Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-09-23, n. 201404787

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-09-23, n. 201404787
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201404787
Data del deposito : 23 settembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03727/2013 REG.RIC.

N. 04787/2014REG.PROV.COLL.

N. 03727/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3727 del 2013, proposto dai signori A A, F C, S M, D R, G R e G L S, rappresentati e difesi dall'avvocato G V, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Tacito 90

contro

Università degli Studi di Messina, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi, 12

per l'ottemperanza della sentenza del Consiglio di Stato, sesta Sezione, 11 marzo 2008, n. 1033


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2014 il Cons. C C e udito l’avvocato Giuseppe Vaccaro per delega dell’avvocato G V per i ricorrenti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue


FATTO e DIRITTO

1. Le vicende poste a base del ricorso in epigrafe sono ricostruite nei termini che seguono nell’ambito della sentenza di questa Sezione 15 novembre 2013, n. 5306.

I signori A, C, M, R, R e L S riferiscono di essere o essere stati dipendenti dell’Università degli studi di Messina dei cc.dd. ‘ruoli ad esaurimento’ e di essere stati interessati da una complessa vicenda contenziosa al fine di ottenere l’esatta determinazione delle spettanze in concreto dovute in relazione alla propria peculiare posizione (la vicenda in questione si è, sino ad oggi, tradotta nelle sentenze del T.A.R. del Lazio numm. 2342/1998, 1120/2000, 4813/2001, 3841/2002 e 8969/2006 e nelle sentenze di questo Consiglio di Stato numm. 649/2003, 1033/2008 – quest’ultima, oggetto del presente giudizio di ottemperanza – e 5306/2013).

Con sentenza n. 2342/1998, il T.A.R. dichiarava il diritto (fra gli altri) degli odierni ricorrenti al mantenimento del trattamento economico in godimento per come ancorato a quello dirigenziale, condannando le Amministrazioni di appartenenza (si trattava di numerose Università italiane) al pagamento delle relative differenze retributive.

In sede di esecuzione del giudicato, con successiva sentenza n. 1120/2000, lo stesso T.A.R. precisava le componenti base del trattamento economico;
in particolare, affermava la spettanza dell’indennità di posizione, specificando, in caso di incertezze interpretative derivanti dalla oscillazione della relativa misura tra un minimo ed un massimo, la regola secondo cui ai ricorrenti “ ove rivestano, nonostante il difetto di formale qualifica dirigenziale, posizioni funzionali ricomprese nella elencazione dell’art. 41 del CCNL cit. (1994/1997), sarà applicabile la misura contrattuale fissata per le posizioni medesime (…);
ove gli stessi siano addetti a funzioni non ricomprese nella detta elencazione, occorrerà invece fare riferimento al “valore minimo” di posizione applicato nell’Università di appartenenza del dipendente, attesa la stretta correlazione (….) tra la complessità dell’organismo di appartenenza e la misura dell’emolumento
”.

Con successiva sentenza n. 4813/2001, è stato nominato un Commissario ad acta affinché “ assicuri non solo l’effettività del giudicato, ma anche una identica applicazione dei principi affermati in sede giurisdizionale su tutto il territorio nazionale, stante la portata delle sentenze da eseguire ” (ed infatti, la sentenza del T.A.R. del Lazio n. 2342/1998 era stata resa nei confronti dei dipendenti di numerose Università italiane).

In seguito, con sentenza n. 3841/2002, resa su ricorso per incidente di esecuzione proposto dall’Università degli Studi ‘La Sapienza’ di Roma, sono state respinte – tra le altre – le deduzioni concernenti la liquidazione da parte del Commissario dell’indennità di posizione, mentre il ricorso è stato accolto con riguardo alla doglianza relativa all’attribuzione dell’indennità di risultato, ritenuta non spettante alla stregua del decisum eseguendo.

L’appello proposto avverso questa sentenza e l’intervento ad adiuvandum spiegato dall’Università degli Studi di Napoli “Federico II” sono stati respinti con decisione n. 649/2003 di questo Consiglio di Stato.

A questo punto della vicenda, il Commissario ad acta emetteva i mandati di pagamento in favore (fra gli altri) degli odierni ricorrenti in esecuzione delle menzionate sentenze del T.A.R. del Lazio n. 2342/1998, n. 1120/2000, n. 3813/2001, e della decisione del Consiglio di Stato n. 649/2003.

