Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-05-11, n. 202304768

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-05-11, n. 202304768
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202304768
Data del deposito : 11 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/05/2023

N. 04768/2023REG.PROV.COLL.

N. 09825/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9825 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato C F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Angelico n. 90;

contro

Ministero dell'Interno, Questura Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Questura Roma;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 marzo 2023 il Pres. M C e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con provvedimento del 26 marzo 2015, il Questore di Roma ha revocato il permesso di soggiorno UE di lungo periodo del cittadino -OMISSIS- e ha respinto l’istanza per il rinnovo dello stesso, presentata in data 14.12.2013.

Il provvedimento è motivato sulla base della sentenza della Corte d’Appello di Roma del 19.02.2008, che ha condannato l’odierno appellante per violenza sessuale su minore in concorso ex artt. 81 e 609 bis c.p. e violenza privata ex art. 610 c.p. alla pena di 4 anni di reclusione, interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, interdizione dall’esercizio della tutela e curatela. La Questura, peraltro, ha formulato un giudizio di pericolosità sociale del richiedente, anche in considerazione della durata della permanenza sul territorio dello Stato e del mancato inserimento sociale dell’interessato.

Con ricorso depositato in data 9 giugno 2015, ascritto al n.R.G. -OMISSIS-, il Sig. -OMISSIS- ha impugnato innanzi al T per il Lazio il provvedimento suddetto, chiedendone l’annullamento, previa sospensione degli effetti;
ha lamentato che la Questura non avrebbe effettuato una valutazione complessiva della posizione del richiedente, anche alla luce della presentazione dell’istanza di riabilitazione al Tribunale di Sorveglianza, e sarebbe incorsa in difetto di istruttoria per mancata traduzione del preavviso di rigetto.

Nel ricorso, inoltre, l’appellante ha reso noto di aver provveduto al pagamento integrale delle spese di giustizia, senza aver commesso alcuna ulteriore violazione di legge nell’intervallo di tempo intercorrente tra la condanna definitiva e la presentazione dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno.

Con ordinanza del 31 luglio 2015, il T per il Lazio ha respinto l’istanza cautelare, ritenendo prima facie il provvedimento impugnato specificatamente motivato in ordine alla pericolosità sociale e al mancato inserimento del richiedente.

Nelle more del giudizio di primo grado, in data 29 luglio 2019, il Sig. -OMISSIS- ha presentato alla Questura di Roma un’istanza di riesame del diniego gravato, in virtù della riabilitazione intervenuta in data 9 novembre 2016.

Con nota del 7 agosto 2019, la Questura di Roma ha rigettato detta istanza di riesame.

Sicché, con motivi aggiunti depositati in data 15 novembre 2019, l’odierno appellante ha impugnato la nota in parola per ottenerne l’annullamento previa sospensione degli effetti, denunciando l’assenza di protocollo e di sottoscrizione e ritenendo la riabilitazione e la stabilità lavorativa elementi tali da superare il giudizio di pericolosità formulato dal Questore.

Con ordinanza pubblicata il 29 gennaio 2020, il T per il Lazio ha rigettato l’istanza cautelare del ricorrente, ritenendo il provvedimento di riabilitazione in questione - successivo al gravato diniego di rinnovo del permesso di soggiorno - suscettibile di valutazione da parte della competente amministrazione esclusivamente a seguito di una nuova istanza.

Il 23 gennaio 2020 il Ministero dell’Interno ha presentato una relazione, resistendo nel merito.

Con memoria, depositata il 18 marzo 2022, il ricorrente, odierno appellante, ha rappresentato che in relazione al deferimento per il reato di furto, con annesso arresto nel 2017, è intervenuto il decreto di archiviazione.

Con sentenza -OMISSIS-, pubblicata in data 3 maggio 2022, il T per il Lazio, Sezione Prima Ter, ha rigettato il ricorso, rilevando che l’Amministrazione, pur non essendovi tenuta, ha effettuato una valutazione complessiva della posizione del Sig. -OMISSIS-, il quale, entrato in Italia nel 1988, ha commesso reati ostativi alla permanenza sul territorio. In ordine al riesame, ha aggiunto che il Questore non avrebbe avuto elementi su cui basarlo e che esso sarebbe stato possibile solo sulla scorta di fatti che smentissero i presupposti del provvedimento impugnato, verifica attinente a circostanze sopravvenute, non valutabili in base al principio del tempus regit actum.

Ha concluso evidenziando che il richiedente, a seguito della revoca del permesso di soggiorno, avrebbe dovuto lasciare il territorio nazionale e che la regolarità della condotta sotto il profilo penale appare smentita dal suo arresto nel 2017 per furto aggravato, all’indomani dell’ottenimento della riabilitazione.

