Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2023-11-03, n. 202309548
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Pubblicato il 03/11/2023
N. 09548/2023REG.PROV.COLL.
N. 02147/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2147 del 2020, proposto da
H S.R.L, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato S M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
G M in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Soc. Fingual S.r.l., C C in proprio e quale esercente la patria potestà, unitamente a G M, sui figli minori G G e G G, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati U R, V L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio U R in Roma, corso Vittorio Emanuele II n. 308;
Comune di Bologna, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima) n. 00982/2019, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di G M, C C, G G, Fingual S.r.l. e Gaia Gualandi;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2023 il Cons. Massimo Santini e uditi per le parti gli avvocati Marchi e Loccisano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La odierna appellante è società che gestisce una discoteca in un palazzo antico del Comune di Bologna.
Nella stessa palazzina ha sede la società Fingual e risiede la famiglia Gualandi - Caliceti i quali, a più riprese, lamentavano il superamento dei limiti di rumore in orario notturno da parte della discoteca.
Numerosi gli interventi del Comune di Bologna (tutti inutilmente preordinati a contenere i suddetti rumori) tra cui anche quello del 5 febbraio 2019 diretto a revocare la licenza.
Sennonché, in data 26 settembre 2019 il Comune provvedeva al rilascio di una nuova licenza di agibilità in seguito al presupposto parere ARPA del 27 agosto 2019: la suddetta licenza veniva rilasciata sulla base dei nuovi lavori di insonorizzazione che sarebbero stati effettuati nel locale onde garantire la mitigazione dei rumori.
Tale nuova licenza di agibilità veniva impugnata dinanzi al TAR Bologna.
Nel frattempo veniva pubblicata la sentenza n. 2350 del 2019 del Tribunale civile di Bologna (cui ci si era parallelamente rivolti per la violazione dell’art. 844 c.c. in tema di immissioni e rumori) il quale condannava al risarcimento dei danni la proprietaria del locale (sig.ra G) ove era esercitata l’attività di discoteca (da parte di HECO srl) stante la violazione del regolamento condominiale che inibisce chiaramente la possibilità di adibire le unità immobiliari del predetto palazzo antico a “sale da ballo”.
2. La successiva decisione del TAR Bologna prendeva dunque atto di tale sentenza del giudice civile e, anche sulla base di altre autonome considerazioni, annullava il provvedimento comunale con cui si rilasciava nuovamente la licenza di agibilità a discoteca sia in quanto il regolamento condominiale inibiva una simile attività, sia in quanto l’amministrazione comunale non avrebbe tenuto conto dei numerosi precedenti rilievi tecnici ARPA da cui era emerso il costante superamento dei limiti di rumore stabiliti dalle disposizioni nazionali e comunali in materia.
3. La sentenza di primo grado formava oggetto di appello, oltre che per insussistenza dei presupposti onde adottare sentenza in forma semplificata, anche per i motivi di seguito sintetizzati:
3.1. Vizio di ultrapetizione in quanto la violazione del regolamento condominiale non sarebbe mai stata formalmente contestata, con il ricorso di primo grado, da parte degli odierni intimati;
3.2. Erroneità per non avere tenuto conto che il regolamento condominiale ha effetto solo tra privati (proprietari del locale e delle unità abitative) e non potrebbe condizionare il rilascio di un atto pubblico;
3.3. Erroneità per non avere rilevato che il tema del regolamento condominiale non avrebbe mai fatto parte dell’istruttoria amministrativa;
3.4. Erroneità per non avere percepito il difetto di legittimazione attiva in capo a Fingual (ossia uno dei due originari ricorrenti in primo grado), e ciò dal momento che quest’ultima, in sede di acquisto dell’immobile, avrebbe accettato la presenza di una discoteca nel suddetto palazzo;
3.5. Erroneità per non avere percepito il difetto di legittimazione attiva in quanto la “servitù atipica” che il regolamento condominiale avrebbe costituito a carico dell’immobile (ossia circa il divieto di esercitare attività di ballo e discoteca) sarebbe venuta meno per effetto di prescrizione per non uso ventennale ai sensi dell’art. 1073 c.c.;
3.6. Erroneità nella parte in cui il giudice di primo grado non avrebbe svolto alcuna valutazione autonoma, basando la propria decisione unicamente sulla citata sentenza n. 2350 del 2019 del Tribunale civile di Bologna che si sarebbe peraltro svolto tra parti diverse rispetto al presente giudizio (ossia la precedente gestione della discoteca e la proprietaria del locale, che non coincide con l’attuale gestore HECO);
3.7. Erroneità nella parte in cui il TAR Bologna avrebbe fondato la propria decisione su presupposti erronei, ossia l’aver ritenuto che HECO esercitasse simili attività sin dal 2014 (laddove in tali anni la gestione del locale era affidata ad altri soggetti);
3.8. Genericità della motivazione per omessa indicazione del motivo accolto;
3.9. Erroneità per avere fondato la propria decisione su violazioni della normativa acustica commessa da soggetti diversi da HECO;
3.10. Erroneità per omessa considerazione del fatto che la licenza comunale di agibilità del 26 settembre 2019 comunque teneva conto dei lavori di ristrutturazione nonché della strumentazione tecnica che avrebbero consentito una adeguata insonorizzazione acustica del locale stesso. In questa stessa direzione non si sarebbe tenuto conto, da parte del giudice di primo grado, del parere positivo di ARPA.
