 della L.R. n. 19/2009 ammettono, anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, la demolizione e ricostruzione con aumento della volumetria entro il limite massimo del 35 % di quella esistente.

Risulterebbe, infine, erronea l’affermazione con cui è stato negato che sull’istanza del 30/3/2012, del tutto autonoma rispetto a quella del 12/4/2012, si sia formato il silenzio assenso.

La doglianza così sinteticamente riassunta merita accoglimento solo entro i limiti più sotto specificati.

Occorre intanto escludere che sulla domanda di permesso di costruire del 30/3/2012 possa essersi formato il silenzio assenso.

Come esattamente rilevato dal giudice di prime cure << dall’esame del contenuto delle due domande di permesso di costruire emerge che correttamente l’amministrazione comunale ha ritenuto la seconda istanza sostitutiva della precedente, sia in quanto le domande sono riferite al medesimo bene, sia alla luce delle tempistiche di presentazione (la seconda istanza essendo stata, infatti, presentata a pochi giorni di distanza dalla precedente), sia alla stregua della relativa formulazione;
nell’istanza presentata in data 12 aprile si attesta, nello specifico, che l’intervento ha ad oggetto la demolizione e ricostruzione dell’immobile “con annessa realizzazione dei parcheggi pertinenziali al piano interrato ed il conseguente aumento del 35% della volumetria esistente da porre in sopraelevazione al solaio del piano terra” (la seconda domanda, dunque, assorbe, superandola, anche la prima istanza).

Come correttamente rilevato dalla difesa dell’amministrazione comunale, pertanto, la formazione del provvedimento tacito di accoglimento dell’istanza è esclusa dalla tempestiva adozione del provvedimento reiettivo impugnato, tenuto conto della data di presentazione della seconda istanza e degli effetti della notificazione, in data 17 aprile 2012, della comunicazione del preavviso di rigetto ex art. 10 bis della l. n. 241 del 1990 >>.

Non è nemmeno condivisibile la tesi dell’appellante secondo cui il reclamato aumento di volumetria sarebbe stato consentito dalle norme di cui agli artt. 2 e 5 della L.R. n. 19/2009.

Premesso che l’art. 2 si limita a dare alcune definizioni, per cui nella specie non è rilevante, il successivo art. 5, al comma 1, così dispone: “ In deroga agli strumenti urbanistici vigenti è consentito l'aumento, entro il limite del trentacinque per cento, della volumetria esistente degli edifici residenziali per interventi di demolizione e ricostruzione, da realizzarsi all'interno dell'area nella quale l'edificio esistente è ubicato, di proprietà del soggetto richiedente ”.

Nella fattispecie, come emerge dalle stesse affermazioni del sig. D V (pag. 18 dell’atto d’appello) l’aumento di volumetria “ era riferito alla sola porzione residenziale dell’immobile ”.

Ma la possibilità di tale aumento è esclusa, come correttamente ritenuto dal Comune e dal Tribunale, dalla destinazione di zona dell’area interessata dall’intervento oggetto della richiesta di permesso di costruire.

E’ incontestato, infatti, che la detta area ricada in zona H, destinata a attrezzature e servizi, il che rende incompatibile la realizzazione di un’ulteriore volumetria con destinazione residenziale.

Sul punto giova precisare che nessun rilievo può assumere la circostanza che l’art. 5 ammetta l’aumento di volumetria in “ deroga agli strumenti urbanistici vigenti ”, atteso che la facoltà deroga ivi contemplata si riferisce esclusivamente ai limiti di cubatura e non alle restanti prescrizioni urbanistiche che disciplinano la zona.

La doglianza è, invece, fondata, nella parte in cui lamenta che l’edificio, legittimato dal permesso di costruire in sanatoria n. 91/2008, ben avrebbe potuto essere demolito e ricostruito, trattandosi di un intervento di ristrutturazione edilizia.

Ed invero, nel pieno rispetto della volumetria condonata, deve ritenersi che i programmati lavori di ristrutturazione edilizia fossero ammissibili, atteso che, come autorevolmente affermato, la privazione, in via generale e assoluta, della facoltà di procedere ad interventi di manutenzione o ristrutturazione di un immobile (purché legittimo ab origine o sanato successivamente), che non ne alterino l'aspetto esteriore (sagoma e volumetria), rappresenta certamente una lesione al contenuto minimo della proprietà, incidendo sull’essenza stessa del diritto e sulla possibilità di mantenere e conservare il bene che ne costituisce l’oggetto (Corte Cost. 23/6/2000, n. 238;
29/12/1995, n. 529).

Sul punto il Tribunale ha escluso che nella specie potesse intravedersi un intervento di ristrutturazione edilizia in considerazione delle modifiche volumetriche e di sagoma che sarebbero derivate dai lavori.

Ma, come correttamente dedotto dall’appellante, un tale elemento ostativo non si rinviene nel provvedimento amministrativo impugnato, per cui non poteva autonomamente introdurlo il giudice, essendo a quest’ultimo precluso porre a base della propria decisione ragioni che esulino o travalichino quelle specificate dall’amministrazione nell’atto impugnato (Cons. Stato, Sez. VI, 2/12/2016, n. 5059;
Sez. V, 16/6/2009, n. 3905).

Nei limiti sopra descritti l’appello va, quindi, accolto.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Sussistono eccezionali ragioni per disporre l’integrale compensazione di spese e onorari di giudizio.

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