Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-03-21, n. 202202004

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-03-21, n. 202202004
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202202004
Data del deposito : 21 marzo 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/03/2022

N. 02004/2022REG.PROV.COLL.

N. 03276/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3276 del 2017, proposto dal Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege presso la sua sede in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

contro

il signor -OMISSIS-, non costituito in giudizio,

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il -OMISSIS-, Sezione staccata di -OMISSIS-, n. -OMISSIS-, resa inter partes;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2022 il consigliere G S e udito, per la parte appellante, l’avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del presente giudizio è rappresentato dal decreto dell’8 maggio 2014, con il quale veniva irrogata al signor -OMISSIS-, Sostituto Commissario della Polizia di Stato, in servizio presso il Commissariato di -OMISSIS-, la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio, con conseguente decurtazione dello stipendio, per avere indebitamente rivelato ad un privato cittadino informazioni coperte da segreto d’ufficio ai sensi dell’art. 201 c.p.p. ed in particolare la sua situazione rispetto alla pendenza di carichi giudiziari.

2. Avverso tale atto il signor -OMISSIS- ha proposto il ricorso n. -OMISSIS- innanzi al T.a.r. per il -OMISSIS-, Sezione staccata di -OMISSIS-, chiedendone l’annullamento, previa sospensione, per i seguenti motivi: i) inosservanza del principio di specificità della contestazione in materia di sanzioni disciplinari e conseguente violazione del diritto di difesa sia per la genericità della contestazione, che non riporterebbe mai la data cui risale la violazione contestata, sia per la diversità tra quanto indicato nell’atto di contestazione degli addebiti e quanto censurato nel provvedimento finale;
ii) difetto di motivazione e irragionevolezza non avendo il ricorrente riferito alcuna notizia sottoposta a segretazione ex art. 335 c.p.p., sia perché già desegretata dal P.M., sia perché l’interessato ne era già al corrente attraverso l’acquisizione di sua iniziativa del certificato carichi pendenti avvenuta esattamente il giorno precedente la telefonata intercettata;
iii) contraddittorietà della motivazione in relazione all’esimente di cui all’art. 622 c.p., stante la diversità dell’interesse ad esso sotteso rispetto alla fattispecie di cui all’art. 326 c.p., fermo restando che egli, addetto all’ufficio passaporti, non avrebbe fatto altro che instaurare un corretto regime dialogico e collaborativo con una persona interessata proprio al rilascio di un passaporto.

3. Costituitasi l’amministrazione in resistenza, il Tribunale adito con la sentenza segnata in epigrafe:

- ha accolto il ricorso, ritenendo fondata la censura relativa al dedotto vizio di sproporzionalità della sanzione;

- ha dichiarato assorbite le altre censure;

- ha quindi accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato il decreto impugnato;

- ha compensato le spese di lite.

4. In particolare, il T.a.r. ha ritenuto sussistente la violazione del principio di proporzionalità in quanto:

- non risulta “ univocamente l’eziologia tra la condotta assunta dal dipendente ed emergente dai fatti contestati (cfr. verbale di intercettazione telefonica in atti) ed il nocumento arrecato all’immagine ed al prestigio dell’amministrazione ”;

- “ il comportamento contestato al ricorrente non era direttamente riconducibile alle specifiche ipotesi previste dall’art. 6 del d.P.R. 737/81, ma ritenuto disciplinarmente rilevante attraverso il richiamo – al quale la citata previsione in via residuale fa rinvio – all’art. 4 del medesimo regolamento di disciplina ”.