4. Si costituivano in giudizio gli appellati ricorrenti in primo grado per chiedere il rigetto del gravame mediante articolate controdeduzioni che, più avanti, formeranno oggetto di specifica trattazione.
5. In vista della pubblica udienza è stata depositata documentazione dalla quale si evince in estrema sintesi che: a) il Gualandi e la proprietaria del locale hanno raggiunto nelle more del presente giudizio un accordo che prevede, tra l’altro, la cessazione di ogni attività di discoteca;b) in conseguenza di tale accordo la Corte di appello civile di Bologna, investita della sentenza del Tribunale civile sopra ricordata, ha dunque dichiarato la cessazione della materia del contendere.
Per effetto di tale accordo, la difesa dei Gualandi e della società Fingual chiede adesso di dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse in tale giudizio. Ed infatti, poiché è divenuto impossibile ex contractu esercitare l’attività di discoteca in tali locali, sarebbe di conseguenza venuto meno l’interesse della odierna appellante HECO a coltivare il presente giudizio. Quest’ultima si oppone tuttavia a tale prospettazione in quanto ritiene di poter poi esperire in sede civile, qualora tale giudizio amministrativo si definisca in suo favore, una successiva azione risarcitoria per i danni subiti dal comportamento complessivamente tenuto negli anni, anche sul piano strettamente contrattuale, dal Gualandi e dalla società di cui lo stesso è titolare.
6. Alla pubblica udienza del 5 ottobre 2023 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso in appello veniva infine trattenuto in decisione.
7. Tutto ciò premesso va innanzitutto respinta l’istanza di improcedibilità del gravame atteso che non è questa la competente sede giurisdizionale onde stabilire la percorribilità ( rectius : ammissibilità) di una simile azione risarcitoria da parte della odierna appellante (azione risarcitoria che, secondo la prospettazione della difesa di parte appellante, assumerebbe connotati di netta autonomia rispetto al presente giudizio). La sopravvenuta carenza di interesse – soprattutto in considerazione della opposizione in tal senso formulata dalla appellante – non può dunque essere dichiarata.
8. Nel merito l’appello si rivela comunque infondato dal momento che, in disparte ogni considerazione circa il rilievo di quanto previsto nel regolamento condominiale (di qui il superamento dei primi tre motivi di appello) nonché ravvisata l’integrale infondatezza del motivo di appello genericamente sollevato in ordine alla assenza dei presupposti per la adozione di una sentenza in forma semplificata (non vengono infatti evidenziate le specifiche ragioni sottese alla denunziata carenza di contraddittorio), la sentenza di primo grado resiste comunque sotto il profilo del difetto di motivazione e di istruttoria puntualmente sollevati in primo grado. Aspetto questo che, di per sé, è sufficiente non solo a preservare il contenuto decisionale della sentenza di primo grado ma anche a demolire, in diretta conseguenza, il provvedimento comunale gravato sempre in primo grado. Più in particolare:
8.1. Quanto all’invocato difetto di legittimazione attiva della Fingual s.r.l. per il fatto di avere accettato l’esistenza di una discoteca, in fase di acquisito dell’immobile, trattasi di eccezione per la prima volta sollevata in questo giudizio di appello (cfr. memoria depositata in data 13 dicembre 2019 agli atti del giudizio di primo grado), e ciò in aperta violazione al divieto di ius novorum in appello (in siffatta direzione l’art. 104, comma 1, c.p.a., fa riferimento non solo a “nuove domande” ma anche a “nuove eccezioni” non altrimenti sollevate in primo grado). L’eccezione in tal senso formulata dagli appellati non riguarda produzioni documentali, come evidenziato dalla HECO con memoria del 4 maggio 2023, ma la giuridica possibilità di formulare in questa sede tali motivi di appello. Senza omettere di considerare che una simile clausola contrattuale di certo non potrebbe equivalere ad accettare, altresì, che l’esercizio di tale attività sia condotto contra legem , ossia nell’inosservanza dei limiti di immissione acustica previsti dalla legge. Tanto più che nella invocata clausola contrattuale si faceva riferimento ad un “circolo privato”, che non necessariamente deve coincidere con attività di “discoteca”, e ciò con ogni conseguenza in merito ai diversi profili di immissione di sorgenti acustiche e di rumore. Di qui il rigetto del quarto motivo di appello;