Con successiva sentenza n. 8969/2005 lo stesso T.A.R. del Lazio respingeva il ricorso proposto dall’Università degli studi di Messina avverso gli atti del Commissario, affermando che:

- siccome l’Ateneo non aveva provveduto ad applicare, come avrebbe dovuto, l’articolo 15 del decreto legislativo n. 29 del 1993 e l’articolo 35 del C.C.N.L. 1994/1997, il Commissario ad acta aveva correttamente provveduto all’annullamento dei provvedimenti emessi in asserita esecuzione del giudicato, dovendosi ricalcolare gli emolumenti dovuti agli attuali ricorrenti a partire dall’1° gennaio 1995 e, in particolare, dovendosi ricalcolare la differenza tra quanto spettante e quanto (erroneamente) corrisposto in via spontanea nell’intero arco temporale coperto dal giudicato;

- il rilevato mero errore materiale di calcolo è irrilevante;

- appare corretto che il Commissario abbia fatto applicazione dell’art. 4 del decreto-legge n. 681 del 1982, convertito dalla legge n. 869 del 1982, secondo le indicazioni fornite dalla sentenza del T.A.R. del Lazio n. 3841/2002 (confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 649/2003), dovendo lo stesso non limitarsi ad individuare la sola retribuzione di posizione, ma anche provvedere alla concreta determinazione del trattamento economico spettante ai ricorrenti, dopo avere applicato in via analogica il beneficio di cui al citato art. 4 (attribuzione della metà dell’incremento acquisito per classi ed aumenti periodici derivanti dalla progressione economica relativa alla anzianità di servizio prestato nella qualifica di provenienza). Inoltre, nella stessa sede è stato ritenuto corretto, al fine di rideterminare ora per allora il trattamento economico spettante dal 1° gennaio 1995, il riferimento al trattamento attribuito al dirigente unico, per cui appariva inconferente ogni riferimento generico al parametro dell’ ex primo dirigente (le disposizioni che disciplinano il trattamento economico della qualifica unica sono gli articoli 15 e 23 del decreto legislativo n. 29 del 1993 – in seguito: articolo 24 del decreto legislativo n. 165 del 2001 -, e il criterio di calcolo è fissato dal citato art. 4;
il maturato economico spettante, a norma del C.C.N.L. 1994/1997, va calcolato solo a partire dal 1° gennaio 1995). Il trattamento economico, con decorrenza 1° gennaio 1995, è stato quindi determinato correttamente “ ora per allora ”, con riferimento al trattamento attribuito al “dirigente unico” di cui agli artt. 15 e 23 del decreto legislativo n. 29 del 1993 (e successive modifiche), detratti tutti gli importi riscossi da ciascun ricorrente a titolo di trattamento economico nell’arco temporale considerato;

- alla stregua di quanto già chiarito, le censure di cui ai punti 4, 5, 6 e 7 del ricorso sono state respinte e il calcolo della retribuzione di posizione è stato effettuato secondo le statuizioni contenute nella sentenza n. 1120 del 2000, a seconda che le funzioni esercitate dal dipendente rientrassero o meno tra le posizioni elencate nell’art. 41 del C.C.N.L. 1994/1997. Il T.A.R. soggiungeva al riguardo che solo in caso di difetto di tale condizione di raffronto la misura della indennità di posizione avrebbe dovuto essere corrispondente al valore minimo applicato in concreto nell’Università.

2. La sentenza in questione veniva impugnata dall’Università degli studi di Messina (ricorso n. 7769/2006) dinanzi a questo Consiglio di Stato il quale, con sentenza n. 1033/2008 (oggetto del presente giudizio di ottemperanza), lo accoglieva.

In particolare, i Giudici di appello osservavano:

- che erano ormai divenute inoppugnabili le determinazioni con cui l’Università degli studi di Messina aveva disposto l’inquadramento dei ricorrenti nella IX q.f., ragione per cui era in base a questa qualifica che doveva essere rideterminato il trattamento economico complessivo spettante agli interessati;

- che l’Università degli studi di Messina (e in seguito il T.A.R.) avrebbero erroneamente applicato l’articolo 4 della legge 27 settembre 1982, n, 681 (‘ Adeguamento provvisorio del trattamento economico dei dirigenti delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e del personale ad essi collegato ’), con particolare riguardo all’attribuzione – a decorrere dal 1° gennaio 1995 - del trattamento economico spettante al dirigente unico, parametrato, però, sul trattamento economico del dirigente superiore;

- che doveva essere correttamente valutata l’anzianità da riconoscere per il solo servizio prestato nella qualifica di provenienza e non per quello prestato nelle qualifiche inferiori;

- che il Commissario ad acta avesse, altresì, non correttamente computato l’importo dell’indennità di posizione spettante, giungendo ad attribuire agli interessati importi addirittura maggiori rispetto a quelli spettanti a un primo dirigente della medesima amministrazione. Secondo il Consiglio, comunque, la questione andava in parte qua risolta attribuendo agli interessati un’indennità di posizione commisurata alle previsioni di cui all’articolo 41 del C.C.N.L. per il caso di svolgimento di funzioni dirigenziali, mentre la medesima indennità doveva essere determinata – negli altri casi - con riferimento “ all’indennità di posizione di fascia più bassa secondo il contratto collettivo applicabile all’Università, e secondo la misura concreta fissata per tale fascia dall’Università, pena, altrimenti, una sorta di inammissibile galleggiamento disancorato dall’esercizio effettivo di mansioni e funzioni ”.

