Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-10-01, n. 201205166

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-10-01, n. 201205166
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201205166
Data del deposito : 1 ottobre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02168/2012 REG.RIC.

N. 05166/2012REG.PROV.COLL.

N. 02168/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 2168 del 2012, proposto dalla REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. A B, con domicilio eletto presso la propria delegazione in Roma, via Barberini, 36,

contro

il signor S B, rappresentato e difeso dagli avv.ti S M e P G, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Pietro da Cortona, 8,

nei confronti di

COMUNE DI NARDÒ, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito,

per l’annullamento e/o la riforma

della sentenza nr. 283 emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, Sezione Prima di Lecce, depositata il 16 febbraio 2012, con cui è stato dichiarato inammissibile il ricorso iscritto al nr. 1443/2011, proposto dal signor Salvatore B per l’accertamento del silenzio-inadempimento serbato dalla Regione Puglia sull’istanza, con la quale si chiedeva di provvedere all’approvazione definitiva della variante urbanistica al P.R.G. di Nardò, adottata dal Commissario ad acta dello stesso Comune con delibera nr. 1 del 22 giugno 2010, ai fini della ritipizzazione di un suolo di proprietà del ricorrente.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato signor Salvatore B;

Viste le memorie prodotte dalla Regione appellante (in data 7 settembre 2012) e dall’appellato (in date 4 e 14 settembre 2012) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, alla camera di consiglio del giorno 18 settembre 2012, il Consigliere R G;

Uditi l’avv. Bucci per l’Amministrazione appellante e l’avv. Mileto per l’appellato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’odierno appellato, signor Salvatore B, è proprietario di un suolo sito nel territorio del Comune di Nardò, già tipizzato a zona “F41” (“ arredo sede viaria ”) dal vigente P.R.G. approvato in data 10 aprile 2001.

Una volta decaduto il vincolo espropriativo per effetto dell’inutile decorso del termine quinquennale di efficacia, l’interessato, dopo aver vanamente diffidato il Comune a procedere alla ritipizzazione del suolo de quo, ha agito avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione comunale su detta istanza.

La Sezione di Lecce del T.A.R. della Puglia, ritenendo illegittima l’inerzia del Comune, ha accolto il ricorso e nominato un Commissario ad acta con l’incarico di provvedere alla ritipizzazione del suolo;
con delibera nr. 1 del 22 giugno 2010, il Commissario ha adottato una specifica variante urbanistica, destinando il suolo a “ verde privato ”.

2. Con nuovo ricorso, il signor B ha censurato il silenzio-inadempimento serbato dalla Regione Puglia, alla quale la delibera commissariale suindicata era stata trasmessa per l’approvazione.

Tale ultimo ricorso è stato dichiarato inammissibile dal T.A.R. adito, il quale ha ritenuto che nella specie dovesse trovare applicazione non già la procedura prevista dalla legge regionale della Puglia 31 maggio 1980, nr. 56, ma quella di cui agli artt. 11 e 12 della legge regionale 27 luglio 2001, nr. 20, e pertanto che sulla variante adottata dal Commissario si fosse perfezionato il silenzio-assenso dell’Amministrazione regionale a seguito dell’inerzia dalla stessa serbata.

3. Avverso quest’ultima decisione propone appello la Regione Puglia, deducendo l’erroneità in diritto dell’argomentazione su cui si fonda l’assunto del T.A.R., dovendo interpretarsi il comma 4 dell’art. 20 della citata l.r. nr. 20 del 2001 nel senso che alla variante per cui è causa, relativa a uno strumento urbanistico generale approvato in base alla disciplina della l.r. nr. 56 del 1980, dovesse continuare ad applicarsi quest’ultima normativa.

Resiste l’originario ricorrente il quale, oltre a eccepire in limine l’inammissibilità dell’appello per carenza di interesse, argomenta diffusamente a sostegno della correttezza delle conclusioni raggiunte dal primo giudice, concludendo per la conferma della sentenza impugnata.

4. Alla camera di consiglio del 18 settembre 2012, la causa è stata trattenuta in decisione.

5. Preliminarmente, va esaminata l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata da parte appellata, la quale però si appalesa infondata e quindi meritevole di reiezione.