8.2. Parimenti deve essere rigettata la quinta censura di appello (omesso rilievo prescrizione servitù atipica per non uso ventennale) atteso che una simile eccezione di difetto di legittimazione è stata per la prima volta formulata in questa sede di appello (si veda ancora la memoria di primo grado della parte appellante, depositata agli atti di quel giudizio in data 13 dicembre 2019). Anche in questa ipotesi, osserva il collegio che l’eccezione in tal senso formulata dagli appellati non riguarda produzioni documentali, come evidenziato dalla HECO con memoria del 4 maggio 2023, ma la giuridica possibilità di formulare in questa sede simili motivi di appello (su eccezioni non altrimenti sollevate in primo brado). Di qui ancora il divieto di ius novorum e dunque il rigetto della specifica censura;
8.3. Anche il sesto motivo va rigettato in quanto la decisione del TAR Bologna, al netto di ogni richiamo alla citata sentenza del giudice civile n. 2350 del 2019, ha comunque argomentato con valutazioni proprie circa la violazione del regolamento condominiale e, in ogni caso, sul difetto di istruttoria e di motivazione (omessa considerazione, ossia, del livello di compatibilità tra discoteca e salute dei residenti) legati al provvedimento comunale qui oggetto di specifica contestazione (mentre la sentenza del giudice civile aveva ad oggetto soltanto il rapporto strettamente privatistico tra condomini);
8.4. Con il settimo motivo si lamenta erroneità nella parte in cui il TAR Bologna avrebbe fondato la propria decisione su presupposti erronei, ossia l’aver ritenuto che HECO esercitasse una simile attività sin dal 2014 (mentre in tali anni la gestione del locale era affidato ad altri soggetti).
Anche tale censura è infondata dal momento che, al di là della precisazione della difesa di parte appellante (secondo cui negli anni 2014 e 2015, oggetto di rilevazione ARPA, il gestore sarebbe stato altro soggetto diverso da HECO), è in ogni caso inconfutabile che in data 11 luglio 2018 è subentrata HECO e che l’attività di quest’ultima ha parimenti formato oggetto di misurazione ARPA (cfr. relazione 23 novembre 2018) che ha ulteriormente accertato importanti sforamenti dei limiti di emissione, tali da comportare l’adozione del provvedimento di revoca del 5 febbraio 2019 (oggetto anch’esso di valutazione da parte del giudice di primo grado).
Di qui il rigetto della specifica censura.
8.5. L’ottavo motivo è palesemente infondato dal momento che è chiaro come il giudice di primo grado, al di là della violazione del richiamato regolamento condominiale, abbia comunque fondato la propria decisione sul vizio di istruttoria e di motivazione del gravato provvedimento comunale (cfr. punto 2 della presente decisione);
8.6. La nona censura è del tutto simile alla settima. Il giudice ha fatto sì riferimento a violazioni commesse “sin dal 2014” (dunque vi avrebbe ricompreso periodi in cui HECO non era gestore), ma in simile formulazione lessicale (“sin dal 2014”) non può che esservi ricompreso anche il 2018 e il 2019, ossia il periodo in cui HECO era divenuto gestore e nel corso del quale sono stati rilevati da ARPA ulteriori superamenti dei limiti di emissione fissati dal provvedimento autorizzatorio dell’11 luglio 2018, atto questo intestato proprio ad HECO.
Di qui il rigetto altresì di tale specifica censura.