Con il ricorso in appello in esame, notificato in data 29.11.2022 e depositato in data 22 dicembre 2022, il Sig. -OMISSIS- impugna la predetta sentenza, censurandola sotto i profili della violazione di legge, eccesso di potere e difetto di istruttoria.

In particolare, col primo motivo di gravame, lamenta che il T avrebbe erroneamente ritenuto non dovuta la valutazione complessiva della posizione del richiedente, che prescinderebbe dalla situazione familiare di quest’ultimo. Aggiunge che il giudice di prime cure e, prima ancora, l’Amministrazione non avrebbero compiuto la predetta valutazione, ma avrebbero fatto operare un automatismo tra la condanna definitiva per i reati ex artt. 81 e 609 bis c.p. e art. 610 c.p. e la revoca, nonché il diniego di rinnovo del permesso richiesto dall’odierno appellante.

In particolare, l’Amministrazione, nell’adozione del primo provvedimento impugnato, avrebbe erroneamente omesso di valutare l’avvenuta presentazione dell’istanza per la riabilitazione, la buona condotta del richiedente nell’intervallo di tempo intercorso tra la condanna definitiva e l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno UE di lungo periodo e la stabilità della sua vita lavorativa.

Col secondo motivo di gravame, l’odierno appellante lamenta che il T non avrebbe correttamente considerato l’intervenuta riabilitazione, elemento nuovo da valutare ai sensi degli artt. 9 e 5 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286. Ritiene, pertanto, che la Questura avrebbe dovuto compiere una nuova valutazione complessiva della sua posizione anche alla luce della riabilitazione. Infine, evidenzia che il procedimento avente ad oggetto il furto per cui il richiedente è stato arrestato nel 2017 è stato archiviato.

Il Ministero dell’Interno e la Questura di Roma si sono costituite in giudizio con atto formale depositato in data 7 marzo 2023.

All’udienza del 9 marzo 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Il primo motivo di appello è fondato nei limiti di seguito indicati.

In tema di revoca del permesso di soggiorno U.E. di lungo periodo v’è un consolidato orientamento giurisprudenziale, costantemente seguito anche da questa Sezione (Cons. Stato, sez. III, n. 4455/2018;
Cons. Stato, sez. III, n. 4401/2016;
Cons. Stato, sez. III, n. 4708/2016;
Cons. Stato, sez. III, n.6880/2022;
Cons. Stato, sez. III, n. 6009/2022;
Cons. Stato, sez. III, n.5844/2022), secondo il quale il diniego e la revoca del permesso in parola non possono essere adottati in automatico alla presenza di una condanna penale. L’Amministrazione, pertanto, è tenuta a effettuare un giudizio di pericolosità sociale dell’interessato e a fornire un’adeguata motivazione che tenga conto, tra l’altro, della durata del soggiorno sul territorio nazionale e del suo inserimento sociale, familiare e lavorativo (cosiddetta tutela rafforzata).

Questa tesi è pure corroborata dai principi espressi dalla Corte Costituzionale nella sentenza 2 aprile 2014, n. 58, in base ai quali godono della medesima tutela rafforzata coloro i quali vantano una permanenza effettiva sul territorio italiano da oltre un quinquennio e hanno presentato istanza di rilascio del permesso di soggiorno di lungo periodo.

Valendo la cosiddetta tutela rafforzata per i lungosoggiornanti di fatto, a fortiori si applica a coloro i quali sono già in possesso del permesso in questione.

Alla luce di ciò, la sentenza in esame deve essere riformata laddove statuisce che l’Amministrazione, in assenza di familiari di cui all’art. 29 T.U. Imm. e in presenza di condanne per reati ostativi, non sia tenuta a effettuare un giudizio di pericolosità del richiedente il permesso di soggiorno di lungo periodo.

Venendo, ora, alla censura circa l’asserita assenza di motivazione nel decreto di revoca del permesso in questione, il motivo non può trovare accoglimento.

Va rilevato come nel caso che precede l’Amministrazione abbia compiuto la valutazione discrezionale.

Tuttavia, la parte appellante contesta che la Questura non avrebbe svolto la valutazione complessiva prevista dall’art. 9, comma 4, del T.U. Imm. In particolare, non avrebbe valutato l’avvenuta presentazione dell’istanza per la riabilitazione, la buona condotta posta in essere nell’intervallo di tempo intercorso tra la condanna definitiva e l’istanza per cui è causa e la stabilità lavorativa dello stesso.