5. Avverso tale pronuncia il Ministero dell’interno ha interposto appello, notificato il 28 aprile 2017 e depositato l’8 maggio 2017, lamentando, attraverso un unico complesso motivo di gravame (pagine 3-6), quanto di seguito sintetizzato: - il T.a.r. non si sarebbe avveduto che il sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti disciplinari deve limitarsi ad un controllo formale dell’ iter logico seguito nell’attività amministrativa, che nel caso di specie sarebbe ineccepibile fondandosi l’addebito sulla violazione dei doveri di segretezza che incombono al ricorrente, anche in considerazione dei delicati compiti affidatigli, violazione che è consistita nel riferire a due coniugi gli esiti di accertamenti su eventuali pendenze giudiziarie presso le Procure di -OMISSIS-, -OMISSIS-;
per giunta non sarebbe rispondente al vero quanto affermato dal ricorrente circa l’esigenza di avere tali informazioni da parte dei suddetti per avere richiesto il rilascio di un passaporto.

6. L’appellante ha concluso chiedendo, in accoglimento dell’appello, l’annullamento dell’impugnata sentenza.

7. Il signor -OMISSIS-, sebbene ritualmente intimato, non si è costituito nel presente giudizio.

8. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti non hanno svolto difese scritte.

9. La causa, chiamata per la discussione alla udienza pubblica dell’8 febbraio 2022, è stata trattenuta in decisione.

10. L’appello è fondato.

10.1 Giova premettere alcune coordinate fattuali della vicenda di causa, al fine di ricostruire, sia pure sinteticamente, la sua esatta dinamica. Il -OMISSIS- veniva sottoposto a procedimento penale per il reato di cui all’art. 326 c.p. (“ Rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio ”), che, come riportato nell’atto di contestazione degli addebiti in data 6 novembre 2013, “ veniva archiviato in quanto, le uniche fonti di prova a supporto del delitto, derivavano da intercettazioni telefoniche effettuate nell’ambito di un diverso procedimento penale e pertanto non utilizzabili per il reato contestatole in quanto, per lo stesso non è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza ”. Gli veniva irrogata, quindi, la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi 1 (uno), ai dichiarati sensi dell’art. 6, n. 1 in relazione all’art. 4 n. 18 del d.P.R. 737/1981 con la seguente testuale motivazione: “ indebitamente rivelava ad un privato cittadino informazioni che non avrebbe dovuto fornire, in quanto coperte da segreto d’ufficio ai sensi dell’articolo 201 CPP ”.

La statuizione accoglitiva recata dalla sentenza impugnata si concentra unicamente sulla prospettata questione della proporzionalità della sanzione irrogata rispetto alla gravità dei fatti contestati all’odierno appellato, il quale nemmeno si è costituito in giudizio e pertanto non ha riproposto le ulteriori censure dichiarate assorbite e pertanto da ritenere estranee al vaglio di questo giudice.

10.2 Venendo allo scrutinio delle critiche sollevate dall’appellante va innanzitutto osservato che “ la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento. In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all’Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l'infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità ” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2629). Cio posto, i fatti contestati all’appellato sono consistiti nell’aver rivelato la pendenza di un procedimento penale di cui egli era venuto a conoscenza nell’adempimento dei compiti d’ufficio cosicché viene in evidenza un fatto, risultante dalla intercettazione telefonica e comunque non contestato dall’appellato, che è suffragato da evidenti e significativi profili di gravità, tali da giustificare la sanzione adottata che, essendo consistente nella sospensione dal servizio per soli mesi uno, risulta non manifestamente illogica ed abnorme rispetto alla condotta contestata.

Sul punto va precisato che l’amministrazione, nel rispetto delle norme procedimentali e sostanziali, ha esercitato motivatamente e congruamente la propria discrezionalità tecnica nella valutazione della gravità della condotta, sicché, in assenza di una macroscopica illogicità o di un'erroneità fattuale, il giudice amministrativo non può sostituire una propria diversa valutazione a quella effettuata dalla pubblica amministrazione. Del resto il Collegio reputa che le circostanze addotte dall’appellante per escludere ogni possibile violazione del dovere di segretezza non abbiano un’incidenza tale da poter impingere sulla legittimità della sanzione, siccome non ridondano in emergenze idonee a manifestare una palese irragionevolezza e contraddittorietà della decisione della Commissione di disciplina. I fatti ascritti all’appellato sono di oggettiva gravità, costituendo patente violazione del segreto d’ufficio e tale condotta non trova alcuna plausibile giustificazione peraltro maldestramente ricondotta ad una richiesta di passaporto rimasta indimostrata. Conviene riportare i seguenti elementi fattuali così come testualmente evidenziati dal Ministero appellante nel suo gravame e non contraddetti da controparte:

- “ nel corso dell’istruttoria disciplinare è stato appurato che il ricorrente aveva incaricato altro dipendente in servizio presso il Commissariato di P.S. di -OMISSIS- di inoltrare richiesta di certificati di carichi pendenti e di casellario giudiziale presso le Procure della Repubblica di -OMISSIS-, -OMISSIS- a carico dei coniugi -OMISSIS- e -OMISSIS-, riferendo poi ai predetti, con una telefonata del 6 dicembre 2011, gli esiti degli accertamenti presso le prime due Procure, riservandosi di riferire in un secondo momento quelli presso la Procura -OMISSIS-, in quanto presso quell’ufficio “non aveva

alcun canale preferenziale ”;

- “ i coniugi -OMISSIS- e -OMISSIS- non hanno mai presentato richiesta di rilascio del passaporto presso il Commissariato di -OMISSIS- ”;

- “ in ogni caso, la procedura per il rilascio di tale autorizzazione prevede che il Commissariato si limiti a trasmettere il carteggio alla Questura, preposta agli accertamenti di rito ”;

- “ il ricorrente, all’epoca dei fatti, era responsabile dell’Ufficio Polizia Giudiziaria, Fotosegnalamento ed archivio e non del settore di polizia amministrativa, competente al rilascio dei passaporti ”.

Da tali complessivi elementi è dato agevolmente evincere la violazione dei doveri d’ufficio nei quali l’appellato è incorso, avendo rivelato notizie di cui era venuto a conoscenza per il tramite dell’ufficio ed in maniera non strumentale al corretto svolgimento di alcun procedimento amministrativo sotto la sua diretta responsabilità. Tale condotta assume pieno rilievo disciplinare senza che si ponga alcun ulteriore onere argomentativo atto a denotare il conseguente ineluttabile vulnus arrecato all’amministrazione.

Va poi rilevato che, come dedotto da parte appellante, la ricostruzione della vicenda nei termini anzidetti non è preclusa dalla inutilizzabilità delle intercettazioni rilevata dal giudice penale, avendo il G.I.P. del Tribunale di -OMISSIS- evidenziato che, essendo stata contestata all’odierno appellato la violazione degli artt. 640 cpv c.p. e 326 c.p., per i quali non è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, trova applicazione l’art, 270 c.p.p. a mente del quale “ i risultati delle intercettazioni [nel caso di specie acquisiti nell’ambito del procedimento penale promosso nei riguardi dei signori -OMISSIS- e -OMISSIS- per il reato di calunnia aggravata] non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti salvo che risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza ”.

Invero, l’inutilizzabilità dell’intercettazione telefonica, ai fini dell’accertamento della responsabilità penale, non impedisce la valutazione di quegli stessi fatti così come storicamente accertati – che per altro non sono esattamente contestati da parte appellata – ai fini del profilo disciplinare della vicenda. In tal senso si è espresso questo Consiglio, riguardo ai rapporti fra processo penale e procedimento disciplinare dei dipendenti pubblici, sulla base di un orientamento dal quale non vi è motivo per discostarsi in questa sede (Cons. Stato, sez. VI, 10 dicembre 2009, n. 7703 oltre che le stesse pronunce richiamate da parte appellante: sez. IV, 31 luglio 2012, n. 4346, e sez. III, 26 maggio 2014, n. 2689).

11. In conclusione l’appello è fondato e deve essere accolto, imponendosi così, in riforma dell’impugnata sentenza, il rigetto del ricorso di prime cure.

12. Le spese del doppio grado di giudizio, stante l’assoluta peculiarità della vicenda, possono essere compensate.

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