Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-11-14, n. 201907813
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Testo completo
Pubblicato il 14/11/2019
N. 07813/2019REG.PROV.COLL.
N. 02673/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2673 del 2012, proposto dai dottori S C, C C, T B, G C, P D F, U D L, N D, A F, L G, E G G, B L, P F M, R M, S N, E O, D P, D P, G Q, A S, G T e P T, rappresentati e difesi dagli avvocati G C, F C e F C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. F C in Roma, via Augusto Aubry, 2,
contro
il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 8249/2011, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione appellata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 1 ottobre 2019, il Cons. G O e uditi per le parti l’avv. Alessia Guerra, su delega di Felice e G C, e l’avv.to dello Stato Cristina Gerardis;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Gli odierni appellanti hanno proposto ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio al fine di vedersi riconoscere ai sensi dell’articolo 4, comma 2, della legge n. 425 del 1984, cinque anni di anzianità convenzionale da valutarsi nella misura del 3 per cento per ciascun anno e la condanna del Ministero della Giustizia all’adeguamento del trattamento economico e alla corresponsione degli emolumenti arretrati con interessi legali e rivalutazione monetaria. E ciò sulla rilevata circostanza che l’articolo 2, comma 12, della legge n. 111 del 30 luglio 2007, di riforma della disciplina di accesso alla magistratura, ha fatto salva l’applicazione delle norme in tema di progressione stipendiale dei magistrati ordinari di cui alla legge n. 425 del 1984 e che, pertanto, il premio d’ingresso riconosciuto ai magistrati entrati in carriera a seguito di concorso di secondo grado, dovrebbe essere riconosciuto anche a coloro che siano entrati in carriera prima della suddetta riforma.
2. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con la sentenza meglio indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso in considerazione della diversità sostanziale che sussiste fra chi è entrato in magistratura a seguito di concorso di secondo grado e chi, entrato precedentemente alla riforma del 2007, ha partecipato al concorso di primo grado.
3. Avverso la suddetta sentenza è stato proposto appello articolato in cinque motivi di gravame:
a ) difetto di giurisdizione, vertendo la questione su diritti soggettivi di pura natura economica, in subordine è stata proposta una questione di costituzionalità per violazione dell’articolo 111 della Costituzione sotto plurimi profili;
b ) omessa pronuncia del giudice in riferimento alla natura del concorso per aggiunto giudiziario sostenuto dai ricorrenti in primo grado;
c ) violazione e falsa applicazione dell’articolo 360, comma 1, n. 3 del c.p.c., in quanto il giudice ha omesso di rilevare che l’articolo 2, comma 12, della legge n. 111/2007, nel sostituire l’articolo 51 del decreto legislativo n. 160 del 2006, ha espressamente confermato che continuano ad applicarsi tutte le disposizioni in materia di progressione stipendiale dei magistrati ordinari e, in particolare, la legge 6 agosto 1984, n. 425;
d ) difetto, insufficienza e contraddittorietà di motivazione;
e ) difetto di motivazione, con riferimento alla condanna alle spese a carico del ricorrente.
4. È costituita nel presente giudizio l’Amministrazione appellata che richiede il rigetto dell’appello.
5. All’udienza pubblica del 1 ottobre 2019, la causa è trattenuta in decisione.
6. L’appello è infondato.
7. Il Collegio preliminarmente deve soffermarsi sul lamentato difetto di giurisdizione, in relazione al quale l’appello va dichiarato inammissibile in applicazione dell’ormai pacifico principio per cui una siffatta eccezione non può essere sollevata nel giudizio di appello da chi abbia in primo grado egli stesso adito il giudice amministrativo, e solo all’esito sfavorevole del giudizio ne contesti la giurisdizione, ciò integrando una forma di abuso del processo (Cons. Stato, Ad. pl., n. 4 del 2017). Occorre precisare inoltre – come pure pacificamente osservato dalla giurisprudenza - che, nel caso di specie, non essendosi sulla questione pronunciato il giudice di primo grado e avendo quindi ritenuto implicitamente la propria giurisdizione, la parte originaria ricorrente risulta vittoriosa sul capo di domanda relativo all’individuazione del giudice munito di giurisdizione e pertanto non è legittimata a contestare in appello la giurisdizione del giudice amministrativo, per carenza del requisito della soccombenza, e quindi della legittimazione ad appellare (Cass. civ., sez. un., n. 21260 del 2016;Cons. Stato, sez. IV, n. 5403 del 2016).