Ebbene, il provvedimento in questione assume come parametro normativo l’art. 9, comma 4, d.lgs. n. 286 del 1998 e svolge una valutazione dello straniero scevra da vizi di illogicità, incongruenza o travisamento dei fatti.

L’Amministrazione, infatti, tiene conto sia della gravità dei reati posti in essere dall’interessato sia della lunga permanenza sul territorio italiano. Evidenzia come il particolare disvalore delle condotte poste in essere dal richiedente e l’odiosità dei reati commessi siano oggetto di valutazione di pericolosità da parte del Legislatore;
si tratta di un giudizio dal quale l’Amministrazione ritiene di non potersi discostare, anche alla luce del lungo periodo di soggiorno sul territorio nazionale dello straniero. Questi, infatti – si legge nel provvedimento – nonostante la lunga permanenza in Italia (sin dal 1988), non si è evidentemente inserito nel contesto sociale, tanto da commettere reati che destano particolare allarme sociale e che impongono all’Amministrazione l’adozione del provvedimento impugnato.

Peraltro, come ben evidenziato dal T, l’odierno appellante non ha legami familiari nel territorio nazionale e non allega alcuna documentazione idonea a provare la produzione di redditi adeguati o meriti speciali.

Infine, il fatto di aver presentato un’istanza di riabilitazione (datata 18 dicembre 2014) al Tribunale di Sorveglianza non è un elemento rilevante, in grado di superare o inficiare la valutazione effettuata dall’Amministrazione (cfr. Cons. St, sez. III, 27 giugno 2022, n. 5318). Non può nemmeno considerarsi alla stregua di una sopravvenienza procedurale, poiché non costituisce fatto rilevante, passibile di valutazione, trattandosi di un atto proveniente dalla stessa parte interessata. Ugualmente e per gli stessi motivi, non può essere condivisa la ricostruzione dell’appellante laddove ritiene che la mancata reiterazione di condotte illecite siano da valutarsi quali sopravvenienze, che sarebbero peraltro idonee a scalfire la motivazione della Questura.

Alla luce di ciò, la valutazione svolta dall’Amministrazione nel primo provvedimento emanato in questa vicenda risulta legittima e opportunamente motivata. Il ricorso avverso detto provvedimento deve essere rigettato.

2. Il secondo motivo di ricorso è fondato, quanto al provvedimento di riesame.

L’odierno appellante lamenta che il T non avrebbe correttamente considerato e valutato il provvedimento di riabilitazione del Sig. -OMISSIS- del Tribunale di Sorveglianza. Ritiene che alla luce del provvedimento in parola, l’Amministrazione avrebbe dovuto compiere una nuova valutazione complessiva della posizione del richiedente.

Al fine di esaminare il motivo di ricorso, occorre preliminarmente valutare se la riabilitazione possa considerarsi alla stregua di una sopravvenienza favorevole al reo, in base alla quale l’Amministrazione possa riesaminare la posizione del richiedente, anche nei casi di reati ostativi.

Questa sezione si è già pronunciata sul punto, statuendo che la riabilitazione rientra tra quei fatti sopravvenuti favorevoli all’interessato, che costituiscono il presupposto per un riesame (Cons. Stato, sez. III, n.6627/2022).

Con particolare riferimento ai reati ostativi, poi, ha stabilito che: “ la individuazione di condanne automaticamente ostative al rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno o alle procedure di sanatoria, rappresenta da parte del legislatore un meccanismo semplificatore e automatico per operare le valutazioni relative alla pericolosità sociale dello straniero. L’intervento di altro giudice che, operando lo stesso tipo di valutazione, in base ad indici simili, cancella gli effetti penali della condanna, intervenendo con il termine “riabilitazione” proprio nel campo della rilegittimazione sociale dell’interessato .. modifica il modo in cui la precedente condanna si iscrive nell’ordinamento giuridico, nel senso di attenuarne il peso nella valutazione di pericolosità sociale. Tale mutamento non può lasciare integro l’effetto ostativo, perché elimina il presupposto del suo automatismo e la ratio essenziale all’interno di un meccanismo normativo di presunzione di pericolosità sociale obbligatoria e necessaria, che viene specificamente interrotto dalla pronuncia del giudice della riabilitazione, che è un giudice specializzato in materia di recupero sociale come finalità costituzionale che ispira l’intero sistema penale ” (Cons. Stato, sez. III, n. 2467/2021, che richiama le precedenti Cons. Stato, sez. III, n. 6781/2020, nn. 23/2016 e 4685/2013).