8.7. Con riguardo all’ultimo motivo di appello si evidenzia invece che:
8.7.1. Il parere ARPA del 27 agosto 2019, che ha formato da atto presupposto rispetto al gravato atto comunale del 26 settembre 2019, si divide in due parti: nella prima parte si evidenziano una serie di profili fortemente critici e problematici così riassumibili: a) si è in presenza di un edificio storico “con struttura e caratteristiche tecniche non note”;b) dunque è molto difficile basarsi su preventivi “calcoli teorici”;c) le gestioni precedenti (anche quella di HECO) si sono rivelate tutte praticamente fallimentari per il costante superamento dei limiti di emissione e dei connessi livelli di tollerabilità del rumore;d) le uniche esperienze non negative in tal senso (per mancato superamento dei limiti di legge) sono state quelle di “ristorazione con musica di sottofondo” (cui per un certo periodo il locale è stato peraltro adibito);e) ancora in quel momento non si disponeva “di dati certi sulla reale situazione acustica” (dunque nessuna prova in situ era stata concretamente effettuata). Nella seconda parte non si provvede ad indicare le misure che potrebbero rivelarsi idonee a superare tali forti criticità ma ci si limita, senza un chiaro nesso logico con la prima parte del parere, a fornire alcune indicazioni di esercizio (nell’ipotesi in cui il Comune decida comunque di rilasciare la licenza di agibilità della discoteca) tra cui: sistema di registrazione dati (sui livelli di emissione nel corso delle serate danzanti);conservazione dei dati acquisiti;relazione acustica dell’esercente circa il rispetto dei limiti consentiti di 97 decibel;le conseguenze sanzionatorie (dalla sospensione alla decadenza della licenza) in caso di violazione dei suddetti limiti;
8.7.2. Evidente come ci si trovi dinanzi ad un “salto logico”, nel confrontare le due parti del parere, visto che in modo incoerente e contraddittorio, dopo avere illustrato le forti perplessità legate all’esercizio di una simile attività in un palazzo storico destinato prevalentemente ad abitazioni o uffici, si passa direttamente alla modalità entro cui la stessa fase di esercizio debba essere governata (o meglio autogovernata , dato che ogni fase di monitoraggio ed esame dei dati viene riservato alla sola società che oggi appella). Il tutto senza mai evidenziare l’impossibilità di concepire soluzioni risolutive oppure specificare, al contrario, quali potrebbero essere gli strumenti ed i meccanismi onde affrontare e superare le suddette criticità;
8.7.3. Ebbene la descritta illogicità, incoerenza e contradditorietà del parere presupposto ARPA finisce per essere integralmente mutuato nel provvedimento del 26 settembre 2019 del Comune di Bologna, il quale finisce addirittura per qualificare tale parere ARPA del 27 agosto 2019 alla stregua di “nulla osta” alla riapertura della discoteca (si veda il passaggio del provvedimento comunale gravato in primo grado nella parte in cui afferma: “Ritenuto … che dagli esiti dell’istruttoria emerge che nulla osta al rilascio di licenza di agibilità”). Il provvedimento c.d. di “nulla osta” implica di per sé l’assenza di ogni ostacolo in fatto e in diritto. Il citato parere ARPA contiene piuttosto una serie di dubbi ed incertezze, come già largamente anticipato, sia sulla effettività delle misure adottate in termini di maggiore insonorizzazione dei locali, sia in termini di valutazione di impatto acustico in relazione ad un immobile di carattere storico quale quello in esame. Dunque è semmai un “tutto osta”. Di qui l’evidente erronea presupposizione, in fatto e in diritto, nel ritenere che il parere ARPA fosse in realtà un atto a contenuto positivo circa la possibilità di riattivare il locale da ballo.
8.7.4. Ebbene dinanzi a tali incertezze e perplessità di ARPA (tali da prefigurare la presenza di un locale “strutturalmente inidoneo”, nella sostanza, ad ospitare simili eventi danzanti), nonché in considerazione dei numerosi precedenti a sfavore della discoteca (che superava costantemente i limiti) e delle esigenze di tutela della salute che debbono essere tenuti ben presenti in simili vicende, l’amministrazione comunale non compie il minimo sforzo onde superare tali criticità (in particolare quelle sui “dati certi sulla reale situazioni acustica”), né si premura di assicurare un maggior approfondimento istruttorio (es. prove in situ oppure apertura sperimentale per poi vagliare la bontà delle misure di mitigazione asseritamente adottate dall’appellante) onde raggiungere certe conclusioni in ordine alla possibile prosecuzione o meno della controversa attività.
Addirittura l’amministrazione finisce per riservare certe misure di monitoraggio e di successiva analisi ad un gestore che in precedenza (cfr. rilievi 9 e 10 novembre e conseguente atto di revoca) si era dimostrato chiaramente inadempiente rispetto alle prescrizioni di esercizio imposte dal titolo autorizzatorio (licenza 11 luglio 2018, per quanto riguarda HECO). Il che costituisce ulteriore fattore di incoerenza e di contraddittorietà, tenuto anche conto che una simile forma di autocontrollo non contempla mai, in concreto, il preventivo intervento dei tecnici ARPA né di quelli comunali.
8.7.5. A ciò si aggiunga che l’esigenza di una motivazione rafforzata circa la decisione di riaprire il locale era da ritenersi ancorata anche al rispetto del principio di precauzione di matrice eurounitaria. Ed infatti la Corte di giustizia UE (cfr. Sez. VI, 10 aprile 2014, n. 269) con riguardo alla declinazione concreta di tale principio ha chiarito che, allorché si versi in situazioni di “incertezza” e di “probabilità di un danno reale per la salute” (proprio come nella specie, sulla base di quanto emerge dalla prima parte del parere