Ed invero, non può negarsi che l’Amministrazione regionale, la quale è stata parte del giudizio di primo grado (ancorché non costituita), abbia interesse a contestare una sentenza che, pur essendo di mero rito, muove dall’assunto che alla variante per cui è causa debba applicarsi la nuova normativa di cui alla citata l.r. nr. 20 del 2001, pervenendo dunque alla conclusione che l’inerzia tenuta dalla Regione, piuttosto che integrare un mero inadempimento “procedimentale” sanzionabile dal giudice ai sensi dell’art. 117 cod. proc. amm., abbia determinato il definitivo consolidarsi della variante medesima per silenzio-assenso.

Tale affermazione, se anche la si ritenga insuscettibile di formare giudicato in ragione della natura meramente processuale della sentenza appellata, è tuttavia idonea a costituire un precedente vincolante per l’Amministrazione in relazione ad una pluralità indefinita di vicende future inerenti alla ritipizzazione di vincoli espropriativi decaduti per decorso del termine quinquennale: di modo che è certamente concreto e attuale l’interesse della Regione ad evitare che ciò si verifichi.

6. Nel merito l’appello è fondato, per le ragioni e con gli effetti di seguito precisati.

7. Come già accennato, il nodo problematico sul quale vi è contrasto fra le parti attiene all’interpretazione del comma 4 dell’art. 20 della citata l.r. nr. 20 del 2001, laddove, nel dettare le “ Norme di prima attuazione ” dell’innovativa disciplina urbanistica introdotta dalla medesima legge, si precisa: “ ...Le varianti agli strumenti comunali di pianificazione urbanistica adeguati alla l.r. n. 56/1980 e non conformi alle prescrizioni della presente legge possono essere formate e seguono le disposizioni stabilite dalla vigente legislazione regionale e statale. Esse devono conformarsi al D.R.A.G., ove esistente ”.

7.1. Secondo l’Amministrazione appellante, il riferimento contenuto nella citata disposizione alla “ vigente legislazione regionale e statale ” va inteso come un richiamo alla normativa previgente (e quindi, per quanto qui interessa, proprio alla l.r. nr. 56 del 1980 e s.m.i.), e non certo alla medesima legge del 2001;
in effetti, che la l.r. nr. 56 del 1980 sia ancora “ vigente ” sarebbe dimostrato non solo dall’assenza di espresse previsioni abrogatrici nella stessa l.r. nr. 20 del 2001, ma anche dalla legislazione successiva (l.r. 19 luglio 2006, nr. 22).

Inoltre, nessuna rilevanza avrebbe il richiamo alla nuova disciplina contenuto nelle istanze e diffide inoltrate dall’odierno appellato, essendo ovvio che l’individuazione della normativa applicabile compete unicamente all’Amministrazione procedente.

7.2. La Sezione condivide l’impostazione di parte appellante, dovendo la previsione testé richiamata raccordarsi con le altre contenute negli altri commi del medesimo art. 20 della l.r. nr. 20 del 2001, in modo da delineare un “sistema” coerente di passaggio dalla vecchia normativa, ancora legata alla tradizionale distinzione tra il P.R.G. e gli strumenti urbanistici attuativi, alla nuova, che configura invece un sistema “multilivello” che muove dal documento regionale di assetto generale (D.R.A.G.) verso i successivi livelli di pianificazione provinciale (Piano territoriale di coordinamento provinciale – P.T.C.P.) e comunale (Piano urbanistico generale – P.U.G.).

In tale prospettiva, come già la Sezione ha avuto modo di chiarire, appare del tutto coerente che per le varianti che risultino addirittura non adeguate neanche alla l.r. nr. 56 del 1980 il comma 3 dell’art. 20 circoscriva solo ad alcune ipotesi la ultrattività della normativa previgente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, nn. 3929 e 3933 dell’8 agosto 2008).

Nella presente fattispecie, invece, si tratta pacificamente di variante a strumento urbanistico adeguato alla ridetta l.r. nr. 56 del 1980, per la quale soccorre la diversa prescrizione del comma 4, con la quale il legislatore regionale – oltre alla necessità di rispettare il D.R.A.G., ove esistente – ha introdotto un rinvio “dinamico” non solo alla l.r. nr. 56 del 1980, ma al complesso della legislazione nazionale e regionale già in vigore al momento dell’entrata in vigore della disciplina del 2001.

Tuttavia appare evidente che, qualora si fosse inteso rendere immediatamente applicabile in toto la detta nuova disciplina anche alle fattispecie de quibus, lo si sarebbe dovuto fare con un’espressa previsione, chiara ed esplicita sul punto.