Occorre, tuttavia, precisare che la sopravvenienza in esame non vincola quanto all’esito l’Amministrazione, che, titolare di un potere ampiamente discrezionale, deve effettuare un controllo sulla concreta pericolosità sociale dello straniero istante, in virtù del fatto che l’istituto della riabilitazione soggiace a valutazioni e finalità diverse da quelle che presiedono le procedure amministrative.

In definitiva, nel caso di specie, data l’istanza della parte tesa a ottenere la revoca del provvedimento originario, l’Amministrazione avrebbe dovuto effettuare una valutazione complessiva della posizione del Sig. -OMISSIS-, proprio alla luce dell’intervenuta riabilitazione, ancorché fosse pendente il giudizio innanzi al T.

Questa tesi è suffragata dalla più recente giurisprudenza di questa sezione che, in linea con l’attuale concezione procedimentalizzata dell’azione amministrativa, impone all’Amministrazione, in tema di immigrazione, la valutazione degli elementi che si sono effettivamente concretizzati nelle more tra l’istanza presentata, il suo esame e il giudizio dinanzi al Giudice.

La giurisprudenza amministrativa, in tema di immigrazione, ha talora ritenuto irrilevanti le sopravvenienze. Tale posizione trova conforto in una prospettiva del processo amministrativo inteso come giudizio meramente impugnatorio in cui al centro della valutazione del Giudice sta solo la legittimità dell’atto al momento della sua adozione. In questa prospettiva, il sindacato di legittimità dell’atto si limita alla verifica della ragionevolezza e della proporzionalità della decisione dell’amministrazione secondo quanto conosciuto dalla stessa al momento in cui aveva maturato la propria determinazione.

Questa impostazione, legata alla qualificazione del giudizio amministrativo come meramente impugnatorio, non sempre risulta adeguata alla funzione assegnata al Giudice amministrativo dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo e alla luce della successiva giurisprudenza sovranazionale e interna.

Ciò tanto più nelle ipotesi in cui oggetto del giudizio sono diritti fondamentali della persona umana che possono trovare tutela nel quadro di un idoneo bilanciamento con i valori essenziali della sicurezza e della sostenibilità dei flussi migratori.

Da tempo la giurisprudenza ha dato atto della trasformazione del processo amministrativo “da giudizio amministrativo sull’atto, teso a vagliarne la legittimità alla stregua dei vizi denunciati in sede di ricorso e con salvezza del riesercizio del potere amministrativo, a giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata” (Adunanza Plenaria, 2011, n. 3).

È proprio in questi casi in cui il bene della vita da tutelare ha natura personale che oggetto della valutazione giudiziale non può essere solo il provvedimento in sé poiché essa deve necessariamente avvolgere la situazione giuridica soggettiva che fa da sfondo alla vicenda procedimentale.

Se a ciò si aggiungono gli ultimi approdi sull’inesauribilità del potere amministrativo e la specifica funzione riconosciuta al giudicato amministrativo e al giudizio di ottemperanza, diventa chiaro che il giudice amministrativo non può più limitarsi ad una valutazione di tipo statico, ancorata al provvedimento impugnato ma dovrà operare una valutazione di tipo dinamico – fermi restando il potere discrezionale dell’amministrazione competente e il divieto assoluto di sindacato esteso al merito – al fine di evitare il concretizzarsi di un pregiudizio per la situazione giuridica sostanziale.

È in questo quadro che si collocano del resto le ordinanze propulsive a mezzo delle quali il giudice amministrativo, in sede cautelare, ricorre chiedendo all’amministrazione competente di riesaminare la situazione giuridica del ricorrente. Nella specifica materia dell’immigrazione, il giudizio amministrativo come giudizio sulla situazione giuridica soggettiva e non solo sull’atto impugnato, impone dunque la valutazione degli elementi che si sono effettivamente concretizzati nelle more tra l’istanza presentata, il suo esame da parte dell’amministrazione e il giudizio dinanzi al Giudice, specie quando ci sono gli elementi per il riconoscimento di altro titolo di soggiorno perché, se è vero che questi non potevano incidere sull’atto, incidono sulla situazione giuridica dell’appellante e la loro mancata valutazione può comprometterla irrimediabilmente, arrecando un pregiudizio a diritti fondamentali della persona umana.

Quanto detto vale a fortiori nel caso di specie, in cui l’Amministrazione, chiamata a provvedere sull’istanza di riesame, era già a conoscenza della sopravvenienza favorevole.

La riabilitazione dell’appellante, infatti, potrebbe consentire una valutazione più attuale della sua pericolosità sociale.

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