8. Tanto premesso deve anche essere respinta l’eccezione di incostituzionalità che supporta il primo motivo di appello, per difetto del requisito della rilevanza.
Invero, la delibazione di tale eccezione presupporrebbe l’ammissibilità del motivo con cui si sollecita una declinatoria della giurisdizione che per le suesposte ragioni non è ammissibile nel presente grado di giudizio.
Alla stregua di quanto sopra, la Sezione è esonerata dall’esame dei plurimi, ancorché non sempre pertinenti e a tratti poco perspicui quanto all’individuazione delle specifiche disposizioni di legge censurate, argomenti di doglianza con cui parte appellante sembra voler censurare – peraltro in contrasto con pacifici approdi della stessa giurisprudenza costituzionale – la legittimità costituzionale dell’intero impianto normativo della giurisdizione amministrativa.
9. Quanto al merito, il Collegio ritiene sufficientemente motivata la sentenza impugnata e che conseguentemente devono essere respinti i motivi di cui alle lettere c ) e d ).
Ciò che, infatti, rileva ai fini del presente giudizio è la sostanziale differenza che sussiste fra la modalità di accesso alla carriera di magistrato di cui alla legge del 30 luglio 2007, n. 111, e quella precedente. Con la novella di cui al decreto legislativo del 5 aprile 2006, n. 160, il legislatore ha profondamente modificato la disciplina relativa all’ingresso nella magistratura ordinaria, prevedendo che gli aspiranti magistrati debbano svolgere un concorso di secondo grado per l’accesso al quale è necessario il possesso dei requisiti indicati dall’articolo 1, comma 3, della legge n. 111 del 30 luglio 2011 e che si sostanziano in specifici titoli di studio, pregresse esperienze lavorative, professionali o didattiche.
È indubbio, come peraltro sottolineato dalla stessa parte appellante, che, stante la profonda modifica normativa, sussista una altrettanto profonda diversità sostanziale tra coloro che sono entrati in magistratura prima della riforma e coloro che sono entrati successivamente, tale da giustificare la diversità di trattamento economico e da riservare il riconoscimento del beneficio di cui all’articolo art. 4, comma 2, legge n. 425 del 1984 esclusivamente a coloro che abbiano sostenuto il concorso di secondo grado essendo la situazione di partenza completamente diversa.
Deve essere, pertanto, condivisa la statuizione del giudice di prime cure secondo cui “ la nuova disciplina, di natura sostanziale, non può trovare applicazione per quei soggetti, come i ricorrenti, che abbiano partecipato ad un concorso di primo grado, per l’accesso al quale era cioè richiesto meramente il possesso del titolo di studio ”.
10. Con il secondo motivo di gravame si lamenta, invece, l’omessa pronuncia da parte del giudice sulla questione relativa alla natura del concorso per aggiunto giudiziario sostenuto da alcuni dei ricorrenti, e che in ipotesi si assume assimilabile a un concorso di secondo grado.
Al riguardo il Collegio rileva che l’esistenza per un certo periodo di tale prove non inficia quanto osservato dal Tar circa la diversità di accesso alla magistratura, atteso che il concorso per aggiunto giudiziario era un concorso interno, riservato a chi aveva già avuto accesso nella magistratura ordinaria, avendo quindi una funzione di avanzamento in carriera ben diversa da quella di immissione nell’ordine giudiziario.
11. Alla luce dei principi affermati, il Collegio ritiene che le suesposte ragioni siano sufficienti per respingere i motivi di ricorso sub b ), c ) e d ) e l’appello nel suo complesso.
12. Infine, per quanto concerne le spese e con specifico riferimento all’ultimo motivo sub e ), il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per compensare le spese solo del secondo grado di giudizio, mentre deve essere confermato quanto stabilito al riguardo dal primo giudice che ha comunque applicato correttamente – e in modo non censurabile, stante l’esito del giudizio di appello - il principio della soccombenza.