7.3. Secondo l’avviso della parte odierna appellata, l’applicabilità della l.r. nr. 20 del 2001 si evincerebbe a contrario dalla previsione di cui al comma 2 del medesimo art. 20, secondo cui: “ ...Le varianti agli strumenti comunali di pianificazione già adottate alla data di entrata in vigore della presente legge, fino all’approvazione delle stesse, seguono le disposizioni stabilite dalla l.r. n. 56/1980 ”.

Pertanto – si assume – poiché nella specie la variante commissariale è stata adottata in epoca ben posteriore all’entrata in vigore della l.r. nr. 20 del 2001, ad essa dovrebbe applicarsi solo ed unicamente la nuova disciplina.

Al riguardo, la Sezione rileva che, se certamente il disposto del comma 2 testé citato autorizza una diversità di “regime” tra le varianti agli strumenti urbanistici anteriori a seconda che la loro adozione sia anteriore o posteriore all’entrata in vigore della l.r. nr. 20 del 2001, non per questo ciò autorizza a concludere che nel secondo caso debba sic et simpliciter trovare applicazione la nuova normativa;
infatti, in queste ipotesi occorre comunque coordinare la previsione del comma 2 con quella del comma 4 dell’art. 20, e conseguentemente il problema da risolvere torna ad essere quello di quale sia la “ vigente legislazione statale e regionale ”, e se fra questa rientri anche la l.r. nr. 56 del 1980: sul punto, pertanto, valgono comunque i rilievi svolti al punto che precede, ai quali parte appellata non oppone argomentazioni contrarie convincenti.

In altri termini, tutto ciò che il comma 2 dell’art. 20 dimostra è che, per le ipotesi di varianti già adottate all’atto dell’entrata in vigore della nuova normativa, il legislatore regionale – evidentemente in omaggio a esigenze di economia dell’attività amministrativa – ha inteso mantenere ferma in ogni caso, attraverso un rinvio “fisso”, l’applicazione della l.r. nr. 56 del 1980, al punto da non richiedere neanche l’adeguamento di dette varianti al D.R.A.G., quand’anche questo fosse medio tempore sopravvenuto (donde la significativa differenziazione tra tale “regime” e quello invece previsto dal successivo comma 4, laddove si cerca per quanto possibile di assicurare la coerenza della variante con la pianificazione di livello superiore).

Il sistema così ricostruito, obbedendo alla logica di garantire la conservazione dello schema “duale”, basato sul concorso tra la volontà del Comune e quella della Regione in sede di formazione dello strumento urbanistico generale, per tutti i casi in cui non può trovare applicazione il nuovo sistema “multilivello” introdotto dalla l.r. nr. 20 del 2001 (nel quale, invece, è del tutto coerente il venir meno della necessità di una approvazione espressa dell’Amministrazione regionale), impone di evitare ogni interpretazione che, nel regime transitorio, limiti o escluda l’apporto regionale alla formazione degli strumenti urbanistici e delle loro varianti.

È appena il caso di aggiungere che il sistema così delineato si completa con le modifiche apportate all’art. 12 della l.r. nr. 20 del 2001 dalla l.r. 25 febbraio 2010, nr. 5, laddove per talune specifiche ipotesi, che evidentemente si presumono di scarsa entità o incisività, viene esclusa a monte la stessa necessità di invio degli atti alla Regione, donde non solo l’assenza dell’approvazione di cui alla pregressa l.r. nr. 56 del 1980, ma anche l’inoperatività del nuovo meccanismo incentrato sul silenzio-assenso.

8. La fondatezza delle deduzioni in diritto svolte nell’appello, determinando l’esclusione del formarsi del silenzio-assenso sulla variante per cui è causa, comporta la modifica del dispositivo della sentenza impugnata nel senso della improcedibilità del ricorso, e non della sua inammissibilità.

Infatti, come evidenziato dalla Regione nella memoria depositata in data 7 settembre 2012, da ultimo con deliberazione del luglio 2012 la variante de qua è stata restituita al Comune con diniego di approvazione;
pertanto, ogni doglianza di merito in ordine alle determinazioni assunte dall’Amministrazione regionale dovrà essere articolata in sede di impugnazione ordinaria di detto diniego, che ha fatto venir meno (seppur tardivamente) il silenzio-inadempimento censurato nel presente giudizio.

9. La relativa novità delle questioni esaminate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

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