All’indomani della sentenza n. 1033/2008, l’Università di Messina procedeva, quindi, a rideterminare il complessivo trattamento dovuto agli interessati, procedendo, altresì, al recupero nei loro confronti degli importi (ritenuti) corrisposti in eccesso.

3. Con ricorso in data 30 aprile 2013, i signori A, C, M, R, R e L S impugnavano gli atti in tal modo adottati dall’Università e lamentavano che, in sede di rideterminazione del complessivo trattamento a ciascuno di loro spettante rispetto a quanto già a suo tempo operato dal Commissario ad acta , l’Università degli studi di Messina avesse erroneamente operato in modo non coerente con le indicazioni contenute nella più volte richiamata sentenza n. 1033 del 2008.

Con sentenza 15 novembre 2013, n. 5306 questo Consiglio pronunciava la sentenza n. 5306 con cui respingeva i motivi di ricorso attraverso i quali si era lamentata l’erronea quantificazione degli emolumenti dovuti ai ricorrenti medesimi per effetto dell’inquadramento disposto in data 18 settembre 2005 (sotto tale aspetto, questo Consiglio osservava che la sentenza oggetto di ottemperanza avesse chiarito che la rideterminazione del trattamento economico andasse operata sulla base del disposto inquadramento nella IX q.f.).

Al contrario, questo Consiglio (anche in considerazione dell’assenza, sul punto, di specifiche contestazioni da parte dell’Università degli Studi di Messina):

a) accoglieva il motivo di ricorso relativo alla mancata valutazione dell’assegno ad personam spettante a ciascuno dei ricorrenti per effetto del riconoscimento del maturato economico spettante prima dell’applicazione del CCNL relativo al periodo di contrattazione 1994-1997;

b) accoglieva, altresì (e in assenza, anche in questo caso, di specifiche controdeduzioni da parte dell’Università), il motivo di ricorso relativo alla mancata considerazione – in sede di quantificazione – delle somme già in precedenza recuperate in capo a ciascuno di loro (e, sotto tale aspetto, questo Giudice di appello ordinava all’Università di rivalutare la posizione di ciascuno dei ricorrenti per stabilire se si fosse correttamente tenuto conto delle somme già recuperate d’ufficio);

c) accoglieva, infine, il motivo di ricorso con cui si era lamentato che, in sede di rideterminazione degli importi spettanti a ciascuno dei ricorrenti a titolo di indennità di posizione (parte varabile), l’amministrazione non avesse adeguatamente valutato l’attività di direzione in concreto svolta da ciascuno dei ricorrenti.

Con la medesima sentenza n. 5306/2013 veniva assegnato all’Università degli studi di Messina un termine di sessanta giorni per provvedere all’adozione dei nuovi ed espressi atti richiamati dinanzi, sub a), b) e c) con espresso avvertimento che, decorso infruttuosamente tale termine, si sarebbe proceduto, su richiesta dei ricorrenti, alla nomina di un commissario ad acta ai sensi dell’articolo 113, comma 4, lettera d) del cod. proc. amm. con il compito di sostituirsi all’amministrazione inadempiente.

4. Con nota irritualmente pervenuta presso la Sezione in data 24 dicembre 2013, l’Università degli Studi di Messina rilevava che, nonostante la sentenza n. 5306/2013 si fondasse (in relazione agli aspetti dinanzi richiamati sub a), b) e c)) sull’assenza agli atti del giudizio di puntuali deduzioni da parte dell’Amministrazione, nondimeno la stessa Università aveva tempestivamente provveduto a far pervenire ai competenti Uffici dell’Avvocatura dello Stato specifiche controdeduzioni, in seguito non prodotte in giudizio (secondo l’Università, infatti, “ sembrerebbe (…) che l’Avvocatura non abbia (e non si comprende il motivo) depositato la relazione contenente tali contestazioni con i relativi allegati, con cui questa Amministrazione forniva completa dimostrazione dell’infondatezza del ricorso, né che si sia costituita in giudizio (…) ”).

5. Con istanza in data 26 marzo 2014, i dottori A, C, M, R, R e L S, dopo aver richiamato i termini complessivi della vicenda e aver lamentato che l’Università degli studi di Messina non abbia adottato atti espressi a fronte della sentenza di questo Consiglio n. 5306/2013 (e, in particolare, in relazione a ciascuno degli atti dinanzi richiamati sub a), b) e c)), hanno chiesto la nomina di un Commissario ad acta al quale sia attribuito il compito di adottare tali atti in vece dell’amministrazione inadempiente.

L’amministrazione ha controdedotto su ciascuno dei richiamati punti, dichiarando del tutto infondate le pretese vantate dai ricorrenti in relazione a ciascuna di esse (ci si riferisce, in particolare, al contenuto della memoria depositata il 5 maggio 2014, la quale – peraltro – rinvia alla precedente nota dell’Università in data 24 dicembre 2013, irritualmente fatta pervenire presso la segreteria di questa Sezione).

6. Ebbene, il Collegio, esaminati gli atti qui pervenuti a seguito della richiamata sentenza n. 5306/2013, non può esimersi dal constatare che l’Università degli studi di Messina (la quale, peraltro, ha prodotto tardivamente ed irritualmente una memoria dopo che la sentenza n. 5306/2013 era stata depositata e prima che fosse proposta la richiesta di nomina di un Commissario ad acta ) non abbia provveduto – contrariamente a quanto indicato nella medesima sentenza ed entro il termine ivi fissato – ad adottare nuovi atti espressi in relazione a ciascuno dei richiamati (tre) profili e in relazione alla posizione di ciascuno degli odierni ricorrenti.

Non spetta a questo Collegio individuare le ragioni per cui l’Università degli Studi di Messina è rimasta contumace nell’ambito del ricorso che ha condotto all’emanazione della sentenza n. 5306/2013, cit. e non ha depositato in atti (se non – come si è detto – tardivamente ed irritualmente) le proprie deduzioni su ciascuno dei punti sui quali si è infine espresso il Collegio.

Ci si limita, invece, ad osservare che l’Università degli Studi di Messina non abbia adottato, a seguito della sentenza n. 5306, cit., alcuno degli atti espressi (se del caso, di segno negativo) indicati da questo Consiglio di Stato, limitandosi piuttosto a una generica contestazione in sede giudiziaria in ordine all’ an debeatur delle pretese avversarie (con deduzioni, peraltro, contestate in fatto e in diritto dai signori A, C, M, R, R e L S)..

7. Pertanto – come già previsto dalla più volte richiamata sentenza n. 5306/2013 – si deve provvedere alla nomina di un Commissario ad acta il quale provvederà ad adottare, in vece dell’amministrazione inadempiente, i richiamati atti espressi dopo aver acquisito dalla segreteria della Sezione la pertinente documentazione di causa e, in contraddittorio scritto fra le parti, le deduzioni delle stesse.

Il Commissario potrà altresì, laddove lo riterrà opportuno, procedere all’audizione delle parti contestualmente e in contraddittorio fra loro.

Il Commissario ad acta è nominato nella persona del Direttore della Ragioneria territoriale dello Stato di Messina il quale potrà all’uopo delegare un funzionario del proprio ufficio.

Le attività del Commissario dovranno essere completate entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.

Le spese per l’attività del Commissario ad acta sono liquidate in complessivi euro 1.000 (mille), sono poste a carico dell’Università degli studi di Messina e il relativo importo sarà corrisposto su semplice richiesta una volta completate le operazioni commissariali.

8. In particolare, il Commissario ad acta dovrà provvedere come segue:

a) in relazione all’aspetto dinanzi richiamato sub a) (pagine 9 e 10 della sentenza di questo Consiglio n. 5306/2013), dovrà provvedere a riquantificare in modo espresso il trattamento complessivo dovuto a ciascuno dei ricorrenti, tenendo motivatamente conto dell’assegno ad personam dovuto a ciascuno di essi per effetto del riconoscimento del maturato economico spettante prima dell’applicazione del C.C.N.L. 1994-1997. Il Commissario dovrà provvedere in modo espresso anche laddove la quantificazione risulti in parte qua pari a ‘zero’;

b) in relazione all’aspetto dinanzi richiamato sub b) (pagina 10 della sentenza n. 5306, cit.), dovrà provvedere a riquantificare in modo espresso il trattamento complessivo dovuto a ciascuno dei ricorrenti, tenendo motivatamente conto delle somme già recuperate d’ufficio nei confronti di ciascuno di loro. Il Commissario dovrà provvedere in modo espresso anche laddove la quantificazione risulti in parte qua pari a ‘zero’;

c) in relazione all’aspetto dinanzi richiamato sub c) (ivi, pagina 10), dovrà provvedere a riquantificare in modo espresso il trattamento complessivo dovuto a ciascuno dei ricorrenti, tenendo motivatamente conto delle caratteristiche oggettive dei compiti svolti da ciascuno degli appellanti e delle conseguenze che le caratteristiche dell’attività in concreto compiuta producevano in relazione agli importi a ciascuno di loro dovuti a titolo di indennità di posizione-parte variabile.

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